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Cyber Security e Digital Marketing, serve una stretta collaborazione per proteggere dati sensibili e reputazione aziendale

Cyber Security e Digital Marketing, serve una stretta collaborazione per proteggere dati sensibili e reputazione aziendale
Il Marketing è spesso considerato l’anello debole della sicurezza informatica. È tempo di ribaltare questa visione e creare uno stretto sodalizio fra gli esperti di Cyber Security e Digital Marketing per la definizione, diffusione e attuazione di strategie mirate a prevenire attacchi e a reagire opportunamente in caso di incidenti

Cyber Security e Digital Marketing sono ormai due facce di una stessa medaglia. Nell’era del 4.0 e dell’Internet of Things, infattii professionisti che lavorano in ambito Marketing si trovano spesso a dover gestire informazioni sensibili, collocate in ambienti cloud e diversificati, noti per essere maggiormente esposti ad attacchi informatici, interni e/o esterni. Quindi è fondamentale che siano coinvolti nella definizione, diffusione e attuazione delle strategie di Cyber Security, non solo perché facile obiettivo per gli hacker, ma come soggetto attivo nel contrasto al cyber risk.
La digitalizzazione dei processi e dei sistemi informativi aziendali, ha consentito a molte organizzazioni di essere più competitive, ma questo ha significato, al tempo stesso, esporre i dati delle stesse a maggiori rischi. Di conseguenza la Cyber Security è diventata una priorità assoluta per le imprese.
All’interno di questo contesto, il Marketing è ancora percepito come un soggetto a rischio per la sicurezza dei dati di un’organizzazione e le persone che lavorano nelle posizioni di Marketing si sono abituate ad essere qualificate come anello debole dei sistemi di sicurezza informatica.
In realtà, preso atto che anche una sola violazione dei dati può danneggiare considerevolmente un’azienda, a livello di Brand Reputation e, in seconda analisi, di costi economici, nessuno può sentirsi al riparo da questo genere di minacce, qualsiasi sia la sua attività ed il settore in cui opera.
Questa riflessione assume un’ulteriore rilevanza se si considera che i trend digitali come cloudmobile, IoT e social, ormai imprescindibili anche per le aziende, espongono le stesse a una grande quantità di minacce.
Per di più, l’opportunità di raccogliere una quantità di dati sensibili sempre più ampia, parliamo quindi degli ormai noti Big Data, aumenta ulteriormente la possibilità di violazioni di sistemi informativi aziendali.
Inoltre, gli attacchi hacker come il furto di dati sensibili dei singoli consumatori, la distribuzione di malware o l’e-mail phishing, sono spesso facilitati dall’incuranza e dalla scarsa conoscenza e consapevolezza del personale interno dei rischi informatici.
Pertanto è fondamentale che l’organizzazione, a tutti i livelli, Marketing incluso, sia informataconsapevole sull’importanza della Cyber Security.

Gli esperti di Cyber Security e Digital Marketing devono collaborare di più

Ciò pone la domanda: cosa può fare il team di Marketing in tale scenario?
Data la quantità di informazioni sensibili a cui i Marketer hanno accesso e il crescente ricorso a nuove tecnologie e ambienti digitali per la condivisione interna e/o esterna all’organizzazione di questi dati, il Marketing è spesso obiettivo del crime sul web.
Perciò, in primo luogo, è essenziale educare le persone che lavorano in questo settore alla sicurezza informatica, con percorsi formativi creati ad hoc, per permettergli di identificare le specifiche tipologie di attacco informatico a cui potrebbero essere personalmente sottoposti, e ad usare con cautela ed intelligenza le tecnologie digitali.
Ciò significa anche che il Marketing dovrà comprendere l’importanza di collaborare con il dipartimento IT, per identificare eventuali minacce, rappresentate da nuove tecnologie, piattaforme e applicazioni, e determinare le misure di attenuazione del rischio informatico.
Una volta ridefinito il modo in cui i professionisti del Marketing affrontano il tema della Cyber Security, passando dall’essere facile bersaglio degli hacker, a utenti consapevoli dei rischi connessi al digitale, gli stessi marketer potranno essere d’aiuto all’intera organizzazione nell’arginare il Cyber Crime, diffondendo la cultura della sicurezza informatica tra tutte le funzioni in azienda.
Questo significa attivare campagne di comunicazione interna pensate per veicolare l’importanza della formazione sulla sicurezza informatica, contribuire alla diffusione del know-how aziendale riguardo le best practice in materia di Cyber Security e così via.

I Marketer devono essere pronti a comunicare in caso di attacco informatico

L’obiettivo per i professionisti che lavorano in ambito Marketing è quindi quello di accelerare e diffondere l’adozione di una strategia condivisa sul tema della sicurezza informatica tra tutta la popolazione aziendale.
Ma il ruolo del Marketing potrebbe andare oltre l’attività di diffusione interna delle norme aziendali di Cyber Security. È infatti altrettanto importante che i Marketer siano preparati ad affrontare un eventuale episodio di Cyber Crime e definiscano quindi preventivamente un piano di comunicazione esterna in caso si verificasse un attacco informatico, così da evitare il panico tra clienti, fornitori e partner.
In definitiva, la Cyber Security è fondamentale ad ogni livello dell’organizzazione, così come la diffusione di una cultura del rischio informatico e, al tempo stesso, lo sviluppo di una fiducia digitale.
All’interno di questo scenario, il Marketing, anziché l’anello debole della sicurezza informatica, può costituire la prima linea di difesa contro il cyber risk e contribuire a cambiare la prospettiva dalla quale il personale interno guarda a queste tematiche, permettendogli di comprendere come oggi la Cyber Security ricopra un ruolo abilitante, e non frenante, rispetto al raggiungimento degli obiettivi di business.




Kevin Kelly e l’inevitabile destino della natura umana

Il famoso scrittore Kevin Kelly ha scritto un saggio molto affascinante e razionale sulle tendenze tecnologiche presenti e future: “L’inevitabile” (il Saggiatore, ottobre 2017, 329 pagine, euro 24).


Negli ultimi anni Google ha comprato almeno 14 società che operano nel campo dell’intelligenza artificiale. Ad esempio Deepmind ha sede a Londra e utilizza un algoritmo molto speciale per imparare a giocare, attraverso l’apprendimento automatico per rinforzo approfondito (p. 40). Probabilmente “Google usa le ricerche per migliorare la sua IA” (p. 45), e solo in un secondo momento utilizza la sua Intelligenza Artificiale per aumentare la sua capacità di ricerca.
Rodney Brooks è l’ex professore del MIT che ha progettato l’aspirapolvere Roomba. Nel 2008 ha fondato Rethink Robotics. Secondo Brooks “quando l’avvento dei robot farà crollare i costi di produzione, saranno i costi di trasporto a diventare il fattore decisivo: vicino vorrà dire economico. Si creeranno quindi delle reti locali di fabbriche in franchising, la cui quasi totalità della produzione verrà distribuita entro un raggio di 10 chilometri” (p. 60 e 61).
Quindi il nostro futuro seguirà quello della rete, “la più grande fotocopiatrice del mondo… copia ogni azione, ogni digitazione, ogni pensiero che facciamo mentre stiamo navigando… alcuni pezzi di informazione possono venire copiati anche dozzine di volte, in un ciclo ordinario, attraverso memorie, cache, server, router e ritorno. Molte aziende informatiche guadagnano parecchi soldi dalla vendita di equipaggiamenti che facilitano questo processo incessante” (p. 69).
I percorsi delle nostre vite si riempiranno di schermi e nei prossimi anni “ci sembrerà strano guardare uno schermo senza che qualche parte del nostro corpo risponda ai contenuti… la visualizzazione ci sprona a creare velocemente degli schemi, ad associare un’idea a un’altra… Con gli schermi in Rete, ogni cosa è collegata a tutto il resto, e lo status di una nuova creazione non viene determinato dalle valutazioni dei critici ma dal grado con cui è collegata al resto del mondo” (p. 109). Però gli “schermi potranno osservarci a loro volta, saranno i nostri specchi” e la nostra coscienza sociale. In molte situazioni saremo quasi sempre sotto osservazione e finiremo per apprezzare sempre di più l’intimità della nostra casa e la qualità delle nostre conversazioni.
Comunque anche in una nuova società centrata sulle immagini ogni popolazione “si espande esattamente fino a un limite superato il quale c’è la fame. Oggi, in un mondo reso abbondante dalla tecnologia, la minaccia alla sopravvivenza è rappresentata dall’eccesso di cose buone: troppa bontà mette fuori uso il nostro metabolismo e la nostra psicologia… non ci siamo evoluti per percepire la pressione sanguigna e la glicemia. Tuttavia, la tecnologia è in grado di farlo” attraverso i sensori e l’autotracciamento (p. 245, ad esempio il dispositivo Scout di Scanadu).
La fiducia non sarà programmabile e nemmeno vendibile. Molti di noi avranno prima o poi “accesso a un robot personale” (p. 65), e a una forma di intelligenza artificiale a distanza, accessibile tramite la rete o attraverso un chip personalizzato inserito nel nostro corpo. Purtroppo non sarà così per la maggioranza della popolazione e “Il vero punto debole è che le tecnologie creano una fascia di esseri umani che non è in grado di adoperarle, e che viene quindi emarginata, spazzata via, distrutta, lacerata, trasformata in prodotto di scarto”(Roberto D’Agostino, lezione all’Università Sapienza di Roma sulla Rivoluzione Digitale). La tecnologia costa e i poveri sono tanti.
In ogni caso “In un mondo ricco di informazioni, l’abbondanza di queste ultime comporta la mancanza di qualcos’altro: la penuria di qualunque cosa le informazioni consumino… l’attenzione dei loro destinatari” (Herbert Simon, 1971, premio Nobel nel 1978, citato a p. 179). La carenza di tempo, la carenza di spazio vitale, la carenza energetica individuale saranno da includere nelle prossime situazioni molto spiacevoli che riguarderanno miliardi di abitanti del pianeta. Più aumenteremo, più informazioni ci scambieremo, e molto più prezioso diventerà il tempo per tutti noi (ogni giornata avrà sempre le solite 24 ore, comprese le circa sette ore di sonno).
Forse fra pochi anni molti di noi diventeranno l’assistente personale di un robot o di un sistema operativo. I nuovi sistemi di intelligenza artificiale lavoreranno tra di loro in rete e saranno formati da alcuni sistemi centralizzati di autoapprendimento più o meno specializzati o generici. Di sicuro “Tendiamo a sopravvalutare gli effetti a breve termine della tecnologia e a sottovalutare quelli a lungo termine” (Roy Charles Amara, Legge di Amara, presidente dell’Istituto per il Futuro, Palo Alto California; Italian Institute for the Future).

Per approfondimenti economici e tecnologici italiani: www.giudittamosca.it/chi-sono(giornalista), www.innovation-nation.it (la terza edizione del forum ci sarà il 18 ottobre 2019 a Milano).
Nota personale – Forse i migliori risultati riguardanti l’intelligenza artificiale li potrebbe ottenere un assistente politico artificiale molto bravo nelle mediazioni e nelle negoziazioni. Ma si può agire in modo veramente imparziale lavorando per gli esseri umani?
Nota sul Web – “Internet non è una tecnologia neutra perché nel lungo periodo la comunicazione fra le persone che la rete abilita crea tolleranza, conoscenza e innovazione” (Riccardo Luna, Cambiamo tutto! La rivoluzione degli innovatori, Laterza, 2013, p. 70). E le persone sono destinate a diventare quello che vedono e che incontrano più spesso (a livello reale o digitale).
Nota cinematografica – Tra i film di fantascienza più emozionanti segnalo Blade Runner (di Ridley Scott, 1982); Gattaca (la porta dell’universo, di Andrew Niccol,1997); Her (di Spike Jonze, 2013, ha vinto il premio Oscar per la miglior sceneggiatura); Ghost in the Shell (di Rupert Sanders, 2017); Eagle Eye (di D.J. Caruso, 2008, l’analisi dei dati e l’intelligenza artificiale al servizio dello Stato totalitario).
Nota aforistica – “Le idee hanno una vita che è tutt’altro che ideale” (Miller Levy); “Avere talento permette di raggiungere un fine che gli altri non possono raggiungere; avere genio permette di raggiungere un fine che gli altri non possono nemmeno vedere” (Schopenhauer, citati in La bicicletta di Einstein, Ponte alle Grazie, 2017).
Nota difensiva – Anders Sandberg studia le minacce per la vita umana presso il Future of Humanity Institute: https://twitter.com/anderssandbergwww.fhi.ox.ac.uk/team/anders-sandberghttps://en.wikipedia.org/wiki/Anders_Sandbergwww.youtube.com/watch?v=1Kduq2IxyM8.
Nota energetica – Secondo il premio Nobel Carlo Rubbia l’estrazione del metano solido (il clatrato) potrebbe essere una produzione energetica del futuro: www.youtube.com/watch?v=z0o9jz7UZDw (2014). Inoltre alcuni scienziati italiani stanno facendo esperimenti molto interessanti sulle nuove reazioni nucleari LENR: www.youtube.com/watch?v=54Sm7pcmpJo(5 gennaio 2019).




Bloom Project

L’ospite di questa settimana è Veronica Magli di Bloom Project, una start up che si occupa di sistemi innovativi per l’agricoltura del futuro.
Ciao Veronica e benvenuta sul mio blog. Quando è nata la vostra organizzazione?
Bloom Project nasce ufficialmente a settembre 2017, dopo una ricerca qualitativa e quantitativa durata 18 mesi e svoltasi in più di 12 paesi nel mondo, con l’obiettivo di sviluppare e sostenere progettualità orientate all’innovazione sistemica e allo sviluppo sostenibile nel campo dell’agricoltura, principalmente nei paesi del sud del mondo.
I tre soci fondatori, Lorenzo Giorgi, Giacomo Battaini e Giorgio Giorgi, che già collaborano da alcuni anni in un altro progetto che si occupa invece di illuminazione sostenibile (Liter of Light), hanno iniziato a sviluppare Bloom Project ad inizio 2017, affidando al DAFNAE (Dipartimento di Agronomia, Animali, Alimenti, Risorse naturali e Ambiente) dell’Università di Padova un programma triennale di ricerca scientifica finalizzato a sperimentare pratiche di agricoltura sostenibile nei paesi del sud del mondo. Io sono arrivata in Bloom Project a metà 2018 e mi occupo di collegare il nostro progetto alle aziende in ottica di responsabilità sociale d’impresa e di social business.
Sul vostro sito si legge che BLOOM è un centro di ricerca low-tech che nasce con l’obiettivo di portare la tecnologia laddove non esiste. Ci spieghi meglio di cosa vi occupate?
Bloom Project nasce per ridurre la distanza che esiste tutt’ora in ambito agricolo tra innovazione tecnologica e fruibilità di quest’ultima nelle zone rurali del sud del mondo. La mission principale di Bloom Project è quella di combinare tecnologie frugali e open source con il trasferimento di conoscenza e formazione in ambito agricolo e social business, per rendere il sistema davvero accessibile, inclusivo e flessibile.
Attraverso Agritube per esempio, uno dei primi prototipi realizzati da Bloom Project, grazie ad un circuito idroponico si può aumentare la produzione di cibo combattendo la malnutrizione ed ottimizzando le risorse idriche (con l’agricoltura fuori suolo è possibile coltivare utilizzando 1/10 di acqua rispetto ad una equivalente produzione tradizionale) e diminuendo la dipendenza dai terreni delle comunità, aumentando al contempo la resilienza delle popolazioni agli shock ambientali. Agritube inoltre, si è rivelato fondamentale nello sviluppare programmi inclusivi di accesso all’agricoltura per i disabili. Se infatti l’80% dei lavoratori dei Paesi in Via di Sviluppo è impiegato in agricoltura tradizionale, il sistema è però inaccessibile per i portatori di handicap (principalmente motori), che proprio grazie all’agricoltura fuori suolo potrebbero essere finalmente inclusi nel sistema e diventare i protagonisti del proprio sostentamento.
Credere e sviluppare un modello di cooperazione in grado di condurre ad una molteplicità di soluzioni, ciascuna disegnata appositamente per il contesto specifico nel quale si opera, che sviluppi le tecnologie più appropriate e adattabili a più ambienti, insieme a modelli economici e di impresa capaci di innovare la produzione, è la vera scommessa di Bloom Project.
Come vi rapportate con il mondo delle imprese?
Siamo convinti che le imprese siano un attore fondamentale del cambiamento per uno sviluppo sempre più sostenibile e che la cooperazione avviata tra soggetti profit e non profit stia già dando notevoli evidenze che siamo sulla strada giusta. Basti pensare che anche le imprese oggi si esprimono sempre di più facendo riferimento agli impegni relativi agli obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite (SDG). Da parte nostra quindi incoraggiamo le aziende ad intraprendere con noi relazioni continuative, di lungo periodo e in una vera e propria ottica di social business, che possano dare vita ad una progettazione congiunta riguardo ad i nostri interventi nel sud del mondo, ma anche in Italia e in Europa. Proprio prima di concludere il 2018 abbiamo chiuso un accordo con un’azienda veneta riguardo ad una sperimentazione sull’uso del compost nel substrato del nostro prototipo idroponico Agritube, e già dall’inizio di quest’anno inizieranno dei piccoli laboratori che coinvolgeranno anche i bambini delle scuole elementari del territorio alla scoperta dell’economia circolare.
Progetti di questo tipo, innovativi dal punto di vista delle partnership attivate, sono possibili soltanto tessendo con le aziende relazioni di fiducia reciproca in ottica di responsabilità d’impresa, con l’obiettivo di produrre un cambiamento sistemico positivo e replicabile.
Programmi per il futuro?
Bloom Project è già stato inserito fra le 50 migliori soluzioni di UN Sustainable Development Solutions Network – Youth per raggiungere i Global Goals for Sustainable Development, e a questo proposito vogliamo intensificare il nostro contributo lavorando allo sviluppo di microimprese rurali nel sud del mondo, che siano inclusive e replicabili ad ogni longitudine. Per fare questo, stiamo testando Agritube, il nostro primo prototipo, in Senegal, e in questo secondo anno di ricerca affidato al DAFNAE di Padova sperimenteremo nuove coltivazioni di ortaggi tradizionali per i paesi sub-sahariani. Oltre a questo, vorremmo sviluppare nuove applicazioni dei nostri prototipi idroponici in ottica di economia circolare, rigenerazione urbana ed inclusione di persone diversamente abili anche in Europa.




Salvini usa i bot per dominare su Twitter?

Salvini usa i bot per dominare su Twitter?

La campagna #SalviniNonMollare contro il processo al ministro ha fatto segnare numeri importanti anche grazie al contributo di account automatizzati. Che ruolo hanno avuto, e come funzionano?


Quando il gip del tribunale dei ministri ha chiesto l’autorizzazione a procedere nei confronti di Matteo Salvini, tra il 24 e il 25 gennaio ha guadagnato trazione su Twitter la campagna #SalviniNonMollare. Questo hashtag ha generato un numero impressionante di retweet: la loro somma è di 25 milioni, mentre i tweet nuovi sono stati 90mila nel periodo analizzato, cioé tra la mattina del 24 gennaio e il primo pomeriggio del 25. Chiaramente, la campagna è finita nei trend mondiali: ma, forse, è stata dopata dall’uso di bot e di profili automatizzati.


Il grafico mostra chiaramente quanto questi profili abbiano contribuito a rilanciare i messaggi della campagna. Andando a calcolare quanto i tweet della campagna sono stati ritwittati in media per ogni ora, e dividendo tra presunti bot e utenti umani, scopriamo come i bot abbiano avuto un ruolo molto importante nel rilanciare i messaggi salviniani.
Si può notare come i bot siano stati il rumore di fondo costante di #SalviniNonMollare, sostenendone la portata.
Ecco perché, nonostante un apporto in termini strettamente assoluti piuttosto basso, questo tipo di profili è stato molto importante per il discorso salviniano.
Come si scova un bot? Questa guida del laboratorio di analisi forense del Consiglio atlantico offre un prontuario molto attuale. Un primo criterio è vedere se nel profilo ha delle cifre nel nome: molti account del genere sono costituiti da un codice alfanumerico costituito da un nome proprio di persona seguito da 8-9 cifre (per esempio: Francesco25971258). Questi nickname sono il tipo di nome che ci si aspetterebbe da una macchina: una stringa di testo più un codice numerico, progressivo o no ha poca importanza.
Un altro criterio è vedere quando questo profilo è stato creato. Se il profilo in questione ha delle caratteristiche in linea con quanto detto fin qui, di norma è stato aperto pochi giorni o poche ore prima della conversazione a cui ha preso parte; in questo caso, è probabile che siamo davanti a un bot. Infine, se un utente ha zero o pochi seguaci ma ha dei comportamenti anomali, stesso discorso, probabilmente è un bot.
A cosa servono gli account automatizzati? A fare volume, ad attirare l’attenzione su una conversazione online, facendola entrare nei trend. In questo modo, il leader politico che lancia un hashag può dire di avere tanti seguaci attirando l’attenzione di media e utenti casuali, in modo da estendere la propria platea. Che una manovra del genere fosse nell’aria lo dimostra lo storico della nascita dei profili che hanno partecipato a #SalviniNonMollare.

Dei profili che hanno partecipato a #SalviniNonMollare, molti sono stati creati a gennaio 2019. Di questi, molti assomigliano a bot, soprattutto tra quelli creati tra dicembre e gennaio. Un dettaglio che rende molto sospetti questi account è proprio lo scarsissimo numero di seguaci. Infatti, come mostra la tabella sotto all’istogramma, molti di questi profili ne hanno pochissimi.
Che un profilo Twitter vecchio abbia più follower di uno nato recentemente è plausibile. Ma che ci siano probabili bot con zero follower e che risalgono al 2017 fa ipotizzare che ci sia qualcuno (o qualcosa) che crea utenti con il medesimo modus operandi. Ci sono molti indizi in questo senso.
Andando a cercare i nomi dei profili che costituiscono il grafico, notiamo come ci siano account che hanno un nome identico ma che sono stati creati a poche ore di distanza. Particolarmente chiaro è il caso una certa Paolaiscritta su Twitter a gennaio 2019, ma con due identità diverse create (al secondo) a due minuti di distanza. Un caso? Poco plausibile.
La prova che ci siano stati dei meccanismi automatizzati a portare avanti una parte rilevante di questa campagna ci viene dall’analisi di quante volteabbiano twittato (retweet inclusi) i profili all’ora. Quello che emerge è un quadro sorprendente ma non del tutto contraddittorio con quanto detto finora. Che su Twitter operino dei bot è cosa nota, però che certi account vadano in automatico è  un altro paio di maniche.

Il grafico mostra quanti profili hanno postato almeno 60 volte in un’ora durante il periodo preso in esame. L’idea è che, per scrivere un tweet, ci voglia un minuto (un limite arbitrario ma verosimile) e che, quindi, se un utente twitta con questa frequenza c’è qualcosa che non va. Guardando con superficialità al modo in cui si sono comportati i profili ufficiali della Legaverrebbe da dire che i veri bot sono gli account istituzionali del Carroccio, che per quasi tutto il 24 gennaio hanno postato più di 200 volte in un’ora. Ma ovviamente in questo caso si può supporre una programmazione dei tweet.
Dal grafico emerge anche un altro elemento: i presunti bot mostrano una fiammata di attività condensata in poco tempo, poi tendono a sparire. Infatti, nel grafico precedente ci sono molti profili con le caratteristiche del bot per come descritto fin qua: Tizzy44196287 o AnnaMar3074405, ad esempio. Profili del genere compaiono nella conversazione e scompaiono l’ora successiva. Tra questi, uno dei più interessanti ai fini di quest’analisi è Barbara34041885.
Questo profilo è nato il 7 di gennaio, eppure, quando si tentano di scaricare i suoi tweet dall’Api di Twitter, quello che otteniamo è il limite massimo concesso dal social network quando si cerca di ottenere la timeline di un profilo, ovvero 3200 post. Ma questa non è l’unica anomalia.

Come si vede, Barbara è un utente molto attivo.  E ha poche centinaia di follower. Per quanto questa caratteristica dovrebbe tagliarla fuori dalla nostra caccia al bot, è il modo in cui twitta a farci propendere che qualcosa non vada.
La giornata di Barbara inizia tra le 4 e le 5 del mattino e finisce intorno alle 23. I suoi tweet non sono regolari, eppure sembra che agisca con metodo. Il picco di attività si è registrato in concomitanza con #SalviniNonMollare, dopo di che, è tornata a ritmi più bassi (umani?) scendendo costantemente sotto i 60 tweet all’ora.

Da dove provengano, di chi siano, quali fini e strategie perseguano questi bot (o presunti tali), non è dato saperlo. Infatti, molti di questi si nascondono dietro a località plausibili. Oppure, quando si registrano, non danno questa informazione.
Twitter, ciclicamente, organizza delle vere e proprie retate contro questi profili che, però, ricompaiono regolarmente. Tuttavia, qualcosa sembra essersi rotto nel mondo delle campagne Twitter di questo tipo. I media non hanno quasi considerato #SalviniNonMollare e l’hashtag è sparito dalle tendenze. Quale sarà il ruolo dei bot nella campagna elettorale per le europee, lo scopriremo nei prossimi mesi.




Come impostare una strategia social internazionale

Come impostare una strategia social internazionale

Il tuo brand si appresta a conquistare nuovi mercati? Ecco alcuni consigli utili per usare i social network nel modo giusto oltre i confini nazionali.

Da locale a globale: consigli utili per usare i social nel modo giusto oltre i confini nazionali 

Quando un brand decide di conquistare nuovi mercati, diventando internazionale o globale, si trova ad affrontare questioni molto importanti che hanno a che vedere con la necessità di farsi notare da pubblici anche molto diversi da quelli a cui è abituato.
Il primo vero problema di un’azienda che supera i propri confini regionali o nazionali è quello di riuscire a comunicare in modo efficace con persone che possono avere background culturali diversi, ma anche sensibilità e priorità di vita diverse.
Il modo di comunicare cambia da un Paese ad un altro? E i canali di comunicazione (ad esempio i social network) sono sempre gli stessi?
Farsi queste domande è molto importante. Al contrario, dare per scontato che tutte le persone, di tutti i Paesi del mondo, reagiranno nello stesso modo a un messaggio promozionale è molto pericoloso e può portare un brand locale o nazionale, con un grande potenziale di espansione in altri mercati, a fallire rapidamente nel suo progetto globale.

Questa questione ti interessa sia se sei un’azienda locale, che vuole espandersi sul territorio nazionale, sia se hai intenzione di vendere i tuoi prodotti all’estero, in Paesi del mondo anche molto lontani dal tuo e che non ti conoscono, ma che le ricerche di mercato ti dicono essere terreni fertili per vendere ciò che produci.
Il problema che ti si pone a questo punto è: come impostare la tua comunicazione? Ti basta tradurre i testi nelle lingue dei Paesi che ti interessano o devi ripensare completamente il messaggio del tuo brand? Nel primo caso ti aspetta un lavoro tutto sommato semplice: probabilmente non avrai nemmeno bisogno di contrattare una persona madrelingua, ti basterà usare Google translatee dizionari in lingua online come Wordreference. Nel secondo caso, invece, sarai costretto a svolgere studi preliminari di carattere culturale, sociologico, demografico su ognuna delle popolazioni che cercherai di intercettare con i tuoi annunci.
A primo impatto, la scelta sembra facile: la prima opzione è molto più economica e meno complicata da mettere in atto. Ma come sempre accade, nel marketing e nella vita, l’opzione più semplice non è mai quella preferibile. Se vuoi che la tua strategia di comunicazione funzioni, infatti, devi agire nei confronti di questa nuova sfida commerciale nello stesso modo in cui, mi auguro, hai affrontato l’entrata nel tuo mercato di riferimento: con metodo, analizzando il tuo pubblico, i suoi gusti e testando le forme più efficaci per entrare in empatia con lui.

Conquistare nuovi mercati: l’importanza dei social network 

I social network sono il canale di riferimento per supportare l’entrata di un brand nei nuovi mercati e hanno il compito di far conoscere quotidianamente la realtà aziendale, i suoi valori e i suoi prodotti a nuovi potenziali clienti, entrando in sintonia con essi.
Per evitare una disfatta inesorabile, lo spreco di importanti capitali, e per non gettare al vento la possibilità di ampliare i tuoi mercati di riferimento, voglio suggerirti un buon modo per approcciare una strategia social globale, ossia internazionale.

Personalizza la tua strategia di social media globale 

Ma come si entra in sintonia con persone che possono essere diametralmente opposte al pubblico a cui sei abituato? Pensa a un’azienda italiana che produce pomodori per conserva e che vuole entrare, ad esempio, nel mercato tedesco. Il made in Italy è ormai un brand a sé e questo facilita le cose per chi produce e vende prodotti ortofrutticoli, ma nel momento in cui si pianifica la strategia social per intercettare utenti tedeschi, si dovrà fare attenzione alle parole che si useranno, così come ai formati che si sceglieranno per i post.
Sapevi infatti che i tedeschi preferiscono post brevi e concisi? Questo è molto diverso da quello a cui potresti essere abituato se ti sei sempre concentrato sul mercato italiano, dove invece le statistiche ci dicono che i post che hanno il maggior engagement sono quelli più lunghi. Anche il formato del post può fare la differenza: facendo sempre riferimento alla differenza tra tedeschi e italiani, mentre i primi apprezzano soprattutto dati e statistiche, i secondi preferiscono immagini e infografiche.
E la lingua? Questo è un dettaglio che dovrai tenere in considerazione se pensi di comunicare all’estero: alcuni Paesi non hanno problemi a leggere post in inglese anche se non è la loro lingua di riferimento (come le regioni del Nord Europa), per altri invece è un vero ostacolo, vedi Italia e Spagna, che difficilmente seguiranno la pagina Facebook di un brand internazionale che posta contenuti in inglese.

Come scoprire quali post hanno più successo sui social di un mercato locale? 

Se vuoi che la tua strategia social globale funzioni devi personalizzare la tua comunicazione tenendo conto delle possibili differenze culturali di ogni Paese, dei gusti specifici, delle tradizioni e dei trend locali. Solo così potrai predisporre un piano di contenuti capace di attrarre i pubblici di ogni Paese a cui ti rivolgi.
Come ottenere queste informazioni? Ci sono diversi modi per sapere quali sono i gusti di un mercato specifico, ecco alcune idee:

  • report di settore: ad esempio l’agenzia di comunicazione We are social produce ogni anno diversi report con tantissimi dettagli relativi alla penetrazione di Internet e dei social nei singoli Paesi e quali sono i social network che vanno per la maggiore; non solo, fornisce anche molte altre informazioni generali, fondamentali per pianificare una strategia di social media, come la distribuzione delle fasce di età in ogni paese, il tasso di alfabetizzazione delle popolazioni locali, la percentuale di uomini e donne che usano Internet e la penetrazione del mobile nelle diverse aree. Perché queste informazioni dovrebbero essere significative per te? Perché sapere se il tuo pubblico in un determinato paese è costituito in maggior percentuale da donne piuttosto che da uomini o da giovani piuttosto che da quarantenni, ti permetterà di focalizzarti su contenuti in linea con le caratteristiche del tuo target e ottenere quindi più engagement e un ROI (return of investment, il ritorno dell’investimento fatto sui social) migliore. Qui il link all’ultimo report pubblicato da Weare social: The state of the Internet in Q4 2018.

  • studia le strategie di quelli che consideri i tuoi competitor in un determinato Paese. Sicuramente prima di prendere la decisione di lanciarti in un nuovo mercato avrai dato un’occhiata a quali sono i brand che offrono già i tuoi prodotti e avrai verificato che esiste uno spazio di manovra sufficiente per inserirti. Questo studio ti sarà utile anche nelle fasi successive della tua strategia di colonizzazione, in particolare per definire il giusto approccio con i tuoi nuovi pubbliciStudiare quello che fanno i tuoi migliori competitor online ti faciliterà il lavoro: hanno una maggior esperienza sul campo e hanno già studiato la situazione, conoscono il target a cui entrambi volete arrivare e hanno già sperimentato soluzioni di successo. Una volta individuati i concorrenti più interessanti, analizza la loro strategia social: quali piattaforme hanno deciso di presidiare? in che modo comunicano con i follower? quali formati generano più like, cuori, condivisioni e commenti? i sondaggi funzionano? e i video? che tipo di contenuti generano più engagement? Lo studio dei tuoi competitor ti mette a disposizione un tesoro di informazioni per impostare in modo corretto la tua social media strategy globale.
  • appoggiati ai media locali: quali notizie vengono condivise? quali generano più interesse nei lettori? Queste informazioni ti saranno preziose per sapere qual è l’approccio migliore per la tua strategia e, più in particolare, per capire di quali argomenti parlare con i tuoi follower sulle tue pagine social. Conoscere le tematiche che stanno più a cuore al tuo pubblico ti permetterà di creare un calendario editoriale per i social efficace e ti darà buone idee per parlare dei tuoi prodotti dalla prospettiva giusta.

Social network per una strategia globale: quali scegliere 

Vuoi che la tua social media strategy globale abbia successo? Allora devi conoscere le peculiarità di ogni mercato in cui hai intenzione di entrare, soprattutto in quanto ad uso dei social network. Non dare, infatti, per certo che in ogni Paese del mondo Facebook sia la piattaforma social di riferimento o che aprire un account aziendale su Instagram sia sempre necessario. Tra Occidente e Oriente, ad esempio, il panorama dei social cambia completamente: anche le tue strategie devono cambiare e adeguarsi alle diverse realtà.
In molti Paesi esistono social network locali molto più usati. Ad esempio, se sei interessato a penetrare con successo nel mercato russo dovresti prendere in considerazione i social VK Odnoklassniki. Punti invece ai mercati cinesi? Devi sapere che qui ci sono tutt’altri colossi: WeChat è il social numero 1 (con circa un miliardo di utenti registrati in tutto il mondo), mentre Facebook e Twitter sono inservibili, perché di fatto bloccati dal governo. Quindi, se hai intenzione di intercettare i consumatori cinesi, dovrai rivedere le tue certezze a studiare approfonditamente nuove piattaforme. Per far conoscere la tua azienda e i tuoi prodotti in Cina dovrai includere nella tua strategia anche Weibo, il corrispondente di Twitter, e Renren, l’alterego orientale di Facebook.

 
In Germania, per intercettare profili aziendali dovrai aprire un account sul social network XING  – questa informazione ti può essere utile se vendi servizi B2B.
Come vedi ogni Paese ha le sue peculiarità e per accertarti di non perdere qualche buona possibilità devi studiare sempre in modo approfondito le abitudini social dei nuovi Paesi a cui vuoi dirigerti. Per facilitarti le cose, dai un’occhiata a cosa hanno già fatto i tuoi competitor: risparmierai tempo ed energie.