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Con Zanichelli 'la cultura si fa (in) strada'

Zanichelli dà inizio in questi giorni a una campagna di sensibilizzazione sulla lingua, italiana e straniera che porta direttamente sui marciapiedi,
  in forma di graffiti urbani, occasioni di riflessione sulle nostre capacità di espressione. L’editore, storicamente punto di riferimento per l’italiano e le altre lingue, conferma con questa azione di “didattica urbana” il proprio ruolo di educatore e divulgatore.
Particolare attenzione viene dedicata alle “Parole da salvare”: voci ricche di sfumature ed espressività ma che stanno finendo nel dimenticatoio perché nella lingua corrente si privilegiano i loro sinonimi più comuni; diciamo infatti profumo anziché fragranza, chiacchierone anziché garrulo, diligente anziché solerte, saporito e non sapido.
Sono parole che rendono il lessico più variopinto e più interessante, la lingua italiana più ricca e completa: può forse l’italiano permettersi di perdere parole affascinanti come ghiribizzo o beffardo? Come faremmo a cucinare certe pietanze senza usare il pane raffermo? Esiste una parola più onomatopeica di ondivago? Che cosa ruberanno i banditi d’ogni crime-story che si rispetti se sarà scomparso il malloppo? Quale aggettivo descriverebbe Zio Paperone meglio di taccagno?
Nelle pagine del vocabolario Zingarelli queste parole a rischio sono evidenziate con il segno grafico del “fiore”:♣. Un richiamo anche visivo e un invito a utilizzare più spesso quelle voci. Tra le 3125 voci riportate dallo Zingarelli, Zanichelli ne ha scelte ora cinque, e le propone all’attenzione dei passanti aggiungendo al semplice significato anche l’etimologia completa, la data di prima attestazione in lingua scritta e qualche esempio d’uso. Si tratta di: boria, denigrare, insigne, solerte e corroborare.
La campagna non si limita alle Parole da salvare: vengono tradotti in graffiti anche figure retoriche come Anacoluto, Iperbole, Metonimia, Onomatopea, descritte tramite citazioni da autori classici. Alcuni graffiti saranno poi dedicati ai ‘falsi amici’, cioè parole straniere che sembrano simili a parole italiane ma hanno tutt’altro significato, come il francese Limon (‘fango’), lo spagnolo Burro (‘asino’), l’inglese Terrific (‘straordinario’). Infine gli Intraducibili: parole di altre lingue che non hanno un corrispondente diretto in italiano e richiedono, per la traduzione, una lunga perifrasi. Il termine giapponese Tsundoku, ad esempio, indica la mania di accumulare libri, senza leggerli.
I graffiti saranno 50 per città, e verranno realizzati in prossimità delle scuole o in zone pedonali per offrire a studenti e passanti uno spunto di riflessione sulla nostra lingua e sulle lingue straniere. L’hashtag #laculturasifastrada, riportato su ogni graffito, aumenta il coinvolgimento di tutti e stimola il passaparola. L’operazione è partita da Milano, poi Torino, Padova e Napoli. L’hashtag #laculturasifastrada ha iniziato fin da subito ad avere grande diffusione spontanea a Torino e Milano. La tecnica è quella dei green graffiti, che utilizza una miscela completamente naturale per realizzare i graffiti sull’asfalto. Quando la campagna è finita, i messaggi vengono cancellati usando soltanto acqua. I residui del graffito che finiscono nel sistema di scarico sono totalmente innocui per l’ambiente.




Ikea, la storia della lampada buttata 16 anni dopo lo spot capolavoro: il messaggio ora fa riflettere

Sedici anni fa, correva l’anno 2002, Spike Jonze realizzò per Ikealo spot con protagonista una lampada, che veniva buttata e poi sostituita, come diceva un uomo alla fine della pubblicità, da “una migliore” (filmato che riscosse notevole successo e vinse alcuni premi). Ora l’azienda svedese, per i propri clienti canadesi, ha lanciato un video che chiude la storia iniziata nel 2002. Una bambina recupera la lampada abbandonata e questa volta l’uomo, nel finale, ribalta il messaggio: “Riutilizzare gli oggetti è la cosa migliore“.
https://www.youtube.com/watch?v=NqFQ3aquBsY




Cyber Security e Digital Marketing, serve una stretta collaborazione per proteggere dati sensibili e reputazione aziendale

Il Marketing è spesso considerato l’anello debole della sicurezza informatica. È tempo di ribaltare questa visione e creare uno stretto sodalizio fra gli esperti di Cyber Security e Digital Marketing per la definizione, diffusione e attuazione di strategie mirate a prevenire attacchi e a reagire opportunamente in caso di incidenti


yber Security e Digital Marketing sono ormai due facce di una stessa medaglia. Nell’era del 4.0 e dell’Internet of Things, infattii professionisti che lavorano in ambito Marketing si trovano spesso a dover gestire informazioni sensibili, collocate in ambienti cloud e diversificati, noti per essere maggiormente esposti ad attacchi informatici, interni e/o esterni. Quindi è fondamentale che siano coinvolti nella definizione, diffusione e attuazione delle strategie di Cyber Security, non solo perché facile obiettivo per gli hacker, ma come soggetto attivo nel contrasto al cyber risk.
La digitalizzazione dei processi e dei sistemi informativi aziendali, ha consentito a molte organizzazioni di essere più competitive, ma questo ha significato, al tempo stesso, esporre i dati delle stesse a maggiori rischi. Di conseguenza la Cyber Security è diventata una priorità assoluta per le imprese.
All’interno di questo contesto, il Marketing è ancora percepito come un soggetto a rischio per la sicurezza dei dati di un’organizzazione e le persone che lavorano nelle posizioni di Marketing si sono abituate ad essere qualificate come anello debole dei sistemi di sicurezza informatica.
In realtà, preso atto che anche una sola violazione dei dati può danneggiare considerevolmente un’azienda, a livello di Brand Reputation e, in seconda analisi, di costi economici, nessuno può sentirsi al riparo da questo genere di minacce, qualsiasi sia la sua attività ed il settore in cui opera.
Questa riflessione assume un’ulteriore rilevanza se si considera che i trend digitali come cloudmobile, IoT e social, ormai imprescindibili anche per le aziende, espongono le stesse a una grande quantità di minacce.
Per di più, l’opportunità di raccogliere una quantità di dati sensibili sempre più ampia, parliamo quindi degli ormai noti Big Data, aumenta ulteriormente la possibilità di violazioni di sistemi informativi aziendali.
Inoltre, gli attacchi hacker come il furto di dati sensibili dei singoli consumatori, la distribuzione di malware o l’e-mail phishing, sono spesso facilitati dall’incuranza e dalla scarsa conoscenza e consapevolezza del personale interno dei rischi informatici.
Pertanto è fondamentale che l’organizzazione, a tutti i livelli, Marketing incluso, sia informata e consapevole sull’importanza della Cyber Security.

Indice degli argomenti

Gli esperti di Cyber Security e Digital Marketing devono collaborare di più

Ciò pone la domanda: cosa può fare il team di Marketing in tale scenario?
Data la quantità di informazioni sensibili a cui i Marketer hanno accesso e il crescente ricorso a nuove tecnologie e ambienti digitali per la condivisione interna e/o esterna all’organizzazione di questi dati, il Marketing è spesso obiettivo del crime sul web.
Perciò, in primo luogo, è essenziale educare le persone che lavorano in questo settore alla sicurezza informatica, con percorsi formativi creati ad hoc, per permettergli di identificare le specifiche tipologie di attacco informatico a cui potrebbero essere personalmente sottoposti, e ad usare con cautela ed intelligenza le tecnologie digitali.
Ciò significa anche che il Marketing dovrà comprendere l’importanza di collaborare con il dipartimento IT, per identificare eventuali minacce, rappresentate da nuove tecnologie, piattaforme e applicazioni, e determinare le misure di attenuazione del rischio informatico.
Una volta ridefinito il modo in cui i professionisti del Marketing affrontano il tema della Cyber Security, passando dall’essere facile bersaglio degli hacker, a utenti consapevoli dei rischi connessi al digitale, gli stessi marketer potranno essere d’aiuto all’intera organizzazione nell’arginare il Cyber Crime, diffondendo la cultura della sicurezza informatica tra tutte le funzioni in azienda.
Questo significa attivare campagne di comunicazione interna pensate per veicolare l’importanza della formazione sulla sicurezza informatica, contribuire alla diffusione del know-how aziendale riguardo le best practice in materia di Cyber Security e così via.

I Marketer devono essere pronti a comunicare in caso di attacco informatico

L’obiettivo per i professionisti che lavorano in ambito Marketing è quindi quello di accelerare e diffondere l’adozione di una strategia condivisa sul tema della sicurezza informatica tra tutta la popolazione aziendale.
Ma il ruolo del Marketing potrebbe andare oltre l’attività di diffusione interna delle norme aziendali di Cyber Security. È infatti altrettanto importante che i Marketer siano preparati ad affrontare un eventuale episodio di Cyber Crime e definiscano quindi preventivamente un piano di comunicazione esterna in caso si verificasse un attacco informatico, così da evitare il panico tra clienti, fornitori e partner.
In definitiva, la Cyber Security è fondamentale ad ogni livello dell’organizzazione, così come la diffusione di una cultura del rischio informatico e, al tempo stesso, lo sviluppo di una fiducia digitale.
All’interno di questo scenario, il Marketing, anziché l’anello debole della sicurezza informatica, può costituire la prima linea di difesa contro il cyber risk e contribuire a cambiare la prospettiva dalla quale il personale interno guarda a queste tematiche, permettendogli di comprendere come oggi la Cyber Security ricopra un ruolo abilitante, e non frenante, rispetto al raggiungimento degli obiettivi di business.




C’è ancora vita su Second Life. E un parrucchiere può guadagnare 10mila euro al mese

Pensavate che Second Life appartenesse a un passato lontano e forse imbarazzante? Fareste bene a ricredervi, perché sono in molti ancora a divertirsi guadagnando pure del denaro. La storia di due parrucchieri italiani di successo


Si chiamano Rouge Darcy e Missallsunday Lemon. Guadagnano molto più di uno stipendio medio italiano. Attività come la loro incassano facilmente cifre di gran lunga superiori ai diecimila euro mensili netti. Sono una coppia e lavorano assieme da circa dieci anni. Fanno i parrucchieri. Su Second Life.
Sì, avete letto bene: Second Life. Quella roba che pensavate morta e sepolta assieme al modem che cigolava. Quella roba che nel 2003, quando è nata, sembrava il futuro di internet. Un’epoca senza YouTube, Amazon e smartphone. Quando Netflix spediva dvd e un diciannovenne di nome Mark Zuckerberg aveva nel proprio computer un progetto chiamato Facemash.
Forse siete persino troppo giovani per averne sentito parlare. Second Life è una

piattaforma virtuale dove si può creare e personalizzare un avatar. Ci si muove in un ambiente simile a un videogioco e si interagisce con gli altri utenti chattando. Oltre che con i vari elementi presenti. Una sorta di mondo parallelo, almeno nelle intenzioni.

L’idea è dell’informatico e imprenditore Philip Rosedale, dopo un’esperienza al festival Burning Man. Nel 1999 fonda Linden Lab, società di San Francisco che quattro anni dopo avvia Second Life.
Stando ai dati ufficiali, solo nel 2017 c’è stato un giro d’affari per i creatori all’interno della piattaforma di 68 milioni di dollari. Negli ultimi quindici anni sono stati creati circa 57 milioni di account. In media ci sarebbero 350mila iscrizioni al mese (50 mila in meno rispetto al 2013). Altre stime parlano però di circa 600 mila persone realmente attive. Dopo il picco di oltre un milione di utenti nel 2007, il trend è in costante decrescita. Ma non così in declino di come forse ci si potrebbe aspettare.
Proprio nel 2007, complice un’intensa campagna pubblicitaria di Linden Lab, Rouge Darcy e Missallsunday Lemon conoscono Second Life. Così si chiamano i loro avatar. Preferiscono non usare i loro veri nomi perché la vita reale è un’altra cosa. Dove spendono realmente i soldi guadagnati. Da una decina d’anni vivono creandacconciature virtuali. E vivono decisamente bene. Abitano in Italia e lavorano nell’altro mondo.
Lei ha studiato lingue orientali e lui architettura. Entrambi si sono formati da autodidatti nell’ambito della programmazione e design grafico. Hanno aperto quasi subito il loro negozio di parrucchieri su Second Life, Wasabi. E quasi immediatamente è diventato un lavoro a tempo pieno.

Lo store su Second Life (crediti: Wasabi)
Lo store su Second Life (crediti: Wasabi)

Perché spendere soldi per i capelli, i vestiti o altro per un avatar?
Rouge Darcy (R.D.) – “Perché è importante avere un certo aspetto come al di fuori della piattaforma. Tanti concepiscono Second Life come uno sfogo per quello che non possono essere nella vita reale. E non è una cosa necessariamente triste, anzi. Per altri ancora è un po’ come vestire le bamboleUn’acconciatura costa circa un dollaro, indipendentemente dal modello. Più o meno 250 Linden. Come tutti abbiamo un prezzo fisso. A meno che non facciamo qualcosa di particolare, per esempio elaborazioni molto impegnative. Anche in caso di ordini importanti il prezzo totale può variare. Ci arrivano molte richieste di customizzazione, ma in genere preferiamo evitarle, perché non vale la pena. Realizziamo non meno di un modello di capelli a settimana e in media ci mettiamo tre giorni. Al momento abbiamo circa duecento tipologie. Ogni tanto eliminiamo i modelli vecchi. Comunque anche altri oggetti più complessi normalmente non costano più di dieci euro”.
Una volta creato un personaggio non lo si può personalizzare autonomamente?
R.D. – “Fino a un certo punto sì. Second Life offre un sistema molto basico di personalizzazione e creazione. All’inizio era un po’ come costruire con i mattoncini. Andando in questi posti definiti sand box si potevano creare vari oggetti con forme geometriche semplici. Poi hanno introdotto delle funzionalità esterne, per le quali bisogna avere una certa competenza tecnica”.
Ed è in quel momento che avete iniziato a lavorare?
R.D. – “Esatto. Conoscendo il funzionamento di programmi 3D si ha la possibilità di creare elementi più complessi”.
Missallsunday Lemon (M.L.) – “Non c’erano tutorial, per cui ci siamo ingegnati. Oggi la piattaforma consente di creare varie tipologie di capelli, ma restano comunque basiche. I prim, o primitive objects, sono le forme base di Second Life. Gli sculpties sono la loro evoluzione. Poi nel 2011 sono arrivati i mash, elementi che si possono effettivamente modellare. Noi siamo stati i secondi in assoluto a usare questo sistema”.

Acconciature di Wasabi su Second Life (crediti: Wasabi)
Acconciature di Wasabi su Second Life (crediti: Wasabi)

Venite pagati in Linden Dollar, la valuta di Second Life. Se ne acquista un tot tramite carta di credito (reale) e si possono poi spendere solo all’interno della piattaforma. I bitcoin non c’entrano nulla?
R.D. – “No, per l’acquisto dei crediti Linden Lab accetta carte di credito e Paypal. Poi noi negozianti raggiunta una certa somma riconvertiamo i Linden dollar in dollari e li depositiamo in banca. C’è un cambiavalute. La società californiana trattiene una percentuale su tutte le transazioni. Non lavoriamo per loro però, siamo indipendenti”.
Quanto guadagnate?
M.L. – “Viviamo di questo. Anche se nell’ultimo anno i guadagni si sono notevolmente abbassati. Non so bene se sia una questione di crisi economica o del settore. Ma c’è da dire che esiste pure una forte concorrenza. Ormai di parrucchieri ce ne sono tantissimi, da ogni parte del mondo. Anche se quelli più famosi come noi sono una decina”.
Che spese avete?
M.L. – “Per avere un’attività commerciale bisogna avere un terreno, acquistato o affittato. Second Life è una sorta di oceano con tante isole”.
R.D. – “Oggi affittare un’intera isola costa più o meno duecento dollari al mese. Per comprarla si spende circa un migliaio di dollari più altri duecento dollari mensili. Soldi che servono principalmente per il mantenimento del server per far funzionare la tua isola. Per la tipologia di prodotto che vendiamo noi abbiamo deciso di costruire un negozio. Una cascina in stile toscano. Ma non è necessario. Se vendi per esempio oggettistica fantasy ti puoi creare una foresta magica e appendere le cose sugli alberi. L’edificio l’abbiamo costruito noi, ma gli arredi li abbiamo comprati. Altrimenti non avremmo avuto il tempo di lavorare”.
E la promozione?
M.L. – “Partecipiamo soprattutto alle fiere di settore. È lì che otteniamo più visibilità e passaparola”.

Un'immagine tratta da Second Life (crediti: Wasabi)
Un’immagine tratta da Second Life (crediti: Wasabi)

Ci si fa belli per conquistare? Se non sbaglio sesso e porno su Second Life negli ultimi anni sono aumentati.
R.D. – “Il porno cè sempre stato, in realtà. Ma non è per forza predominante. Si può benissimo evitare quel mondo. Il sesso, per così dire, lo devi cercare. Anche se ovviamente, come dappertutto, è la cosa che vende di più”.
In che modo i personaggi possono far sesso?
R.D. – “Bisogna creare e comprare delle animazioni apposite. Ma puoi comprare animazioni di qualsiasi tipo. C’è tutta un’industria dietro. Chi si occupa di questo ha dei veri e propri studi di motion capture, allo stesso modo dei film o videogiochi. Le animazioni servono anche per i giochi di ruolo. Si possono ricreare molti dei giochi classici, come Dungeons & Dragons. Poi ci sono le fashoniste, quelle che si divertono a fare shopping, selfie o le sfilate di moda.
C’è anche il fenomeno della criminalità reale? Per esempio alla possibilità di riciclare denaro.
M.L. – “Se c’è noi non ci siamo mai imbattuti. Immagino sia possibile. Ma considera che sono tutte transazioni relativamente piccole”.
R.D. – “C’è stato il fenomeno della rivendita di terreni. Nel 2006 un’imprenditrice cinese (Anshe Chung, ndr) ha guadagnato una cifra equiparabile al milione di dollari con la compravendita di terreni virtuali. Ora però la logica economica di Second Life è cambiata. Ci sono più restrizioni”.

Un'immagine tratta da Second Life (crediti: Wasabi)
Un’immagine tratta da Second Life (crediti: Wasabi)

Bisogna dire che online si leggono diverse esperienze desolanti su Second Life. Voi invece state descrivendo un mondo piuttosto vivo. Come mai è percepita come una piattaforma ormai defunta?
M.L. – “C’è una barriera tecnica. Per usare appieno Second Life bisogna avere una macchina da gaming. E un’ottima connessione. Poi a livello di interfaccia le cose possono diventare complesse. Anche solo quando inizi ad acquistare personalizzazioni non è banale capire come utilizzarle. La quantità di azioni possibili può essere disarmante”.
R.D. – “Un’altra ragione è racchiusa nel nome stesso: è una seconda vita. Una vita che gli utenti tendono a mantenere rigorosamente separata rispetto a quella reale. Tengono molto all’anonimato”.
M.L. – “Questo cozza un po’ con la logica della maggior parte dei social network. Anche perché c’è sempre lo stigma di chi pensa che siccome c’è questo livello di anonimato su Second Life ci vai a fare le porcherie”.
Però non si può prescindere ormai dai social network. Avete delle alternative?
R.D. – “A parte Flickr e ultimamente Instagram, tra gli utenti va molto Plurk. Soprattutto tra quelli asiatici. È un social network che a differenza di Facebook non implica per forza esplicitare la propria identità. E poi ci sono sempre i fashion blog, per noi molto importanti. Lì si parla anche delle nostre acconciature. Tieni conto che quello che va di moda per le modelle e i modelli di Instagram va di moda su Second Life”.




Come un semplice cinguettio può far "schizzare" lo spread e creare il caos sui mercati

Un tweet di Borghi viene travisato sui social: “Se la Lega avrà la maggioranza, Italia fuori dall’euro”. La fake news fa salire i rendimenti e…


Il caso fa scuola e spiega bene come la frenesia, le ideologie contrapposte e quel po’ di malafede che agitano di questi tempi il dibattito pubblico sulla situazione economica italiana possano creare non pochi dolori. C’è poco da ridere, ma tutto inizia da un account twitter dal nome per nulla benevolo verso se stesso: “Venduto schifoso”. Dal singolare nickname viene diffuso un cinguettio all’una di notte: “Senza #ITAEXIT (l’uscita dell’Italia dall’euro, ndr) sarà considerato #traditore quindi se non vuole avere rimpianti faccia quello che tutti #noi#vogliamo“. Il destinatario del messaggio di “Venduto schifoso” è il leghista Claudio Borghi, presidente della Commissione Bilancio della Camera e noto per le sue posizioni euro-scettiche. Borghi, al quale va riconosciuto il merito di rispondere sempre agli utenti che lo coinvolgono nei dibattiti sui social, ha replicato: “Prima questi #noi devono diventare maggioranza nelle urne..”. Un tweet forse superficiale o avventato, vista la carica che Borghi ricopre e l’attenzione che già in passato i media, in particolare quelli finanziari, hanno riservato ad ogni sua esternazione. Ma nulla di più.
Il tweet finisce lì, nella notte. Qualche ora dopo, però, un professore associato di Economia all’Università di Pavia, Riccardo Puglisi, anche lui molto attivo su twitter e noto per le sue posizioni europeiste nonché duro contestatore delle posizioni euroscettiche espresse da Borghi, si accorge della risposta del deputato. E la rilancia, interpretandola, con il seguente tweet delle 14.18:

+++ BORGHI, CHIEF ECONOMIC ADVISOR TO SALVINI: IF THE LEAGUE GETS A MAJORITY IN THE NEXT ELECTIONS ITALY WILL EXIT THE EUROZONE +++

In pratica, secondo Puglisi, il capo dei consiglieri economici di Matteo Salvini avrebbe annunciato che se la Lega dovesse avere la maggioranza alle prossime elezioni l’Italia uscirà dall’euro. Una forzatura evidente della risposta di Borghi: messa così, in una fase delicata per l’Italia alle prese con la costante minaccia di una risalita dello spread e con una procedura di infrazione in vista da parte della Commissione Ue – sarebbe stata subito letta come un affronto a Bruxelles e ai mercati. E senza tralasciare che da tempo si susseguono rumors (sempre smentiti) che la Lega possa chiudere l’esperienza al Governo con M5S visto l’enorme consenso che gli attribuiscono i sondaggi. In altre parole, che possa passare all’incasso e liberarsi degli alleati grillini con cui ultimamente il rapporto non è affatto idilliaco.
Non si sa come, non si sa perché, la “headline” (titolo) del presunto annuncio di Borghi inizia a circolare sui social, anche su account di operatori finanziari e siti di informazioni che hanno l’occhio sui mercati. Viene ripresa così da Zerohedge, un blog finanziario statunitense anonimo anti-establishment seguito a Wall Street, che riporta la notizia attribuendola alla agenzia di stampa Reuters. E non si limita a questo: sul blog americano viene anche notato come dopo la diffusione della notizia i rendimenti dei titoli di Stato italiani subiscano una brusca impennata. Tra le 15 e le 16, da circa 313 punti base lo spread con i bund tedeschi arriva a toccare quasi i 320, per poi tornare a calare dopo che la notizia viene ridimensionata.

Com’è ovvio, il leghista Borghi resosi conto di quello che stava accadendo, scrive adirato alla Reuters: “Con che coraggio trasformate questo mio vecchio tweet allegato in immagine in QUESTA “notizia”? Non vi vergognate?”. La Reuters però smentisce attraverso il capo della corrispondenza in Italia Crispian Balmer: “Mai scritto questo, sembra che Zerohedge lo abbia attribuito erroneamente a noi, si prega di correggere immediatamente”. L’indomito Borghi naturalmente non si dà pace e scrive al blog statunitense: “Chi devo segnalare alla Consob? Voi o la Reuters?”.
Qui il mistero si infittisce e la vicenda assume i contorni del teatro dell’assurdo. Zerohedge rettifica, indicando la fonte da cui è stata ripresa la notizia che il blog americano ha attribuito erroneamente alla Reuters: si tratta dell’account twitter Dick Darlington. A sua volta, questo addita la fonte da cui l’ha ripresa: è il tweet di Riccardo Puglisi.

Claudio Borghi A.

@borghi_claudio

Ricostruita perfettamente la catena della fakenews di oggi sull’euro. La fonte è Riccardo Puglisi che inventa una mia dichiarazione che viene ripresa da una fonte di Zerohedge che la attribuisce a @Reuters. Deciderà la Consob se mandare in procura tutti o solo Puglisi.

Il mistero sembra quindi essere risolto. A complemento va detto che in effetti la Reuters, alle 15.33 ha battuto la seguente notizia: “I rendimenti dei titoli italiani salgono dopo le dichiarazioni anti-euro di Borghi”. Nel testo si legge:

Claudio Borghi, the economic spokesman of Italy’s ruling League party, said that if the League gets a majority in the next elections, Italy will exit the euro zone, analysts cited a media report as saying.

Insomma, la Reuters riporta la notizia successivamente attribuendola agli analisti che citano alcuni report di organi di informazione. Per Borghi comunque è tutto chiaro: “Ricostruita perfettamente la catena della fakenews di oggi sull’euro. La fonte è Riccardo Puglisi che inventa una mia dichiarazione che viene ripresa da una fonte di Zerohedge che la attribuisce a @Reuters. Deciderà la Consob se mandare in procura tutti o solo Puglisi”. “Diffusione di notizie false con conseguenza di provocare ribasso dei titoli di stato: a codice fanno fino a 6 anni di carcere. Per qualcuno finisce oggi la ricreazione”, aggiunge poi Borghi. Il caso è chiuso ma, come detto all’inizio, fa scuola. E farebbe anche ridere, se non facesse piangere, se si pensa che tutto è nato da un tweet di “Venduto schifoso”.