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ESG e reputazione di brand: come comunicare in modo efficace la sostenibilità d’azienda

ESG e reputazione di brand: come comunicare in modo efficace la sostenibilità d’azienda

Le conseguenze della crisi climatica e della globalizzazione a cui assistiamo ogni giorno hanno generato nei cittadini-consumatori una crescente consapevolezza e presa di responsabilità rispetto alle tematiche sociali. Non solo promesse e dichiarazione d’intenti: il pubblico chiede alle aziende di intervenire e di condividere tale impegno per potervi partecipare.

Molte imprese si astengono dall’esplicitare il loro supporto a cause sociali e di concentrare gli sforzi comunicativi sulle proposte commerciali. Quando si trattano temi così delicati, il rischio di commettere passi falsi è alto e contribuisce a preferire il non schierarsi rispetto alla possibilità di inciampare in qualche controversia indesiderata.

Ma i consumatori come percepiscono tale silenzio? La neutralità non premia. Anzi, rappresenta un vero e proprio fallimento con risvolti negativi ad ampio raggio. Inoltre, ignorare la comunicazione alla sostenibilità significa esclude a priori dalla propria strategia un nuovo, potente driver di scelta.

Il brand: un valore che veicola valori

Ora più che mai, il successo di un’impresa inizia con un brand e non con un prodotto.

A dirlo è Interbrand, società leader specializzata nel branding, che ogni anno stila un ranking delle prime 100 marche con il più alto valore di mercato a livello globale.

In breve, potremmo definire il brand come una serie di attributi, significati e valori sedimentati nella memoria delle persone e, allo stesso, il canale privilegiato di cui l’azienda dispone per rappresentare sé stessa. L’operato del brand non deve deludere le aspettative dei consumatori e, per non invalidare tutto il lavoro svolto, deve essere veicolato secondo una strategia ben studiata.

Non sorprende quindi trovare ai vertici del Best Global Brand realtà che hanno capito come, dove e quando sfruttare la propria marca per risolvere le esigenze degli individui in target, in un panorama di costante e rapido mutamento.

Il trionfo di aziende come Apple o Amazon si fonda su un percorso di analisi-strategia-operatività volto a creare e rafforzare nella mente del pubblico associazioni di marca benefiche per la propria reputazione e, in ultimo, profittevoli.

Dunque, in uno scenario di mercato frenetico e affollato, dove qualità dei prodotti e prezzo hanno sempre meno potere competitivo, per differenziarsi bisogna cambiare strategia. Rivelare e sostenere concretamente la propria adesione a cause sociali risponde a un bisogno emergente del pubblico: sentirsi agente attivo del cambiamento attraverso il brand. Da qui, la nascita del Brand Activism.

Brand Activism: esaudire le nuove aspettative del pubblico

Globalmente stiamo assistendo al collasso della fiducia nelle istituzioni tradizionali, ritenute incapaci di far fronte agli eventi e di alleggerire il senso di incertezza collettiva. Viceversa, la credibilità delle aziende sta registrando un’impennata che non sembra arrestarsi.

Qualsiasi sia la causa di tale inversione di rotta, le conseguenze per il marketing sono chiare: oggi ci si aspetta che le imprese siano agenti del cambiamento.

Un’attesa che, secondo l’ultima edizione dell’Edelman Trust Barometer, supera quella legata alla produzione di prodotti e servizi di qualità. Ad esempio, il 64% dei consumatori globali afferma che comprerebbe o boicotterebbe un brand sulla base del suo impegno sociale e politico. Così come il 74% degli investitori istituzionali rivedrebbe i propri investimenti su aziende che ignorano le linee guida ESG.

Prendere posizione non basta più

Prendere posizione nei confronti di problematiche ambientali, sociali o governative è una dichiarazione d’intenti nobile ma non è più sufficiente. Quel che conta è l’impegno concreto e autentico in attività a favore di tali questioni. La strada da percorrere è quindi quella del Brand Activism!

Questo modello di business presuppone che l’azienda sostenga una causa in linea con i valori dichiarati e, soprattutto, che agisca correlando o anteponendo il benessere collettivo agli suoi obiettivi economici.

Il Brand Activism rappresenta un vantaggio competitivo nella misura in cui le attività “prosociali” d’impresa rispondono alle aspettative dei suoi utenti, in modo stabile e coerente lungo tutti i touchpoint.

Solo dimostrando la trasparenza delle proprie azioni, il brand può allontanare possibili sospetti e accuse di Woke Washing, nonché puntare a stabilire relazioni funzionali e solide che fidelizzino il pubblico e lo rendano un Brand Advocate. L’influenza sulla reputazione e, di conseguenza, sulle vendite non può che essere positiva.

L’impresa si impegna a promuovere questo nuovo valore di brand, a farsi leader nel ridefinire una politica fondata su valori trasversali, a stringere partnership mirate e a digitalizzare la sua presenza sul mercato e le sue comunicazioni, con l’obiettivo di raggiungere un pubblico globale e di coinvolgerlo nella co-creazione di contenuti.

Il Brand Activism diviene quindi una strategia di comunicazione per orientare i cittadini-consumatori attraverso messaggi e campagne studiate ad hoc…ma chi ci dice che saranno efficaci?

È qui che interviene il Neuromarketing!

Comunicare la sostenibilità aziendale con il Neuromarketing

Se integrare pratiche ESG in azienda e sostenere cause sociali rappresenta la soluzione alla domanda del pubblico, come mai spesso le proposte sostenibili vengono ignorate dagli stessi richiedenti una volta lanciate sul mercato?

Le indagini rilevano come il prezzo di articoli e servizi eco-friendly e fairtrade, di solito superiore a quello delle alternative non-sostenibili, sia il principale disincentivo all’acquisto. Eppure non è così per tutti: diversi studi EEG mostrano come messaggi e prodotti green suscitino una particolare attivazione del lobo frontale solo in consumatori con una spiccata sensibilità ambientalista, tale da ridurre l’influenza negativa del prezzo sulle loro scelte.

Questa evidenza aiuta a indirizzare tempo e budget in direzioni più profittevoli attraverso la realizzazione di comunicazioni allineate ai destinatari in target.

I consumatori green saranno più facili da raggiungere e convincere dichiarando il proprio impegno sociale mentre se ci si rivolge ad un pubblico più generale sarà necessario giustificare il costo della propria offerta o adottare nuove leve d’acquisto.

Come garantire un Brand Activism di successo

L’indagine integrata di attivazione cerebrale e fisiologica può predire se il design di un prodotto e del suo pack, così come lo storytelling di uno spot adv o la navigazione su una pagina web elicitano la risposta emozionale desiderata, ottimali per la strategia di Brand Activism sviluppata.

Ad esempio, test condotti su stimoli green evidenziano come la loro promozione tragga i maggiori benefici dall’uso di descrizioni verbali rispetto a soluzioni puramente grafiche. Parole e testi selezionati danno concretezza all’offerta, contribuendo a suscitare emozioni più intense e funzionali alla causa, come coinvolgimento e frustrazione, così da favorire la conversione e l’aumento della fiducia nel brand.

Oppure, l’analisi del comportamento visivo può supportare la progettazione di contenuti aiutando a disporre e a combinare le informazioni ESG in modo strategico.

Tramite metodologia Eye Tracking l’azienda può aumentare la visibilità di un pack a scaffale o in un’e-commerce, affinché venga notato e riconosciuto immediatamente come proposta green da consumatori distratti o dai fidelizzati che desiderano trovare subito quel che cercano. Può far sì che gli elementi grafici e testuali di un’etichetta non si annullino a vicenda nella competizione per l’attenzione dell’osservatore, ma che la loro sequenza di visione sia ottimale agli obiettivi di vendita e della persona. Può, insieme all’EEG, stimare lo sforzo mentale richiesto per processare il design dell’offerta e il messaggio veicolato al fine di renderli di facile comprensione e più apprezzabili.

Creare e rafforzare i legami di fiducia

Dunque, il Neuromarketing è uno strumento in grado di valorizzare la strategia di Brand Activism sviluppata e di aiutare l’impresa a raggiungere i vantaggi competitivi associati. Direziona attività e risorse nella creazione di prodotti e messaggi gradevoli, fruibili e in linea con i valori dichiarati e con le aspettative del pubblico.

L’azienda può così comunicare la propria sostenibilità in modo efficace ed autentico, puntando a stringere e rafforzare legami di fiducia, ispirare il cambiamento e, infine, aumentare il proprio valore sul mercato.




L’Unione europea vieta a Meta l’uso dei dati personali per la pubblicità mirata: cosa succede ora?

L'Unione europea vieta a Meta l'uso dei dati personali per la pubblicità mirata: cosa succede ora?

L’Unione europea mina alla base il modello di business che ha reso Meta una delle aziende più ricche al mondo. Il primo novembre l‘European Data Protection Board – ente indipendente che si occupa di monitorare l’applicazione corretta del Grpr, la legge sulla privacy entrata in vigore nel 2018 – ha vietato al colosso fondato da Mark Zuckerberg l’utilizzo dei dati personali degli utenti raccolti su Facebook e Instagram per veicolare sulle piattaforme stesse pubblicità mirata. Cosa significa? Gli algoritmi dei due social – così come di tutti gli altri in realtà – sono programmati per memorizzare ogni azione che compiamo in bacheca. Ogni post, like, condivisione, ma anche ogni visualizzazione, click, il tempo speso a guardare ciascun contenuto, il modo in cui il nostro dito si muove sullo schermo: tutto ciò che facciamo mentre stiamo sui social viene analizzato e sfruttato non solo per capire i nostri comportamenti e i nostri interessi così da poter creare enormi indagini di mercato da vendere alle aziende, ma anche per costruire una quasi perfetta bacheca pubblicitaria targhettizzata sul singolo utente. Questa parte è quella che stona alle autorità dell’Unione europea ma è anche quella che rappresenta una buona parte degli introiti della società. 

La decisione dell’European Data Protection Board viene da una precedente questione nata in Norvegia, dove il 14 agosto le autorità per la privacy hanno già sanzionato Meta per un milione di Corone (circa 850mila euro) per non chiedere agli utenti un adeguato consenso a sfruttare i loro dati personali per la pubblicità mirata. Non basta: secondo l’Edpb ciò che anno osservato nel Paese Scandinavo deve essere ampliato all’intera Unione europea. E la decisione presa viene descritta come «urgente» e «vincolante». Entro due settimane verranno adottate misure definitive nei confronti di Meta per imporre il divieto in tutto lo spazio economico europeo: a notificare la società ci penserà la Commissione per la Protezione dei Dati irlandese (Meta, in Europea, ha sede in Irlanda) e il divieto diventerà effettivo una settimana dopo. 

Dall’altra parte Meta non è rimasta in silenzio. Ha fatto notare alle autorità europee quanto si sia impegnata a cooperare e ribatte che la decisione «ignora in modo ingiustificato l’attento e robusto processo di regolamentazione». Si riferiscono in particolare all’annuncio del lancio di un abbonamento a pagamento per Instagram e Facebook. Per 9,99 euro al mese (su Pc) o 12,99 euro al mese (su smartphone) gli utenti potranno avere accesso alle piattaforme senza annunci pubblicitari personalizzati. Nell’annuncio era specificato che la decisione è stata presa proprio «per conformarsi alle normative europee in evoluzione». Dalla Norvegia, nella persona di Tobias Judin, a capo dell’autorità per la protezione dei dati, ribattono però che la proposta non incontra gli standard europei. Il consenso per l’utilizzo dei dati deve essere dato liberamente, e non è giusto mettere gli utenti davanti alla scelta di cedere i propri dati o pagare una «sanzione» per non averli dati nella forma di un abbonamento.




Sostenibilità e governance, aziende italiane al top in Europa

Sostenibilità e governance, aziende italiane al top in Europa

La sostenibilità risulta sempre più integrata nella governance aziendale delle aziende italiane. In un numero crescente di imprese, infatti, è stato istituito un comitato con deleghe specifiche in temi di sostenibilità all’interno dei Consigli di Amministrazione. Non solo. Risulta in crescita anche il peso dei fattori ESG negli schemi di remunerazione. Per contro, spesso risultano ancora scarse le competenze nei temi di sostenibilità all’interno dei board aziendali. Sono questi alcuni dei principali indicatori dell’osservatorio Governance della sostenibilità condotto da Altis e Csr Manager Network, che mette a confronto le aziende quotate nel listino Ftse-Mib Italia con quelle quotate nei listini paragonabili di Francia, Germania, Regno Unito e Spagna.

Entrando nel dettaglio dei dati dell’osservatorio emerge che 35 aziende italiane su 40, ovvero l’87,5% del totale, integrano la sostenibilità nelle strutture di governance avendo assegnato un comitato ad hoc all’interno del Cda. Per fare un confronto, in Francia tale percentuale raggiunge il 72,5%, nel Regno Unito il 65%, in Spagna il 40%, in Germania solo il 13,3%. Un altro indicatore interessante che emerge dall’osservatorio è che le imprese italiane concedono spazio crescente all’ESG negli schemi di remunerazione dei vertici aziendali. Nello specifico, oggi 25 aziende italiane su 40 ovvero il 62,5% adotta questo genere di politica, era il 40% nel 2017, un dato che ci pone al secondo posto in Europa dietro alla Francia con l’87,5%. Discorso diverso, invece, riguardo l’incidenza degli indicatori di sostenibilità sulla remunerazione che risulta in media del 15% per gli esecutivi e del 17% per gli Amministratori Delegati.

Anche con riferimento alle competenze in temi ESG all’interno dei CdA, le aziende italiane mostrano performance in crescita: circa il 57% di esse ha un consigliere su sei con competenze specifiche. Fondamentali in questo senso sono stati i programmi aziendali specifici sui temi ESG a cui hanno partecipato in media il 76% dei consigli di amministrazione. In aggiunta, per il 43,3% delle aziende italiane sono considerate importanti le esperienze professionali legate alla sostenibilità accumulate negli anni, per il 30% delle aziende la formazione e le competenze tecnico-scientifiche. Infine, in 9 aziende italiane su 10, ovvero nel 93,3% dei casi, è presente un manager della sostenibilità che svolge, principalmente, attività di stakeholder management.




L’azienda danese LEGO continuerà a produrre mattoncini con il petrolio

L’azienda danese LEGO continuerà a produrre mattoncini con il petrolio

L’azienda danese LEGO non produrrà mattoncini da plastica riciclata. L’annuncio è arrivato dall’amministratore delegato, Niels Christiansen, che ha sottolineato come gli sforzi e gli investimenti compiuti in questi anni per cambiare materiale di produzione in chiave sostenibile non abbiano prodotto risultati soddisfacenti. 

Una fabbrica LEGO
Una fabbrica LEGO © JONATHAN NACKSTRAND/AFP via Getty Images

Per realizzare i suoi iconici mattoncini, LEGO utilizza l’acrilonitrile-butadiene-stirene (ABS), prodotto con il petrolio. In questi anni si è cercata una transizione verso forme di produzione a più basso impatto ambientale, che però si sono rivelate non funzionali per gli scopi dell’azienda e senza un reale guadagno in termini di sostenibilità. La ricerca di LEGO di nuovi materiali di produzione andrà avanti, in parallelo ad altri progetti in ottica di salvaguardia dell’ambiente.

Il dietrofront di LEGO

LEGO è l’azienda produttrice di giocattoli più grande al mondo. Ogni anno produce miliardi di mattoncini, strutturati in modo da potersi incastrare tra loro per realizzare costruzioni più o meno ingegnose. Il materiale utilizzato per questi mattoncini, quello che meglio si presta allo scopo, è nell’80 per cento dei casi l’acrilonitrile-butadiene-stirene (ABS), un polimero termoplastico. C’è però un problema: per fare un chilo di ABS servono due chili di petrolio.

In questi anni l’azienda danese ha investito centinaia di milioni di euro in ricerca e sviluppo per cercare di ridurre gradualmente l’utilizzo della plastica ricavata da petrolio. L’obiettivo era l’eliminazione completa entro il 2032 e sono state sperimentate circa 250 produzioni alternative, per la maggior parte derivanti da biomasse vegetali. A partire dal 2021 l’attenzione si è focalizzata sulle bottiglie di polietilentereftalato riciclato, il cosiddetto PET riciclato, che sembrava potesse essere la soluzione migliore. Ora però è arrivato l’annuncio che anche questa sperimentazione è fallita.

Tim Brooks, capo del dipartimento che si occupa di sostenibilità ambientale di LEGO, ha ammesso che la passare dall’ABS al PET riciclato sarebbe “come cercare di fare una bici di legno anziché di acciaio”. I mattoncini sarebbero infatti troppo poco resistenti e per compensare questa fragilità servirebbe aggiungere nuovi ingredienti nella produzione e ulteriori lavorazioni, il che avrebbe un impatto importante sulle emissioni inquinanti.

Le altre iniziative in campo

LEGO continuerà dunque a produrre mattoncini con il petrolio. Ma non si tratta di una resa, hanno fatto sapere dalla dirigenza della società danese.

La ricerca di materiale più sostenibili dell’ABS andrà avanti, con una spesa triplicata di qui al 2025. L’obiettivo è anche quello di intervenire sull’ABS stesso, cercando di ridurre la quantità di petrolio necessario e compensando con materiali riciclati o di origine vegetale. Oltre a questo, verranno gradualmente eliminati gli imballaggi di plastica con cui vengono venduti i giocattoli, passando definitivamente entro il 2025 alla carta. Come ha dichiarato l’amministratore delegato Niels Christiansen, questo consentirà di raggiungere l’obiettivo di riduzione delle emissioni inquinanti del 37 per cento entro il 2032, rispetto ai valori del 2019.




L’ideatore dello spot Esselunga: “Si sta dando altra lettura, noi raccontiamo una famiglia reale

L'ideatore dello spot Esselunga: "Si sta dando altra lettura, noi raccontiamo una famiglia reale

Se uno spot resta impresso nella mente dei consumatori ha senza dubbio raggiunto il suo scopo. Quello di Esselunga ha fatto molto di più. La pubblicità della nota catena di supermercati, che in 2 minuti racconta la quotidianità di una bambina con i genitori separati – che prende una pesca mentre fa la spesa con la mamma e poi la regala al papà da parte dell’ex compagna – è da giorni al centro del dibattito pubblico, commentato addirittura da Giorgia Meloni, che ne tesse le lodi. Dimostrazione lampante, secondo i detrattori, della vicinanza dello spot a certe idee politiche – decisamente vicine al governo di centrodestra – a sostegno della famiglia tradizionale. 

La bambina che vorrebbe far riavvicinare i genitori, infatti, per chi ha sollevato la polemica sarebbe il ritratto di una parte della società che ancora vede la separazione come il male peggiore, per i figli ma anche per i genitori. Idea anacronistica rispetto ai tempi in cui viviamo. Un tam tam del genere non se lo aspettava l’ideatore dello spot, Luca Lorenzini, che ha commentato su Repubblica: “Forse a questa storia si sta dando una lettura con un messaggio più profondo di quello che volevamo. Tutti messaggi importanti, ma il nostro, alla fine, era semplicissimo. Pensiamo di aver fatto un buon prodotto. Quando un prodotto riesce a suscitare emozioni è un buon prodotto”.

Tra le critiche quella di ripercorrere le orme del Mulino Bianco, anche se velatamente, dietro la ‘scusa’ della separazione (che si condannerebbe con questo racconto): “Il Mulino Bianco era l’esempio di famiglia perfetta di quel tempo in cui è stato girato – ha replicato Lorenzini – Noi raccontiamo un altro tipo di famiglia. Di solito vediamo la famiglia felice classica, che si alza al mattino, tutti fanno colazione assieme, sono felici e uniti. Di famiglie così ce ne sono tante, noi abbiamo deciso di raccontarne un’altra, che non è irreale, genitori separati li conosciamo tutti, se non lo siamo noi stessi”. 

Il creator ha fatto sapere che l’idea dello spot è nata insieme alla richiesta del cliente – Esselunga – che ci teneva a sottolineare il claim “Non c’è una spesa che non sia importante”. Da lì la decisione di raccontare altri consumatori. “Sin dalla fase creativa ci eravamo detti che volevamo fosse una storia che potesse avere molte e diverse interpretazioni, che poi è quello che sta succedendo” ha concluso. Dunque, missione compiuta.