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Brasile, allarme fake news su WhatsApp alle presidenziali. Il Tribunale elettorale: «Ci vogliono misure severe»

Secondo il sito anti-bufale Aos Fatos soltanto le principali dodici notizie false circolate nel fine settimana delle elezioni sono state condivise 1,17 milioni di volte su Facebook

RIO DE JANEIRO – L’influenza di WhatsApp sulla corsa presidenziale, con il trionfo delle fake news, ha raggiunto un livello non più tollerabile e andrebbe contrastata, sostiene il Tribunale elettorale brasiliano. Bisogna «stabilire una qualche forma di controllo sul flusso di informazioni per impedire che si ripeta quanto accaduto al primo turno, quando bugie e montature hanno causato danni notevoli ad alcuni candidati», scrive il consiglio di esperti dell’Authority elettorale. Con alcuni dei suoi membri suggerendo addirittura «misure dure». Inutile continuare a ignorare la realtà, dicono: WhatsApp da «messaggero» di informazioni e opinioni personali si è trasformato esso stesso in un social network, e deve essere responsabilizzato per i propri contenuti. L’opinione è però assai controversa.

Elezione falsata?

Secondo il sito Aos Fatos, implacabile cacciatore di bufale in Rete, soltanto le principali dodici notizie false circolate nel fine settimana delle elezioni sono state condivise 1,17 milioni di volte su Facebook. Campione di clic un video taroccato dove si vede l’urna elettronica con la quale si vota in Brasile che da sola compone il numero del candidato di sinistra Fernando Haddad (al ballottaggio del 28 ottobre col 28% dei voti), a testimoniare una frode elettorale imbastita dalla sinistra. «Non possiamo stimare la diffusione su WhatsApp, in quanto network chiuso. Ma riteniamo che le persone esposte in Brasile alle principali fake news che abbiamo controllato sono nell’ordine delle decine di milioni di elettori», dicono i fact checkerbrasiliani. «Il dirompente effetto WhatsApp in Brasile non credo sia dovuto ai bassi indici di lettura e scolarità, come qualcuno sostiene – spiega Tai Nalon, giornalista fondatrice di Aos Fatos -. Indagini dimostrano che la pseudonotizia arrivata da un familiare, un amico, la tua chiesa è ritenuta più plausibile in un momento di cattiva reputazione dei media tradizionali, come questo, in tutte le classi sociali». Un altro fattore decisivo sono le offerte degli operatori telefonici. «WhatsApp ormai è gratis, è l’unica cosa che funziona bene dove il segnale è di bassa qualità e molti non possono nemmeno cliccare su un link per controllare la notizia, perché pagherebbero».

Pime azioni

La campagna di Haddad (l’erede di Lula) è riuscita finora ad ottenere dal Tribunale elettorale che vengano rimossi dalla rete i video con i riferimenti al cosiddetto «kit gay», uno dei pezzi da novanta dalla propaganda di Jair Bolsonaro (che al primo turno ha vinto con quasi il 47% dei voti). Secondo il candidato di estrema destra, negli anni di Haddad come ministro dell’Educazione venne distribuito nelle elementari un libro, «una collezione di assurdità che stimolava precocemente i bambini ad interessarsi al sesso, alle diverse opzioni sessuali, vale a dire una porta aperta per la pedofilia». La leggenda circola da un paio di anni, è stata smentita numerose volte ma ha continuato a girare in Rete. Da qui la richiesta all’Authority elettorale. Haddad ha anche querelato un noto opinionista di destra che di recente lo ha accusato di essere «a favore dell’incesto». Come si vede, siamo al vale tutto. Ma quella del «kit gay» è stata un’arma potente di diffusione del pensiero di Bolsonaro. Indagini hanno dimostrato che la stragrande maggioranza delle famiglie in Brasile ritiene che l’educazione sessuale è compito esclusivo dei genitori.

Il network chiuso

Quanto all’ipotesi di una azione forte su WhatsApp, non è ancora chiaro se i giudici del Tribunale elettorale accoglieranno le tesi dei loro consiglieri, e ancor meno prevedere che misure concrete si potrebbero adottare a meno di un paio di settimane dal ballottaggio elettorale. Come è noto gli scambi di messaggi su WhatsApp – e app simili – avvengono tra singole utenze telefoniche o tra loro gruppi, e la società ha sempre negato di avere il benché minimo controllo sui contenuti criptati. Molto meno che su Facebook e Twitter, dove testi e foto o gli stessi account possono essere rimossi in caso di reclami di utenti che i sistemi di controllo ritengano fondati. L’unica decisione presa di recente da WhatsApp è indicare quando un messaggio è un forward rispetto ad uno scritto di proprio pugno dalla persona che lo invia. Il problema è ormai universale, ma il Brasile (quarto Paese con più iscritti al mondo, 120 milioni di utenti, 6 volte più che negli Usa) è un caso a sé. Negli ultimi anni, giudici locali sono arrivati a bloccare WhatsApp per alcune ore in tutto il Paese, come rappresaglia contro la casa madre americana che si era rifiutata di fornire dati di utenti utili a indagini criminali.




La “Social Crisis” dei #Ferragnez e il Paradosso del Controllo

La “Social Crisis” dei #Ferragnez e il Paradosso del Controllo

Quante aziende oggi si trovano ad affrontare improvvise situazioni di crisi che vengono gestite senza minimamente tenere conto del fatto che ciò che avviene sui social non è controllabile? Giuseppe Mastromattei, presidente del Laboratorio per la Sicurezza prende spunto dal recente episodio Ferragni-Fedez per un’analisi delle nuove crisi nell’era social.

Nel 1998, usciva nelle sale un Film che ha segnato un’epoca. Mi riferisco a “The Truman Show” diretto da Peter Weir, su soggetto di Andrew Niccol, e interpretato da Jim Carrey, in una delle sue interpretazioni più apprezzate. La pellicola fu definita allora una satira fantascientifica, ispirata parzialmente a un episodio di “Ai confini della realtà” e alla moda allora nascente di raccontare la vita in televisione attraverso i reality show, immaginando una situazione paradossale, portata all’estremo, dalla quale emergono temi filosofici.
Chi di voi ha visto il film, uscito dalla sala, avrà provato una immensa sensazione di amarezza, tristezza e sconforto, consolato però dal fatto che si trattava di “fantascienza”…
Era il 1998, sono passati 20 anni, sono arrivati gli smartphone i social media, e non è più fantascienza…
Proviamo per un attimo a ritornare indietro nel tempo e analizziamo, con un approccio diverso quello che è successo nei giorni scorsi e che ha visto protagonisti i coniugi Chiara Ferragni e Fedez, ovvero i Ferragnez (almeno così mi risulta si facciano chiamare…).
La moglie organizza una festa a sorpresa per il compleanno del marito e sceglie di farla in una location assolutamente innovativa: un supermercato.
Un’idea meravigliosa, quanti di noi hanno desiderato, da bambini, di avere la possibilità di passare una sera in un supermercato ed essere liberi di consumare tutto quello che si vuole.
E fin qui tutto normale, a parte il fatto che trovo leggermente assurda l’idea di poter affittare un supermercato, ma andiamo avanti.
Se fossimo veramente stati nel 1998, forse ci sarebbe stato qualche articolo sui giornali che avrebbe raccontato i fatti, lasciandosi andare a commenti entusiasti per l’idea e la sua originalità, un po’ come quella pubblicità di molti anni fa dove un uomo portava al cinema la moglie ed invece di un film, in sala venivano proiettati filmati (in super8) e fotografie, della loro storia d’amore e lui le regalava un diamante. WOW!
Ma purtroppo per i Ferragnez siamo nel 2018, e tutto viene condiviso su social, volontariamente; sin dal primo momento, i filmati iniziano nell’ascensore di casa per poi raccontare ogni momento della festa, che ben conosciamo e che trovo inutile commentare.
Non riesco però a non fare un paragone con un altro film, questa volta un capolavoro   di animazione, e soprattutto di soli 10 anni fa: “Wall-e” (nel settembre 2008 Facebook fece il primo salto di visibilità che portò gli utenti, in Italia, a superare il milione e l’iPhone era stato appena lanciato sul mercato).
Bene, nel film c’è una scena dove un uomo e una donna, seppur vicini, si parlano, seduti su una poltrona mobile, attraverso un dispositivo che altro non è uno schermo.
Quello che è successo quella sera ha scatenato una serie infinita di reazioni negative sui social, facendo diventare quella che doveva essere una festa in una vera e propria crisi, una Social Crisis, che ha coinvolto non solo la celebre coppia ma anche Carrefour che non aveva resistito all’idea di affiancare il proprio marchio a quello dei Ferragnez, sperando in un ritorno in termini di immagine che purtroppo così non è stato, anzi.
Torniamo ai fatti, ad un certo momento si è costituita una unità di crisi, così composta: Chiara Ferragni, Fedez e la madre. Durante una riunione lampo è stato deciso di comunicare, immediatamente che tutto sarebbe stato messo a posto e che sarebbe stata fatta beneficienza, scusandosi di essere stati fraintesi; bella intenzione, forse comunicata troppo in fretta e con un linguaggio non verbale poco adeguato, ma soprattutto senza sapere che sui social andavano in onda i filmati della “riunione del comitato di crisi” e del briefing fatto prima per decidere i contenuti da diffondere.
Cosa è successo quindi? Ecco il paradosso del controllo, pensando di avere il pieno controllo dell’evento e di quello che si stava svolgendo, sia all’interno del supermercato sia in rete, il controllo è stato perso completamente.
Al punto che una delle prime reazioni è stata quella, dopo l’ennesimo filmato di scuse, questa volta con gli occhi pieni di lacrime, di chiudere uno degli account sui social, proprio come successe al povero Truman, che andando a sbattere sulla scenografia, che delimitava il suo mondo con il mondo reale, decise di salire le scale ed uscire da una porta di servizio, da cui però non è più rientrato.
Quello che ha fatto una famosa “youtuber” italiana che ha deciso di chiudere il proprio canale (almeno queste le ultime notizie) ed una sua fan ha commentato questa decisione con il seguente tweet: “sono contenta che voglia provare a vivere al di fuori di esso…” (sic!)
Aldilà delle considerazioni su questi recenti ed interessanti casi che si sono verificati nei giorni passati, che, proprio come “The Truman Show” fanno emergere infiniti temi filosofici, forse è arrivato il momento di prendere piena consapevolezza dei limiti e dei conseguenti rischi che le nuove tecnologie, ma soprattutto il loro utilizzo eccessivo, possano comportare, non solo per i singoli individui ma anche per le organizzazioni.
Quante aziende oggi si trovano ad affrontare improvvise situazioni di crisi che vengono gestite senza minimamente tenere conto del fatto che ciò che avviene sui social non è controllabile. Proprio per questo motivo è fondamentale tenere presente che in fondo esiste una parete, aldilà della quale c’è il mondo reale, e che basta uscire dalla porta di servizio per rendersi conto che alla fine basta un po’ di coerenza e un pizzico di buon senso per non perdere il controllo.
A dimenticavo, “casomai non vi rivedessi, buon pomeriggio, buona sera e buona notte!” (Truman Burbank)




Il conversational commerce nell’era dell’on demand

Il conversational commerce nell’era dell’on demand

Il conversational commerce sta cambiando il modo in cui usufruiamo della rete e acquistiamo. Domani essere trovati sul web non sarà più sufficiente, le aziende devono adeguarsi


Viviamo in un mondo in cui tutto è a portata di click. Siamo stati abituati a desiderare e ottenere immediatamente le nostre canzoni e film preferiti attraverso Spotify e Netflix. Siamo ora viziati dalla possibilità di ricevere a casa, nel giro di pochi attimi o di pochissime ore, anche prodotti, cibo, servizi grazie ad Amazon Prime, Deliveroo e tanti altri servizi. È l’economia on demand, che dopo aver modificato il rapporto tra persone e aziende sta ora ristrutturando il ruolo dei canali di contatto e delle informazioni a disposizione delle persone.
È dagli anni Novanta che troviamo una risposta ai nostri bisogni informativi attraverso la ricerca sui motori di ricerca e sui siti web, mutuando peraltro l’approccio che vede l’uomo, da oltre due millenni, informarsi entrando nelle biblioteche e ricercando tra gli scaffali il contenuto più adatto per rispondere ai suoi quesiti.
Con i social network abbiamo imparato a raccogliere informazioni più velocemente e ottenere supporto immediato scavalcando i call center e aggirando i menu telefonici (nel dubbio premete sempre il numero 9 e attendete un operatore): al di là dei messaggi più o meno simpatici proposti dai brand nelle loro pagine, agli utenti interessa risolvere un problema e farlo immediatamente, sconvolgendo le linee editoriali e mettendo in crisi i social media manager.
Dopo l’era dello sviluppo del web nei primi anni 2000 e quella della diffusione dei social network e instant messages dieci anni dopo, stiamo ora entrando in un nuovo ciclo legato al conversational commerce: una modalità che permette alle persone di raccogliere informazioni, ottenere supporto e fare shopping ponendo delle semplici domande sia in modalità testuale, sia attraverso la nostra voce.
Le aziende si stanno adeguando inserendo finestre di chat nei loro siti con operatori disponibili a risponderci immediatamente; in molti hanno previsto chat bot nei loro social network per offrire supporto 24/7.
Secondo i dati dello State of Chatbots Report 2018, tra i cui autori figurano aziende come SalesForce, le persone usano i chat bot per avere un supporto continuativo (64% delle risposte), immediato (55%), e ottenere risposte a semplici quesiti (55%). Il contributo dell’uomo non sarà comunque messo in discussione: il 43% delle persone preferisce comunque un contatto umano e il 34% dichiara di tollerare un primo contatto con un chat bot, per poi essere connesso a una persona che possa gestire domande complesse e con cui creare un contatto più empatico.
Con l’avvento dei personal assistant, accessibili oggi da smartphone e smart speaker, domani da automobili e oggetti connessi, il contatto tra persone, contenuti e prodotti sarà sempre più immediato e l’interfaccia di riferimento sarà la voce.
Da una recente ricerca di Wavemaker è emerso che a oggi in Italia l’80% degli intervistati conosce gli assistenti vocali come Google Assistant Siri , il 20%  li utilizza e solo il 5% li considera per la creazione di shopping list in ottica di conversational shopping. Secondo eMarketer, negli Stati Uniti l’utilizzo è del 95%, circa il 40% ricerca vocalmente informazioni sui negozi e il 25% sui prodotti.
Gli smart speaker in particolare stanno rivoluzionando il rapporto tra persone e contenuti: per la prima volta riusciamo a interagire senza prendere in mano un device elettronico. eMarketer ha rivisto al rialzo le sue stime e descrive un mercato americano che oggi ha più di 60 milioni tra Amazon Echo (Alexa), Google Home e altri smart speaker. Come spesso accade, guardiamo gli Stati Uniti per ipotizzare cosa potrà succedere anche da noi tra uno o due anni. In una famiglia su quattro oggi si trova uno smart speaker in salotto, cucina o camera da letto, con cui le persone interagiscono costantemente per ascoltare musica (74%), fare domande di varia natura (72%), informarsi su prodotti (39%), attivare oggetti connessi, come per esempio accendere le lampadine in casa (33%) e acquistare prodotti (28%).
È evidente che siamo ancora in una fase piuttosto embrionale dell’utilizzo delle voice interface almeno in termini di “conversational shopping”. Se ci focalizziamo sul 28% che acquistano prodotti, i “conversational shopper”, la maggior parte fa ricerche attraverso gli smart speaker (51%), aggiunge prodotti alla shopping list (36%), chiede informazioni sullo stato di consegna (30%), fa un acquisto vero e proprio (22%), fa una review di prodotto o dà un punteggio (20%).

Le implicazioni per i brand

Per quanto ai primi passi della sua esistenza, il conversational shopping promette di rivoluzionare il modo in cui siamo abituati a concepire la ricerca: oggi cerchiamo una cosa su un motore di ricerca e se è rilevante il fatto di trovarla o meno dipende dall’efficacia del Seo e della Sea.
Domani la ricerca verrà “filtrata” da un assistente personale, un’intelligenza artificiale che impara a conoscere le nostre abitudini e i nostri gusti: essere pertinenti da un lato (Seo) e pagare per essere visibili (Sea) semplicemente non sarà più sufficiente per essere trovati.
I brand dovranno necessariamente entrare nel repertorio dei consumatori.
Se i brand vorranno competere dovranno lavorare nuovamente sul loro posizionamento top of mind: i loro prodotti compariranno in cima alle proposte degli smart speaker solo quando saranno chiamati esplicitamente con ricerche del tipo “Alexa, acquista il caffè in cialde della marca ABC” piuttosto che “Alexa, acquista il caffè in cialde”.
Le implicazioni per le aziende sono evidenti: dovranno tornare a lavorare sul branding, (ri)creando una forte associazione a un determinato prodotto per vincere le logiche degli algoritmi e apparire in testa alle preferenze.

Il purchase journey

In termini di impatto sul purchase journey  il conversational commerce avrà implicazioni tecniche soprattutto nella fase attiva, dove è più rilevante: quando le persone hanno bisogno di supporto occorre rispondere immediatamente, predisponendo chat bot ma anche customer care (personali o artificiali) che rispondo attraverso instant messaging.
Il purchase journey è un servizio che fotografa il mercato valutando la pubblicità online, quella offline, l’impegno dei marchi o dei brand e il ruolo dei social media nelle esperienze di acquisto dei singoli.
Le ricerche vocali, che ora stiamo imparando a fare attraverso gli smartphone, devono essere intercettate da chiavi di ricerca che rispecchiano il linguaggio naturale e con porzioni di siti web capaci di essere riconosciute e lette dagli assistenti virtuali in modo naturale.
Ma per quanto concerne le implicazioni più strategiche, l’avvento del conversational commerce promette implicazioni ancora maggiori sulla fase del purchase journey che in Wavemaker chiamiamo “priming stage”, quella che precede la ricerca delle informazioni finalizzate all’acquisto.
Noi chiamiamo bias la forza con cui il priming stage condiziona le scelte di acquisto ed essa varia a seconda delle categorie oscillando fra un 30% a 60% medio: per convertire l’interesse in vendite occorre sviluppare e mantenere una forte conoscenza del brand e un posizionamento chiaro nella mente delle persone.




La consapevolezza del proprio scopo

LARRY FINK - CEO Blackrock

Lettera annuale di  LARRY FINK  – CEO Blackrock, agli Amministratori Delegati
 

 

Mentre BlackRock si avvicina quest’anno al suo trentesimo anniversario, ho avuto l’opportunità di riflettere sulle questioni più urgenti che gli investitori oggi devono affrontare e su come BlackRock deve sapersi adattare per servire meglio i nostri clienti. È un grande privilegio e responsabilità gestire le risorse che i clienti ci hanno affidato, la maggior parte delle quali sono investite per obiettivi a lungo termine come la pensione. Come gestore fiduciario, BlackRock si  impegna con le aziende per guidare la crescita sostenibile a lungo termine che i nostri clienti hanno bisogno per raggiungere i loro obiettivi.
Nel 2017, i titoli azionari hanno goduto di una corsa straordinaria – con massimi storici in un’ampia gamma di settori – e tuttavia la frustrazione popolare e l’apprensione per il futuro hanno raggiunto simultaneamente nuove vette. Stiamo assistendo a un paradosso di alti rendimenti e ansia elevata. Dalla crisi finanziaria, quelli con il capitale hanno raccolto enormi benefici; allo stesso tempo, molte persone in tutto il mondo si trovano ad affrontare una combinazione di bassi tassi, bassa crescita dei salari e sistemi di pensionamento inadeguati. Molti non hanno la capacità finanziaria, le risorse o gli strumenti per risparmiare in modo efficace. Per milioni di persone, la prospettiva di un pensionamento sicuro sta scivolando sempre più lontano, soprattutto tra i lavoratori meno istruiti, la cui sicurezza del lavoro è sempre più tenue.
Vediamo anche che molti governi non riescono a prepararsi per il futuro, su questioni che vanno dalla pensione e dalle infrastrutture all’automazione e alla riqualificazione dei lavoratori. Di conseguenza, la società si rivolge sempre più al settore privato e chiede alle aziende di rispondere a sfide sociali più ampie. In effetti, le aspettative del pubblico della tua azienda non sono mai state così grandi: la società chiede che le società, sia pubbliche che private, abbiano uno scopo sociale. Per prosperare nel tempo, ogni azienda deve non solo fornire prestazioni finanziarie, ma anche mostrare come contribuisca positivamente alla società. Le aziende devono saper beneficiare tutti i loro stakeholder, inclusi azionisti, dipendenti, clienti e le comunità in cui operano.
Senza la consapevolezza del proprio scopo, nessuna azienda, pubblica o privata, può raggiungere il suo pieno potenziale. Alla fine, perderà la licenza di operare ottenuta dai suoi principali stakeholder. cadrà travolto dalle pressioni a breve termine per distribuire guadagni e, nel processo, sacrificherà gli investimenti nello sviluppo dei dipendenti, nell’innovazione e nelle spese in conto capitale che sono necessarie per la crescita a lungo termine. Rimarrà esposto a campagne di attivisti che articolano un obiettivo più chiaro, anche se questo obiettivo serve solo gli obiettivi più a breve termine. E alla fine, questa società non potrà più fornire agli investitori i rendimenti da quali questi dipendono per finanziare la pensione, gli acquisti a casa o l’istruzione superiore.

Un nuovo modello per il governo societario

A livello globale, il crescente utilizzo da parte degli investitori dei fondi indicizzati sta determinando una trasformazione della responsabilità fiduciaria di BlackRock e del più ampio panorama della governance societaria. Nei $ 1.7 trilioni di fondi attivi che gestiamo, BlackRock può scegliere di vendere i titoli di una società se dubitiamo della sua direzione strategica o della sua capacità di crescita a lungo termine. Tuttavia, nella gestione dei nostri fondi indicizzati, BlackRock non può esprimere la propria disapprovazione vendendo i titoli della società fintanto che tale società rimane quotata nell’indice pertinente. Di conseguenza, la nostra responsabilità di impegnarci e votare nei consigli di amministrazione è più importante che mai. In questo senso: gli investitori istituzionali hanno responsabilità di investitori finali a lungo termine che forniscono capitale per le aziende, per crescere e prosperare.
Proprio come le responsabilità della tua azienda sono cresciute, anche le responsabilità dei gestori patrimoniali sono cresciute. Dobbiamo essere agenti attivi e impegnati per conto dei clienti che investono con BlackRock, che sono i veri proprietari della vostra azienda. Questa responsabilità va al di là del voto per delega alle riunioni annuali: significa investire il tempo e le risorse necessarie per promuovere il valore a lungo termine.
È giunto il momento per concepire un nuovo modello di coinvolgimento degli azionisti, che rafforzi e approfondisca la comunicazione tra gli azionisti e le società che possiedono. Ho già scritto che le società si sono concentrate troppo sui risultati trimestrali; allo stesso modo, l’impegno degli azionisti è stato troppo focalizzato sulle riunioni annuali e sui voti dei delegati. Se l’impegno deve essere significativo e produttivo – se collettivamente ci concentreremo sul vantaggio degli azionisti invece di sprecare tempo e denaro in “lotte per procura” – allora l’impegno deve essere come una conversazione che dura tutto l’anno sul miglioramento del valore a lungo termine.
BlackRock riconosce e sostiene la nostra responsabilità di contribuire a guidare questo cambiamento. Negli ultimi anni, abbiamo intrapreso uno sforzo concentrato per far evolvere il nostro approccio, guidato da Michelle Edkins, la nostra responsabile globale della gestione degli investimenti. Dal 2011, Michelle ha contribuito a trasformare la nostra pratica comune dall’essere prevalentemente focalizzati sul voto per delega verso un approccio basato sul coinvolgimento reale con le aziende.
La crescita dell’indicizzazione richiede che ora portiamo questa funzione ad un nuovo livello. Riflettendo la crescente importanza della gestione degli investimenti, ho chiesto a Barbara Novick, Vice Presidente e co-fondatore di BlackRock, di supervisionare gli sforzi delle aziende nelle quali investiamo. Michelle continuerà a guidare quotidianamente il gruppo globale di stewardship degli investimenti. Intendiamo anche raddoppiare le dimensioni del team di stewardship per gli investimenti nei prossimi tre anni. La crescita del nostro team contribuirà a promuovere un coinvolgimento ancora più efficace con la tua azienda creando un framework utile per garantire conversazioni più profonde, più frequenti e più produttive.

La tua strategia, il tuo consiglio e il tuo scopo

Al fine di rendere l’impegno con gli azionisti il ​​più produttivo possibile, le aziende devono essere in grado di descrivere la loro strategia per una crescita a lungo termine. Voglio ribadire la nostra richiesta, delineata nelle lettere precedenti, di articolare pubblicamente il quadro strategico della vostra azienda orientandolo verso la creazione di valore a lungo termine, e di affermare esplicitamente che è stato esaminato dal vostro consiglio di amministrazione. Ciò dimostra agli investitori che il tuo consiglio di amministrazione è impegnato nella direzione strategica dell’azienda. Quando ci incontriamo con i direttori esecutivi, ci aspettiamo anche che descrivano il processo fissato dal Board per supervisionare la tua strategia.
La dichiarazione della strategia a lungo termine è essenziale per comprendere le azioni e le politiche di un’azienda, la sua preparazione a potenziali sfide e il contesto delle sue decisioni a più breve termine. La strategia della tua azienda deve articolare un percorso per raggiungere la migliore performance finanziaria. Per sostenere questa performance, tuttavia, è necessario comprendere anche l’impatto sulla società della propria attività e il modo in cui le tendenze generali e strutturali – dalla crescita dei salari lenta alla crescente automazione ai cambiamenti climatici – influiscono sul potenziale di crescita.
Queste affermazioni strategiche non sono pensate per essere scolpite nella pietra, piuttosto dovrebbero continuare ad evolversi insieme all’ambiente imprenditoriale e saper riconoscere esplicitamente le possibili aree di insoddisfazione degli investitori. Naturalmente, riconosciamo che affrontare il mercato è molto più agevole se si usano strumenti standard come i report trimestrali alle autorità di controllo e soluzioni semplicistiche, piuttosto che facendo complesse discussioni strategiche. Ma una delle ragioni principali per l’aumento dell’attivismo di certi stakeholder – e la dispendiosa lotta contro i patti di sindacato degli azionisti di minoranza – è che le aziende non sono state abbastanza esplicite riguardo alle loro strategie a lungo termine.
Negli Stati Uniti, ad esempio, le aziende dovrebbero spiegare agli investitori in che modo le modifiche significative apportate alla legislazione fiscale rientrano nella loro strategia a lungo termine. Cosa farai con un aumento del flusso di cassa al netto delle imposte, e in che modo lo utilizzerai per creare valore a lungo termine? Questo è un momento particolarmente critico per le aziende per spiegare i loro piani a lungo termine agli investitori. I cambiamenti fiscali incoraggeranno gli azionisti più attivi e con un focus a breve termine a chiedere risposte sull’uso di maggiori flussi di cassa, e le aziende che non hanno ancora sviluppato e spiegato i loro piani troveranno difficile difendersi da queste campagne propagandistiche. 
Laddove gli attivisti offrono idee preziose – il che succede più spesso di quanto suggeriscono alcuni detrattori – essi incoraggiamo le aziende a iniziare le discussioni in anticipo, a coinvolgere azionisti come BlackRock e a mettere in campo altri stakeholder critici. Ma quando un’azienda attende e non riesce a esprimere la sua strategia a lungo termine in modo convincente, crediamo che l’opportunità di un dialogo significativo spesso sia già da considerare un’occasione persa.
L’impegno del vostro Consiglio di Amministrazione nello sviluppo della strategia a lungo termine è essenziale, perché un Consiglio impegnato e un approccio a lungo termine sono preziosi indicatori della capacità di un’azienda di creare valore a lungo termine per gli azionisti. Proprio mentre cerchiamo una conversazione più profonda tra aziende e azionisti, chiediamo anche che i direttori assumano un coinvolgimento più profondo con la strategia a lungo termine di un’azienda. Le commissioni si incontrano solo periodicamente, ma la loro responsabilità è continua; gli amministratori le cui conoscenze derivano solo da riunioni sporadiche non assolvono il loro dovere nei confronti degli azionisti. Allo stesso modo, i dirigenti che vedono questi temi solo come un fastidio minano se stessi e le prospettive dell’azienda di ottenere una crescita a lungo termine.
Continueremo anche a sottolineare l’importanza di un Consiglio di Amministrazione rispettoso della diversità. I Consigli con un mix eterogeneo di generi, etnie, esperienze di carriera e modi di pensare hanno, di conseguenza, una mentalità più diversificata e consapevole. Sono meno propensi a soccombere o a finire succubi di nuove minacce al modello di business di un’azienda. E sono più in grado di identificare le opportunità che promuovono la crescita a lungo termine.
Inoltre, il Consiglio è essenziale per aiutare un’azienda a articolare e perseguire il suo scopo, oltre a rispondere alle domande che sono sempre più importanti per i suoi investitori, i suoi consumatori e le comunità in cui opera. Nell’attuale contesto, questi stakeholder chiedono che le aziende esercitino la leadership su una più ampia gamma di problemi. E hanno ragione: la capacità di un’azienda di gestire le questioni ambientali, sociali e di governance dimostra la leadership e il buon governo di un’azienda, che sono così essenziali per una crescita sostenibile, motivo per cui stiamo integrando sempre più queste problematiche nel nostro processo di investimento.
Le aziende devono chiedersi: quale ruolo giochiamo nella comunità? Come gestiamo il nostro impatto sull’ambiente? Stiamo lavorando per creare una forza lavoro diversificata? Ci stiamo adattando ai cambiamenti tecnologici? Stiamo fornendo la riqualificazione e le opportunità che i nostri dipendenti e il nostro business dovranno adeguare a un mondo sempre più automatizzato? Usiamo la finanza comportamentale e altri strumenti per preparare i lavoratori alla pensione, in modo che investano in un modo che li aiuti a raggiungere i loro obiettivi?
Entrando nel 2018, BlackRock è desideroso di partecipare a discussioni sulla creazione di valore a lungo termine e di lavorare per costruire un quadro migliore per servire tutti i vostri stakeholder. Oggi, i nostri clienti – che sono i proprietari della vostra azienda – vi chiedono di dimostrare la leadership e la chiarezza che guideranno non solo i loro ritorni sugli investimenti, ma anche la prosperità e la sicurezza dei loro concittadini. Non vediamo l’ora di interagire con voi su questi temi.
Cordiali saluti, LARRY FINK  – CEO Blackrock

 
 




Il nuovo spot della Huawei spopola: crea un capolavoro per far riflettere l’umanità intera

Il nuovo spot della Huawei spopola: crea un capolavoro per far riflettere l’umanità intera

bbiamo tra le mani un grande potere e le scelte che compiamo ogni giorno, anche a tavola, possono davvero fare la differenza: ce lo dimostra il nuovo spot Huawei.
Il loro destino è nelle nostre mani: sembra il titolo di un film, invece è la realtà dei fatti e ce lo dimostra in modo originale e commovente il nuovo spot Huawei (nel video qui in basso), che pubblicizza l’ultimo modello di smartphone prodotto dall’azienda. Protagonisti del brevissimo video sono un teenager e un animaletto tenerissimo, un esserino di una specie ignota che viene ribattezzata “Gnu gnu”. Una scoperta così sensazionale che non può non essere condivisa con gli amici: basta uno smartphone, una fotocamera e una connessione a internet perché il destino della creaturina sia inevitabilmente segnato.
Dalla fama internazionale alla cattività il passo è breve: in pochissimo tempo quello che era un animale libero di vivere nel proprio habitat, si trasforma in un vero e proprio fenomeno mediatico, che porta in un baleno alla nascita di gadget dedicati come magliette e giocattoli per bambini. Impossibile a questo punto non cavalcare l’onda: tutti devono poter ammirare dal vivo il tenero Gnu gnu e l’unico modo per farlo è rinchiuderlo in una gabbia.

La responsabilità delle azioni

Per sua fortuna, questo piccolo essere ha incontrato sulla sua strada una persona di buon senso e quello che sembrava già un destino segnato, torna a essere semplicemente un sogno a occhi aperti: la foto dell’animale viene cancellata e lo Gnu gnu può continuare a vivere tranquillo tra i boschi. Lo stesso, purtroppo, non si può dire di tutti gli animali che, nella realtà, vengono quotidianamente violati per un click: un selfie con un animale esotico, per moltissimi individui nel mondo, vale ben più della vita dell’animale stesso.

Un cucciolo di delfino trovato su una spiaggia in Argentina: invece che riportarlo in mare, la folla si sarebbe accalcata per fotografarlo, causandone così la morte per disidratazione
Ecco quindi animali come squali, delfini, tigri o elefanti – solo per citarne alcuni – uccisi, lasciati morire o torturati (come Boris, un esemplare di Lori lento privato dei denti per permettere ai turisti di fotografarsi con lui) in nome di una fotografia che immortali quell’incontro inaspettato, una sorta di macabro trofeo da mostrare con orgoglio ad amici e parenti durante una cena. Pensiamo inoltre ai tantissimi video che circolano in rete, quelli che nella fretta di un mondo virtuale che corre troppo veloce, intravediamo senza nemmeno capirli pienamente: il più delle volte quello che cataloghiamo come un video simpatico e divertente, nasconde invece sfruttamento e sofferenza per gli animali che ne sono protagonisti.
Un esempio tra tutti è il video, diventato virale qualche tempo fa, che mostrava un topolino intento a “farsi la doccia” (qui in basso): grazie all’analisi di alcuni etologi, si è scoperto che lungi dal divertirsi, il roditore in questione – che non è nemmeno un topo, ma un pacarana (animale notturno che vive nelle foreste pluviali) – stava invece compiendo gesti che indicano un forte disagio, cercando freneticamente di togliersi dal pelo la schiuma che presumibilmente gli provocava prurito e fastidio.

Ecco fino a che punto può spingersi il narcisismo umano, nella folle convinzione che il mondo e le sue creature siano “lì per noi”, a nostra disposizione, in vita solo e soltanto perché l’uomo possa sfruttarle per i propri bisogni o interessi. Una convinzione che sta alla base dello specismo – corrente di pensiero secondo la quale l’essere umano possiede uno status morale superiore rispetto agli altri animali – e che ci legittima, ormai da decenni, a rinchiudere miliardi di animali all’interno di allevamenti intensivi sparsi in tutto il mondo. Ma non è tutto: la spettacolarizzazione della sofferenza animale in ogni sua forma – sia essa l’uccisione in un’arena, la privazione della libertà o lo sfruttamento durante lo “sport” – è ormai quasi un dato di fatto, qualcosa a cui ci siamo talmente tanto assuefatti da considerarlo naturale e insito nella nostra società.
Eppure, una soluzione a tutto questo esiste ed è fatta di empatia e buon senso. Tutti noi, come recita questo spot, abbiamo davvero un grande potere nelle nostre mani e le scelte che compiamo ogni giorno possono fare la differenza.