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Il nuovo spot della Huawei spopola: crea un capolavoro per far riflettere l’umanità intera

Il nuovo spot della Huawei spopola: crea un capolavoro per far riflettere l’umanità intera

Abbiamo tra le mani un grande potere e le scelte che compiamo ogni giorno, anche a tavola, possono davvero fare la differenza: ce lo dimostra il nuovo spot Huawei.
Il loro destino è nelle nostre mani: sembra il titolo di un film, invece è la realtà dei fatti e ce lo dimostra in modo originale e commovente il nuovo spot Huawei (nel video qui in basso), che pubblicizza l’ultimo modello di smartphone prodotto dall’azienda. Protagonisti del brevissimo video sono un teenager e un animaletto tenerissimo, un esserino di una specie ignota che viene ribattezzata “Gnu gnu”. Una scoperta così sensazionale che non può non essere condivisa con gli amici: basta uno smartphone, una fotocamera e una connessione a internet perché il destino della creaturina sia inevitabilmente segnato.
Dalla fama internazionale alla cattività il passo è breve: in pochissimo tempo quello che era un animale libero di vivere nel proprio habitat, si trasforma in un vero e proprio fenomeno mediatico, che porta in un baleno alla nascita di gadget dedicati come magliette e giocattoli per bambini. Impossibile a questo punto non cavalcare l’onda: tutti devono poter ammirare dal vivo il tenero Gnu gnu e l’unico modo per farlo è rinchiuderlo in una gabbia.

La responsabilità delle azioni

Per sua fortuna, questo piccolo essere ha incontrato sulla sua strada una persona di buon senso e quello che sembrava già un destino segnato, torna a essere semplicemente un sogno a occhi aperti: la foto dell’animale viene cancellata e lo Gnu gnu può continuare a vivere tranquillo tra i boschi. Lo stesso, purtroppo, non si può dire di tutti gli animali che, nella realtà, vengono quotidianamente violati per un click: un selfie con un animale esotico, per moltissimi individui nel mondo, vale ben più della vita dell’animale stesso.

Un cucciolo di delfino trovato su una spiaggia in Argentina: invece che riportarlo in mare, la folla si sarebbe accalcata per fotografarlo, causandone così la morte per disidratazione
Ecco quindi animali come squali, delfini, tigri o elefanti – solo per citarne alcuni – uccisi, lasciati morire o torturati (come Boris, un esemplare di Lori lento privato dei denti per permettere ai turisti di fotografarsi con lui) in nome di una fotografia che immortali quell’incontro inaspettato, una sorta di macabro trofeo da mostrare con orgoglio ad amici e parenti durante una cena. Pensiamo inoltre ai tantissimi video che circolano in rete, quelli che nella fretta di un mondo virtuale che corre troppo veloce, intravediamo senza nemmeno capirli pienamente: il più delle volte quello che cataloghiamo come un video simpatico e divertente, nasconde invece sfruttamento e sofferenza per gli animali che ne sono protagonisti.
Un esempio tra tutti è il video, diventato virale qualche tempo fa, che mostrava un topolino intento a “farsi la doccia” (qui in basso): grazie all’analisi di alcuni etologi, si è scoperto che lungi dal divertirsi, il roditore in questione – che non è nemmeno un topo, ma un pacarana (animale notturno che vive nelle foreste pluviali) – stava invece compiendo gesti che indicano un forte disagio, cercando freneticamente di togliersi dal pelo la schiuma che presumibilmente gli provocava prurito e fastidio.

Ecco fino a che punto può spingersi il narcisismo umano, nella folle convinzione che il mondo e le sue creature siano “lì per noi”, a nostra disposizione, in vita solo e soltanto perché l’uomo possa sfruttarle per i propri bisogni o interessi. Una convinzione che sta alla base dello specismo – corrente di pensiero secondo la quale l’essere umano possiede uno status morale superiore rispetto agli altri animali – e che ci legittima, ormai da decenni, a rinchiudere miliardi di animali all’interno di allevamenti intensivi sparsi in tutto il mondo. Ma non è tutto: la spettacolarizzazione della sofferenza animale in ogni sua forma – sia essa l’uccisione in un’arena, la privazione della libertà o lo sfruttamento durante lo “sport” – è ormai quasi un dato di fatto, qualcosa a cui ci siamo talmente tanto assuefatti da considerarlo naturale e insito nella nostra società.
Eppure, una soluzione a tutto questo esiste ed è fatta di empatia e buon senso. Tutti noi, come recita questo spot, abbiamo davvero un grande potere nelle nostre mani e le scelte che compiamo ogni giorno possono fare la differenza.




Plastic free, oggi parte la rivoluzione al ministero dell’Ambiente: solo acqua alla spina. E la ricerca va avanti

Plastic free, oggi parte la rivoluzione al ministero dell’Ambiente: solo acqua alla spina. E la ricerca va avanti
Il cambiamento non riguarda solo il dicastero: al via progetti nel Lazio, a Milano e nel resto d’Italia. E poi c’è chi vive cercando di eliminare la plastica dagli oceani, come il 24enne olandese Boyan Slat che ha deciso di sfidare la Great Pacific Garbage Patch, l’isola di rifiuti tra Hawaii e California e grande il triplo della Francia


La rivoluzione plastic free è in atto: dalle sfide istituzionali ai progressi della scienza. Da oggi il ministero dell’Ambiente mette al bando la plastica, come aveva annunciato lo stesso ministro Sergio Costa il 5 giugno, in occasione della Giornata internazionale dell’Ambiente. Ma il cambiamento non riguarda solo il dicastero, perché sono centinaia le adesioni. La Commissione Cultura alla Regione Lazio ha presentato  a luglio il piano ‘Lazio Plastic Free’. Anche il Consiglio comunale di Milano preme sull’acceleratore per attuare la rivoluzione. E mentre tutto ciò avviene ci sono ricercatori che nei laboratori delle università più prestigiose al mondo sono al lavoro per cercare di trovare una soluzione al problema: ogni anno 8 milioni di tonnellate di rifiuti plastici vengono riversati negli oceani. E poi c’è chi vive cercando di eliminare la plastica dagli oceani. Basti pensare alla storia di Boyan Slat, ad appena 24 anni, a capo di un’impresa storica alla quale partecipano anche italiani.
Da oggi la rivoluzione al ministero
Già nei giorni scorsi, nella sede del ministero dell’Ambiente di via Cristoforo Colombo, a Roma, si è proceduto a installare dispense di acqua alla spina e sostituire i prodotti all’interno dei distributori. Lo stesso ministro, in un post su Facebook, ha ricordato che sono in arrivo due leggi per ridurre la plastica monouso e gli imballaggi. La prima, attesa entro una decina di giorni, dovrebbe chiamarsi ‘SalvAmare’ e anticipa la direttiva europea contro gli oggetti monouso. La seconda legge per cui, ha spiegato Costa, sono già stati trovati i fondi prevede agevolazioni sia per gli imprenditori che riducono gli imballaggi, sia per i consumatori che comprano prodotti più sostenibili. Ma la rivoluzione non si ferma al ministero.

Centinaia le adesioni

“Da quando abbiamo lanciato la sfida, sono arrivate centinaia di adesioni – ha dichiarato il ministro – Comuni, regioni, università, prefetture, associazioni, catene di supermercati, piccole isole”. A luglio il presidente della Regione Lazio, Nicola Zingaretti, ha presentato il piano ‘Lazio Plastic Free’, progetto in cinque punti per ridurre l’uso della plastica. Le parole chiave sono riduzione, recupero, riciclo, rigenerazione e riuso. Ad agosto la commissione Cultura alla Camera ha aderito alla campagna. Ad annunciarlo è stato Luigi Gallo, deputato del Movimento 5 Stelle e presidente della commissione cultura della Camera dei Deputati: “Siamo la prima commissione paper free e plastic free perché abbiamo la responsabilità di accelerare e accompagnare una rivoluzione culturale”. Il primo passo è stato quello di sostituire la fornitura di bottigliette di plastica per i deputati con quelle in vetro.
A questo proposito si muove anche Milano. La plastica usa e getta non dovrebbe scomparire solo dagli uffici dell’amministrazione e delle sue partecipate, ma il Consiglio comunale si è posto un obiettivo più ambizioso. Come scrive Repubblica, in un ordine del giorno bipartisan appena depositato (primi firmatari sono Carlo Monguzzi del Pd e Patrizia Bedori di M5S, ma il testo è stato siglato anche dagli altri gruppi), l’aula chiede al sindaco e alla giunta che tutta Milano diventi plastic free con un programma che bandisca l’uso della plastica in città, a favore di packaging biodegradabili. Una settimana fa è stata approvata all’unanimità dal Consiglio comunale anche la mozione “Fiumicino Comune Plastic Free”, a prima firma del capogruppo del Movimento 5 Stelle, Ezio Pietrosanti. Così è accaduto ad Ancona, a Follonica (Grosseto) e a Pachino (Palermo), dove il sindaco Roberto Bruno ha firmato un’ordinanza vietando, dal 1 novembre 2018, l’uso e la commercializzazione di contenitori, di stoviglie monouso e altro materiale non biodegradabile.

A caccia di plastica

E c’è chi il suo impegno nella battaglia contro la plastica lo mostra fuori dai laboratori. Sul campo, ossia negli oceani. Questo ha fatto il giovane olandese, Boyan Slat, 24 anni, partito a settembre da San Francisco dopo cinque anni di test per iniziare il suo viaggio verso l’Oceano Pacifico all’assalto della Great Pacific Garbage Patch, l’isola di rifiuti tra Hawaii e California grande tre volte la Francia. Un assalto condotto con l’utilizzo di sistemi di barriere galleggianti. Ocean Cleanup, così si chiama il progetto per cui sono state raccolte donazioni per oltre 30 milioni di dollari, è stato immaginato nel 2013 quando Slat aveva appena 18 anni. Ci hanno lavorato anche due italiani, l’ingegnere Roberto Brambini e il biologo Francesco Ferrari. La struttura è composta da un tubo lungo 600 metri e da un pannello flessibile che raccoglie i frammenti di plastica sotto la superficie dell’acqua. Un enorme Pac-Man.

La membrana killer

Ma c’è un altro modo per combattere i rifiuti. Perché accanto a chi si occupa di prevenzione c’è anche chi si impegna per risolvere il problema delle tonnellate di rifiuti che, purtroppo, sono già nell’ambiente: ogni chilometro quadrato di oceano contiene qualcosa come 63mila frammenti plastici che vengono ingeriti dagli animali, finendo nella catena alimentare. A dirlo sono i dati dell’Organizzazione delle Nazioni Unite. Sono diversi, in tutto il mondo, i progetti e gli esperimenti avviati per risolvere il problema. È nato in Svezia il progetto Claim, che punta a eliminare queste microplastiche con una membrana attivata dalla luce solare. Un gruppo di scienziati del Kth Royal Institute of Technology ha realizzato l’innovativo sistema partendo dal presupposto che l’esposizione alla luce solare può degradare la plastica in elementi innocui. Questo processo, chiamato ossidazione fotocatalitica, può tuttavia richiedere anni. Ecco perché gli scienziati hanno cercato un modo per accelerare il tutto, creando una nuova membrana fotocatalitica da aggiungere ai sistemi filtranti delle acque reflue. Il sistema è costituito da nanofili rivestiti in un materiale semiconduttore che può assorbire la luce visibile e utilizzarla per distruggere le particelle di plastica.

Chi (o cosa) mangerà la plastica

La scorsa primavera sono stati invece divulgati i risultati di uno studio condotto da ricercatori della Portsmouth University e dal Laboratorio nazionale per le energie rinnovabili del ministero dell’Energia statunitense, che hanno scoperto un enzima mutante in grado di “mangiare” i rifiuti in plastica. Il risultato è arrivato in maniera accidentale durante gli esperimenti sulla struttura cristallina del PETase, l’enzima che aiuta il microbo giapponese Ideonella sakaiensis a distruggere le plastiche. Il microbo è stato scoperto nel 2016 da un gruppo di studiosi giapponesi nel terreno di una fabbrica per il riciclo di materie prime: si era adattato a mangiare la plastica presente nel suo habitat e aveva sviluppato un enzima specifico. Gli scienziati hanno sfruttato i raggi per creare un modello 3D ad altissima risoluzione dell’enzima, con l’obiettivo di valutarne l’efficienza. Dai dati raccolti è emerso non solo che le prestazioni potevano migliorare, ma che si poteva arrivare a un’efficienza venti volte maggiore rispetto a quella iniziale.
Anche un fungo, l’Aspergillus tubingensis, sarebbe in grado di mangiare i rifiuti di plastica. Lo hanno confermato di recente gli scienziati del Royal Botanic Gardens Kew di Londra che, nel rapporto State of the World’s Fungi 2018, descrivono le sue proprietà. L’organismo è stato isolato per la prima volta nella spazzatura di una discarica di Islamabad, in Pakistan. Studiandolo in laboratorio, gli scienziati dell’Accademia delle Scienze cinese e dell’Università di Agricoltura dello Yunnan (Cina) hanno potuto osservare come l’apparato vegetativo del fungo aveva colonizzato un foglio di materiale plastico in poliuretano poliestere, causando la degradazione della sua superficie. In due mesi di esperimento, il fungo aveva praticamente ridotto la lastra in poltiglia.

La larva che smaltisce la plastica: cervelli italiani dietro la scoperta 

E ci sono intelligenze italiane dietro la scoperta di un bruco, comunemente usato come esca dai pescatori, capace di smaltire in maniera del tutto naturale il polietilene, una delle plastiche più utilizzate e diffuse anche nelle buste shopper. Si tratta della larva della tarma della cera, un parassita degli alveari, diventato famoso grazie a una ricerca coordinata dall’università britannica di Cambridge e condotta in collaborazione con l’Istituto spagnolo di Biomedicina e Biotecnologia della Cantabria. La scoperta, tra l’altro, è avvenuta per caso proprio grazie a un’osservazione della biologa e apicultrice Federica Bertocchini che lavorava per lo Csic. Mentre stava rimuovendo i parassiti dalle sue arnie, li aveva messi temporaneamente in una busta di plastica, che in poco tempo si è riempita di buchi. La ricercatrice si è messa subito in contatto con Paolo Bombelli e Christopher Howe, del dipartimento di Biochimica dell’università di Cambridge e insieme hanno programmato un esperimento. Un centinaio di larve sono state poste vicino a una busta di plastica nella quale, già a distanza di 40 minuti, sono comparsi i primi buchi.
 




Iniziative di corporate social responsibility e sostenibilità aziendale: cosa lega brand e consumatori

Iniziative di corporate social responsibility: cosa fanno le aziende e come le intendono i consumatori, in una panoramica Codacons.

Perché un’azienda moderna non dovrebbe rinunciare a progetti e iniziative di corporate social responsibility? Come, e in che caso, questi possono migliorare la sua stessa immagine e il suo posizionamento presso i consumatori? E, ancora, quanto i consumatori reputano importante la CSRe cosa fare per comunicargliela al meglio? A queste e simili domande prova a rispondere “Alla Scoperta della Sostenibilità”, uno studio quali-quantitativo del Codacons condotto a partire dai bilanci sociali di oltre 150 realtà italiane e dai colloqui con quasi cento CSR manager. L’obiettivo dichiarato è  promuovere, appunto, una cultura della sostenibilità e dimostrare come un impegno reciproco di aziende e consumatori possa assicurare un modo sostenibile tanto di produrre quanto di consumare.

INIZIATIVE DI CORPORATE SOCIAL RESPONSIBILITY: COME LE FANNO LE AZIENDE E COME I CLIENTI VORREBBERO VENISSERO FATTE

Lo studio così analizza innanzitutto le principali iniziative di corporate social responsibility intraprese dalle aziende o, meglio, le loro aree di riferimento. Se si guarda alle iniziative finanziarie, e cioè a quelle che richiedono un impegno economico diretto da parte delle aziende, le più comuni si muovono nei campi delle risorse umane (11.8%), del supporto alla comunità (11.4%) e più in generale dell’etica e della compliance aziendale (8.8%); ancora poco frequenti sono invece i progetti di CSR che interessano campi come i consumi energetici e la ricerca e innovazione (in entrambi i casi poco più del 4%) o la cultura (1.6%).
Ancora più interessante, comunque, è il tentativo del Codacons di incrociare i dati su cosa già le aziende fanno quando si tratta di responsabilità sociale e cosa, invece, i consumatori gradirebbero venisse fatto. Tra progetti e iniziative di corporate social responsibility più apprezzati dai consumatori ci sarebbero, così, quelli che hanno a che vedere con la cultura (10.6%), lo sport e il sostegno alle fasce più deboli di popolazione (in entrambi i casi il 9.1%); mentre il benessere dei dipendenti, che si è visto essere uno dei campi in cui le aziende investono di più quando si tratta di CSR, è in realtà in fondo alle priorità dei clienti.
Generalizzando, lo studio prova a identificare due tipologie di sostenibilità: ci sono progetti e iniziative dette di «sostenibilità egoista», e sono progetti e iniziative che ottimizzano per lo più risultati e benessere aziendale e solo in secondo luogo hanno effetti a largo spettro; quella a cui ci si riferisce invece come «sostenibilità altruista», che include una serie di attività che hanno invece in primis un beneficio sulla società. È sfruttando queste due categorie che il divario, già segnato dallo studio, tra ciò che i consumatori si aspettano le aziende facciano per mostrare il loro contributo alla cosa pubblica e cosa invece queste fanno realmente, appare evidente: allo stato attuale, infatti, i soggetti business sembrano investire soprattutto in iniziative di sostenibilità egoista (in una misura di oltre il 50%), mentre i consumatori sembrerebbero gradire invece soprattutto quelle di tipoaltruista (così ha dichiarato il 56% del campione). Far in modo che questi due modi di intendere la CSR combacino, tramite iniziative e programmi di «sostenibilità mista» per esempio, sembrerebbe indispensabile se l’obiettivo è rendere le aziende e i loro consumatori co-protagonisti di un cambio di paradigma, anche per quanto riguarda il consumo.

tipologie di sostenibilità preferenze aziende

Fonte: Codacons

tipologie di sostenibilità preferenze consumatori
Tanto più che, come già altri studi in materia, quello del Codacons conferma come proprio il tema della sostenibilità, e quindi le iniziative di corporate social responsibility, abbiano un peso concreto e in crescita (di almeno il 12% rispetto a un’edizione precedente dello stesso studio) nelle decisioni d’acquisto. La qualità immateriale di un prodotto, per la cui percezione giocano un ruolo fondamentale la reputazione di un’azienda e inevitabilmente quindi anche tutte le iniziative di stampo sociale in cui questa è coinvolta, sembrerebbe essere, dopo il costo e la qualità materiale, tra i fattori che fanno pendere l’ago della scelta più da una parte rispetto a un’altra. Per più di un consumatore su due la sostenibilità deve essere considerata, di diritto, una matrice di crescita per l’azienda e – verrebbe da aggiungere – non solo, dal momento che buona parte del campione si dice d’accordo nel sostenere che le attività non finanziarie di un brand o di un qualsiasi soggetto business, come quelle legate alla CSR appunto, possono contribuire al benessere diffuso (il 44%) e allo sviluppo sostenibile (il 36%).

iniziative di CSR e benessere diffuso

Fonte: Codacons

iniziative di CSR e sviluppo sostenibile

COME COSTRUIRE UN RACCONTO CONSUMER-FRIENDLY DELLA CSR

Se l’obiettivo è avvicinare attitudini e prospettive aziendali e consumatori, un peso fondamentale sembra assumerlo comunque come si comunica la CSR. Fin qui i siti web, aziendali o appositamente dedicati ai programmi di responsabilità aziendale sono il canale principale attraverso cui verrebbero presentate a consumatori e stakeholder le iniziative di corporate social responsibility (li scelgono almeno il 49% delle aziende). Il resto lo fanno la spedizione di testi scritti, spesso il documento di bilancio sociale, e il lavoro dell’ufficio stampa. L’ideale a cui puntare, però, secondo il Codacons sarebbe una comunicazione «molecolare» e «orientata»: significa sfruttare ogni canale che si ha a disposizione, dai social al blog aziendale, passando per le newsletter, per imbastire il racconto delle attività non lucrative svolte e dei risultati non finanziari raggiunti.
In questo racconto, tra l’altro, non è escluso che anche influencer «nativi» e micro-influencer possano rappresentare una voce importante: come sempre, quando si tratta di strategie di influencer marketing, è in virtù da un lato della loro expertise nel campo, nel settore in questione e dall’altro della fiducia di cui godono presso la propria audience e la propria community che figure come queste si rivelano i migliori ambasciatori di un brand, anche quando in gioco ci sono appunto il suo impegno e la sua compliance pubblica.




Facebook s’è rotto, anche oggi per il social ci sono problemi di condivisione

Facebook s’è rotto, anche oggi per il social ci sono problemi di condivisione

Facebook non funziona, problemi per il social non ancora risolti, ieri il down generale, oggi molti non riescono a postare sulle pagine.

l nuovo trend del giorno è Facebook Down, il famoso social network fa le bizze in tutta Italia. Nella giornata di ieri, grandi problemi nella condivisione di post, soprattutto sulle pagine. Dalle 13 di ieri inoltre il social è risultato inaccessibile per tantissimi iscritti.

Facebook Down, ancora problemi per il social

Qualcosa è andato storto nella rete di Facebook nel pomeriggio di ieri, ma certamente anche oggi le cose non sono perfette. C’è ancora chi lamenta un malfunzionamento del social, ma procediamo per ordine. Ieri pomeriggio molti utenti hanno trovato difficoltà ad accedere al proprio account. Grande lentezza, pagine non trovate e altro ancora. Insomma, le classiche problematiche che riscontriamo quando un sito web ha dei problemi. La cosa è rimasta inalterata sua per desk che per smartphone.
Le segnalazioni più disperate sono arrivate soprattutto dalle nostre grandi metropoli, in particolare su Milano, Roma e Napoli. Il problema si è poi via via affievolito con il passare delle ore, anche se non per tutti. Ad ogni modo, al mattino seguente, cioè oggi, tutti si sono svegliati come al solito, con un classico buongiorno su Facebook, a riprova che il problema è rientrato, ma non per tutti. Infatti, le pagine continuano a presentare grossi problemi nella condivisione dei post. Questo sta causando difficoltà importanti alle aziende che appunto utilizzano Facebook per scopi un tantino più importanti del classico post scanzonato degli account semplici.
Insomma, anche per oggi ci sarà da tribolare. Alcuni admin stanno regolarmente programmando sulla propria pagina, altri della stessa azienda però lamentano ancora difficoltà nel farlo. In pratica, una volta avviata la pubblicazione, invece di aprirsi il consueto spazio per i post, si apre una finestra ristretta e priva di accessi, in pratica rimane bloccata e inutilizzabile, unica procedura consentita a quel punto è resettare la pagina e uscire. Si spera che in giornata possa risolversi la faccenda e tutto possa ritornare nella norma.




La svolta del Movimento 5 stelle e l’addio al ‘vecchio’ web

La svolta del Movimento 5 stelle e l’addio al ‘vecchio’ web

Viaggio nella comunicazione online del primo partito italiano

MeetUp e blog sono stati il volano del Movimento 5 stelle. Gli attivisti si davano appuntamento online per incontrarsi e formare gruppi di lavoro. Il blog di Beppe Grillo è stato per anni il punto di riferimento: i post dettavano la linea, con uno stile graffiante e anti-sistema. Ora che sono diventati ‘grandi’ (il M5s è il partito che ha raccolto più consensi alle ultime elezioni) è cambiato radicalmente il modo di comunicare. Sono cambiati gli strumenti e il linguaggio.

Se da un lato non stupiscono più di tanto l’attenzione e la cura riposte nei social, colpisce trovare come primo risultato su Google il sito ufficiale del Movimento. Un sito praticamente abbandonato, anche se, come dimostra Google Trend, sono proprio le parole “movimento 5 stelle” e non “blog 5 stelle” o “Rousseau 5 stelle” le più ricercate online.

Nonostante questo, sul portale dei pentastellati è presente dal 23 settembre, alle ore 23:15, un post dal titolo “Luigi di Maio LA GRONDA” con allegata un’immagine del vicepremier e un testo che recita “BLA BLA BLA PROVA!” (qui il link ancora funzionante). Non è una bufala o un attacco hacker. Come vedremo tra poco, non si tratta di una svista, ma probabilmente del risultato della decisione di dedicare tutte le energie ad altri strumenti di comunicazione, piuttosto che al web tradizionale, cui il Movimento deve la sua fortuna.

Partiamo dalla home page. In apertura del sito un’anteprima che rimanda a una pagina del 2017 in cui il Movimento informa gli elettori di aver aperto 3 punti “SosAntiEquitalia e critica il “Bomba” (l’ex premier Matteo Renzi, ndr). Proseguendo, nella prima pagina ci sono le liste dei candidati plurinominali e uninominali alle elezioni del 4 marzo, il programma del Movimento 5 stelle e altre cinque sezioni. Non va meglio nelle sottopagine corrispondenti, dove le foto non si caricano e le informazioni sono ripetitive o, al contrario, mancano del tutto.

La sezione Voci dal Parlamento, per esempio, altro non è che il sotto-sito dedicato all’attività parlamentare del Movimento 5 stelle, a cura — ci informa un disclaimer in fondo alla pagina — dell’ufficio comunicazione Gruppi Parlamentari M5S. Qui il primo post in homepage parla di intercettazioni e di governo, ma non quello attuale, quello del 2017, e risale infatti al 29 dicembre di quell’anno. Navigando sul sito, però, si trovano contenuti più recenti, come l’intervista di Di Maio al Fatto Quotidiano del 24 settembre 2018 sulla Manovra e gli aggiornamenti pubblicati dalle commissioni parlamentari (l’ultimo risale al 10 maggio).

Dal sito ufficiale passiamo al blog del Movimento 5 stelle, www.ilblogdellestelle.it, fulcro dell’attività online del Movimento. Il portale web è utilizzato per comunicare con gli elettori/attivisti e indicato sui social come collegamento web del Movimento. Ma è solo dal 2016 che questo sito ha iniziato a ospitare contenuti relativi ai pentastellati. Come si può verificare sul sito WayBackMachine, nei primi mesi del 2016 i contenuti erano dedicati ai convegni di Gianroberto Casaleggio e alla sua società per poi cambiare veste grafica nel maggio dello stesso anno e ospitare blog post del Movimento. I Cinquestelle, allora e dal 2005, pubblicavano sul blog di Beppe Grillo. Ma da gennaio 2018 il comico ha deciso di separare i contenuti politici dai suoi blog post, creando un sito a parte.

Sul blog delle stelle, un magazine e non un sito ufficiale, sono stati trasferiti i contenuti dal blog di Grillo, un immenso archivio che risale al gennaio 2005 (qui il primo link). Immenso sì, ma senza attenzione alla veste grafica e alla navigabilità. È sul Blog delle stelle che risiedono anche le informazioni sui MeetUp, gli incontri tra attivisti che hanno fondato il Movimento, ma anche per questi non c’è alcuna cura grafica e aggiornamento. Con una quasi invisibile finestra a tendina è possibile selezionare il comune e scoprire gli eventi in programma, ma per nessuno di essi, né per le grandi città né per i piccoli comuni, è possibile capire quando e come è stato organizzato l’incontro. C’è ancora un’altra fonte dove trovare gli incontri dei pentastellati: MeetUp. Qui i consiglieri regionali e comunali continuano a programmare incontri, ma ogni evento segnalato riguarda attività politica locale e i partecipanti non superano i 10 iscritti.

Screenshot del sito ilblogdellestelle.it nel febbraio 2016 — WayBackMachine

Altra parentesi la merita la piattaforma Rousseau(rousseau.movimento5stelle.it), “il sistema operativo del Movimento 5 stelle”. Tecnicamente, si tratta di un sotto-livello del portale movimento5stelle.it, che tuttavia risulta completamente diverso per grafica e contenuti. Gestita e di proprietà dell’associazione fondata da Casaleggio, la piattaforma Rousseau è il luogo di discussione per proposte di legge e aggiornamenti su tutte le attività del Movimento. Viene anche utilizzata per le votazioni interne del Movimento (ad esempio quella sul cosiddetto “contratto” da firmare con la Lega), anche se ha ha mostrato più volte di essere facile bersaglio di attacchi hacker, con diffusione di dati privati e informazioni degli iscritti.

I social cavallo di battaglia

Sono tuttavia i social media il vero cavallo di battaglia del Movimento 5 stelle. Con oltre un milione di fan sulla pagina ufficiale e più di 3 milioni di fan tra Luigi di Maio e Alessandro Di Battista solo su Facebook, i Cinquestelle comunicano attivamente con aggiornamenti quotidiani su tutte le piattaforme più utilizzate dagli italiani. Qui, però, non c’è alcuna comunicazione istituzionale. Il Movimento sulle sue pagine social è in perenne campagna elettorale. Dagli annunci sui decreti legge e sulle approvazione di norme alle richieste di donazioni, dal rilancio di interviste agli attacchi agli avversari politici, i contenuti social del primo partito italiano non sono istituzionali, ma inviti agli utenti a condividere le posizioni del Movimento.

A video e foto si alternano link che rimandano al Blog delle stelle, dove ogni articolo è scritto da un ‘portavoce’, che approfondisce un tema da discutere o che sta portando avanti nella sua battaglia politica, o è la riproduzione di un’intervista rilasciata a quotidiani nazionali e internazionali.

Sui social c’è anche Rousseau. Mentre il sito web rappresenta (o dovrebbe rappresentare) la parte più istituzionale del Movimento, con i dettagli sull’attività degli eletti e inviti alla partecipazione dei cittadini, le pagine social della piattaforma controllata dalla Casaleggio Associati — con meno di 25 mila utenti tra Facebook, Twitter e Instagram — hanno meno aggiornamenti e su Facebook, dove i fan sono in maggioranza, i contenuti sono principalmente rilanci del Blog delle stelle nello stesso stile propagandistico delle altre pagine del Movimento.

Quelle di non aggiornare il sito ufficiale, utilizzare i social solo per propaganda, affidarsi a una società privata per le comunicazioni istituzionali, sono scelte relativamente recenti del movimento. Scelte che potrebbero sembrare non connesse tra loro, ma che mostrano un evidente cambiamento della struttura del Movimento — sempre più partito — e della sua linea comunicativa. I contenuti istituzionali passano per Casaleggio &Co e qui sono gestiti e diffusi, mentre sui social la strategia naturale — ampiamente adottata da tutti i leader politici — è quella di guadagnare consensi.