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Csr, come farla male. Il pasticcio della United sulle armi

La decisione di recidere ogni collegamento con la National Rifle Association (compresi gli sconti riservati ai suoi membri), presa dalla United Continental Holding Inc. subito dopo la strage di Parkland, in Florida, potrebbe rivelarsi un boomerang.
Durante l’ultima assemblea annuale, un azionista ha fatto notare al ceo, Oscar Munoz, come la decisione rischi di allontanare milioni di potenziali clienti che possiedono armi da fuoco o che supportano il diritto a detenerle. Ebbene, la risposta di Munoz ha sminuito la portata della scelta: «Non è stata politica. (La decisione) è stata personale con riferimento alla mia “famiglia” della United».
Il Ceo della società ha spiegato che tra le 17 vittime della strage c’era anche Gina Rose Montaltola figlia teenager di un capitano della compagnia di volo. Tanto che circa un centinaio di piloti e altri dipendenti di United, JetBlue Airways Corp., American Airlines Group Inc. e FedEx Corp. hanno partecipato al suo funerale, formando una sorta di guardia d’onore all’entrata della celebrazione.
La dichiarazione di Munoz, però, potrebbe ora sollevare le proteste di quanti sostengono la scelta di allontanarsi dagli interessi della potente lobby delle armi Usa. Il rischio, infatti, è quello di aver fatto un pasticcio nella gestione di una scelta che poteva sembrare in linea con una ben definitaresponsabilità aziendale.




Influencer marketing: cos’è e come sfruttarlo

I social network sono una questione sempre più seria. Da tempo grandi e piccole aziende hanno intuito il potenziale di strumenti come Facebook, Twitter e Instagram per parlare direttamente ai propri consumatori e costruire relazioni uniche. Più recentemente però, i brand hanno scoperto un nuovo e potente canale per comunicare e raggiungere il proprio target: i cosiddetti (e sempre più famosi) influencer.
Figure accomunate da un largo seguito sui social, da una voce neutrale e allo stesso tempo autorevole agli occhi della propria community (authority, knowledge, position e relationship gli elementi costitutivi individuati da MailUp). La creazione di relazioni di valore è infatti al centro dell’Influencer Marketing, un insieme di tecniche e strategie che ha tra i propri obiettivi quello di aumentare la portata della voce del brand grazie all’affidamento dei propri messaggi a figure selezionate.
Influencer MarketingMa come scelgono le aziende l’influencer giusto? Fondamentale, nella persona individuata, la capacità di parlare a un pubblico preciso, con caratteristiche socio-demografiche e abitudini di consumo particolarmente delineate, una cosiddetta nicchia, che si immedesima nello stile del proprio influencer.
Conta dunque il numero di follower (parliamo generalmente di migliaia o addirittura milioni), ma questo non deve rappresentare l’unico criterio di valutazione all’interno di una strategia di Influencer Marketing, come sottolineato nella Video Academy di MailUp.
Oltre al seguito, è infatti necessario analizzare la capacità degli influencer di essere percepiti come persone “normali”. Di qui il vero paradosso, l’equilibrio sottile alla base dell’Influencer Marketing. Come può una persona considerata autentica e spontanea scendere “a compromessi” con un brand e mantenere intatta la relazione con il proprio pubblico? I migliori influencer hanno capito da tempo che la fiducia del proprio seguito è fondamentale per il proprio posizionamento e per il proprio business: per questo curano i propri contenuti nel minimo dettaglio e li inseriscono in uno storytelling intimo e personale.
Recentemente, negli Stati Uniti, la Federal Trade Commision ha però istituito una nuova tutela a difesa dei consumatori; l’obbligo cioè, di contrassegnare i contenuti a pagamento pubblicati su profili personali di influencer con gli hashtag #sponsored o #adv. Una misura che permette, tra l’altro, di tracciare in maniera semplice la condivisione di questi contenuti. Da gennaio 2017, solo su Instagram, ne sono stati pubblicati oltre 200 mila al mese.
Ma quanto guadagna un influencer? Per chi ha una follower base consolidata, quello dei social network è sicuramente un mercato lucrativo, come scrive l’Economist, che ha provato a fare una stima del valore di un singolo post sui diversi social network. Secondo il giornale, Instagram e Snapchat assicurano buoni ricavi: tra i 5 mila dollari per post per chi ha un massimo di 500 mila follower e oltre 150 mila dollari per chi supera i 7 milioni. Cifre considerevoli, ma nulla in confronto a YouTube, il canale più remunerativo in assoluto: si guadagnano infatti più di 12 mila dollari per un contenuto condiviso con un pubblico di 500 mila follower, per arrivare a 300 mila dollari con community di oltre 7 milioni.
Nonostante venga spesso liquidato come fenomeno di passaggio, questi dati dimostrano come l’Influencer Marketing sia di fatto un nuovo trend di considerevole portata, difficile da ignorare. Un’opportunità da analizzare a fondo per capire come utilizzarla per i propri obiettivi di brand, preparandosi a coglierne ogni possibile evoluzione.




Italia non profit

L’ospite del blog di questa settimana è Giulia Frangione, CEO di Italia Non Profit.
Ciao Giulia, benvenuta nel mio blog. La vostra organizzazione è molto particolare: ci racconti come è nata Italia Non Profit?
Italia non profit nasce a seguito di anni di studio, di lavoro e impegno nel Terzo Settore: è frutto della nostra esperienza nel non profit italiano, delle analisi, delle borse di ricerca, di quanto abbiamo visto e di cosa volevamo realizzare per gli enti e per i donatori.
In Italia non esisteva una piattaforma a cui accedere per conoscere le informazioni sulle organizzazioni che animano l’ecosistema di ogni cittadino: se è possibile conoscere ogni dettaglio dei ristoranti della zona in cui viviamo o lavoriamo perché è difficile orientarsi nel mondo del Terzo Settore che si occupa del benessere della società e a cui tantissimi donatori contribuiscono?
Abbiamo creato Italia non profit proprio per avvicinare le persone, i donatori, al Terzo Settore. Ci siamo ispirate a modelli internazionali – oggi diventati nostri partner, come GuideStar Usa – che operano su mercati in cui le issue trasparenza e accessibilità dei dati sono da sempre temi sentiti e di grande importanza nella conoscenza del Terzo Settore.
Abbiamo calato il modello sul sistema italiano, molto differente rispetto a quello americano. Abbiamo evitato di costruire i nostri servizi sulla base della comparazione tra enti, delle classifiche, caratteristiche proprie dei modelli e della cultura americana. Ci siamo sforzati di rendere fruibili i dati e le informazioni di contenuto altamente tecnico.
Come siete organizzati e come è composto il team di Italia Non Profit?
Siamo un team di 7 persone con competenze diverse che attengono il Terzo Settore, la passione per il coding e il digitale e l’amore per i dati e per l’analisi. Lavoriamo insieme da alcuni anni e proprio in queste settimane ci stiamo allargando, presto avremo con noi tre nuove risorse. Siamo un bellissimo gruppo di professionisti che hanno il privilegio di svolgere il lavoro che amano.
Quali sono tra gli strumenti che avete messo a punto quelli più apprezzati?
Italia non profit è di per sé uno strumento per gli utenti (donatori, cittadini, aziende) e per le organizzazioni non profit.
Gli utenti hanno a disposizione un vero e proprio motore di ricerca, interamente dedicato a soddisfare le esigenze di chi si interfaccia con il settore: sono disponibili numerosissime chiavi di ricerca che vanno dal bisogno, ai beneficiari, dalla geolocalizzazione alle opportunità fino alle dimensioni economiche. In questo modo, i donatori possono scoprire gli enti secondo i propri criteri, secondo ciò che per ognuno è più importante. Le funzionalità a disposizione degli utenti sono in continuo aumento: abbiamo creato un Glossario grazie al quale tutti i nostri utenti possono scoprire nuovi aspetti del Terzo Settore e li aiutiamo ad orientarsi in questo mondo così importante, ma al contempo complesso, accompagnandoli verso la conoscenza di tutto il ciclo di vita dell’ente, delle specificità di ciascuna organizzazione (è proprio per questa attività che i dati e le informazioni ci vengono in aiuto).
Gli enti hanno a disposizione una vetrina sul mondo, un luogo da sfruttare per farsi conoscere, per esprimere le proprie potenzialità e mostrarsi attraverso informazioni nuove, per far comprendere come funzionano nella loro interezza (per questo sulla piattaforma non vi è un focus solo sui progetti). Non solo: le organizzazioni non profit all’interno delle aree riservate hanno a disposizione analisi specifiche sul proprio ente a supporto della conoscenza interna e di approfondire le scelte di utilizzo della piattaforma per capire meglio gli interessi e le leve che avvicinano i donatori all’ente. Lo strumento che ci sta dando moltissimi feedback positivi e a cui siamo particolarmente affezionati è la Guida alla Riforma del Terzo Settore, un tool digitale gratuito in libera fruizione che aiuta ad orientarsi all’interno dei cambiamenti connessi alla norma in modo rapido e intuitivo, proponendo approfondimenti e contenuti utili.
L’ultima domanda è d’obbligo: che programmi avete per il futuro?
Lavoriamo quotidianamente per rendere l’esperienza degli utenti e degli enti migliore. Il nostro obiettivo è quello di diffondere la conoscenza del Settore, aumentare l’apporto delle donazioni e soddisfare i bisogni dei donatori.
Abbiamo in programma nuovi strumenti per le organizzazioni, per supportarle a farsi trovare dai donatori più facilmente e non solo sulla piattaforma.
La prossima settimana saremo online con alcuni aggiornamenti che crediamo siano di grande rilevanza per il Settore, ampliando lo spettro di analisi e azione della piattaforma: una nuova sfida che speriamo come in altre occasioni possa essere utile per il non profit e per i cittadini.




Quando il fundraising incontra l'emotional marketing

Ben il 67% delle persone che non hanno mai fatto una donazione sarebbe disposto a farla se trovasse una causa convincente. «Un esercito di potenziali donatori che le associazioni potrebbero raggiungere semplicemente imparando a raccontarsi in maniera efficace. L’approccio emozionale – afferma Francesco Quistelli, fondatore e Ceo di Atlantis Company – ha altissime potenzialità: permette alle aziende di legarsi alle onlus più adeguate al proprio bacino di consumatori e alle associazioni di investire con maggiore efficacia le proprie risorse»

Tra i consumatori italiani c’è una spiccata propensione ad acquistare prodotti che sostengono cause benefiche. Ben l’83% degli intervistati sarebbe disposto ad acquistare un prodotto sapendo che parte degli incassi saranno utilizzati per finanziare una causa benefica. La percentuale sale a sfiorare il 90% se il contributo solidale non comportasse un aumento del costo del prodotto, ma che non precipita, attestandosi al 72%, nemmeno quando si segnala un piccolo aumento del costo finale. È quanto emerge dalla ricerca “Fundraising Survey Italia 2018”, realizzata da Emotional Marketing per Atlantis Company, azienda specializzata nella consulenza e nella comunicazione nel settore nonprofit. Lo studio – condotto attraverso tecniche innovative basate sull’analisi delle emozioni e fondato sui dati derivanti da mille questionari somministrati via web incrociati con bigdata in costante aggiornamento sull’immaginario emotivo degli italiani – è stato presentato oggi in occasione della quarta edizione di “Reinventing”, l’appuntamento dedicato all’innovazione e allo sviluppo del fundraising, della comunicazione sociale e della CSR promosso da Atlantis Company.
Non tutti i prodotti e non tutte le cause benefiche ottengono, però, gli stessi risultati. Dalla ricerca risulta, ad esempio, che i consumatori preferiscono sostenere associazioni che sostengono la ricerca scientifica contro gravi malattie e la tutela dei minori, a prescindere dalla tipologia del prodotto acquistato. Mentre chi acquistano prodotti per animali è molto più sensibile ai temi connessi agli amici a quattro zampe e all’ambiente. Lo studio rivela, inoltre, che anche le modalità di sostegno dichiarate dalle aziende e l’approccio comunicativo delle associazioni sostenute influenzano sensibilmente le intenzioni di acquisto dei consumatori.
Quanto al profilo dei donatori, la ricerca “Fundraising Survey Italia 2018” mette in luce che il 52% per cento del campione analizzato ha sostenuto economicamente una causa benefica negli ultimi 12 mesi e che si tratta per lo più di donatori episodici. I donatori costanti sono soprattutto persone con più di 55 anni e rispondono ad un preciso profilo emozionale, più sensibile a determinate tecniche di comunicazione che ad altre. Il profilo emozionale dei donatori è indicativo anche in relazione all’importo delle donazioni, che mediamente si attesta sui 51 euro, ma che è decisamente più alto per alcune specifiche fasce di popolazione. In relazione alle modalità di donazione la parte da leone viene svolta dalle donazioni in contanti (21%), dalle donazioni on line attraverso carte di credito (19%) e dal bollettino postale (16%).
Sulla Corporate Social Responsibility, emergono innovative fotografie del settore non profit. L’aspetto più rilevante è che ben il 67% delle persone che hanno dichiarato di non aver mai fatto una donazione sarebbe disposto a farla se trovasse una causa convincente. «Un dato che si traduce in un vero e proprio esercito di potenziali donatori che le associazioni potrebbero raggiungere semplicemente imparando a raccontarsi in maniera efficace e che lascia trasparire le altissime potenzialità della collaborazione tra profit e nonprofit, con vantaggi strategici per entrambi i settori», sottolinea Francesco Quistelli, fondatore e Ceo di Atlantis Company. L’analisi approfondita di scenari e contesti connessi alle emozioni permette infatti di individuare il target elettivo di ciascuna onlus e offre importanti indicazioni alle aziende sul fronte Corporate Social Responsibility. «Ciascuna associazione – spiega il Ceo di Atlantis Company – si incardina in uno specifico quadro emozionale e conoscerne le tinte è fondamentale per impostare una strategia di comunicazione efficace e per avviare collaborazioni realmente e reciprocamente vantaggiose con le aziende». «L’approccio emozionale – conclude Quistelli – ha senza dubbio altissime potenzialità: permette alle aziende di legarsi alle onlus più adeguate al proprio bacino di consumatori e alle associazioni di investire meglio e con maggiore efficacia le proprie risorse, migliorando così la capacità di generare risorse indispensabili per affrontare le tante sfide che un’organizzazione nonprofit deve affrontare per il bene comune».



MiMoto, il primo scooter sharing elettrico senza stazioni

Nasce a Milano MiMoto, il primo ed unico servizio di scooter sharing elettrico ed ecosostenibile della città. Un’idea semplice che unisce in sé rispetto per l’ambiente, Made in Italy, sicurezza stradale, condivisione ed efficienza.

MiMoto oltre a essere una start up innovativa, è un servizio che ha l’obiettivo primario di offrire ai propri clienti finali un’esperienza smart, green e unica nel suo genere e, allo stesso tempo, migliorare la vita dei milanesi. Infatti vuole anche essere un alleato dell’amministrazione comunale che fin da subito si è dimostrata aperta e sensibile nei confronti del progetto.
“La sharing mobility milanese si arricchisce di un nuovo mezzo con il servizio di scooter sharing MiMoto, che ha anche il vantaggio di essere a zero impatto ambientale.” – dichiara Marco Granelli, Assessore a Mobilità e Ambiente del Comune di Milano – “I milanesi e i city user hanno dimostrato di apprezzare molto questa tipologia di servizi e di usarli quotidianamente. Con il loro sviluppo diventa sempre più importante che tutti rispettino le regole della convivenza e della condivisione in strada”.
Dal 14 ottobre 2017 residenti, pendolari e turisti potranno dimenticarsi lunghe code e attese: districarsi nel traffico milanese sarà molto più facile, grazie agli eScooter di Askoll scelti da MiMoto, omologati per due e con due caschi posizionati nel bauletto. Elettrici e Easy-to-usegrazie alla leggerezza del mezzo, facile da guidare e progettato per la mobilità urbana; ma anche Economico, con tariffe alla portata di tutti ed Efficiente, perché abbatte i tempi di viaggio, facendo risparmiare tempo e denaro.
Last but not leastnon c’è alcun vincolo di stazioni di ricarica. MiMoto è un servizio free floating e senza chiavi: localizzi l’eScooter più vicino tramite App, disponibile per iOS e Android, lo prenoti, parti e una volta terminata la corsa lo lasci dove vuoi all’interno dell’area operativa. Quest’ultima comprende tutto il centro della Città di Milano: le principali zone di interesse (Navigli, Città Studi, Lambrate, Morivione, Calvariate, De Angeli, San Siro e Bovisa Politecnico) e i principali distretti universitari tra cui Cattolica, Bocconi, Bovisa, Città Studi/Politecnico e IULM.
Un progetto dunque smart, user oriented e giovane, come giovani (under 35) sono i tre founders di MiMoto, Alessandro, Gianluca e Vittorio che hanno lavorato senza sosta fino ad oggi con metodo, ambizione e minuziosità al fine di offrire, all’esigente pubblico milanese, il miglior servizio possibile. I tre founders hanno cercato e trovato imprenditori e professionisti in grado di apportare al progetto un valore aggiunto, non solo dal punto di vista finanziario, ma in termini di expertise e know how, conseguendo un club deal di imprenditori di successo del settore.
MiMoto non è per noi una semplice idea che stiamo realizzando: è una sfida personale e professionale” – dichiarano i tre founders – “Lanciare sul mercato italiano un servizio di scooter sharing (che stiamo già progettando di implementare su scala nazionale ed internazionale) completamente ecosostenibile e Made in Italy, vuol dire posizionarsi come una realtà proiettata al futuro. Fin dall’inizio abbiamo deciso che MiMoto si sarebbe distinto per due plus principali: la sostenibilità e il Made in Italy. Un servizio dunque a zero emissioni, in grado di salvaguardare la salute dell’ambiente e di tutti i cittadini milanesi già sensibili a questa tematica, che contemporaneamente si renda portavoce dell’italianità dei materiali, dei servizi e delle aziende”.
I partner meticolosamente scelti sono un’ulteriore conferma di ciò: primo fra tutti Askoll, realtà italiana fornitrice degli scooter completamente elettrici. Sarà invece PLT puregreen, partner energetico emiliano-romagnolo, ad alimentare il servizio con la sua energia, prodotta esclusivamente da fonti 100% rinnovabili, mentre come partner assicurativo MiMoto ha scelto la torinese Nobis, realtà anch’essa attenta alle tematiche ambientali e supporter di progetti innovativi.
Utilizzare MiMoto significa dunque non solo usufruire di un servizio di sharing, ma adottare un preciso stile di vita e diventare ambassador di un cambiamento che mira a migliorare la qualità della vita dei cittadini, facilitando gli spostamenti urbani e fornendo, allo stesso tempo, un valido e concreto aiuto per migliorare l’aria che quotidianamente respiriamo.