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L'appello di Valigia Blu

Basata sui fatti. Aperta a tutti. Sostenuta dai lettori. Questa è Valigia Blu.
Verifica, contesto, approfondimento è il giornalismo che ci interessa. Senza pubblicità, al servizio della community.
Valigia Blu è un blog collettivo, nato quasi 10 anni su Facebook quando ancora non esisteva l’allarme “fake news”. Tutto iniziò con una richiesta di rettifica al TG1 – guidato da Augusto Minzolini – “Prescrizione non è assoluzione”. In poche settimane 200mila persone sottoscrissero il mio appello e così stampai quelle firme, le misi in una valigia (casualmente blu) e le portai davanti alla Rai in segno di protesta e perché il servizio pubblico ascoltasse la voce dei cittadini.
Dietro la spinta di quella mobilitazione, io e alcuni blogger, giornalisti, attivisti fondammo il sito Valigia Blu.  Due anni fa abbiamo lanciato il nostro primo crowdfunding. Crediamo in un modello di sostenibilità che vede la community sostenere l’informazione se la si ritiene di qualità e indispensabile alla propria esigenze informative.
Oggi siamo al nostro terzo anno di raccolta fondi. La campagna con le ricompense (ad ogni donazione è associata una ricompensa) sarà aperta fino a dicembre, poi come sempre sarà possibile donare (senza però ricompensa) durante tutto l’anno.

Cosa fa VB e perché sostenerla?

In un mondo dove l’informazione è sempre più veloce e frammentata, frettolosa, contaminata da indiscrezioni, pregiudizi e manipolazioni, Valigia Blu fa qualcosa di diverso: fare giornalismo con l’aiuto dei lettori, partendo dai fatti e confrontandosi ogni giorno con chi ci segue.
La nostra è una redazione diffusa. Valigia Blu è a Roma, Madrid, Bari, Napoli, Bologna, Amsterdam, e ovunque ci sia qualcuno con la voglia di collaborare. Non c’è un luogo fisico dove incontrarsi. Tutte le nostre comunicazioni avvengono online utilizzando gli strumenti digitali a nostra disposizione (Skype, Facebook, Slack…)
Per noi fare informazione è servizio pubblico. Ci occupiamo dei temi più dibattuti ma sui quali c’è anche molta confusione: vaccini, migranti, lavoro, alfabetizzazione ai media e alle news…
Eliminando il rumore di fondo, sono i fatti a rimanere al centro dei nostri approfondimenti. Fatti che discutiamo ogni giorno sulla nostra pagina Facebook, un luogo di incontro dove ci confrontiamo e discutiamo con chi commenta gli articoli.

La nostra è una forma di attivismo digitale.

Abbiamo scelto di non dipendere da pubblicità, click o traffico, ma di avere come unico obiettivo il giornalismo al servizio delle persone. Certi che la fiducia in ciò che facciamo sia un credito che negoziamo ogni giorno con chi ci segue. Ogni giorno dobbiamo guadagnarci fiducia e stima da parte dei nostri lettori.
Per continuare a offrirvi qualità, contesto, e strumenti che possano essere utili a comprendere e interpretare il mondo che viviamo abbiamo bisogno di voi.
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Intervista a Emanuela Barreri, la "commercialista con il lettino"

Dottoressa Barreri, psicologa, ma innanzitutto Dottore Commercialista. Come è cambiata questa professione negli anni?

É una professione che è cambiata molto, come peraltro anche altre professioni. Il mondo è più complesso e tutto è più veloce, per cui il commercialista, che ha da sempre molte incombenze, si è ritrovato a dover fare sempre più cose, e soprattutto sempre più velocemente. A questo maggior carico di lavoro non è corrisposto un aumento dei compensi, ma anzi una riduzione dei margini, per cui la categoria si trova a fare i conti con una crisi che è sia esistenziale – nel senso che l’equilibrio vita/lavoro è spesso compromesso – sia economica.
Inoltre il rapporto con il fisco è spesso difficile, e i clienti tendono ad addossare al commercialista le proprie ansie. Questo meccanismo di “proiezione” è un meccanismo di difesa del tutto naturale, che però va gestito e contenuto da parte del commercialista, attraverso l’acquisizione di strumenti nuovi.
Altre grandi rivoluzioni alle quali dobbiamo abituarci sono la condivisione del sapere, il lavoro di gruppo, la tecnologia che invade le nostre vite. Ci sarebbe molto da dire ma non mi dilungo…
 
A un certo punto, la necessità, la curiosità, il piacere, di dare qualcosa di più ai Suoi Clienti. Come ha deciso di “metterli sul lettino”, e in cosa consistono questi servizi “integrativi” alla normale offerta di una commercialista?
Belle le parole che ha utilizzato nella sua domanda: è difficile distinguere tra curiosità, piacere o necessità. Sicuramente curiosità e piacere, perché il mondo della psicologia mi ha sempre interessato e ho riscoperto in questi anni che fin da ragazzina leggevo libri a sfondo psicologico. Conoscere i meccanismi della mente e entrare in connessione con gli altri mi fa stare bene, perché mi aiuta a capirli: sento l’altro più vicino e lo posso aiutare. Necessità, invece, sotto due aspetti: se penso ai clienti, perché ritengo sia necessario aiutare i clienti nelle loro difficoltà quotidiane anche sotto l’aspetto psicologico; se penso a me perché credo che ognuno di noi abbia la necessità di trovare il lavoro della propria vita, che ti gratifica e ti fare bene, e io l’ho trovato.
I servizi integrativi che offriamo consistono nel sostenere gli imprenditori e i professionisti sia sotto l’aspetto tecnico più “tradizionale” sia sotto l’aspetto psicologico: in studio ci siamo ripartiti i compiti, e io mi occupo di questo secondo aspetto. Le situazioni possono essere le più diverse: iniziare un’attività, ad esempio, richiede un’impostazione tecnica, ma anche un’analisi delle vere motivazioni sottese, per evitare di fare un buco nell’acqua; le competenze tecniche non bastano, è necessario che anche il “cuore” vada nella direzione giusta.
 
Molto ha quindi a che fare con il tema del change management e del cambio di mentalità degli imprenditori stessi. Ma le è mai capitato di dare concreta assistenza psicologica a un Cliente in difficoltà emotiva, guidandolo a fare scelte di salute o combattendo scelte di stress?
Si, il tema è proprio la difficoltà da parte di imprenditori e professionisti ad affrontare il proprio lavoro con un cambio di mentalità. Sembrerà banale dirlo, ma cambiare è difficile, perché ci dobbiamo spostare dal noto all’ignoto. Fare come abbiamo sempre fatto ci dà sicurezza, mentre il cambiamento ci destabilizza. Purtroppo però oggi il cambiamento ci viene imposto dall’esterno e la difficoltà sta nel cambiare il nostro modo di vedere le cose: non perché ci viene imposto, ma perché abbiamo visto e trovato un nuovo modo di lavorare diverso da prima, anche se all’inizio abbiamo dovuto “osare” l’ignoto del cambiamento.
Mi trovo spesso a dover aiutare clienti in difficoltà emotiva, che vivono sulla propria pelle la difficoltà di dover licenziare delle persone o di chiudere la loro azienda, che per loro “è come un figlio”. Quando il carico di stress è troppo elevato ci possono essere delle ripercussioni di tipo fisico importanti, ed effettivamente in passato ho affrontato una situazione particolarmente grave in cui ho guidato l’imprenditore a fare una scelta di salute personale, non scontata, grazie alla quale oggi sta assai bene.
 
L’eccessiva pressione dell’ambiente, come noto, stimola la produzione di cortisolo, l’ormone dello stress, che pregiudica l’equilibro psicofisico dell’organismo: un consiglio pratico si sente di dare a un imprenditore stressato che leggerà questa intervista?
Respirare, rallentare e farsi aiutare. Non c’è una soluzione unica, e ci sono molti strumenti, dalla mindfulness, alle arti marziali, alla cura grazie alla parola, con uno psicologo. Credo che ognuno di noi debba trovare il proprio percorso e farsi aiutare nel trovarlo, superando la paura di farsi vedere in difficoltà. Gli direi che non è solo: ci sono persone che lo comprendono e possono aiutarlo.
 
Come vede la professione di commercialista di qui a 10, 15 anni…?
Vedo il commercialista come un consulente a 360^ che ha una visione sistemica e si prende cura dei propri clienti indirizzandoli se necessario verso altri professionisti – magari altri commercialisti, ma non solo – specializzati nelle singole materie. Un po’ il “medico di famiglia di imprese e professionisti”, nella sua accezione più nobile: colui che ti conosce da sempre, al quale ti puoi affidare e che ti prenderà in carico aiutandoti realmente nelle tue scelte.
 
Grazie per la sua gentile disponibilità, e… buon lavoro per l’intenso autunno che sicuramente la attende!
 




Tesi di laurea: “Partecipare” la Pubblica Amministrazione: strategie di comunicazione nell’era del digitale

CORSO DI LAUREA IN COMUNICAZIONE D’IMPRESA, MARKETING E NUOVI MEDIA

Anno accademico 2017/18

Introduzione

Nel 2018 possiamo già parlare di Amministrazione Digitale?
Si tratta di una domanda che dovrebbe, visto il contesto storico, condurre ad una risposta più che scontata. In realtà così non è. Non basta semplicemente l’adozione delle tecnologie nei processi amministrativi per parlare di Amministrazione Digitale, ma si tratta di convertire il rapporto fra Stato e Cittadino. Una relazione che, da sempre, sembra perdersi in “un labirinto di leggi, decreti, regolamenti che lo rendono macchinoso e a tratti ingestibile”, quando la scelta migliore sarebbe quella di impegnarsi a tessere rapporti di coinvolgimento e di trasparenza. A tal proposito Franco Pomilio, presidente della Pomilio Blumm, agenzia di comunicazione specializzata nella comunicazione pubblica e istituzionale, afferma: “il cittadino ha molti più diritti, a volte sente di avere molti meno doveri e può percepire l’amministrazione come invasiva o non riconoscerla. In ogni caso il sentimento generato è di […] grande coinvolgimento, uno a uno: l’istituzione che non è lontana o impersonale ma definibile, quasi individuale”.
La trasparenza è intesa come diritto all’informazione e quindi come diritto a informarsi che come diritto a essere informati: questi sono i presupposti su cui si basano i tentativi di rendere la pubblica amministrazione più aperta verso i cittadini e che negli ultimi anni hanno rappresentato il terreno di confronto e scontro sui temi dell’open government e della pubblica amministrazione digitale.
Diviene così consequenziale, quando si parla di pubblica amministrazione digitale, considerare la comunicazione, condizione fondamentale e strategica per creare il contatto con il cittadino tanto da render necessaria la ridefinizione delle Linee Guida
per la Promozione dei Servizi Digitali per le strategie di comunicazione, marketing e storytelling sempre più rispondenti alla necessità di favorire la conoscenza e l’utilizzo dei servizi digitali da parte di cittadini e imprese.
Sono tutti temi strettamente legati ad una rivoluzione del modo in cui le istituzioni si rivolgono ai cittadini, permettendo a quest’ultimi di esercitare una cittadinanza attiva e partecipata.

(…)

Il testo integrale della tesi (50 pagine. in pdf) è disponibile a questo link




Sotto attacco, Robert Mueller ha una nuova strategia di RP: il silenzio

Sotto attacco, Robert Mueller ha una nuova strategia di RP: il silenzio

Robert S. Mueller III ha mantenuto un basso profilo da quando ha assunto l’incarico di procuratore speciale nel maggio 2017

Dalla sua nomina 16 mesi fa come consigliere speciale, Robert S. Mueller III non ha rilasciato alcuna intervista e non ha tenuto conferenze stampa. Il portavoce del suo ufficio è conosciuto a Washington come “Mr. No-Comment“. Anche gli avvistamenti pubblici sono rari: una fotografia del signor Mueller al cancello di un aeroporto, con Donald Trump Jr. sullo sfondo, è subito divenuta virale.
Il silenzio come strategia di pubbliche relazioni è rischioso, specialmente per qualcuno che viene criticato quasi quotidianamente dai sapientoni di Fox News, dagli alleati di Trump come Rudolph W. Giuliani, e dai tweet del presidente stesso. I sostenitori temono che la gragnuola quotidiana cui è sottoposto stia erodendo la fiducia del pubblico nelle indagini del consiglio speciale sull’ingerenza russa nelle elezioni del 2016, prima che Mueller abbia la possibilità di presentare le sue conclusioni.
“Il rischio che si teme sempre è che se i tuoi critici e i tuoi avversari sono gli unici a parlare, allora sono loro a scrivere i titoli dei giornali “, ha detto Kevin Madden, uno esperto in strategia delle comunicazioni che ha servito come portavoce del Dipartimento di giustizia sotto il presidente George W. Bush.
Tuttavia, i veterani del settore affermano che tacere può essere l’unica opzione praticabile del signor Mueller, dato il limitato numero di opzioni disponibili per i pubblici ministeri federali per comunicare con il pubblico. Per legge, i consulenti speciali devono attenersi alle linee guida del Dipartimento di Giustizia che impediscono loro di condividere dettagli sulle indagini in corso: ogni comunicato potrebbe quindi sfiorare il rilievo penale.
I liberali hanno esortato il signor Mueller a combattere contro l’invettiva del presidente Trump, ma i predecessori che hanno cercato di difendersi dalla stampa si sono bruciati. Kenneth W. Starr, il pubblico ministero che ha indagato sulla Casa Bianca di Clinton, ha dato improvvisate conferenze stampa mentre portava via la spazzatura nella sua casa in Virginia – finendo per non incontrare la fiducia e il gradimento di due terzi del pubblico, quando poi il suo lavoro è giunto al termine ed è stato presentato nelle aule di tribunale.
“È spaventoso e doloroso, ma il lavoro di un pubblico ministero non deve necessariamente includere una battaglia contro le forze politiche che stanno gettando fango su di lui”, ha detto Ken Gormley, autore di libri su Mr. Starr e Archibald Cox, il procuratore speciale licenziato dal presidente Richard M. Nixon durante il “Saturday Night Massacre” nel 1973.
“Una volta che sei entrato nel gioco della politica,” ha aggiunto Gormley, “pare che tu sia solo un altro partecipante a quella fanghiglia”. Il signor Mueller, 74 anni, ha poi una ragione speciale per essere cauto, dato un clima politico tale per il quale l’osservazione più sottile può essere trasformata in uno scandalo. Anche se dovesse parlare pubblicamente, dovrebbe fare molta attenzione all’imparzialità dell’approccio del giornalista o intervistatore.
Quindi il signor Mueller, un ex direttore dell’FBI e ufficiale dei Marine Corps, noto per la sua autodisciplina e meticolosità , ha scelto di lasciare che il suo lavoro parlasse per lui. In 16 mesi, ha prodotto accuse contro tre società e 34 persone, tra cui un gruppo di 12 sospetti agenti dei servizi segreti russi; il mese scorso, il suo lavoro ha portato a una condanna, basata su otto capi d’accusa, del precedente direttore della campagna elettorale del presidente Trump, Mr. Paul Manafort.
A giugno, il tasso di approvazione del sig. Mueller toccò il minimo: un sondaggio di Politico ha mostrato che il 36% degli elettori registrati lo ha visto sfavorevolmente, rispetto al 23% dell’anno precedente; da allora, la sua reputazione è migliorata: un sondaggio pubblicato questa settimana dalla Quinnipiac University ha rilevato che il 55% degli elettori ha dichiarato che stava conducendo un’indagine equa, mentre solo il 32% ha dichiarato di non esserlo.
Tuttavia, è improbabile che l’offensiva contro l’inquirente speciale si fermi.
A maggio dell’anno scorso, il giorno dopo che il signor Mueller ha assunto il suo ruolo, Trump ha scritto su Twitter: “Questa è la più grande caccia alle streghe a un politico nella storia americana!” L’uso da parte del Presidente del termine “caccia alle streghe” è recentemente schizzato alle stelle, e di recente ha esortato i suoi seguaci online a “studiare il defunto Joseph McCarthy, perché ora siamo in periodo, con Mueller e la sua banda che fanno sembrare Joseph McCarthy un bambino!”
Sean Hannity di Fox News ha reso la “Mueller Crime Family” un mantra per i suoi quasi quattro milioni di spettatori notturni, il più grande pubblico delle notizie via cavo. Anche il teorico della cospirazione Alex Jones di Infowars si è unito a loro, suggerendo – senza prove – che il procuratore speciale abbia coperto un circolo di pedofili, e ha proposto una caricatura di Mueller con una pistola.
Da quando è entrato a far parte del team legale del presidente in aprile, il signor Giuliani è stato un critico particolarmente acuto, dichiarando a Hannity: “A volte l’insabbiamento è peggiore del crimine. In questo caso, l’indagine è stata molto peggiore del non-crimine.” Peraltro, è stato esplicito sullo scopo di questi attacchi: screditare le indagini agli occhi del pubblico e rendere meno probabile che il Congresso agisca sulle sue conclusioni.
“Quello di cui ci stiamo occupando qui è opinione pubblica”, ha detto il signor Giuliani alla CNN a maggio. “Perché alla fine la decisione consisterà nell’andare o meno a un procedimento di impeachment.”
Nonostante tutto questo, il signor Mueller ha tenuto la lingua a freno, salvo una sola dichiarazione il giorno in cui è stato nominato: “Accetto questa responsabilità, e condurrò il lavoro al meglio delle mie possibilità”.
E se la strategia silenziosa è un gioco d’azzardo, tutto è lì, in quella dichiarazione.
Tipicamente, a Washington, gli addetti stampa trovano i modi migliori per guidare i giornalisti, anche senza offrire necessariamente notizie on-the-record. Un commento informale come “Non ti saluterò” può servire come un cenno ai giornalisti inquisitori; “Eviterei” è un avvertimento che qualcosa è fuori registro. I giornalisti di diversi organi di stampa e televisivi che coprono le vicende di questa indagine, hanno detto che i rappresentanti del sig. Mueller non si sono mantenuti in linea con queste abitudini. I giornalisti sono abituati infatti a ricevere e-mail dal suo ufficio, che contengono poco più di un link all’ultimo documento reso pubblico.
Il portavoce del signor Mueller, Peter Carr, un repubblicano, ed ex ufficio stampa del senatore Orrin G. Hatch dello Utah, lavora da una località sconosciuta e viene raramente citato (ha rifiutato di commentare questo articolo.) Nelle occasioni in cui il signor Carr fa una dichiarazione, di solito riguarda la professionalità del procuratore speciale, piuttosto che elementi dell’indagine stessa. Dopo che Mr. Mueller è stato avvistato all’aeroporto con il figlio di Trump, Carr ha rilasciato un’attenta risposta: “Se è vero che l’altra persona nella foto fosse Donald Trump Jr., il signor Mueller non era a conoscenza della sua presenza e non ha avuto nessuna interazione con lui. ”
Le informazioni emerse sul lavoro del signor Mueller, hanno detto i giornalisti, spesso provengono da persone al di fuori della sua squadra: testimoni o avvocati della difesa che hanno avuto rapporti con gli investigatori. Queste fonti hanno i loro pregiudizi, e i giornalisti hanno detto che il risultato potrebbe essere una frustrante mancanza di chiarezza sull’inchiesta nel suo complesso.
“Sta isolando e proteggendo se stesso nella misura più ampia possibile, ritiene necessario proteggere lui e la sua squadra da qualsiasi accusa esterna che li porti ad essere percepiti come usurpatori di qualche privilegio”, ha dichiarato Randall Samborn, ex direttore delle comunicazioni di Patrick J. Fitzgerald, il procuratore speciale la cui indagine sulle fughe di notizie, a partire dal 2003, ha portato ad accuse contro il capo dello staff del vicepresidente Dick Cheney, I. Lewis Libby Jr.
Mr. Madden, l’ex portavoce del Dipartimento di Giustizia, ha dichiarato che l’opacità comunicativa è intenzionale. “Mueller ha ‘affamato’ i media”, ha detto, in modo che i giornalisti si concentrino sulle prove. “Lui crede che sia ciò che conta di più.”
La guerra partigiana sui procuratori speciali non è una novità. Proprio come i sostenitori di Trump nel governo e nei media hanno offeso il signor Mueller, gli aiutanti di Bill Clinton hanno fatto a pezzi il signor Starr, etichettandolo come uno zelota ossessivo
“Come per le zanzare, le cavallette e la maggior parte dei parassiti succhia sangue, Kenneth Starr è stato generato in acqua stagnante,” scrisse James Carville, uno dei migliori strateghi di Clinton, in un libro di 176 pagine che pubblicò nel 1999 che era dedicato a colpire i consigli speciali . (Il titolo: “…E il cavallo che ha ci ha cavalcato sopra: The People v. Kenneth Starr.”)
A differenza dello stoico Mr. Mueller, il signor Starr non ha potuto resistere al fuoco. Le carte desecretate il mese scorso dagli Archivi nazionali hanno mostrato che ha autorizzato uno dei suoi avvocati a interagire con i giornalisti “per spiegare una posizione legale e per confutare le accuse secondo cui il giudice Starr era “una sorta di fanatico di destra “.
Incoraggiato dagli alleati per difendersi, il signor Starr ha ingaggiato professionisti delle media relations per ammorbidire la sua immagine e accusare la Casa Bianca di Clinton di fare disinformazione. Ciò non è andato a buon fine: il portavoce di Starr, Charles G. Bakaly III, è stato perseguito per spese illegali, sebbene in fin dei conti potè dimostrare di non aver commesso illeciti amministrativi.
Il signor Gormley ha detto che combattere non ha giovato al signor Starr. ”
“É stato percepito da una vasta fetta della popolazione come qualcuno che era impegnato in una caccia alle streghe per far fuori il presidente”, ha detto Gormley. “Con il senno di poi, sarebbe stato corretto fare molte cose in modo diverso.” (raggiunto per questo articolo, il signor Starr ha detto che sarebbe stato disponibile per un colloquio, ma non ha risposto ai messaggi successivi.)
Ovviamente, il signor Starr, come il signor Cox nell’era Nixon, non ha dovuto confrontarsi con un presidente esperto dei social media che maltrattava il suo lavoro ora per ora, o con una rete di notiziari via cavo i cui commentatori erano in palesemente critici sul suo lavoro. Il signor Mueller, il primo procuratore speciale dell’era di Twitter, sta vivendo un caso studio ad alto rischio nel campo delle pubbliche relazioni giudiziarie.
“Più questa indagine si sposta dall’arena legale all’arena politica, più è rischioso per Mueller rimanere in silenzio”, ha detto Alex Conant, uno stratega delle comunicazioni repubblicano.
E Stu Loeser, ex addetto stampa di Michael R. Bloomberg e del senatore Chuck Schumer, ha notato che il signor Mueller si è scontrato con un presidente con un’insolita padronanza dei media.
“I fatti da soli”, ha detto il signor Loeser, “non possono convincere efficacemente tutti gli americani”.




Se la moda sfila con la Csr nel cuore

Se la moda sfila con la Csr nel cuore
La prossima fashion week milanese innalza la bandiera della sostenibilità. Questa volta non sembra greenwashing. Le sfide di Csr della moda sono tangibili. E sono necessarie per comunicare credibilità e posizionamento. Il caso di Brunello Cucinelli


La prossima settimana inizieranno le sfilate donna di Milano. Con una particolarità rispetto al passato. Sulla moda italiana, e con risalto su quella delle passerelle milanesi, sventola la bandiera della sostenibilità. Che, questa volta, appare finalmente materiale, e non un effimero vezzo stilistico. La moda sembra iniziare a coordinare una filiera di prodotto unica al mondo. E sembra capace di dare a Milano (quale simbolo del sistema imprenditoriale italiano) quella medaglia di capitale della sostenibilità che l’Expo non è stato in grado di lasciarle in eredità.
Certo, c’è ancora molta confusione, e spesso e volentieri si trascende con facilità nel greenwashing. Ma sembrano esserci gli elementi solidi per pensare che il made in Italy (fashion, ma anche design) sia a una svolta sostenibile, e che in questo modo possa dare una notevole mano all’intera industria nazionale.
Il primo riscontro è di immagine. Se fino ad appena 12 mesi fa, il concetto di sostenibilità appariva in un comunicato aziendale su dieci proveniente dalla moda, ora la proporzione si è invertita: tutti sottolineano l’impegno in quello che è divenuto un must have. Lo spiega in modo chiaro Carlo Capasa, il presidente di Camera nazionale della moda, in un’intervista a ETicaNewsche sarà pubblicata oggi alle 12. «Il fatto è che si è avviata una corsa. Come avvenuto col fenomeno web. A un certo punto si è capito che non si poteva più starne fuori».
La domanda è: si tratta solo di immagine? Ci si accoda e si sale bendati sul carro di temporanei vincitori verdi?

SUPERATO IL POTERE DELL’IMMAGINE

No, non è così. Lo spiega sempre Capasa, evidenziando come la stessa Camera abbia, sì, puntato su alcuni eventi a grande richiamo di immagine (i Green Carpet Fashion Awards), ma come dietro ci sia un percorso tecnico-industriale assai concreto. La Camera ha messo a punto linee guida per i prodotti e per i processi. E ora questi cominciano a funzionare da standard. E il meccanismo ha attecchito nella filiera, quella di natura artigianale-imprenditoriale, dove i principi di Csr territoriale sono radicati nell’anima, ed è esplosa a valle, nei pensieri e nelle azioni delle case di moda.
La realtà è che la Csr sta ribaltando le priorità strategiche nella moda e nel lusso. Questo comparto è stato un esempio di quanto la comunicazione potesse divenire un fattore chiave nella costruzione di un’industria. Il made in Italy ha trovato la strada per rendere la comunicazione una leva formidabile del super premium price, spesso a prescindere dal reale valore che c’era “in the box”.
Tuttavia, proprio questa comunicazione portata all’eccesso (moltiplicata, continua, ininterrotta, ubiqua, parcellizzata, diffusa … incontenibile), per effetto di web e, soprattutto, social media, ha ridotto il potere della comunicazione stessa. Cioè, l’ha resa meno indipendente e libera, rendendola assai più vincolata alla realtà. Al valore reale del prodotto. A ciò che c’è “in the box”. Non solo. Anche a ciò che sta attorno, e a ciò che avviene lungo l’intero percorso di quel prodotto.
E così sta accadendo qualcosa che in pochi avevano pronosticato. La moda si sta rivelando un simbolo di come la Csr possa diventare il centro di valore di un marchio.
Volendo fare un rapido esame in rapporto ai tre fattori environmental, social e governance (Esg), l’equazione presenta indicazioni chiare.

UNA NUOVA EPOCA DI FILATI

Dal punto di vista ambientale, la filiera sta accelerando verso la produzione di una nuova epoca di filati e di tessuti ecologici, a fronte di una domanda che si prevede esplosiva da parte delle griffe. Al punto che si assiste alla conversione eco-tessile di aziende al confine con la chimica (come Aquafil e Bio.on), o alla nascita di startup che trasformano in filati gli scarti degli agrumi come Orange Fiber.

L’ESCLUSIVITÀ DEL LUSSO INCLUSIVO

Dal punto di vista social, il lusso sta cercando di risolvere il paradosso dell’inclusività. Cioè, mantenersi esclusivo (e farsi pagare come tale) proprio perché inclusivo nella gestione di tutti i propri stakeholder. A cominciare dai dipendenti e dal loro territorio (si guardi all’acquisto e alla valorizzazione di intere filiere, da parte dei colossi del lusso, in Toscana). Per finire con i propri clienti: nei mesi scorsi, più di un brand internazionale ha chiesto pubblicamente “scusa per non averci pensato prima”, riferendosi ai consumatori di standing o taglia differente, per i quali risultava inaccessibile.

UNA GOVERNANCE DEL PRODOTTO

Dal punto di vista della governance, sta diventando cruciale la sfida della tracciabilità. Ossia di riuscire a monitorare l’intero percorso del proprio prodotto, sino alla sua eliminazione. Il tema è ormai bollente per l’industria del fast fashion, costretta a enormi volumi di abiti da eliminare. Ma il caso Burberry ha acceso lo stesso allarme per il lusso. Un paio di mesi fa, il gruppo britannico è stato il primo brand di alta gamma a parlare pubblicamente di “distruzione” dell’invenduto (ed è stato costretto, nei giorni scorsi, ad annunciare che non lo farà più). La cosa, molto probabilmente, riguarda, dietro le quinte, l’intero spettro delle griffe mondiali.

IL SORPASSO DELLA CSR

Ecco il superamento della Csr sulla comunicazione. Non basta più un testimonial o una campagna. Non basta una spruzzata di verde. Le aziende stanno iniziando a capire che, per mantenere i propri consumatori di oggi e conquistare quelli di domani, le tematiche della sostenibilità e della responsabilità sociale, devono legarsi al Dna dell’azienda stessa. Cioè, è l’azienda, le sue persone, le sue policy verso gli stakeholder, che vengono proposti al mercato. Non più, solamente, i suoi prodotti.
La comunicazione, senza questo, non ha più senso. E se questo comincia a capirlo la moda, è un segnale fortissimo per tutti gli altri settori.
PS Il cliente è un giudice sempre più spietato della coerenza del messaggio di un brand. Ma, ancor più spietati, sono gli investitori. È interessante scoprire quanto sia convincente verso la Borsa la sostenibilità sociale e territoriale del brand Brunello Cucinelli. Gli sforzi pluriennali di Csr del gruppo umbro, per quanto portati avanti in modo personale e un po’ mistico, rappresentano un caso unico di moltiplicazione del valore di un’azienda. Secondo un recente report di Mediobanca, in base al parametro prezzo/utili attesi, il titolo Cucinelli vale il 60% in più dei competitor europei. E, addirittura, il 10% in più di una griffe ritenuta un simbolo del lusso come Hermes.