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È pronta a salpare la prima rivoluzionaria macchina per pulire gli oceani dalla plastica

La macchina sarà diretta verso il Pacific Trash Vortex dove comincerà a raccogliere tonnellate di rifiuti plastici accumulati dalle correnti oceaniche.


La visione di Boyan Slat è diventata realtà. Sono passati cinque anni da quando Slat, appena diciannovenne, ha lasciato gli studi in ingegneria aerospaziale per dedicarsi alla sua missione, pulire gli oceani dalla plastica. Il ragazzo prodigio olandese ha fondato la ong Ocean Cleanup e ha progettato una macchina per raccogliere rifiuti plastici dal mare sfruttando le correnti oceaniche. Dopo uno studio di fattibilità e una campagna di raccolta fondi di successo, il macchinario chiamato Ocean Array Cleanup è pronto per essere testato sul campo. Entro poche settimane l’Ocean Array Cleanup salperà da San Francisco diretto verso il Pacific Trash Vortex, la grande isola di plastica che galleggia nell’oceano Pacifico, tra la California e le Hawaii. “La pulizia degli oceani del mondo è dietro l’angolo”, ha commentato euforico Slat.

L’Ocean Array Cleanup è il più grande strumento di pulizia degli oceani creato

I bracci dell’Ocean Array Cleanup sono fissati ad ancore che galleggiano in profondità. Ciò consente loro di muoversi lentamente, ma non al punto da impedire loro di svolgere il lavoro di pulizia © Ocean Cleanup

Come funziona l’Ocean Array Cleanup

L’idea alla base dell’Ocean Array Cleanup è semplice e geniale, la macchina sfrutta le correnti del mare, le stesse che hanno portato alla creazione dell’isola di plastica, per far sì che i rifiuti di plastica si accumulino nelle piattaforme e il mare si pulisca “da solo”. Il sistema è composto da una catena di barriere galleggianti della lunghezza di due chilometri e poste in favore di corrente, senza reti, che convogliano la plastica verso piattaforme che fungono da imbuto. Una volta al mese circa una barca andrà a raccogliere i rifiuti convogliati verso la parte centrale della macchina.

Dimezzare l’isola di plastica

L’obiettivo di Boyan Slat è di raccogliere circa 5mila chili di plastica durante il primo mese di funzionamento e di smaltire entro cinque anni almeno la metà del Pacific Trash Vortex. L’impatto ambientale del macchinario sarà minimo, sfruttando le correnti non necessita infatti di energia per raccogliere la plastica. L’Ocean Array Cleanup non costituirà un pericolo per gli animali marini, secondo i suoi creatori, che potranno passare sotto le barriere galleggianti.

Solo il primo passo

La prima missione dell’Ocean Array Cleanup rappresenta un test sul campo per valutare il funzionamento della macchina e rilevare eventuali problemi prima di estendere il progetto. Ocean Cleanup ha infatti l’obiettivo di installare sessanta piattaforme galleggianti giganti in varie aree del pianeta entro il 2020.

L’isola di plastica che minaccia gli oceani

Il Pacific Trash Vortex è un colossale accumulo di spazzatura galleggiante, composto perlopiù da plastica, la sua superficie è maggiore di quelle di Francia, Germania e Spagna ed è composto da almeno 79mila tonnellate di plastica. “La maggior parte dei detriti è di grandi dimensioni – ha affermato Boyan Slat. – Si tratta di una bomba ad orologeria perché tutti questi grandi oggetti si trasformeranno in microdetriti nelle prossime decadi se non agiamo”. La grande isola di plastica è costituita soprattutto da attrezzi da pesca abbandonati, come reti e corde, e ogni anno provoca la morte di migliaia di balene, delfini e foche.

Rifiuti che galleggiano nell'oceano

Lo studio Evidence that the Great Pacific Garbage Patch is rapidly accumulating plastic, condotto da Ocean CleanUp in collaborazioni con altre istituzioni, ha rivelato che la situazione del Great Pacific Garbage Patch è in continua evoluzione e tende a peggiorare molto rapidamente. L’isola contiene fino a 16 volte più plastica di quanto stimato nei precedenti studi e il livello di inquinamento cresce in modo esponenziale © Ingimage

Pulizia e prevenzione

La Ocean Cleanup prevede di autofinanziarsi grazie alla vendita della plastica oceanica che alcuni brand, come Adidas, hanno iniziato a sfruttare comprendendone l’appeal sui consumatori. La pulizia degli oceani, per quanto efficace, da sola non può però bastare, è necessario combattere alla fonte l’inquinamento che sta lentamente uccidendo i mari del mondo con gravi ricadute anche sulla nostra specie. “Dobbiamo pulire, ma dobbiamo anche prevenire che la plastica entri negli oceani. Meglio riciclare, meglio usare questi materiali in creazioni di design e regolamentare questi rifiuti. Abbiamo bisogno di combinare queste soluzioni”, ha dichiarato Boyan Slat.




Nasce Indaco Ventures, il più grande fondo di venture capital in Italia

Una squadra di manager guidata da Davide Turco, Intesa Sanpaolo e Fondazione Cariplo dà vita a Indaco Venture Partners sgr, società che gestirà il fondo di venture capital Indaco Ventures I. L’obiettivo è una raccolta complessiva fino a 250 mln di euro entro fine anno (130 mln sottoscritti entro domani). Intesa Sanpaolo punta a diventare la prima Impact Bank al mondo

Futura Invest (i cui principali azionisti sono Fondazione Cariplo e Fondazione Enasarco) e Intesa Sanpaolo  deterranno, con quote paritetiche, il 49% di Indaco Venture Partners Sgr, mentre il 51% sarà posseduto da cinque manager: Davide Turco (amministratore delegato), Elizabeth Robinson (vicepresidente esecutivo) e i direttori investimenti Antonella Beltrame, Alvise Bonivento e Valentina Bocca.
Indaco Sgr gestirà il fondo Indaco Ventures I che ha già raccolto 130 milioni di euro da Intesa Sanpaolo , Fondo Italiano d’Investimento e Fondazione Cariplo. Entro la fine dell’anno il fondo ha un obiettivo di raccolta complessiva superiore a 200 milioni di euro fino a un massimo di 250 milioni di euro da investitori istituzionali italiani e da istituzioni europee.
Il fondo, che investirà in 20-30 società, principalmente startup late stage, attive nel digitale, elettronica e robotica, medtech e nuovi materiali, ha già all’attivo due investimenti nel medicale e in elettronica. Gli investimenti si concentreranno su realtà i cui vantaggi competitivi derivano da tecnologie proprietarie d’avanguardia o da innovazioni che portino a un’effettiva trasformazione digitale, con team e tecnologie made in Italy. E’ anche prevista una limitata allocazione a investimenti in startup early stage.
Il cda sarà presieduto da Salvatore Bragantini e vedrà la presenza maggioritaria dei manager, oltre a due consiglieri di nomina Intesa Sanpaolo  e due indipendenti (tra cui il presidente) espressi da Futura Invest. Il management team sarà supportato da primari advisor tecnologici e beneficerà dei servizi di analisi, segnalazione e advisory di Cariplo Factory, che utilizza i flussi informativi e le competenze della piattaforma GrowITup promossa da Cariplo Factory insieme a Microsoft.
“Siamo molto grati agli investitori che hanno creduto in questo progetto. Siamo convinti che Indaco Ventures potrà contribuire a colmare il ritardo nel venture capital del nostro Paese, fornendo finalmente alle nuove aziende con maggiori potenzialità e ambizioni le risorse finanziarie necessarie per fare un importante salto dimensionale e competere ad armi pari, o quasi, con i loro concorrenti attivi in contesti caratterizzati da risorse per l’innovazione enormemente più grandi”, ha commentato Davide Turco, amministratore delegato di Indaco Venture Partners Sgr.
“Cariplo Factory oggi è una realtà importante che ha già realizzato oltre 6700 opportunità di lavoro delle 10 mila che ci eravamo proposti di attivare in tre anni, inserendo i giovani in un ecosistema dedicato all’innovazione. Mancava ancora un importante tassello che si realizza oggi con la nascita del fondo Indaco”, ha aggiunto Giuseppe Guzzetti, presidente della Fondazione Cariplo, ritenendo che il venture capital nel nostro Paese è ancora lontano degli standard internazionali. “Con questo fondo ci proponiamo di offrire alle realtà con possibilità di crescita interessanti, un veicolo per potenziare la loro competitività internazionale, aiutando così le nuove aziende”.
Nel piano d’impresa 2018-2021 Intesa Sanpaolo  prevede di rafforzare in maniera significativa l’impegno nella Corporate Social Responsibility. “Puntiamo a diventare la prima Impact Bank al mondo, intendiamo supportare ulteriormente la Circular Economy, sosteniamo l’imprenditorialità giovanile e le nuove idee d’impresa. Il progetto che presentiamo oggi a fianco del Fondo Italiano d’Investimento e della Fondazione Cariplo, con la quale abbiamo da tempo condiviso obiettivi e progetti anche in questo ambito, intende accrescere l’impegno nei confronti di un’imprenditorialità caratterizzata in particolare da competenze e tecnologie italiane”, ha dichiarato l’ad di Intesa Sanpaolo , Carlo Messina.
Il banchiere ritiene strategico il presidio di questo settore: le operazioni di anno in anno aumentano significativamente, così come risulta in forte crescita l’attenzione di importanti player internazionali al mercato italiano. “Tale impegno vuole, in sintesi, stimolare la competitività, dare impulso a nuovi investimenti e confermare ancora una volta il nostro sostegno allo sviluppo imprenditoriale”, ha concluso Messina.
Con l’investimento effettuato in Indaco Ventures, prosegue l’attività di sostegno al mercato italiano del venture capital da parte anche del Fondo Italiano d’Investimento, oggi attivo su questo specifico segmento sia con un fondo di investimento diretto che con due fondi di fondi, più un terzo in fase di lancio. Nella fattispecie, “siamo particolarmente contenti di contribuire all’avvio di quest’importante iniziativa che ha come obiettivi il sostegno allo sviluppo e alla competitività del sistema italiano delle giovani aziende a elevato contenuto tecnologico e sviluppata in partnership con due istituzioni di cosi elevato prestigio come Fondazione Cariplo e Intesa Sanpaolo “, ha sottolineato l’ad del Fondo Italiano d’Investimento, Carlo Mammola.




BRIT

L’ospite di questa settimana del mio blog è Renzo Provedel uno dei fondatori di BRIT, una start up molto originale.

Ciao Renzo e benvenuto sul mio blog. Ci racconti come è partita l’idea di quella che definite una startup innovativa con la missione di valorizzare gli edifici storici e/o di valore, ristrutturando e ri-usando i volumi, con lo scopo di creare un business, cioè un ricavo, che garantisca la sostenibilità dell’investimento. Il modello di business individua due stakeholder principali: il proprietario/a dell’immobile che vuole creare un business attraverso il ri-uso dell’edificio, dopo aver capito e scoperto la sua motivazione nascosta, il suo “futuro che emerge”; e il “business provider” che vuole fare business in un edificio “adatto”.
L’idea nasce perché crediamo che il patrimonio storico architettonico e culturale sia una piattaforma formidabile per lo sviluppo del nostro Paese e in generale di tutti i Paesi consapevoli delle loro radici storiche. E vediamo un generale degrado di questo patrimonio a cui si può porre mano con strategie e azioni mirate, che, a nostro avviso, devono risvegliare e potenziare in primis i proprietari degli immobili. Essi possono riuscire nel progetto se includono e ingaggiano l’intero eco-sistema.
L’idea della start up nasce all’interno di un social network professionale e poi si sviluppa con un accordo di rete tra dieci soggetti ed infine si manifesta con la startup innovativa, a vocazione sociale, che abbiamo chiamato BRIT, acronimo di Business-Rigenerazione –Ideazione-Training.
La missione di BRIT è quindi facilitare il RI-USO di beni immobili storici. Ci spieghi con parole semplici come funziona la vostra proposta?
BRIT entra subito in sintonia con il “proprietario”, che è il nostro potenziale Cliente, attraverso i problemi e gli ostacoli che gli hanno impedito o rallentato i suoi progetti di valorizzazione dell’immobile. Conosciamo bene i problemi dei proprietari che vanno dai conflitti familiari, ai costi esorbitanti di manutenzione ordinaria e straordinaria, alla scelta del o dei business che necessitano di una buona conoscenza del mercato dei servizi, alla complessità della ristrutturazione immobiliare. Il fatto che lui, il proprietario, riconosca in noi la capacità di “vedere” i suoi problemi e di aprirgli una finestra sul mondo delle soluzioni, è la partenza giusta della relazione. Poi noi siamo molto coinvolti nel facilitare il suo potenziamento di consapevolezza e di capacità per prendere in mano il suo progetto. Abbiamo scelto il “coaching” come approccio alla relazione; ossia NON gli diciamo che abbiamo la soluzione e non gli diciamo “ci pensiamo noi”, perché lo facciamo con lui. Abbiamo progettato due servizi di formazione attiva, che non sono faccia a faccia, ma avvengono con i suoi “pari”, con una formula esperienziale e residenziale; li abbiamo chiamati “BRIT revolution”, un assaggio dei nostri metodi; e “BRIT Journey”, una quattro giorni residenziale, a immersione totale, in una dimora storica, che gli permette di capire e individuare le attività di business adeguate ai suoi obiettivi, al mercato e all’immobile. E c’è anche un servizio “BRIT Marathon” per abilitarlo alla costruzione del suo business plan e del suo progetto.
Come è composto il vostro team?
Il nostro Team è costituito dai tre soci/socie fondatori della start up innovativa a vocazione sociale BRIT: due architette, Federica Benatti e Michela Rossi, con un curriculum di progettazione, di ri-uso di immobili, di restauro e di gestione di progetti di valorizzazione; e un imprenditore, Renzo Provedel, con una vasta esperienza di business diversificati e di innovazione “aperta”. Accanto a loro abbiamo coltivato e reso disponibile un eco-sistema di competenze e di capacità che rendono possibile azioni efficaci e rapide nella complessità della valorizzazione. Abbiamo contato più di trenta diverse attività e competenze necessarie per sviluppare i progetti di ri-uso e valorizzazione, li abbiamo graficizzati e poi chiamati “il fiore della complessità” e non a caso abbiamo usato il termine “Maratona” per il servizio personalizzato che porta, come risultato, il business plan della valorizzazione.
Per concludere, quali sono i vostri programmi per il 2018?
Nel 2018, tra pochi giorni, la startup innovativa, diventa una srl registrata a Bologna. La nostra attività è però operativa da un anno circa perché abbiamo operato con un approccio per “prototipi” da subito; il primo è stato un progetto per il ri-uso di una ghiacciaia del 1710 in località Budrio, facente parte del patrimonio di Villa Ranuzzi-Cospi. Il secondo, avviato da qualche settimana, è un progetto di libro, in parte cartaceo e in parte digitale, attraverso video interviste e videoblog. È una esplorazione delle ristrutturazioni, sostenute dalla creazione di business, che sono state realizzate in Italia dai proprietari di immobili storici, come palazzi, ville, castelli, torri. Vogliamo diffondere le strategie, le buone pratiche, i risultati perché siano casi esemplari che ispirino tutti coloro che vogliono sentirsi parte di questa larga comunità che vuole valorizzare l’enorme patrimonio culturale del nostro Paese. Non sono solo i proprietari di dimore storiche; possiamo includere gli imprenditori che stanno creando nuovi servizi, le aziende che sono l’Industria creativa, i tecnologi che rendono possibili l’adeguamento degli immobili ai nuovi servizi digitali, gli artigiani e i liberi professionisti del vasto eco-sistema che rende possibili i nuovi business.




Così Facebook ascolta le nostre conversazioni per personalizzare la pubblicità

Parole ‘chiave’ carpite dal microfono del telefonino, magari durante una chiacchierata in compagnia, usate per personalizzare le pubblicità sponsorizzate su Facebook. E’ questo quanto sostiene in un video lo youtuber Neville, che circa un anno fa ha pubblicato sulla piattaforma la clip con la dimostrazione della sua tesi e che da 48 ore è diventata virale a causa di una discussione a tema aperta su Reddit.
Nel video, Neville spiega e sembra dimostrare come una parola chiave scelta a caso, mai cercata sul social – né su Google, su Instagram o su qualsiasi altra piattaforma – ma ripetuta a voce alta più volte e per almeno un’ora in prossimità del suo cellulare, si possa trasformare ‘per magia’ in una pubblicità sponsorizzata fra quelle mostrate da Facebook agli utenti. In questo caso pubblicità corrispondente alla parola chiave scelta per l’esperimento, e cioè ‘cat food’, cibo per gatti. Ma come? Attraverso il microfono, sembrerebbe, in grado di ‘ascoltare’, registrare ed inviare dati al colosso di Menlo Park.
Ma quanto c’è di vero? Tantissimi gli utenti che su Reddit e Youtube confermano la tesi dello youtuber, ognuno dei quali a suo dire reduce da un’esperienza personale di ‘spionaggio pubblicitario’. Molti quelli che sostengono si tratti invece di una disattenzione dell’utente, ‘reo’ di aver concesso all’applicazione di Facebook, al momento dell’installazione, l’utilizzo di alcune funzioni incluso appunto il microfono. Autorizzando di fatto il social a fare ‘la spia’. Diversi quelli che semplicemente non credono alla ‘dimostrazione’ di Neville, tra l’altro una delle tante presenti su Youtube.
Intanto però, all’indomani della presentazione della nuova policy di Facebook sulle pubblicità, Neville mette le mani avanti e si difende dai detrattori aggiungendo una nota alla spiegazione redatta un anno fa: “Provateci se non mi credete – scrive -. Dategli un paio di giorni. State solo attenti a farlo vicino al vostro telefonino, ma parlate dell’argomento scelto come fosse un hashtag e una parola chiave, e fate attenzione che si tratti di qualcosa di cui non avete mai parlato e che non avete mai cercato prima. Il video – conclude – è stato fatto un anno fa, quindi non so se nel frattempo qualcosa è cambiato”.
FACEBOOK – Sollevato il polverone, Facebook ha comunque voluto smentire ogni tipo di suo coinvolgimento nella sottrazione di informazioni via microfono. Come riporta infatti l’Independent, il vicepresidente per la pubblicità dell’azienda, Rob Goldman, ha dichiarato in un tweet: “Non usiamo e non abbiamo mai usato i vostri microfoni per la pubblicità. Semplicemente non è vero”. E alla domanda se anche per Instagram valesse la stessa policy, Goldman ha risposto in modo affermativo




RepTrak: «Ferrero è l’azienda con la migliore reputazione in Italia»

Sul podio anche Ferrari e Walt Disney. Perdono posizioni colossi Usa come Apple, Ikea, Amazon e Facebook

Dopo essersi confermata l’azienda italiana più reputata al mondo secondo la classifica Global RepTrak® 100, Ferrero riconquista anche la leadership della società con la migliore reputazione in Italia, subentrando a Walt Disney (quest’anno terza). Si conferma sul podio anche Ferrari, passando dalla terza posizione dell’anno scorso alla seconda nel 2018, a conferma di un solido legame con gli italiani, consolidatosi dopo la quotazione in Borsa. Continua inarrestabile la crescita Lavazza che, pur fermandosi quest’anno ai piedi del podio, conferma un ritrovato feeling con gli Italiani proprio nei giorni dell’inaugurazione di Nuvola, la nuova e innovativa sede della storica azienda di Torino.

La premiazione

I risultati dello studio e relativi trend sono stati presentati nel corso dei Reputation Awards 2018 presso il Museo nazionale della Scienza e della Tecnologia di Milano in partnership con Università Iulm e Ferpi — Federazione Relazioni Pubbliche Italiana. Reputation Awards, giunto quest’anno alla sesta edizione, è l’evento annuale di riflessione e confronto sullo stato dell’arte della reputazione delle aziende in Italia, sulle principali tendenze e sfide che influenzano la gestione della loro reputazione, anche alla luce dei più recenti avvenimenti politici e socio-economici. Nel 2018 la reputazione delle aziende in Italia è scesa ( -3,5 punti) rispetto all’indice dello scorso anno portando il valore medio al punteggio di 67,3 punti/100. Tale valore si attesta ai livelli reputazionali del 2014 (67,4) e dimostra come le aziende, nel corso dell’ultimo anno, non siano state capaci di conquistare la fiducia degli italiani.

Progettualità

«In un periodo caratterizzato da una crescente sfiducia nei confronti della politica e delle Istituzioni, crescono inesorabilmente le attese nei confronti delle aziende, oggi impreparate a guidare quel cambiamento atteso dai consumatori», ha affermato Fabio Ventoruzzo, Vice President di Reputation Institute. «Le aziende devono trovare il coraggio di guardare oltre la profittabilità del business nel breve termine. Le grandi imprese, anche se di settori diversi, devono avere interessi e progettualità convergenti per proporre una visione di medio-lungo periodo, assumendosi una leadership autentica e credibile proprio in un momento di vuoto della rappresentanza».

I settori

Reputation Institute Italy RepTrak® del 2018, classifica per settori: 1. Electrical & Electronics (72,8) 2. Luxury Products (72,6) 3. Beverage (71,1) 4. Food (71,0) 5. Automotive (70,9) 6. Financial – Diversified (70,6) 7. Home & Personal Care (69,7) 8. Streetwear (69,4) 9. Industrial (68,6) 10.Entertainment – Media (68,3) 11. Retail (67,2) 12. Pharmaceutical (66,4) 13. Tourism (65,1) 14. Logistic (64,9) 15. Financial-Insurance (62,7) 16. Energy & Utilities (57,5) 17. Telco (57,0) 18. Financial-Banking (55,7) 19. Gaming (54,5)

In calo telecom e industria dell’auto

Rispetto alla classifica 2017, da evidenziare il crollo del settore Telco (-7,8 pts) in un anno caratterizzato dalle polemiche per le «bollette a 28 giorni» che, portando alla ribalta mediatica la questione, anche a seguito delle prese di posizione del regolatore, ha contribuito a erodere la fiducia degli italiani nei confronti di un settore già alle prese con questioni legate a costi e trasparenza. Battuta d’arresto anche per l’Automotive (-3,0 pts), un settore tradizionalmente molto apprezzato dagli italiani, che quest’anno risente particolarmente dei continui scandali che intaccano la fiducia nei confronti degli operatori, oggi alle prese non solo con un ripensamento delle politiche industriali, ma anche con un necessario riposizionamento rispetto alle aspettative dei consumatori. Continua a indebolirsi – seppur in maniera inferiore rispetto alla media nazionale – la reputazione del settore Finanziario (-3,8 pts per le banche; -2,3 per le assicurazioni) a dimostrazione di come, oggi la reputazione sia particolarmente fragile soprattutto per quei settori dove la percezione pubblica è in balia di un racconto collettivo spesso basato sull’emotività.

Analisi

«Il calo della reputazione non è dovuto all’aumento del numero degli ostili nei confronti dell’azienda ma è influenzato, invece, dall’incremento significativo degli indecisi: sono questi i consumatori che le aziende devono ri-conquistare e convincere per rafforzare il legame emotivo con gli italiani» – ha spiegato Stefano Cini, Managing Director di Reputation Institute Italia. «Se prima era sufficiente raccontare “cosa fanno” e “chi sono” le Aziende, oggi cresce l’aspettativa degli italiani nel chiedere il “perché” le Aziende devono essere scelte. Gli italiani chiedono di creare “valore condiviso”, ossia influenzare positivamente i temi sociali attraverso i propri prodotti/servizi».

La caduta dei giganti

In un anno in cui sono cresciute le aspettative degli italiani sul ruolo sociale delle aziende, crolla la reputazione di alcune aziende globali impattate da crisi nella percezione del loro workplace come Amazon (-4,7) e Ikea (-7,1) e della loro trasparenza come nei casi di Apple (-10,4) e Facebook (-9,1).

Italiane eccellenti

Da evidenziare, infine, a differenza dell’anno scorso quando gli italiani si sono dimostrati particolarmente esterofili nel giudicare le aziende, le buone performance delle principali imprese italiane: Unipol (67,1) è l’azienda italiana più reputata nel settore finanziario complessivo mentre Intesa Sanpaolo (60,6) è la prima banca italiana per reputazione. Pirelli rientra nella Top10 (+21 posizioni rispetto al 2017) mentre Barilla, recuperando 12 posizioni, torna nelle prime 20. Complessivamente, delle prime venti aziende per reputazione in Italia, 1 su 2 è italiana.

Il metodo

Il modello RepTrak® del Reputation Institute misura il legame emotivo degli stakeholder nei confronti delle Aziende, rilevando la loro percezione rispetto alle sette dimensioni razionali che rappresentano la chiave per la valutazione della reputazione aziendale: prodotti/servizi, innovazione, ambiente di lavoro, governance, responsabilità sociale e ambientale, leadership e performance. Una reputazione “eccellente” è rappresentata da un punteggio complessivo RepTrak® di 80 punti o superiore, un punteggio di 70-79 è considerato “forte”, 60-69 è “media”, mentre 40-59 è “debole”. Italy RepTrak®, basato su circa 40.000 interviste individuali di un campione rappresentativo del General Public Italia, è la più ampia e aggiornata fotografia a livello nazionale sulla reputazione aziendale in chiave comparativa. Mette in evidenza non solo il legame delle aziende con i loro pubblici, ma anche l’impatto della reputazione sul business influenzando le persone quando scelgono di comprare un prodotto, raccomandare un brand, investire o lavorare per un’azienda. Per accedere all’elenco completo delle aziende più affidabili in tutto il mondo : http://www.reputationinstitute.com