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Storia, letteratura e filosofia fra gli scaffali, dopo l’orario di lavoro, nell’azienda che mette le persone al centro

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Quando, nel 2016, il Dipartimento di studi umanistici dell’università di Triesteha pensato di proporre a una azienda un progetto di formazione del tutto innovativo, la scelta è caduta sulla Modulblok di Amaro, in Carnia, specializzata nella logistica di magazzino (fa scaffali antisismici). Qui il direttore di stabilimento, l’ingegner Mario Di Nucci, già da tempo stava lavorando su un radicale cambiamento del processo di produzione, coinvolgendo le maestranze, mettendo al centro la relazione e le persone. “Al centro dei suoi racconti sulla vita di fabbrica c’erano sempre i nomi, le descrizioni e i tratti personali dei suoi colaboratori e operai, assoluti protagonisti di un racconto assolutamente appassionato”, scrive Matteo Cornacchia nel libro “Le humanities in azienda”, nato anche dalla esperienza in Modulblok.
Nella azienda metalmeccanica un gruppo di ricercatori universitari di discipline umanistiche ha tenuto lezioni di storia, letteratura, pedagogia, filosofia e storia del teatro, per un pubblico che univa il management e gli operai. Il tutto dopo il termine dell’orario di lavoro, in pieno reparto produttivo,  fra presse e muletti. Quasi la metà dei dipendenti ha accolto la proposta e si è fermato per iniziare un percorso su se stessi, fra l’Otello di Shakespeare e le maschere di Pirandello.

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Le figure chiave sono due: è quella del direttore dello stabilimento, che teneva un diario fitto di riflessioni sul lavoro e sui profili psicologici delle persone impiegate che ha fatto da base al progetto, e quella di Sara Savio, giovane marketing manager di Modulblok, che spiega:  «Abbiamo voluto dare una chiave di lettura diversa al concetto di welfare aziendale e abbiamo capito appieno l’importanza del percorso mentre lo stavamo vivendo. L’alta adesione ci ha confortati, soprattutto perché l’iniziativa era fuori dall’orario di lavoro. I docenti sono stati bravissimi nel coinvolgere i partecipanti in un dialogo che ha arricchito entrambe le parti. Scegliere nozioni umanistiche ci ha permesso di rompere gli schemi, mentre a chi ha seguito questa lezioni ha consentito di scoprire attitudini e interessi che forse gli allievi nemmeno immaginavano».
L’esperienza che ha visto protagonisti Modulblok e Università di Trieste indaga su come possano le materie umanistiche migliorare la produttività in fabbrica, e come l’arricchimento culturale di una persona, al di là delle competenze sul lavoro, possa essere un “plus” per un’azienda. E il ciclo di sette incontri che ha coinvolto nel 2016, in orario extra lavorativo, un’ottantina di lavoratori (circa la metà del totale) fra i due stabilimenti  è raccontato nel libro  “Le humanities in azienda – per una via umanistica alla formazione” di  Matteo Cornacchia, uno dei docenti universitari entrati in fabbrica e tra i principali “motori” dell’iniziativa: «Il volume è il coronamento di un percorso – racconta il professore -, partito dalla riflessione su quale spazio potessero avere le discipline umanistiche in azienda, finalizzato a “smontare” la credenza che la formazione possa essere soltanto di natura tecnica e utilitaristica».
sara-savioLa pubblicazione guarda a insegnanti e studenti universitari, ma il quinto capitolo, “Modul Life”, è stato declinato sotto forma di racconto narrativo che ha testimoniato l’esperienza vissuta con questi speciali “allievi” dell’impresa friulana. Matteo, docente di pedagogia all’ateneo giuliano, è stato affiancato dalla storica Tullia Catalan, dal linguista Fabio Romanini, dallo storico del teatro Paolo Quazzolo, dal filosofo Paolo Labinaz e dalla studiosa di letteratura inglese Laura Pelaschiar. E in barba alla credenza, sbagliata, che le discipline umanistiche siano inutili e che di cultura non si mangia, il percorso in Modulblok ha arricchito i dipendenti, contribuendo ulteriormente a “fare squadra” tra chi, ogni giorno, si occupa di confezionare le scaffalature per clienti di diverse parti del mondo.
«L’azienda – prosegue Cornacchia – aveva le caratteristiche giuste per costruire un’esperienza adeguata. I riscontri sono stati ottimi”.
E per la seconda edizione del progetto un’ipotesi è concentrarsi sui “Giri di vite”, ovvero biografie di personaggi famosi: “Ma di questo discuteremo con gli interessati, dai quali stiamo già raccogliendo suggerimenti», sottolinea Cornacchia.  Modulblok ha  27 milioni di euro di fatturato, 150 addetti tra le due sedi di Pagnacco e Amaro; nel 2017 ha raccolto ordinativi per 33 milioni di euro. Una realtà che guarda con interesse al benessere dei suoi collaboratori, studiando forme alternative: “Se un grande capitano dell’industria italiana, Adriano Olivetti, aveva messo nella sua azienda una biblioteca e un’emeroteca non sarà certo per caso”, commenta Savio, al lavoro per organizzare ina seconda edizione delle Humanities in azienda.
Il quadro è quello di una azienda dove situazioni non comuni sono la normalità: le domeniche di fabbrica aperta con tutte le famiglie, l’esperienza di team building organizzata in un casolare di montagna, la testimonianza di un medico di guerra alla cena aziendale di fine allo e la formazione sulla sicurezza fatta attraverso il teatro.

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GESTIONE URBANA ACQUA PIOVANA: CITTÀ-SPUGNA CONTRO I CAMBIAMENTI CLIMATICI

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GESTIONE URBANA ACQUA PIOVANA: CITTÀ-SPUGNA CONTRO I CAMBIAMENTI CLIMATICI

INFRASTRUTTURE E TETTI VERDI, SUPERFICI PERMEABILI E FILTRANTI. LE CITTÀ-SPUGNA CINESI SONO UN MODELLO DI GESTIONE URBANA ACQUA PIOVANA

Ultimamente ci stiamo purtroppo abituando ad assistere ai disastri naturali. Fra i fenomeni più frequenti vi sono sicuramente i nubifragi. Solo nell’ultimo anno possiamo fare un elenco di tempeste che hanno portato distruzione laddove si sono abbattute: a fine agosto la bomba d’acqua che ha colpito il sud est asiatico ha paralizzato Mumbai, poi è stata la volta di Houston, negli Usa, e infine anche Berlino ha affrontato uno dei nubifragi più violenti della storia del paese. Se la causa di questo inasprirsi degli eventi calamitosi è ormai (quasi) universalmente rintracciata nell’aggravarsi del fenomeno del cambiamento climatico, rimane da chiedersi quali strategie di gestione urbana dell’acqua piovana dovrebbero essere messe in atto per salvaguardare le città di tutto il mondo.

Città più resilienti

E’ chiaro che il riscaldamento globale debba essere contrastato con misure radicali e attraverso una revisione profonda delle politiche energetiche ma nel frattempo è necessario cautelarsi, cercando di progettare città più resilienti, ovvero in grado di resistere e di reagire agli eventi estremi.

Il maxi-piano cinese per contrastare le alluvioni

Il Paese che probabilmente sta investendo maggiormente, perlomeno a livello teorico, in un modello innovativo e integrato di gestione urbana acqua piovana è la Cina. Più volte colpito da nubifragi molto violenti, come quello del 2012 che ha devastato Pechino, il paese asiatico nel 2015 ha lanciato un maxi-progetto con un obiettivo ambizioso: entro il 2020 l’80% delle aree urbane dovrebbe assorbire e riutilizzare almeno il 70% dell’acqua piovana.

Come è possibile raggiungere questo scopo? Trasformando tutte le grandi città cinesi in ‘sponge cities’, grazie a una serie di interventi e di progetti volti a una maggiore resilienza. Le città-spugna, lo si deduce dal nome, sono quelle città che mettono in atto alcune soluzioni per evitare che l’acqua dirompi, assorbendola e, laddove possibile, recuperandola per destinarla a nuovi usi.

Gestione urbana acqua piovana: interventi in 30 città

A essere coinvolte sono attualmente 30 diverse città, tra cui Shanghai, Wuhan e Xiamen, dove si stanno sperimentando o dove sono stati pianificati interventi che dovrebbero sia aiutare a migliorare la gestione urbana acqua piovana sia a far fronte alle carenze idriche dovute a consumi eccessivi. Gli interventi per trasformare un centro urbano in una città-spugna riguardano soprattutto l’implementazione di infrastrutture verdi e di superfici permeabili e filtranti, capaci di potenziare la capacità di assorbimento e di redistribuzione dell’acqua.

Una città-spugna sperimentale

Lingang New City, un nuovo agglomerato pianificato nel distretto di Pudong, a 65 km Shanghai, sta fungendo da test per lo sviluppo di un modello di sponge-city. I tetti delle abitazioni saranno interamente ricoperti da vegetazione, sono previste zone umide per lo stoccaggio dell’acqua piovana, tutte le pavimentazioni saranno permeabili e vi sarà anche un grande lago al centro della città, che fungerà sia da bacino idrico di raccolta sia come espediente per ridurre la temperatura esterna dell’aria.

gestione urbana acqua piovana

Gli altri interventi

Oltre alla città sperimentale, diverse misure sono in fase di realizzazione anche altrove. Shanghai ha annunciato all’inizio del 2016 la costruzione di 400.000 metri quadrati di giardini pensili. Mentre a Shenzen, una megalopoli di 10 milioni di abitanti che si affaccia sul mare che bagna la regione del Guandong, nella Cina meridionale, si stanno sperimentando alcuni sistemi innovativi per edifici e pavimentazioni.

Qualcosa non sta funzionando?

Il traguardo si sta però avvicinando e c’è da dire che in tutte le città cinesi si sono verificati una serie dirallentamenti nei lavori previsti.

Secondo le informazioni che si possono ricavare dai media locali, da un lato ci si è scontrati con una serie di vincoli burocratici e normativi, dall’altro lato c’è una difficoltà a finanziare tutti i progetti previsti. Il governo cinese finanzia infatti circa il 15-20% dei costi e la parte restante viene divisa fra governi locali e investitori privati. E non è sempre così semplice trovare un finanziamento.

Finora sono stati investiti 12 miliardi di dollari nei vari interventi di gestione urbana acqua piovana che stanno trasformando i centri urbani cinesi in città-spugna, una cifra elevata ma insufficiente per centrare l’obiettivo del maxi-progetto.




Cyber Security e Digital Marketing, serve una stretta collaborazione per proteggere dati sensibili e reputazione aziendale

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Cyber Security e Digital Marketing, serve una stretta collaborazione per proteggere dati sensibili e reputazione aziendale
Il Marketing è spesso considerato l’anello debole della sicurezza informatica. È tempo di ribaltare questa visione e creare uno stretto sodalizio fra gli esperti di Cyber Security e Digital Marketing per la definizione, diffusione e attuazione di strategie mirate a prevenire attacchi e a reagire opportunamente in caso di incidenti.


Cyber Security e Digital Marketing sono ormai due facce di una stessa medaglia. Nell’era del 4.0 e dell’Internet of Things, infatti, i professionisti che lavorano in ambito Marketingsi trovano spesso a dover gestire informazioni sensibili, collocate in ambienti cloud e diversificati, noti per essere maggiormente esposti ad attacchi informatici, interni e/o esterni. Quindi è fondamentale che siano coinvolti nella definizione, diffusione e attuazione delle strategie di Cyber Security, non solo perché facile obiettivo per gli hacker, ma come soggetto attivo nel contrasto al cyber risk.
La digitalizzazione dei processi e dei sistemi informativi aziendali, ha consentito a molte organizzazioni di essere più competitive, ma questo ha significato, al tempo stesso, esporre i dati delle stesse a maggiori rischi. Di conseguenza la Cyber Security è diventata una priorità assoluta per le imprese.
All’interno di questo contesto, il Marketing è ancora percepito come un soggetto a rischio per la sicurezza dei dati di un’organizzazione e le persone che lavorano nelle posizioni di Marketing si sono abituate ad essere qualificate come anello debole dei sistemi di sicurezza informatica.
In realtà, preso atto che anche una sola violazione dei dati può danneggiare considerevolmente un’azienda, a livello di Brand Reputation e, in seconda analisi, di costi economici, nessuno può sentirsi al riparo da questo genere di minacce, qualsiasi sia la sua attività ed il settore in cui opera.
Questa riflessione assume un’ulteriore rilevanza se si considera che i trend digitali come cloud, mobile, IoT e social, ormai imprescindibili anche per le aziende, espongono le stesse a una grande quantità di minacce.
Per di più, l’opportunità di raccogliere una quantità di dati sensibili sempre più ampia, parliamo quindi degli ormai noti Big Data, aumenta ulteriormente la possibilità di violazioni di sistemi informativi aziendali.
Inoltre, gli attacchi hacker come il furto di dati sensibili dei singoli consumatori, la distribuzione di malware o l’e-mail phishing, sono spesso facilitati dall’incuranza e dalla scarsa conoscenza e consapevolezza del personale interno dei rischi informatici.
Pertanto è fondamentale che l’organizzazione, a tutti i livelli, Marketing incluso, sia informata e consapevole sull’importanza della Cyber Security.

Gli esperti di Cyber Security e Digital Marketing devono collaborare di più

Ciò pone la domanda: cosa può fare il team di Marketing in tale scenario?
Data la quantità di informazioni sensibili a cui i Marketer hanno accesso e il crescente ricorso a nuove tecnologie e ambienti digitali per la condivisione interna e/o esterna all’organizzazione di questi dati, il Marketing è spesso obiettivo del crime sul web.
Perciò, in primo luogo, è essenziale educare le persone che lavorano in questo settore alla sicurezza informatica, con percorsi formativi creati ad hoc, per permettergli di identificare le specifiche tipologie di attacco informatico a cui potrebbero essere personalmente sottoposti, e ad usare con cautela ed intelligenza le tecnologie digitali.
Ciò significa anche che il Marketing dovrà comprendere l’importanza di collaborare con il dipartimento IT, per identificare eventuali minacce, rappresentate da nuove tecnologie, piattaforme e applicazioni, e determinare le misure di attenuazione del rischio informatico.
Una volta ridefinito il modo in cui i professionisti del Marketing affrontano il tema della Cyber Security, passando dall’essere facile bersaglio degli hacker, a utenti consapevoli dei rischi connessi al digitale, gli stessi marketer potranno essere d’aiuto all’intera organizzazione nell’arginare il Cyber Crime, diffondendo la cultura della sicurezza informatica tra tutte le funzioni in azienda.
Questo significa attivare campagne di comunicazione interna pensate per veicolare l’importanza della formazione sulla sicurezza informatica, contribuire alla diffusione del know-how aziendale riguardo le best practice in materia di Cyber Security e così via.

I Marketer devono essere pronti a comunicare in caso di attacco informatico

L’obiettivo per i professionisti che lavorano in ambito Marketing è quindi quello di accelerare e diffondere l’adozione di una strategia condivisa sul tema della sicurezza informatica tra tutta la popolazione aziendale.
Ma il ruolo del Marketing potrebbe andare oltre l’attività di diffusione interna delle norme aziendali di Cyber Security. È infatti altrettanto importante che i Marketer siano preparati ad affrontare un eventuale episodio di Cyber Crime e definiscano quindi preventivamente un piano di comunicazione esterna in caso si verificasse un attacco informatico, così da evitare il panico tra clienti, fornitori e partner.
In definitiva, la Cyber Security è fondamentale ad ogni livello dell’organizzazione, così come la diffusione di una cultura del rischio informatico e, al tempo stesso, lo sviluppo di una fiducia digitale.
All’interno di questo scenario, il Marketing, anziché l’anello debole della sicurezza informatica, può costituire la prima linea di difesa contro il cyber risk e contribuire a cambiare la prospettiva dalla quale il personale interno guarda a queste tematiche, permettendogli di comprendere come oggi la Cyber Security ricopra un ruolo abilitante, e non frenante, rispetto al raggiungimento degli obiettivi di business.
*di Matteo Giudici, Presidente & CEO di Mesa Srl, azienda associata AISM, Associazione Italiana Sviluppo Marketing




Scarpe solidali

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Al rientro dalla pausa estiva mi fa piacere valorizzare sul mio blog Le tue scarpe al centro, un progetto davvero originale realizzato dall’Arpae Emilia-Romagna con i Centri di educazione alla sostenibilità della regione e i gestori di rifiuti dei territori coinvolti.
Si tratta di un’iniziativa che coniuga i principi dell’economia circolare con la solidarietà: sono state infatti raccolte sul territorio modenese 14.000 scarpe da ginnastica e infradito che saranno usate per realizzare, attraverso il riciclo della gomma, la pavimentazione in materiale plastico del parco giochi di Amandola, paese terremotato delle Marche.
Nelle città che hanno aderito alla campagna sono stati organizzati diversi eventi e tantissimi cittadini, studenti, associazioni sportive hanno partecipato portando nei punti di raccolta le proprie scarpe usate.
La raccolta continua: Crevalcore, Mirandola, San Possidonio, San Prospero e Concordia la concluderanno il 15 settembre, mentre Carpi, Novi, Soliera il 21.
Il 23 settembre a Mirandola sarà organizzata la festa di chiusura del progetto Le tue scarpe al centro all’interno della terza edizione di “Verde vivo”, la manifestazione dedicata all’ambiente e alla sostenibilità.
Un’iniziativa che aiuta a far capire cosa significa “economia circolare” e dimostra l’importanza della collaborazione e della condivisione.
Cosa c’è di nuovo
Quando si promuovono iniziative che coinvolgono tanti soggetti diversi è un piacere poter raccontare i successi ottenuti grazie alla capacità di collaborare. Insieme si può fare di più e meglio.




Intervista a Radio1: Autostrade e la comunicazione in occasione del crollo di Genova

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22 agosto 2018, Claudio Vigolo e Mario Pezzolla, conduttori di “L’ultima spiaggia”, su Radio1 RAI, intervistano Luca Poma in qualità di docente e specialista in comunicazione di crisi, in merito alla gestione – da parte di Autostrade – della comunicazione in seguito al disastro del 14 agosto a Genova.
Ecco l’audio dell’intervista (10 min. circa):