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Il capo delle rinnovabili di Shell si dimette perché Shell non ha nulla di rinnovabile

Il capo delle rinnovabili di Shell si dimette perché Shell non ha nulla di rinnovabile

Il capo responsabile del comparto energie rinnovabili della nota società di combustibili fossili Shell, Thomas Brostrom, ha annunciato di voler abbandonare l’azienda dopo che il Ceo dell’azienda, Wael Sawan, ha ridimensionato i piani di transizione energetica.

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Una manifestazione contro Shell © David Ryder/Getty Images

Shell abbandona le rinnovabili e punta di nuovo sui fossili

Brostrom è entrato a far parte di Shell nell’agosto 2021 e proveniva dal gigante dell’energia eolica offshore Orsted, con il compito di guidare l’espansione degli investimenti verso le rinnovabili in Shell: il piano del colosso anglo-olandese era stato sostenuto dal precedente Ceo, Ben van Beurden.

Brostrom è diventato rapidamente responsabile delle energie rinnovabili nel febbraio 2022, dopo le dimissioni di Elisabeth Brinton, che aveva assunto il ruolo meno di due anni prima. Ma il nuovo Ceo Sawan, entrato in carica a gennaio, ha annunciato una retromarcia sulle energie pulite: il 14 giugno ha detto che Shell si sarebbe concentrata di nuovo sulla produzione di petrolio e gas, riducendo gli investimenti nelle energie rinnovabili a seguito della pressione degli investitori per concentrarsi sulle attività più redditizie.

Shell ha abbandonato l’obiettivo precedente di ridurre la produzione di petrolio del 20 per cento entro il 2030: secondo il nuovo piano, gli investimenti sul petrolio si manterranno stabili fino al 2030. Per convincere anche i soci più scettici, Shell aumenterà la distribuzione complessiva agli azionisti al 30-40 per cento del flusso di cassa dalle operazioni, rispetto al 20-30 per cento precedente, secondo un nuovo quadro finanziario annunciato durante la conferenza per gli investitori a New York.

E i mercati danno ragione a Shell: le azioni della società hanno chiuso in rialzo dello 0,4 per cento, in contrasto con l’andamento dell’indice delle società europee del settore petrolifero e del gas (Sxep). La spesa di capitale sarà compresa tra 22 e 25 miliardi di dollari all’anno nel 2024 e 2025, dopo un range pianificato di 23-27 miliardi di dollari nel 2023.

Shell prevede di spendere circa 40 miliardi di dollari per la produzione e il commercio di petrolio e gas tra il 2023 e il 2025, rispetto ai 35 miliardi di dollari per le sue attività nell’ambito delle soluzioni energetiche rinnovabili e a basso consumo energetico.

Una manifestazione contro Shell © Vuk Valcic/Sopa Images/LightRocket via Getty Images

La società continua a dire che manterrà le sue promesse sul clima

Tra l’altro Shell non è l’unica, anzi il suo annuncio segue un’iniziativa simile intrapresa dal concorrente BP (British Petroleum) all’inizio di quest’anno, quando il Ceo Bernard Looney ha ritrattato i piani di riduzione del 40 per cento della produzione di petrolio e gas entro il 2030.

“Investiremo nei modelli che funzionano, quelli con i più alti rendimenti che sfruttano i nostri punti di forza”, ha aggiunto Sawan durante la conferenza. E tanti saluti agli impegni per il clima, anche se Shell continua ad affermare di essere impegnata a ridurre le emissioni a zero entro il 2050. Il fatto è che non si capisce come farà a rispettare tali obiettivi: gli scienziati sostengono che il mondo deve ridurre le emissioni di gas serra di circa il 43 per cento entro il 2030 rispetto ai livelli del 2019 per avere una qualsiasi possibilità di realizzare l’Accordo di Parigi del 2015. Si può dire che le promesse di Shell rientrino nel calderone del greenwashing.




Quando gli obiettivi climatici rimangono nascosti: cos’è il greenhushing

Quando gli obiettivi climatici rimangono nascosti: cos’è il greenhushing

Il greenwashing, il cosiddetto ambientalismo di facciata, è uno di quei termini che ormai non c’è quasi più bisogno di spiegare. Lo scandiscono a gran voce i manifestanti in piazza e lo contestano le istituzioni europee (e non solo), entrambi promettendo di stanare le aziende che sfruttano l’attenzione all’ambiente come una manovra di marketing. È – in parte – anche per questo che, negli ultimi anni, svariate imprese hanno preferito tornare sui propri passi. Anche dopo aver promesso di abbattere le proprie emissioni di gas serra, e dopo essersi organizzate per riuscirci, hanno smesso di comunicarlo. Un fenomeno inedito che prende il nome di greenhushing.

Cos’è il greenhushing e quanto è diffuso

To hush è un verbo inglese che significa stare in silenzio. Da qui nel 2008 è stato coniato il neologismo greenhushing che, letteralmente, significa tacere sui propri obiettivi di sostenibilità ambientale.

Una scelta che a un primo sguardo potrebbe apparire incomprensibile ma, in realtà, è molto più diffusa di quanto non sembri. La società di consulenza svizzera South Pole, nel 2022, ha intervistato i referenti di circa 1.200 aziende che avevano fissato l’obiettivo di azzerare le proprie emissioni nette di gas a effetto serra. Quasi tutte avevano messo a punto (o intendevano farlo a breve) i cosiddetti target basati sulla scienza, cioè percorsi di riduzione in linea con il contenimento del riscaldamento globale entro gli 1,5 gradi rispetto ai livelli preindustriali.

Tra i motivi che le hanno spinte in questa direzione c’è la volontà di mostrare la propria leadership anche ai consumatori, sempre più attenti alle questioni ambientali. Eppure, un’azienda su quattro non intende comunicare pubblicamente i propri obiettivi di abbattimento delle emissioni. Facendo greenhushing in piena regola.

Fare greenhushing per paura del greenwashing

Diverse analisi sostengono che il greenhushing sia una sorta di via di fuga da possibili accuse di greenwashing. Ormai esistono testate, come Eco age, che smascherano i casi più clamorosi, il che può creare grossi problemi in termini di reputazione. Il cosiddetto scetticismo verde sta prendendo piede nell’opinione pubblica e, nella pratica, si può tradurre in tanti modi: pubblicità negativa, boicottaggi silenziosi oppure proteste plateali.

C’è da dire, però, che nell’Unione europea si sta sempre più allargando la platea di aziende che – volenti o nolenti – devono rendicontare le proprie performance di sostenibilità. Lo prevede la Corporate sustainability reporting directive (Csrd), la direttiva che da qui al 2026 imporrà a circa 50mila organizzazioni (comprese le piccole e medie imprese quotate) di raccogliere e pubblicare dati standardizzati in materia di ambiente, società e governance. Una volta rispettati gli obblighi di legge, però, ciascuna impresa sarà libera di decidere quanta visibilità dare a questi temi nelle proprie campagne di comunicazione.

Greenpeace
Un’attivista di Greenpeace contro il greenwashing

Perché il silenzio può diventare un problema

Perché bisognerebbe preoccuparsi del greenhushing? In fin dei conti, si potrebbe pensare che la priorità sia quella di tagliare le emissioni, e di farlo in modo rapido e incisivo, dedicando a questa missione tutte le risorse che sono necessarie. Sempre lo studio di South Pole fa sapere che quasi tre intervistati su quattro stanno investendo di più per raggiungere i propri target climatici. E quasi uno su tre si sta scontrando con difficoltà maggiori rispetto a quelle che si aspettava inizialmente.

Un’altra ricerca, stavolta di Cdp, mette invece fortemente in dubbio la credibilità dei piani di transizione climatica delle aziende. L’organizzazione infatti ha valutato 4.100 organizzazioni sulla base delle informazioni fornite in merito a 21 indicatori, tra cui il taglio alle emissioni, l’esposizione ai rischi finanziari legati al clima, il coinvolgimento dei fornitori e così via. Soltanto 81, cioè l’1,98 per cento del totale, ha dato risposte abbastanza esaustive su tutti e 21.

Alla luce di questi dati, verrebbe da pensare che la comunicazione sia, tutto sommato, un problema marginale. Ma in realtà ha anch’essa una sua importanza, soprattutto perché funge da sprone per un cambiamento di sistema. “Abbiamo più che mai bisogno che le aziende che fanno progressi sulla sostenibilità ispirino le altre a iniziare. Questo è impossibile se i progressi avvengono in silenzio”, afferma Renat Heuberger, ceo di South Pole.




N-able indica agli MSP le tre fasi per gestire un attacco informatico

N-able indica agli MSP le tre fasi per gestire un attacco informatico

Gli MSP sono uno dei principali bersagli degli attacchi informatici. A dirlo è Dave MacKinnon, Chief Security Officer di N-able: “Non è una questione di “se”, ma di “quando” l’attacco potrebbe verificarsi e il fattore di differenziazione per la maggior parte degli MSP e dei loro clienti è quanto velocemente si riesce ad attuare un piano di risposta e recovery”.

Il successo di un MSP attento alla sicurezza che desidera proteggere le proprie risorse digitali e la propria reputazione aziendale dipende dalla sicurezza dei suoi clienti e dall’efficacia delle misure di sicurezza adottate. Capire dove risiede la responsabilità nel caso di un attacco informatico – contro l’MSP o i suoi clienti – è fondamentale per identificare la portata del problema, contenerlo e risolverlo. Individuare l’origine dell’attacco consente di migliorare il livello di sicurezza di tutte le parti coinvolte.
Una recente ricerca di Gartner mostra che oltre il 90% dei dipendenti ha ammesso di aver attuato una serie di azioni non sicure durante le attività lavorative con la consapevolezza di poter esporre la propria azienda ai rischi.
L’e-book di Gartner rileva che entro il 2025, il 60% delle aziende prenderà in esame l’analisi del rischio informatico come fattore significativo nelle trattative con parti terze per evitare la compromissione di informazioni, sistemi e infrastrutture. Se a ciò si aggiunge che gli attacchi informatici di oggi sono sempre più sofisticati, gli MSP, e i CISO in generale, devono necessariamente essere proattivi e pronti nell’avere un piano di risposta e recovery.
Come la maggior parte dei processi di pianificazione, nella gestione di un attacco informatico c’è un “Prima”, un “Durante “e un “Dopo”. Ne parla MacKinnon.

Prima dell’attacco

  • Promuovere e mantenere una cultura aziendale orientata alla sicurezza e basata su un approccio Zero Trust
  • Valutare costantemente le abitudini di sicurezza informatica dei propri clienti e assicurarsi che le policy e le patch di sicurezza siano aggiornate. Adottare misure per ridurre al minimo i rischi con l’automazione, la gestione delle identità, le policy, i sistemi e le procedure. Aggiornare regolarmente i propri sistemi e i software dei clienti per prevenire gli attacchi informatici.
  • Stabilire le best practice e gli standard di sicurezza per la propria azienda e i propri clienti e valutarli regolarmente.
  • Creare un piano di backup e di Disaster Recovery as a Service (DRaaS) e riesaminarlo almeno una volta al trimestre, tenendo presente che il ripristino istantaneo non è sempre l’opzione migliore o disponibile per un recupero e un ripristino sicuri.
  • Contemporaneamente, sviluppare un piano di risposta agli incidenti che delinei le misure da adottare in caso di attacco. Dovrebbe includere misure per isolare i sistemi infetti, informare le parti interessate e ripristinare le operazioni aziendali. Questo piano deve essere collegato al piano di disaster receovery. Identificare il piano di comunicazione di crisi e l’albero delle chiamate (compresi i legali, l’assicurazione, le principali parti interessate, i coach per gli stati di crisi, l’ecosistema dei partner e i dipendenti).
  • Stampare una copia cartacea del proprio piano (nel caso in cui non sia possibile accedervi durante un attacco) e creare una sintesi di una sola pagina con i punti più importanti.
  • Incoraggiare i propri clienti a eseguire esercitazioni per la loro azienda e per i clienti per l’esecuzione di un piano di ripristino d’emergenza: testare le procedure e individuare le lacune. L’obiettivo di queste esercitazioni è il miglioramento continuo.
  • Promuovere la resilienza alle minacce informatiche in modo da poter rispondere a una violazione riuscendo al contempo a portare avanti le attività quotidiane.

Durante l’attacco

  • Identificare il tipo di attacco.
  • Mettere in atto il piano di risposta agli incidenti, determinare la gravità del problema e iniziare ad attivare il team di risposta agli incidenti.
  • Contenere l’incidente in base al proprio piano di risposta agli incidenti. Ciò può comportare l’isolamento di un endpoint, la disconnessione della rete interessata da Internet, la disabilitazione dell’accesso remoto o la modifica di tutte le password.
  • Valutare l’esposizione dei dati. Determinare se questo problema costituisce una violazione della sicurezza.
  • Stabilire se è necessario coinvolgere il proprio agente di assicurazione informatica, un consulente legale o addirittura le autorità.
  • Avviare il piano di comunicazione di crisi.
  • Eseguire il piano di backup e disaster recovery, che comprenda anche la strategia di resilienza informatica.

Dopo l’attacco

  • Valutare i danni.
  • Eseguire il debrief con il team di risposta agli incidenti.
  • Comunicare con clienti, stakeholder, investitori, partner e dipendenti.
  • Imparare dall’esperienza e condividerla.
  • Ampliare le misure di protezione per garantire che la causa scatenante non si verifichi nuovamente.
  • Ampliare le misure di rilevamento per garantire il rilevamento delle variazioni dell’attacco nell’ambiente aziendale.
  • Istituire un nuovo piano di prevenzione basato su quanto appreso.
  • Verificare le aree che non hanno funzionato bene durante le esercitazioni.

MacKinnon conclude: “Per preservare il successo e la reputazione della propria azienda e dei clienti, è indispensabile una pianificazione, prevenzione, monitoraggio, rilevamento e ripristino dei processi. Adottando le misure sopra elencate, gli MSP potranno meglio proteggere il loro team e i loro clienti dagli attacchi informatici e consentire loro una ripresa più rapida e in sicurezza”.




Scrivere e comunicare rispettando le differenze di genere

Scrivere e comunicare rispettando le differenze di genere

Stop al maschile universale generalizzato e come evitarlo, ma anche soluzioni pratiche per riformulare moduli e schede online in modi più rispettosi delle differenze, senza appesantire il testo. Sono solo alcune delle indicazioni pratiche contenute nel manuale “Parole che fanno la differenza. Scrivere e comunicare rispettando le differenze di genere”, approvato in Giunta e presentato mercoledì 25 ottobre alla dirigenza del Comune e alla stampa.

Le linee guida sono ora disponibili sulla intranet aziendale per tutto il personale del Comune, assieme a materiali di approfondimento che aiutano a semplificare il linguaggio e a includere in modo ampio i generi e tutte le diversità. 

La guida è uno strumento agile che sarà il punto di riferimento per la comunicazione interna ed esterna del Comune, a partire dalla consapevolezza che spesso sburocratizzare e semplificare il linguaggio amministrativo va di pari passo con il renderlo più inclusivo e in grado di ridurre le distanze tra amministrazione e persone destinatarie dei servizi.

Cosa dice la delibera

  • Adotta le linee guida per supportare chi lavora nell’Amministrazione nel trovare soluzioni linguistiche rispettose delle differenze di genere
  • Incarica i/le dirigenti e le altre figure di responsabilità intermedia di provvedere alla diffusione delle indicazioni del manuale tra il personale delle proprie strutture e di incentivare l’utilizzo delle indicazioni che contiene per gli atti e le comunicazioni rivolti sia all’interno che all’esterno dell’ente
  • Impegna le direzioni di Area, Dipartimento, Settore e Quartiere ad adeguare i modelli degli atti e delle comunicazioni garantendo, per le cariche organizzative delle strutture da loro dirette, la declinazione in accordo con il genere del/della titolare

Le linee guida sono il frutto di un gruppo di lavoro tecnico interno e trasversale coordinato dal settore Innovazione e semplificazione amministrativa, di cui fa parte l’ufficio Pari opportunità.

A riassumere il valore di questo strumento è la vicesindaca Emily Clancy nell’introduzione:

Il rispetto delle differenze è premessa fondamentale di quel benessere che l’Amministrazione deve assicurare ai suoi cittadini e alle sue cittadine, così come a coloro che nell’Amministrazione lavorano, mettendo tutti e tutte nelle condizioni di sentirsi nominati e nominate e di avere a disposizione gli strumenti, anche linguistici, per non escludere nessuna persona (…)

La lingua è materia viva, da trattare con rispetto, ma anche con curiosità e inventiva. È quello che fa questa guida, con chiarezza e semplicità, richiamandosi a fonti autorevoli. Un mattoncino nella costruzione di un’Amministrazione davvero al servizio di tutte e tutti.

La guida rimanda a degli “approfondimenti teorici pensati per spiegare da dove nascano alcuni stereotipi e pregiudizi”, ma soprattutto offre principi guida – come “Tutte le volte che è possibile, dobbiamo dare spazio sia alla forma femminile che a quella maschile” – , definizioni chiare, esempi e tabelle, in una veste grafica che ne facilita la consultazione.

Il percorso verso un linguaggio rispettoso delle differenze

  • L’Amministrazione si è impegnata nel 2019, sottoscrivendo il Protocollo Metropolitano “Il linguaggio fa la differenza” sulla comunicazione di genere e sul linguaggio non discriminatorio, a promuovere l’uso di una comunicazione rispettosa delle differenze di genere, un impegno richiamato nel Piano metropolitano per l’Uguaglianza di genere 2021-2026 approvato nel 2022.
  • A ottobre 2022, il Dipartimento per le Pari Opportunità ha emanato le Linee Guida sulla Parità di genere nell’organizzazione e gestione del rapporto di lavoro con le pubbliche amministrazioni che prevedono, fra le azioni di promozione e diffusione della cultura della leadership al femminile, la sensibilizzazione all’utilizzo di un linguaggio inclusivo sotto il profilo del genere.
  • A partire dal 2022, inoltre, i progetti realizzati dagli enti nel Programma Horizon Europe e nel PNRR, richiedono agli enti pubblici e privati destinatari di finanziamenti europei di adottare un Gender Equality Plan (GEP), un documento pubblico, condiviso, approvato e obbligatorio.
  • Il Comune ha adottato il Gep nel dicembre 2022 all’interno del Piano Integrato di Attività e Organizzazione 2023-2025 (PIAO).
  • Nel PIAO, tra “Gli obiettivi per favorire le pari opportunità e l’uguaglianza di genere”, sono previsti l’attivazione di un gruppo di lavoro per elaborare delle proposte sulla comunicazione istituzionale interna ed esterna attenta al rispetto della parità di genere e la definizione di Linee Guida per l’utilizzo di un linguaggio inclusivo di genere e applicazione delle stesse all’interno dell’Ente.

Accanto al linguaggio, l’attenzione alle differenze è anche nelle relazioni interne e nella cura del benessere organizzativo: 

  • Sempre nel 2022, il Comune si è dotato di una funzione trasversale, l’ufficio Diritti e città plurale, coordinata dall’unità intermedia Diritti, cooperazione e nuove cittadinanze, con la funzione di garantire l’azione integrata all’interno dell’ente per la tutela dei diritti, la valorizzazione delle differenze e la prevenzione di ogni forma di discriminazione.
  • A inizio 2023 si è insediato un Diversity Team di cinque componenti per potenziare la prevenzione e il contrasto alle discriminazioni.

l’e-book:

Linee guida Parole che fanno la differenza. Scrivere e comunicare rispettando le differenze di generePDF – 2.55 MB




L’Italia accelera nel mobility sharing, ma l’Europa va più veloce!

La crescita della Sharing Mobility in Italia post-pandemia

In Italia, il 2022 è stato caratterizzato da una crescita esplosiva nel settore della Sharing Mobility. Con un aumento del 38% rispetto all’anno precedente, il fatturato complessivo del settore in Italia ha superato i 178 milioni di euro. Un dato impressionante che riflette l’adozione crescente di servizi di mobilità condivisa da parte degli italiani (che stanno applicando comportamenti sostenibili anche ad altri settori, quali l’alimentazione, l’acquisto di abbigliamento, l’energia…). Ma cosa rende questa crescita così straordinaria?

  • Aumento dei Noleggi: il numero totale di noleggi nei servizi di condivisione dei veicoli è cresciuto del 41% rispetto al 2021, raggiungendo circa 49 milioni di viaggi. Questo supera di gran lunga i livelli pre-pandemici del 2019, con un aumento del 77%. Significa che sempre più persone stanno abbracciando la condivisione come una soluzione pratica e conveniente per i loro spostamenti.
  • Espansione dei Servizi: nel 2022, il numero di servizi di Sharing Mobility attivi nelle città italiane è aumentato da 190 a 211. Ciò significa che sempre più città stanno adottando queste soluzioni di mobilità sostenibile. Inoltre, il numero di veicoli a disposizione degli utenti è salito da 89.000 a 113.000, garantendo una maggiore accessibilità.
  • Settori in Crescita: non si tratta solo di biciclette condivise o monopattini; anche il carsharing station-based e il bikesharing free-floating hanno registrato una crescita significativa, con un aumento del fatturato stimato rispettivamente del +72% e +95%. Questo indica una diversificazione dei servizi offerti, che soddisfano le diverse esigenze di mobilità dei cittadini.
  • Leadership di Milano: Nel contesto europeo, Milano si è affermata come la terza città con la crescita più elevata nella micromobilità in condivisione nel 2023. Con 14,8 milioni di noleggi e 30.700 veicoli a disposizione degli utenti, Milano è diventata un punto di riferimento nel panorama europeo della Sharing Mobility. Tutto ciò va a favore di coloro che si trasferiscono a Milano da altre regioni d’Italia. Costoro non devono più preoccuparsi di possedere l’automobile di proprietà, in quanto la disponibilità di trasporti sostenibili facilita la loro mobilità. 

Il programma dell’Italia per favorire la decarbonizzazione dei trasporti

Un aspetto fondamentale della Sharing Mobility è la sua contribuzione alla decarbonizzazione dei trasporti. L’adozione di veicoli elettrici è un passo cruciale verso una mobilità più sostenibile. Secondo il Rapporto Nazionale sulla Sharing Mobility, l’Italia prevede di avere 6,6 milioni di veicoli elettrici e ibridi plug-in entro il 2030. Questa transizione comporterà una riduzione del tasso di motorizzazione privata, con 4,5 milioni di auto in meno entro il 2030. Questo passaggio rappresenta una pietra miliare nella lotta contro le emissioni di gas serra.

  • Impatto Ambientale Positivo: Con un aumento del 30% dell’offerta di trasporto pubblico e di Sharing Mobility, si prevede una riduzione di 18 milioni di tonnellate di gas serra. Questo rappresenta più della metà di quanto richiesto all’intero settore dei trasporti. È un contributo significativo alla lotta contro il cambiamento climatico e all’obiettivo di raggiungere emissioni zero.
  • Copertura delle Città: Tuttavia, vi è ancora una disparità tra le regioni italiane, con il 77% dei comuni nel nord che offre servizi di Sharing Mobility, rispetto al 50% al centro e al 48% nel sud e sulle isole. Ma c’è una buona notizia: nel corso di tre anni, il sud e le isole hanno recuperato il 15% di copertura, indicando una crescente adozione in tutto il paese.
  • Micromobilità a Emissioni Zero: La micromobilità a emissioni zero ha registrato una crescita significativa, con oltre 43 milioni di spostamenti registrati nel 2022. Questo settore comprende il bikesharing, lo scootersharing e il monopattino-sharing. Tutte queste opzioni stanno diventando sempre più popolari, contribuendo a ridurre l’inquinamento atmosferico nelle città.

La mobility sharing in Italia rispetto al resto dell’Europa

AUMENTO MICROMOBILITY EUROPA
Milano +21%
Barcellona +44%
Berlino +306%

L’Italia presenta differenze notevoli rispetto ad altre nazioni europee in termini di mobility sharing. A Parigi, un referendum ha portato all’interdizione dei monopattini condivisi. Nel contempo, sia a Roma che a Madrid, è stata imposta una forte limitazione sul numero di fornitori e mezzi attraverso provvedimenti ufficiali. 

A dispetto di ciò, Berlino ha visto una crescita senza precedenti nel settore della micromobilità, segnando un aumento del 306% nell’arco di un anno e raggiungendo 1.700.000 noleggi dai 420.000 precedenti. La capitale tedesca domina in termini di crescita di viaggi, mentre Barcellona segue con un incremento del 44%.  

D’altra parte, Milano emerge come la terza metropoli europea in termini di crescita nel campo della micromobilità nel 2023, con un salto del 21% e circa 1 milione di noleggi in aprile. Questi numeri sottolineano come le metropoli europee abbiano adottato approcci e normative diverse nella gestione della micromobilità. 

Nonostante ciò, l’Italia sembra ancora indietreggiare rispetto ad altre nazioni europee in ambito di trasporto ecologico, mantenendo una forte inclinazione verso l’uso dell’automobile e avendo un servizio di trasporto pubblico limitato, particolarmente nelle regioni meridionali. Questa è la sintesi fornita dal terzo rapporto del progetto Osmm, che mette a confronto l’Italia con l’Europa, evidenziando l’urgenza di passare a forme di mobilità più rispettose dell’ambiente.

La cavalcata verso l’uniformazione della mobilità in Italia

La Sharing Mobility è diventata un elemento chiave nella trasformazione della mobilità urbana in Italia ed Europa. La crescita impressionante dei servizi di condivisione dei veicoli, insieme all’adozione crescente di veicoli elettrici, sta contribuendo a una mobilità più sostenibile e all’obiettivo di ridurre le emissioni di gas serra. Tuttavia, ci sono ancora sfide da affrontare, come garantire una copertura uniforme nelle città e mantenere l’offerta di veicoli al passo con la domanda crescente. La Sharing Mobility ha sicuramente dimostrato il suo valore, ma il settore continua a evolversi per soddisfare le esigenze in rapida mutazione dei cittadini.