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Tragedia di Genova, dopo il duro colpo alla reputazione del gruppo, l’impegno di Autostrade ‎per la città

dopo il duro colpo alla reputazione del gruppo, l’impegno di Autostrade ‎per la città

A quattro giorni dal tragico crollo del Ponte Morandi a Genova con un bilancio di 43 morti e molti feriti, i vertici di Autostrade per l’Italia e di Atlantia sono usciti allo scoperto raccontando in una conferenza stampa gli impegni economici e industriali che il gruppo ha deciso di investire a Genova. Aiuti cospicui che non basteranno però a ricostruire rapidamente la reputazione del gruppo – e di riflesso della famiglia Benetton che e’ l’azionista di riferimento di Atlantia la holding di cui Autostrade e’uno dei gioielli – subito criminalizzato come responsabile del crollo dai rappresentanti del Governo molto abili ad utilizzare il dramma umano e lo sconcerto popolare per allontanare ogni responsabilità politica facendo dei concessionari autostradali una categoria di profittatori mascalzoni che vanno puniti‎ revocandogli la concessione.

Il crollo del ponte e’ diventato l’occasione per ricostruire la storia della privatizzazione di Autostrade decisa dal governo Prodi come un regalo ai Benetton, per accusare i giornali di non aver subito legato il nome dei Benetton ad Autostrade, e anche per fare un processo alle reazioni troppo formali e fredde della comunicazione del gruppo, comunicati stilati con un linguaggio tecnico legale, senza nessuna forma di partecipazione, compassione per le vittime e per la società genovese. Sulla vicenda si sono esercitati comunicatori,come Toni Muzi Falconi, Luca Poma, e Fabrizio Vignati, sottolineando l’assenza della comunicazione di crisi.

Il presidente di Atlantia Fabio Cerchiai e l’amministratore delegato di Autostrade Giovanni Castellucci ‎durante la conferenza stampa, nel tardo pomeriggio,hanno ripetutamente sottolineato il dolore e il cordoglio per il dramma delle vittime e di Genova. “Sono arrivato immediatamnte appena avvertito del crollo”,ha detto Castellucci, “e con i nostri esperti abbiamo lavorato a fianco dei soccorritori e delle istitutuzioni locali per capire e cercare di ripristinare la viabilità. Mi spiace che non siamo riusciti a far sentire la nostra vicinanza alla gente per cui non abbiamo mai smesso di lavorare” . E i due manager hanno spiegato come Autostrade si e’ impegnata con il Comune e la Regione ad affrontare gli aspetti pratici della crisi. Innanzitutto creando un fondo per le esigenze immediate delle famiglie delle vittime che dovrebbe essere gestito dal Comune. E molti altri atti concreti per “ripristinare più velocemente possibile la viabilità e aiutare Genova a rialzarsi”. Il progetto più importante e’ un nuovo ponte in acciaio sul Polcevara dopo l’abbattimento del Morandi, l’ombelico della viabilità della citta’, che potrebbe essere pronto in otto mesi, e anche il trasferimento grazie a risarcimenti per tutti gli residenti degli stabili sotto il ponte in nuove abitazioni, progetto gestito dalla Regione. Si parla di un impegno complessivo di Atlantia/Autostrade su Genova di mezzo miliardo di euro che sicuramente ne il presidente della Regione Giovanni Toti ne il sindaco Marco Bucci vorranno farsi sfuggire, facendone dei buoni alleati contro le aggressività punitive dei ministri 5stelle Toninelli e Di Maio.
Ai giornalisti che ripetutamente gli chiedevano a chi va attribuita la responsabilità ‎dell’accaduto Castellucci ha ripetuto che” sta alla magistratura chiarire che cosa e’ veramente successo e noi l’aiuteremo per essere veloce e andare in profondita”.
Il presidente Cerchiai alla domanda sulla possibile uscita di Castellucci ha risposto ribadendogli amicizia e stima “come il miglior manager per Autostrade”.
A pilotare la conferenza stampa Roberto Stasio, responsabile della sede di Genova di Ba‎rabino & Partners la societa’ di comunicazione che e’ stata incaricata per affiancare Autostrade nella vicenda.




E’ a Tokyo la prima Smart City sicura e interconnessa grazie alla Blockchain

E’ a Tokyo la prima Smart City sicura e interconnessa grazie alla Blockchain

La Blockchain, in italiano “catena di blocchi”, è un processo in cui un insieme di soggetti condivide risorse informatiche – dati, memoria, Cpu, banda – per rendere disponibile alla comunità di utenti un database virtuale, generalmente di tipo pubblico, ma ci sono anche esempi di implementazioni private, e in cui ogni partecipante ha una copia dei dati.
Alla base del funzionamento della Blockchain c’è la sicurezza poiché il database condiviso è centralizzato e criptato; in questo modo viene garantita la sicurezza e la conservazione delle informazioni in esso contenute, inoltre, per effettuare delle modifiche è necessario il consenso di tutti e comunque vengono registrate tutte le versioni precedenti.
L’utilizzo della tecnologia Blockchain è ancora molto nebuloso poiché si può spaziare dall’impiego all’interno del mondo criptovalute, fino ad arrivare ai settori più disparati come banche, trasporti, sanità, finanza, sicurezza, istruzione, assicurazioni. Questi che abbiamo appena elencato sono alcuni degli ambiti che, secondo gli esperti, saranno prima o poi contaminati dalla Blockchain.
Blockchain è anche pronta a sbarre all’Università di Pisa, primo ateneo in Italia e tra i primi in Europa ad adottare il registro criptato digitale in cui archiviare in ordine cronologico e pubblico tutte le informazioni legate alla carriera universitaria, così da porre fine ai millantatori di titoli di studio.
Ma ora ai diversi ambiti alternativi di applicazione della tecnologia Blockchain se ne aggiunge un altro: il suo utilizzo nella progettazione di una Smart City.
Le Smart City combinano le tecnologie dell’informazione e della comunicazione nel tentativo di migliorare i servizi come i trasporti attraverso la razionalizzazione che produce una riduzione dei costi. Un esempio semplice in tal senso è l’impiego di sensori per la segnalazione di parcheggi liberi, oppure i sistemi di illuminazione che utilizzano i sensori per rilevare l’attività umana nella zona e a seconda dell’afflusso aumentano o diminuiscono l’illuminazione.
L’Internet of Things e la Blockchain rappresentano un ulteriore step per lo sviluppo delle Smart City. L’applicazione dell’Internet of Things all’interno di un ecosistema complesso come quello urbano porta con sé una serie di problematiche.
Se da un parte l’IoT può essere sfruttata per una gestione intelligente ed interconnessa del flusso del traffico, la Blockchain entra in gioco perché in questo contesto è fondamentale mantenere la sicure dati.
Nell’esempio che prenderemo in rassegna, ossia un’avanzata smartcity di Tokyo, c’è tutto questo ma anche molto altro. Si tratta di un esperimento implementato all’interno del distretto di Daimaruyu che, in un’area di 120 ettari nel quale il 30% degli edifici appartiene a Mitsubishi, riunisce tre quartieri di Tokyo compresi fra la Tokyo Station e il Palazzo imperiale.

L’area delle smartcity di Tokyo.

Ci sono diversi stakeholder e aziende che hanno preso parte al progetto. Fujitsu ha creato l’infrastruttura tecnologica, ossia quella che consentirà alle aziende di condividere i propri dati senza perderne il controllo.  Alla base di tutto c’è sempre la condivisione di dati in modo sicuro e strutturato per creare valore, rispettando sicurezza, privacy e relazioni tra le aziende che vi partecipano.
La tecnologia impiegata, di tipo open source, appositamente progettata sotto la Linux Foundation per un utilizzo in contesto aziendale, è una Blockchain Hyperledger Fabric che sfrutta la “tecnologia contenitore” per ospitare contratti smart chiamati “chaincode” che comprendono la logica applicazione del sistema. In Hyperledger Fabric le regole definite per la specifica Blockchain stabiliscono chi può validare l’ingresso di membri nella Blockchain, autorizzare e verificare ogni transazione.
 Fujitsu ha progettato l’infrastruttura software Virtuora DX attraverso la quale permette di condividere data e smart contractsVirtuora DX è un servizio cloud che consente alle aziende di portare visibilità e valore nei dati in loro possesso, condividerli, e accelerare la co-creazione di valore. Questo tipo di tecnologia è necessaria perché i dati possono essere sfruttati in modo sicuro per creare innovazione senza però che essi escano dal perimetro aziendale.
All’interno di un’area come quella di Daymaruyu, un distretto ad alta densità economica dove sono presenti 106 grattacieli – 4.300 uffici -, 280mila persone impiegate, 40mila ristoranti, 90mila negozi, 13 stazioni ferroviarie e metro, 28 linee, hanno la loro sede principale 16 delle più grandi aziende al mondo.
In quest’area, che non ha nulla da invidiare alla città rappresentata nel visionario film Minoriry Report, l’infrastruttura tecnologica consente di condividere le informazioni di tipo economico che provengono dalla gestione dei palazzi di proprietà di Mitsubishi, dai sensori IoT raccolti da aziende di trasporti – è presente anche un servizio di bus senza conducente -, dai negozi relativamente all’andamento delle vendite e dalla disponibilità dei beni, dal flusso di dati provenienti dagli hotel sulle camere disponibili, oppure i tavoli liberi all’interno dei ristoranti.

Alcuni dei servizi garantiti dall’uso della blockchain e dell’IoT nella smart city di Tokyo.

L’aggregazione di questi dati a diversi livelli – si può anche conoscere l’andamento dei prezzi degli immobili al metro quadro, oppure quante persone sono presenti all’interno di un locale ma anche sapere il valore e la quantità di ogni transizione effettuata – potrà quindi essere sfruttata dall’azienda che si collega, previa autorizzazione, per progettare un determinato servizio oppure per la sua attività commerciale.
L’esempio del distretto di Daymaruyu conferma l’ascesa delle Smart City che ormai sono diventate un obiettivo principale per molti paesi.
Escludendo il Giappone, secondo i dati diffusi dall’IDC, i paesi che compongono l’area Asia-Pacifico spenderanno nel 2018 in progetti di città intelligenti 28,3 miliardi di dollari, raggiungendo i 45,3 miliardi nel 2021. In tutto questo la Blockchain ha rapidamente guadagnato consensi e può essere considerata una parte integrante del successo delle Smart City.
Questa tecnologia può essere utilizzata anche per assegnare un’identità digitale verificata ad ogni cittadinocosì da consentirgli di accedere ad un sistema interconnesso. Tutto questo si traduce nella fruizione di un’ampia gamma di servizi governativi, professionali e privati – come la richiesta di prestiti bancari, la gestione della proprietà, il trasporto pubblico, lo shopping online o il pagamento delle tasse -, il tutto con estrema facilità e velocità.




Unicredit rompe con Facebook per questioni etiche

Unicredit rompe con Facebook per questioni etiche

L’ordine dell’amministratore delegato che blocca le sponsorizzazioni sulla fanpage della banca


UniCredit ha rotto ogni relazione commerciale con Facebook. “Abbiamo bloccato ogni interazione con Facebook perché non pensiamo che Facebook abbia un comportamento etico”, ha detto l’amministratore delegato Jean Pierre Mustier, nel corso della conferenza stampa di presentazione dei conti semestrali. “UniCredit non usa Facebook per ordine del ceo”, ha scandito Mustier, sottolineando che l’istituto “prende molto sul serio l’etica del business” (Il Sole 24 Ore),

Per quanto riguarda i motivi, il ceo ha fatto chiaramente intendere che si riferiva allo scandalo Cambridge Analytica. Scrive Repubblica che ha spiegato in conferenza stampa che “Facebook aveva garantito che non avrebbe usato i dati degli utenti vendendoli ad altri e invece lo ha fatto”. Secondo quanto riferito dalla stessa banca, il manager ha bloccato ogni iniziativa di sviluppo commerciale tramite i canali del social network, una pratica che negli anni passati era stata usata soprattutto nelle controllate di Unicredit nei paesi dell’est per acquisire nuovi clienti o per aumentare il numero dei contatti. Con il suo arrivo, Mustier ha dato ordine che tali iniziativa venissero bloccate e non più replicate, per questioni etiche e di rispetto dei clienti. Rimane comunque aperto il canale Facebook di Unicredit, regolarmente aggiornato ma non sponsorizzato, e non è stato vietato l’uso del social network ai dipendenti.

Secondo il Corriere della Sera è dallo scorso marzo che la banca non ha più usato Facebook per campagne pubblicitarie o di marketing.

A Radiocor invece replica un portavoce di Facebook, che, stando a quanto riferisce Affari Italiani, avrebbe affermato che “gli inserzionisti sono interessati alle persone, e anche noi. Mentre alcuni di loro hanno sospeso gli annunci, molti altri hanno espresso il loro sostegno per le misure che stiamo prendendo per proteggere le informazioni delle persone. Prendiamo sul serio tutti i feedback: stiamo lavorando con i nostri partner per rendere le nostre piattaforme ancora piu’ sicure”.




Le altre crisi comunicative di Benetton oltre a Genova

Le altre crisi comunicative di Benetton oltre a Genova

La famiglia trevigiana aveva già avuto guai d’immagine. Il crollo della fabbrica tessile in Bangladesh nel 2013 e i baby lavoratori turchi nel 1998. I precedenti

Per la famiglia Benetton la comunicazione non è mai stata una cosa semplice. Solitamente siamo abituati a pensare al gruppo trevigiano come fonte di polemiche per le pubblicità provocatorie e graffianti. Come quando nel 2011 fece arrabbiare il Vaticano per i manifesti in cui il pontefice Benedetto XVI baciava l’imam di Al Azhar sotto il simbolo della campagna Unhate. La polemica era riesplosa a fine giugno 2018 quando l’azienda ha scelto di usare la foto di un gommone con a bordo decine di migranti soccorsi dalla Organizzazione non governativa (Ong) Sos Méditerranée. La decisione fece scattare la rabbia soprattutto della Lega Nord-Liga Veneta che lanciò un boicottaggio. Ma il crollo del viadotto Morandi di Genova ha riaperto una vecchia ferita per i Benetton, un problema di gestione della comunicazione. Se non del gruppo, almeno delle sue controllate, in particolare di Autostrade per l’Italia. In questo senso non è la prima volta che una società dalla famiglia trevigiana non riesce a contenere una crisi d’immagine.

IL CROLLO DI RANA PLAZA IN BANGLADESH E LA MEZZA AMMISSIONE

Nell’aprile del 2013 una palazzina di otto piani si ripiegò su se stessa a Dacca, in Bangladeshcausando la morte di quasi 400 operai. L’edificio, noto come Rana Plaza, ospitava circa 3 mila persone e quasi tutte lavoravano in cinque aziende di abbigliamento per l’esportazione. Quelle aziende, che operavano senza rispettare le più semplici regole di sicurezza, lavoravano soprattutto per multinazionali straniere: tra queste Benetton. Il gruppo smentì, ma poi, dopo la pubblicazione di alcune foto delle magliette tra le macerie del palazzo, fu costretto a correre ai ripari. In un tweet Benetton ribadì che nessuna delle aziende coinvolte era un loro fornitore, ma aggiunse anche che «un ordine era stato completato e spedito da uno dei produttori coinvolti, ma prima dell’incidente. Da allora il fornitore è stato rimosso».

I BABY-OPERAI TURCHI E LA CAUSA AL CORRIERE NEL 1998

C’è però un altro caso che ha scosso la comunicazione del gruppo, anche se allora non esistevano i social network e in teoria era più semplice contenere una crisi. Nel 1998 sulle pagine del Corriere della sera venne pubblicata un’inchiesta su alcune fabbriche terziste turche che impiegavano manodopera infantile, aziende che sarebbero state tra i fornitori di Benetton. La rivelazione scatenò violente polemiche e un’eco nazionale e internazionale che causò un danno d’immagine notevole. Subito l’azienda rigettò le accuse e fece causa al quotidiano di via Solferino. Cinque anni dopo il tribunale di Milano condannò il giornalista Riccardo Orizio e il direttore del Corriere della sera Ferruccio De Bortoli per diffamazione aggravata e omesso controllo, colpevoli secondo i giudici di aver affiancato la produzione turca al marchio “made in Italy”.




La communication de crise en douze recommandations

La communication de crise

Veiller, anticiper et s’organiser sont les maîtres-mots de cette technique de communication que bien d’hommes et de femmes politiques tunisiens mais aussi de ministres tunisiens ne semblent pas totalement maîtriser.

À l’ère des réseaux sociaux, l’information se répand comme une traînée de poudre et il est difficile de la contenir si l’on ne s’est pas suffisamment préparé pour la gérer en cas de crise.
C’est tout le rôle de la communication de crise: veiller, anticiper et s’organiser sont les maîtres-mots de cette technique de communication que bien d’hommes et de femmes politiques tunisiens mais aussi de ministres tunisiens ne semblent pas totalement maîtriser. Le naufrage d’une embarcation clandestine au large des îles Kerkennah, début juin 2018, en est un bon exemple. Voici quelques recommandations afin d’être prêt à toutes les éventualités.

  1. La communication est à double-sens, en particulier sur les réseaux sociaux

Cela peut faire peur, mais c’est inévitable: le public peut maintenant s’adresser à vous au même titre que vous vous adressez à lui et une communication descendante n’est pas toujours de son goût. Le public peut vous interpeller, vous critiquer, réclamer une réponse. Cela signifie que votre attention ne doit jamais faiblir et que la courtoisie doit être votre boussole: la moindre erreur peut être repérée et prendre de l’ampleur via les réseaux sociaux.

  1. Soyez à l’écoute

Considérez ces outils viraux comme une chance plutôt qu’une contrainte: à l’aide d’une veille conséquente, vous pourrez repérer les mécontentements (les signaux faibles) dès leur stade embryonnaire. Des outils de monitoring des conversations existent. Facebook, Twitter et Instagram sont les meilleurs outils pour mesurer votre popularité. Traitez les problèmes à la racine, en répondant avec sincérité et humilité aux plaintes, même les plus minimes.
Le must de la gestion de crise: Twitter! C’est sur cette plateforme que vos messages ont le plus de chance d’être lus rapidement et d’avoir un impact. Mais en Tunisie, c’est sur le réseau Facebook que les conversations avec le personnel politique se taillent la part de lion. Le community management de votre page Facebook doit obéir aux mêmes principes : écoute, modestie et courtoisie devraient être la règle d’or. Parfois une petite dose d’humour peut désamorcer une crise.

  1. Restez humains

Entre le discours institutionnel convenu et la multiplication des canaux de communication, votre voix peut vite être noyée. Rappelez à votre public que de vraies personnes se trouvent derrière vos publications. Adoptez une ligne de conduite sincère et personnelle. Ne vous cachez pas derrière un slogan, un logo ou une fonction.

  1. Anticipez les situations de crise et exercez-vous

Les crises ne préviennent jamais. Elles surviennent par surprise. Or si vous anticipez, vous parviendrez à mieux les contenir et à les gérer. Comment ? En mettant en place une organisation adaptée c’est-à-dire, pratiquer la communication préventive, constituer une cellule de crise, réfléchir et s’exercer à des scénarios de crise, prévoir un dispositif d’information pour les journalistes, les associations et le grand public ; désigner, former et entraîner des porte-paroles pour le jour J.

  1. Informez et rassurez en interne

La communication de crise ne s’adresse pas seulement aux publics externes, elle concerne aussi les publics internes. L’avantage ? Rassurer les collaborateurs, les militants, les partenaires …, et assurer la cohérence des messages. Le meilleur moyen de gérer une crise est d’avoir une équipe soudée et réactive. Assurez-vous que tout le monde est sur la même longueur d’ondes avant de vous exprimer, cela évite les messages contradictoires qui nuisent à votre image. Valorisez la transparence et la souplesse en interne, car ce sont les maîtres-mots en cas de crise.

  1. Prenez la parole dès les premières heures 

Surtout ne gardez pas le silence. Les premières heures sont cruciales. Réagir vite et répondre aux sollicitations des médias vous permet de maîtriser votre communication de crise et d’occuper le terrain. Si vous ne dites rien, d’autres le feront pour vous, vos opposants et détracteurs notamment, sur les média s et les réseaux sociaux.
Soyez les premiers à vous exprimer afin de contrer aussi les fake news. Attention, rapidité ne signifie pas précipitation : attendez d’être sûrs des éléments que vous avancez avant de les communiquer.

SOFIENNE HAMDAOUI VIA GETTY IMAGES
  1. Faites le déplacement dans la journée

Si la crise survient dans une autre ville ou une autre région, faites le déplacement dans la journée. N’attendez pas. Les journalistes, les associations et les proches de victimes n’hésiteront pas à vous le reprocher. Faites preuve de professionnalisme, emmenez avec vous votre photographe, votre caméraman et déclinez sereinement vos éléments de langage.
Certains médias ont reproché au Président du gouvernement Youssef Chahed son déplacement sur les îles Kerkenah 48h seulement après le naufrage de l’embarcation clandestine, (d’autres l’absence du Ministre de l’Intérieur, limogé depuis). Ce délai aurait pu être réduit si un plan de communication et de gestion de crise avait été mieux préparé.

  1. Soyez transparents et évitez tout déni

La transparence est une autre règle d’or de la communication de crise. Mentir mène droit à une catastrophe médiatique et nuit gravement à votre e-réputation. Au contraire reconnaître votre responsabilité et s’excuser auprès des proches des victimes ne peut que vous servir et donner une image positive de vous. Vous paraissez dès lors comme une personne empathique et humaine.

  1. Ne dites jamais “Aucun commentaire”

Lorsque l’on est pris par surprise, il peut sembler naturel de s’abstenir de parler tant que l’on n’a pas le contrôle de la situation. Or, aujourd’hui, ne pas commenter revient à laisser les autres s’emparer de l’affaire.
Si vous êtes effectivement dans l’incapacité de faire une déclaration sur le sujet, exprimez-vous avec sincérité. Sans vous démonter, jouez la transparence, en disant par exemple “Nous venons d’apprendre la nouvelle et nous sommes en train d’examiner les faits”. Cela ne vous engage pas sur le long terme tout en montrant que vous êtes actifs.

  1. Ne mettez pas forcément le dirigeant en avant

Avant de choisir qui devrait parler au nom de votre organisation ou institution, il faut prendre en compte plusieurs aspects. D’abord, qui est la personne la plus qualifiée pour parler du problème en cours ? Cette personne a-t-elle l’habitude de s’adresser aux médias ? A-t-elle suivi des séances de media training ?
De plus, mesurez l’ampleur et la gravité de la crise avant d’impliquer le dirigeant. Cette crise peut-elle se résoudre rapidement ? Gardez la parole du dirigeant comme le dernier atout dans votre manche, elle n’en aura que plus de poids.

  1. Aidez les journalistes à faire leur travail

Les demandes des journalistes peuvent sembler harassantes. Cependant, votre façon de leur répondre va beaucoup influer sur l’issue de la crise. Efforcez-vous de respecter les délais qui leur sont imposés. Cela assurera que votre parole est relayée avant celle de vos détracteurs. Parlez-leur en off : vous pourriez apprendre des choses insoupçonnées. Les journalistes ont souvent déjà une idée préconçue sur l’événement. Plus vous réagirez tôt, plus vous pourrez les faire changer d’avis, et raconter votre propre histoire.

  1. Présentez des excuses et soyez dans l’empathie

Ne pas reconnaître ses responsabilités dans un accident, un naufrage ou une catastrophe naturelle est la pire des situations. Reconnaître des manquements ou des dysfonctionnements dans votre département ou dans un département qui vous est rattaché est au contraire un gage de sérieux et de professionnalisme. S’excuser auprès des victimes et de leurs familles et faire le nécessaire pour les accompagner psychologiquement et matériellement est une marque d’empathie précieuse pour votre image.