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La Fabbrica dei Follower — AKA Influencer Marketing de Noantri

Una società americana di nome Devumi ha raccolto milioni di dollari in un oscuro mercato globale per frodi sui social media. Devumi vende seguaci di Twitter e retweet a celebrità, aziende e chiunque desideri apparire più popolare o esercitare un’influenza online.

Basandosi su uno stock stimato di almeno 3.5 milioni di account automatizzati, ciascuno venduto più volte, la società ha fornito ai clienti più di 200 milioni di follower su Twitter, secondo quanto rilevato da un’indagine del New York Times, che bisogna assolutamente leggere sia per il contenuto che per vedere cosa e come produrre contenuti di elevatissima qualità.
Almeno 55.000 account utilizzano nomi, immagini del profilo, città d’origine e altri dettagli personali dei veri utenti di Twitter, compresi i minori, secondo l’analisi dei dati da parte del Times. Secondo alcuni calcoli, ben 48 milioni di utenti attivi segnalati da Twitter — circa il 15% — sono account automatici progettati per simulare persone reali, sebbene la società sostenga che il numero è molto più basso.
A novembre 2017, Facebook ha rivelato agli investitori di avere almeno il doppio degli utenti falsi rispetto a quelli stimati in precedenza, indicando che fino a 60 milioni di account automatici possono effettuare il roaming sulla più grande piattaforma di social media del mondo.
Questi account falsi, noti come bot, possono aiutare a influenzare il pubblico della pubblicità e rimodellare i dibattiti politici. Possono frodare le imprese e rovinare la reputazione. Eppure la loro creazione e vendita cadono in una zona grigia legale. Il Times ha esaminato gli archivi aziendali e giudiziari che mostrano che Devumi ha più di 200.000 clienti, tra cui star della televisione, atleti professionisti, comici, oratori TED, e persino pastori, sacerdoti, e modelle.
Nella maggior parte dei casi, i documenti mostrano che molte “celebrities” hanno acquistato i propri follower e fan. In altri, i loro dipendenti, agenti, società di pubbliche relazioni, familiari o amici hanno effettuato l’acquisto. Per pochi centesimi ciascuno — a volte anche di meno — Devumi offre follower di Twitter, visualizzazioni su YouTube, riproduzioni su SoundCloud, il sito di hosting musicale e convalide su LinkedIn.
Ed ancora, secondo i dati raccolti da Captiv8, una società che collega influencer ai brand, un influencer con 100mila follower potrebbe guadagnare in media $ 2.000 per un tweet promozionale, mentre un influencer con un milione di follower potrebbe guadagnare 20mila dollari.
«Allineandosi agli influencer, i marchi ricevono una forma di validazione peer-to-peer e riuscire là dove il marketing tradizionale spesso fallisce», spiega Brian Solis, tra le massime autorità a livello internazionale sul tema. Frase che già  la dice lunga sull’inutilità delle celebrities al riguardo. Adesso abbiamo le prove di quanto questo sia vero e a breve pubblicheremo un’analisi ad hoc sull’Italia certi che anche in questo caso non mancheranno le sorprese.
Per evitare l’influencer marketing de noantri valutate, valutiamo, sempre la qualità e non solo la quantità, come avviene prevalentemente, di follower e fan.




L’immobiliare Gabetti sfotte Giorgia Meloni: sulla pubblicità una coppia lesbica!

Il franchising pubblica su Facebook il confronto con “la famiglia tradizionale”


La campagna elettorale in corso per le Politiche del prossimo marzo non smette di regalarci riso amaro, ma meno male che Gabetti c’è.
Avevamo già espresso disappunto verso la quasi totale assenza di temi LGBT nei programmi dei partiti, poi i manifesti di Giorgia Meloni ci hanno ricordato che per il centrodestra l’unica famiglia è quella tradizionale. Ebbene sì, a difendere la famiglia tradizionale con la leader di Fratelli d’Italia ci saranno Matteo Salvini e Silvio Berlusconi.
Berlusconi, Meloni e Salvini
A scanso di equivoci, chi fra loro rappresenta meglio la famiglia tradizionale?

      • convivente, una figlia fuori dal matrimonio;
      • divorziato, un figlio dalla prima moglie e una da un’ex-convivente, attualmente convivente
      • due divorzi (due figli dalla prima, tre dalla seconda), rapporti con una prostituta minorenne, protagonista delle “cene eleganti”.

Che cosa fantastica la coerenza fra pubblico e privato nella politica italiana. A regalarci una gioia è però giunta l’immobiliare Gabetti.

Gabetti vs. Giorgia Meloni

Gabetti. E sei già a casa” recita lo slogan pubblicitario. Sui manifesti campeggia una coppia di donne innamorate. Il caso vuole che qualcuno passi davanti ad un cartellone dell’agenzia immobiliare posizionato in modo involontariamente strategico. Sullo sfondo si nota infatti il manifesto elettorale di Giorgia Meloni. “Difendi la famiglia tradizionale“. Verrebbe da commentare: difendete sul serio la famiglia tradizionale, ma da chi la strumentalizza per diffondere odio e ignoranza.
Giorgia Meloni vs immobiliare Gabetti
Lo scatto fotografico è stato inviato all’agenzia, che non ha resistito alla tentazione di pubblicare un commento sulla propria pagina Facebook.

Casa è trovarsi con la persona giusta (chiunque essa sia) quando pianifichi la tua vita o nei piccoli gesti di quotidianità.

Non troviamo per nulla scontato, in un Paese come il nostro, che un franchising nazionale decida di esporsi in favore di *tutte* le famiglieTanti applausi a tutte quelle aziende che decidono di schierarsi pubblicamente sul lato giusto della storia!

Vladimir Luxuria e Giorgia Meloni, scoppia la pace su Facebook




Shike, il bike sharing senza stazioni cerca finanziatori per il “lucchetto smart”

Al giorno d’oggi, nonostante la vastità della proposta, le alternative all’uso dell’automobile per muoversi all’interno di città di dimensioni medio-grandi spesso sono ancora un po’”macchinose” e quindi poco accessibili da parte dei fruitori, alla ricerca di mezzi puntuali, rapidi, ecologici e facilmente accessibili (in termine di prenotazione, utilizzo e diffusione).
Shike, progetto lanciato da Mug Studio di Parma, intende promuovere nuove forme di mobilità sostenibile e facilitare l’accesso ai servizi di bike sharing, permettendo la condivisione della propria bicicletta senza stazioni o infrastrutture.
Nonostante l’assenza del servizio in molti comuni italiani, i dati del 2016 dimostrano infatti che esiste un mercato florido, con oltre 200 città nelle quali è attivo un servizio di bike sharing e dove vivono circa 13 milioni di italiani, il 18% del totale.
“Shike” si inserisce in questo mercato e ne crea uno nuovo, rivoluzionando i classici servizi di bike sharing: grazie ad un innovativo lucchetto “smart”con GPS e sensori ambientali integrati, Shike elimina le stazioni di parcheggio permettendo nuovi modelli di condivisione del proprio veicolo e gettando le premesse per la creazione del più esteso servizio di bike sharing sul mercato. I sensori integrati nel sistema permettono inoltre di raccogliere dati ambientali e valutare la CO2​ ​ risparmiata, incentivando così comportamenti virtuosi.
I beneficiari del servizio sono i privati cittadini, sia quelli che utilizzano la bicicletta per spostamenti quotidiani (come ad esempio studenti, lavoratori, ecc.) sia quelli che la utilizzano solo in modo saltuario. Parallelamente la startup intende avviare collaborazioni con enti pubblici e società private (quali, ad esempio, realtà che si occupano di turismo sostenibile e territoriale).
Attualmente la startup sta attivando partnership con diversi produttori di biciclette italiani con i quali far partire un progetto pilota in almeno una città di media popolazione italiana. Al contempo sta contattando diverse realtà del territorio, sia in campo elettronico che in campo meccanico, per cercare di sviluppare e brevettare il lucchetto “smart” proprietario.
Mug Studio è una realtà giovanissima che nasce a Parma a novembre 2016 dalla volontà di due neo-laureati di concretizzare e portare in vita le diverse idee concepite e perfezionate durante gli anni universitari. Andrea Tommei, background di studi economico, e Andrea Cantore, informatico, fondano uno Startup Studiouna sorta di “incubatore di sogni e di idee” che prova a trasformare i diversi progetti in realtà. Il primo di questi loro progetti è anche quello che gli sta più a cuore: un servizio di mobilità condivisa e sostenibile, che possa permettere a ogni cittadino del mondo di spostarsi in bicicletta nel modo più semplice e comodo possibile.
A metà settembre 2017 il progetto Shike approda sulla piattaforma italiana di crowdfunding Eppela e viene selezionato dalla call di Nastro Azzurro: se il progetto raggiungerà il traguardo, ovvero riceverà i 5.000 euro di finanziamento richiesti dai suoi due creatori, Nastro Azzurro finanzierà il progetto andando ad aggiungere a sua volta altri 5.000 euro




Il segreto della crescita di Facebook

Da poche centinaia di utenti fino ai due miliardi di oggi: l’espansione del social network sembra non avere mai fine.

ochi giorni dopo la sua nascita, Facebook aveva già alcune centinaia di iscritti. Lo scorso giugno, il social network di Mark Zuckerberg ha raggiunto quota due miliardi di utenti attivi al mese. Un risultato raddoppiato nel giro di cinque anni dopo aver solcato, nel 2012, il traguardo di un miliardo. Si tratta di una crescita tanto veloce quanto, soprattutto, costante nel tempo. D’altra parte, come scrive Harry McCracken in un lungo articolo pubblicato su Fast Company, il colosso di Menlo Park si è sempre focalizzato su un unico obiettivo: come convincere sempre più persone a iscriversi al servizio.

Fin dall’inizio, lo sviluppo è stato guidato e indirizzato da un team composto da esperti di web marketing e analisti dei dati. Insomma, l’approccio è il seguente: capire e comprendere quali sono i bisogni degli utenti; se è necessario, anche anticiparli. Il Growth Team è nato nel 2007 e ha supervisionato e indirizzato tutte le innovazioni e i cambiamenti del social network. Dal lancio di Facebook Live al servizio Safety Check, passando per i droni a energia solare in grado di portare internet nelle parti più remote del mondo; fino al pulsante “donate” per le organizzazioni senza scopo di lucro o le campagne di crowdfunding. A guidare il loro operato, l’analisi dei comportamenti delle persone e delle loro abitudini. Informazioni che permettono agli analisti di creare modelli statistici in grado di prevedere i bisogni futuri degli utenti. “La nostra filosofia è quella di porci sempre un obiettivo in più. Quando nel 2007 avevamo toccato quota 70 milioni, ci siamo detti: non ci basta. E così, poco dopo, tutti hanno iniziato a immaginare come poter arrivare a 100 milioni”, ha detto alla stessa Fast Company Alex Schultz, manager del Growth Team fino al 2014.

 

La crescita di Facebook: in dieci anni è passato da meno di 200 milioni a due miliardi di utenti (fonte: Statista)

Il primo grande fattore di sviluppo di Facebook, ovviamente, è stata la lingua. Per potersi espandere, oltre all’inglese, il social network si è reso il prima possibile disponibile anche in francese, spagnolo o tedesco. Ma non solo, anche in somalo o afrikaans. Senza dimenticare dialetti come il sardo o la lingua berbera Tamazight. E se è impossibile rendere alla perfezione le centinaia di idiomi disponibili, sono proprio gli stessi utenti a offrire traduzioni, ad esempio di concetti come ‘tag’ o ‘poke’.

Ma è l’approdo sullo smartphone ad aver favorito l’espansione globale del social network.  Secondo gli ultimi dati, relativi a dicembre 2016, sono più di un miliardo gli utenti attivi ogni giorno che accedono da un dispositivo mobile. Una crescita possibile solo se non si rinuncia a inseguire i potenziali utenti, anche se questi vivono in zone povere in cui la connessione è di scarsa qualità. Ed è per questo motivo che, nel 2011, Facebook ha acquisito Snaptu: una startup israeliana che aveva creato una versione leggera in grado di funzionare anche con telefoni meno potenti. Così è nato Facebook Lite: fruibile anche nelle zone poco coperte da internet. Solo nello scorso febbraio, il social network ha aggiunto 200 milioni di nuovi iscritti provenienti da paesi come il Vietnam, il Bangladesh o la Nigeria.

 

La crescita degli utenti che ogni giorno utilizzano Facebook da mobile nel mondo (fonte: Statista)

Allo stesso tempo, coinvolgere nuovi utenti significa anche disegnare Facebook in modo che possa essere utilizzato intuitivamente da tutti coloro che si iscrivono per la prima volta con uno smartphone. Per questo motivo, negli anni sono cambiate anche piccole cose, più importanti di quanto potrebbero sembrare: nella schermata di login, al posto dello sfondo in blu, ci sono oggi immagini di persone che condividono foto o video; la frase “iscriviti a Facebook” è stata sostituita con “crea un nuovo account”, permettendo inoltre di sostituire la password senza prima scrivere quella errata.

“Nel nostro lavoro teniamo conto di diversi aspetti: se gli utenti possiedono una casella di posta elettronica, se sanno cosa sia, se conoscono il wifi e se sanno che possono trovarlo in alcuni punti e in altri no”, spiega a Fast Company, il responsabile del settore Design Luke Woods. E siccome, soprattutto nei paesi in via di sviluppo, in una famiglia è spesso presente un solo dispositivo per più persone, è diventato possibile passare da un account all’altro, senza ripetere l’accesso al proprio profilo.

 

L’analisi dei dati si sposa con quella dei bisogni reali degli utenti; per esempio quando si trovano in situazioni di pericolo. Safety Check è un servizio che, in caso di attentato terroristico o catastrofe naturale, permette di comunicare ad amici e parenti che si è sani e salvi. E anche questo prodotto è stato pensato e sviluppato in modo da poter convincere sempre più persone a iscriversi a Facebook. “Vogliamo avere un impatto nel mondo e per averlo dobbiamo pensare a servizi che funzionino”,  afferma Naomi Gleit, la vice presidente della divisione dedicata al sociale.

Molto probabilmente, il futuro prossimo di Facebook potrebbe essere scritto nella realtà aumentata. Lo ha spiegato lo stesso Mark Zuckerberg, in un’intervista rilasciata a Recode lo scorso aprile: “Gli oggetti di cui abbiamo bisogno non devono necessariamente essere materiali. Vuoi giocare a un gioco da tavolo? Ti basta muovere le dita ed ecco il gioco. Vuoi guardare la tv? Non hai bisogno dello schermo, ma ti basta acquistare un’app da un dollaro per per poterla vedere”. Il colosso di Palo Alto non ha ancora nei suoi piani la creazione di un modello di occhiali a realtà aumentata, ma sta aprendo la propria piattaforma agli sviluppatori in modo che possano creare nuove funzionalità per gli utenti. Il tutto con l’obiettivo di continuare a crescere, oggi, ma soprattutto domani.




Duci, l’Impact Report come un “check up” completo del nostro contributo economico e sociale

È stato presentato a Milano, il 1° Impact Report della Cisl Lombardia, evoluzione del bilancio sociale, curato da Marco Grumo, docente di Economia e management dell’organizzazioni no profit dell’Università Cattolica. Il documento non si limita a riportare le attività del sindacato, ma soprattutto misura l’impatto economico e sociale che la presenza e l’azione della Cisl ha prodotto nei luoghi di lavoro e nel territorio lombardo. Il Diario del Lavoro ha chiesto a Ugo Duci, segretario generale della Cisl Lombardia, di spiegarci gli obiettivi dell’iniziativa, la prima del genere nel mondo sindacale.
Duci, qual è l’elemento di novità principale del vostro Impact report?
E’ semplice: 750mila persone, in Lombardia, hanno versato una quota alla Cisl affinché le tutelasse e si occupasse dei loro problemi. Alla fine di un anno, qual è il valore che il sindacato ha fatto ricadere sul territorio? Tre volte tanto. Per ogni euro, il ritorno è di tre euro. Credo che sia in questo l’aspetto innovativo dell’Impact Report: e cioè nel modo in cui, scientificamente, si valutano le prestazione del sindacato. Ma ovviamente non c’è solo un impatto economico. Dobbiamo pensare anche a tutti i servizi messi a disposizione della Cisl nel territorio, che aiutano lavoratori e cittadini.
C’e’ anche un effetto ‘’trasparenza’’, nel vostro Report?
La Cisl e’ un’organizzazione sostanzialmente privata, come del resto gli altri sindacati, dal momento che non è mai stata data attuazione all’articolo 39 della Costituzione. E tuttavia, è vincolata alla trasparenza, come del resto qualsiasi altro ente privato. Resta il fatto che il sindacato confederale è un’esperienza di rappresentanza e di tutela per milioni di lavoratori e pensionati, che deve quindi sempre mostrarsi in modo cristallino: per ciò che è, per il mondo in cui utilizza le risorse che gli derivano, prima di tutto, dagli iscritti, e poi dai rapporti di sussidiarietà e cooperazione che il sindacato intrattiene. Noi, come Cisl Lombardia, a partire dal congresso, abbiamo deciso di mettere tutto on line, con assoluta trasparenza, perché è giusto che le 750mila persone che mi hanno affidato pro tempore la loro rappresentanza sappiano chi è e come agisce il segretario generale e come opera l’intera organizzazione. La trasparenza, per noi, è dunque una cosa normale e necessaria.
C’è in questa vostra iniziativa anche la volontà di un rinnovo da parte del sindacato, per cambiare una  percezione che talvolta appare negativa e che porta ad un calo di fiducia verso “l’istituzione” sindacato?
Ci sono nella nostra società molte realtà di rappresentanza, penso sia al sindacato sia ai partiti politici, ma anche a altri organismi, che hanno perso la fiducia della collettività. Per vincere i pregiudizi e gli stereotipi occorre quindi dimostrare, fatti e dati alla mano, in che modo opera un’organizzazione. Con il bilancio sociale e l’Impact Report la Cisl Lombardia ha voluto fare proprio questo, misurando quale sia il nostro impatto, in termini economici e sociali, sulla collettività.
È la prima volta che il sindacato fa un’iniziativa di questo genere?
Se parliamo di semplice rendicontazione economica, un ente privato è obbligato a farla. Se invece parliamo di un bilancio sociale, ci riferiamo a qualcosa che solo da pochi anni è diventato oggetto di interesse. Inoltre, non c’è una regola che ci dice passo dopo passo come imbastire questo tipo di rendicontazione. Nel sindacato ci sono gia’ state delle lodevoli, anche se un po’ artigianali, iniziative volte a fare un bilancio sociale. Ma e’ senz’altro la prima volta che un’associazione di rappresentanza si fa misurare da un soggetto esterno, contando sulla professionalità e la competenza di un accademico riconosciuto a livello internazionale come il professor Marco Grumo dell’Università Cattolica, che si è basato su dei criteri europei impiegati per strutturare i bilanci sociali e di missione. È un po’ come se la Cisl Lombardia si fosse fatta fare un check up completo per valutare quale è il suo contributo economico e sociale.
Crede che l’iniziativa possa essere estesa ad altre strutture sindacali?
Tutta la Cisl si è data l’impegno di rendere obbligatorio il bilancio sociale, non solo in Lombardia. È un lavoro in progress, se si vuole fare un lavoro serio e preciso. Per stilare questo Impact Report della Cisl più grande d’Italia, ci sono voluti tre anni. L’esempio della Lombardia può divenire dunque un traino affinché tutte le altre Cisl adottino questo strumento.