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Un italiano “reinventa” la plastica biodegradabile in acqua

Già nel 1954 a Ferrara, negli stabilimenti della Montecatini, un chimico italiano scoprì il polipropilene isotattico, noto come Moplen. Scoperta che valse a Giulio Natta il premio Nobel.
Sempre in Emilia Romagna, un’altra scoperta rivoluzionaria, il MINERV® PHA.
A Minerbio, in provincia di Bologna, città da sempre considerata la capitale del packaging.
Il merito della scoperta va a Marco Astorri e Guy Cicognani . Entrambi non sono nemmeno biochimici: il primo un grafico, il secondo un marketer con studi di chimica alle spalle poi abbandonati. Già soci di un azienda di microchip, decidono nel 2007 di dedicarsi ai biomateriali.
Invece di investire nella produzione di acido polilattico, decidono di scommettere su una scoperta del francese Maurice Lemoigne risalente al 1926, i polidrossialcanoati. All’epoca si scelse di cambiare rotta ed investire sul petrolio, di costo minore.
Con una parte dei loro risparmi decidono di acquistare un brevetto, messo a punto da un’università americana, che riguarda la produzione della plastica con il ricorso agli scarti della lavorazione del melasso (scarto della lavorazione dello zucchero) che, ad oggi, rappresenta un costo per il suo smaltimento poiché non viene più impiegato nei lieviti. Il melasso: da scarto a materia prima per una plastica realmente bio. All’acquisto di questo brevetto ne aggiungono una serie di altri sparsi nel mondo e, nell’arco di un anno, sono vicini alla realizzazione della molecola descritta da Lemoigne : il PHA.
Il progetto, ideato e sviluppato dalla società di ricerca bolognese BIO-ON attraverso le risorse logistiche, tecniche e finanziarie di COPROB è di avanguardia innovativa: i biopolimeri PHAs (polihydroxyalkanoato) nascono dai derivati della lavorazione delle barbabietole e della canna da zucchero e non da olii o amido di cereali, come gran parte dei biopolimeri attualmente in commercio.
I polimeri esistenti finora possono sciogliersi in acqua diventando invisibili all’occhio umano ma restano presenti nella soluzione acquosa con la loro struttura macromolecolare (molecola a lunga catena): la solubilizzazione.
Altra cosa è il fenomeno degradativo che viene promosso dall’intervento di microorganismi (batteri, funghi, alghe) e che può essere correttamente definito biodegradazione.
Sono infatti alcuni ceppi batterici a compiere il miracoloin condizioni naturali si nutrono di un certo substrato e creano una riserva di energia all’interno del proprio corpo. Questa riserva di energia è polidrossialcanoato, plastica a tutti gli effetti .
Nel 2008 il progetto è stato certificato Ok Biodegradabile Water dall’ente certificatore internazionale Vinçotte (Belgio) che ha attestato la completa biodegradabilità in acqua e a temperatura ambiente, ponendo MINERV® PHA al primo posto tra le bio plastiche sperimentali esistenti.
Il grosso del lavoro lo fanno dunque i batteri, Astorri e Cicognani hanno individuato i tempi da rispettare per nutrirli il più velocemente possibile e, attraverso il vapore estraggono la plastica dai batteri . Dopo l’estrazione la plastica viene scissa dalla membrana cellulare e il residuo viene rimesso in circolo per il nutrimento dei batteri. Zero scorie.
Il polimero estratto viene essiccato e la polvere ricavata viene estrusa in pellet plastici come per il normale poliestere.
I polidrossialcanoati, a differenza di tutti gli altri biopolimeri conosciuti, rappresentano una famiglia vastissima e quindi tantissime opportunità. Possono replicare con innumerevoli gradi di caratterizzazione diverse le prestazioni del polipropilene, polietilene, polistirene, HDPE, LDPE, ecc. Ma oltre ad essere utilizzabili per tutte le principali caratterizzazioni che riguardano gli oggetti in plastica di uso quotidiano presentano prestazioni tali da consentire modalità d’uso oggi ancora non perlustrate, o scoperte, dalle plastiche tradizionali. Possono, per esempio, essere accoppiati benissimo con la carta e stampati senza nessun pre-trattamento. Inoltre, in quanto come prodotto sono considerati un metabolita umano, i polidrossialcanoati si prestano ad essere utilizzati anche per realizzare degli stent cardiaci o qualsiasi altro tipo di protesi nonché come base per l’accrescimento delle cellule staminali. È un prodotto completamente naturale. Se dal punto di vista fisico si presenta come un comune pezzo di plastica, dal punto di vista della struttura si lega invece benissimo con quella che può essere la struttura dell’uomo, senza nessun tipo di problemi di rigetto”.
La bioplastica sostituirà la plastica che conosciamo in molti settori, tra i quali quello delle costruzioni per esempio.
Salvo che non si tratti di plastiche particolarissime – aggiunge Astorri – avremo l’opportunità di sostituire un elemento che oggi rappresenta un problema nel momento in cui io devo andare a riciclare con qualcosa che è amico dell’ambiente”.
” Lo stabilimento attuale (circa 600 mq), ad oggi il più grande al mondo. Una struttura di imminente costruzione avrà una capacità produttiva estendibile sino 10.000 tonnellate all’anno”. Il tutto resterà a Minerbio dove le barbabietole arrivano da stabilimenti vicini.
Oltre al progetto della barbabietola, hanno messo a punto un nuovo progetto con la canna da zucchero, per il quale hanno già ricevuto la certificazione. Lo zucchero è un mercato gigantesco e riguarda tutto il Sud del mondo (Brasile, Sud Africa, Australia, India) : si arriverebbe ad impiegare ciò che di fatto oggi viene buttato.
Il prodotto MINERV® PHA accentua il suo fattore di biodegradabilità in acqua batteriologicamente non pura ( per es. fiumi). In 40 giorni MINERV-PHA si trasforma in acqua di fiume oppure in acqua di mare. Questo tipo di biodegradazione dei polimeri rappresenta il “futuro” della biodegradabilità mondiale oltre ad essere a bassissimo costo.
La biodegradabilità in acqua risulta molto più vantaggiosa rispetto al compost, quindi biodegradabilità nel terreno.
L’estrema biocompatibilità del prodotto unita alle ottime caratteristiche del polimero -resistenza, flessibilità, stampabilità- ne fanno un prodotto di altissima qualità. Più di 100 differenti monomeri possono essere uniti da questa famiglia per dare vita a materiali con proprietà estremamente differenti. Possono essere creati materiali termoplastici o elastomerici, con il punto di fusione che varia da 40 a 180°C. MINERV® PHA è un bio polimero PHAs ad elevata prestazione. è possibile soddisfare esigenze produttive da -10°C a +180°C. Il prodotto è particolarmente indicato per la produzione di oggetti attraverso metodi di produzione ad iniezione o estrusione. Sostituisce inoltre prodotti altamente inquinanti come PET, PP, PE, HDPE, LDPE
Bio-on intende operare nella produzione e distribuzione del mondo agro alimentare, nel settore del design e dell’abbigliamento fornendo loro la tecnologia necessaria alla produzione e/o utilizzazione dei PHAs .
Grandi gruppi industriali e investitori hanno avanzato numerose proposte ma i due soci hanno deciso di diffondere il più possibile questo prodotto, non permetteranno che sia sfruttato soltanto da pochi gruppi. Per questo Bio-On venderà licenze e impianti chiavi in mano.
L’ architetto Enrico Iascone, ha disegnato l’impianto . La produzione avrà inizio nel 2013 comincerà a produrre nel 2013. Entro il 2017 intendono costruire altri 7 impianti in Europa ma puntano anche al Sudamerica, Usa e Medioriente.
«Le potenzialità sono enormi – dice Astorri – Forse stiamo trattando qualcosa che è più grande di noi, ma è emozionante e ci crediamo. Il nostro modello di business, basato sulla licenza della tecnologia produttiva e sullo sviluppo esclusivo dei vari gradi di bio polimero PHAs si unisce alla competenza di un grande gruppo globale come TECHINT E&C. In questo modo – spiega Marco Astorri, amministratore delegato di Bio-on – possiamo mettere a disposizione, in tutto il mondo, una tecnologia rivoluzionaria per la produzione dei bio polimeri PHAs, bio plastica estremamente performante e completamente bio degradabile in suolo e acqua».
Astorri e Cicognani non sono stati i primi in assoluto. Catia Bastioli e la Novamont produconoMaterBi (plastica a base di amido di mais) dal 1990 : alle prossime Olimpiadi di Londra i piatti, i bicchieri e le posate, decine di milioni di pezzi, saranno di bioplastica italiana.
Essendo però fatto di mais, che è un alimento, la produzione di MaterBi comporta un aumento del prezzo della materia prima e, come già evidenziato dall’utilizzo dei biocarburanti, ciò non è privo di complicanze.
Siamo sulla strada giusta e in più la Bio-on costituisce una innovazione anche come start-up: niente finanziamenti pubblici o da istituti di credito. La cooperativa agricola emiliana CoProB produce il 50 per cento dello zucchero italiano e il melasso che è lo scarto. Una fabbrica a km 0 i cui titolari saranno gli stessi contadini emiliani.
Il MinervPHA ha fatto il suo debutto ufficiale al Salone del Mobile ma Astorri è fiducioso che nel giro di poco tempo lo ritroveremo negli occhiali da sole italiani, nei pc californiani, nei televisori coreani e in tutti i packaging.
La Bio-on attualmente collabora con aziende di tutto il mondo.




L'azienda che ha abolito gli orari di lavoro: il successo con l'auto-organizzazione dei dipendenti

In un piccolo paese vicino a Pordenone, la Graphistudio confeziona album fotografici per i matrimoni. Duecento dipendenti, settanta su cento donne, niente sindacati. I team rispettano le scadenze, la vita personale funziona meglio e il prodotto spopola nel mondo.


Per i creativi iperconnessi ormai è vita quotidiana, ma per gli addetti di un’azienda manifatturiera non avere orari fissi di lavoro è una vera novità. Alla Graphistudio di Arba, piccolo paese in provincia di Pordenone, è una novità che esiste dagli anni Novanta e che oggi è ben rodata. Duecento dipendenti, il 70 per cento sono donne, unica sede produttiva con alcune sedi commerciali all’estero, la Graphistudio produce album per matrimoni e ritratti: è un servizio ai fotografi di tutto il mondo, che mandano i loro file e ricevono un libro fotografico, ben confezionato, da consegnare ai protagonisti degli scatti.
Detta così sembra semplice, ma il lavoro è un mix di sapienza artigiana, design di qualità e parecchia innovazione tecnologica. Alla quale si è affiancata negli anni l’innovazione dell’organizzazione aziendale, e la mancanza di orari fissi per i dipendenti, che praticamente si autogestiscono, lo testimonia.
Sono soprattutto giovani e donne, persone per le quali poter organizzare il proprio tempo è importante per fare figli, accudire anziani, ma anche per favorire la crescita personale. E professionale. “Lavoravo e questa cosa dell’orario, del cartellino, della sirena che suona, mi ha sempre dato fastidio, è qualcosa che ti limita, sono catene. Quando ho fatto il mio percorso ho voluto farlo diverso”: il presidente e fondatore Tullio Tramontina va dritto al cuore. “Non c’è stato un calcolo, è stato casuale: è partito tutto da lì, da quel fastidio. Se lavori libero, lavori meglio e dai di più. E si lavora più in team, gli obiettivi sono di tutti”.
L’unico comparto soggetto a orari prestabiliti è, per forza di cose, quello amministrativo: gli interlocutori sono gli sportelli di banche e uffici esterni. Per il resto, si rispettano i tempi di consegna basandosi sull’auto-organizzazione dei dipendenti, c’è la responsabilità verso l’azienda ma pure quella nei confronti dei colleghi. I sindacati? Inesistenti. La flessibilità è negli orari e, quando serve, delle mansioni: “Ognuno fa il proprio, ma si sposta facilmente di ruolo, anche perché cambiano i prodotti. Certe cose non si fanno più, se ne fanno delle altre, e le persone si muovono con estrema facilità”.
L'azienda che ha abolito gli orari di lavoro: il successo con l'auto-organizzazione dei dipendenti

Un modello ideale che si è fatto pratica, e incredibilmente funziona. Come testimonia Tramontina, pure sul mercato: “Copiare i modelli, come dire, militari, delle vecchie aziende non sarebbe stato un passo avanti. Anzi, quelle le vedi morire. Con lo spirito creativo che c’è qui tutti si sentono liberi, anche di inventare, di creare, di proporre idee, me le ritrovo sul tavolo tutti i giorni. Questo sistema è ancora più importante che in passato. Perché oggi devi veramente combattere con le competenze. Con il saper fare. Con il Made in Italy”.




Teoria del ciarlatano: perché la rete peggiora il mondo

Questa teoria prende spunto da varie discussioni trovate su internet che ho cercato di riassumere in tre semplici punti.
Tutti noi, massa silenziosa, restiamo stupiti dal risalto che certi eventi hanno oggi preso piede in tutti i livelli della nostra società, dalle famose scie chimiche ai free vax, dai terrapiattisti ai fruttariani arrivando alla difficoltà delle piccole interazioni su problemi semplici. Tutti scienziati senza titolo e senza storia pronti però a fare delle loro idee una vera battaglia sociale.
Riassumo quindi di seguito il meglio che abbiamo trovato in rete su questa tematica chiamando il tutto
“Le 3 leggi fondamentali del ciarlatano”:
 

1a Legge del ciarlatano: Per battere un ciarlatano occorre un esperto

La rete sta peggiorando non migliorando l’informazione.
Il problema è che i “ciarlatani” a milioni hanno libero accesso a scrivere e leggere su internet.
Prima erano utenti passivi della televisione o dei giornali che garantivano una certa qualità, ora si formano e predicano nella rete.
Il problema non è facilmente risolvibile per il fattore economico, ovvero: per battere un ciarlatano occorre un esperto.
Per smentire un ciarlatano dovete chiamare un esperto. Il guaio è che il ciarlatano parla volontariamente e gratis. L’esperto invece costa.
Anche se aveste un esperto qualificato per ogni ciarlatano, la differenza di costo renderebbe più economico riempire la rete di stupidagini, di quanto non sia economico ripulirla con la verità.
Come se non bastasse il ciarlatano incompetente non accetta di essere smentito da una persona che reputa sua pari. No, lui vuole un esperto e se l’esperto smentisce poi si discute dell’esperto.
Il ciarlatano che sta ammorbando la rete sta salendo anche in modo anomalo di livello nella società e nella politica. Non accetta che una persona qualsiasi dica “è sbagliato è tutto falso”, lui pretende che si creino costosissime commissioni parlamentari, pretende i massimi esperti di aviazione, chimica, fisica, metereologia.
Questo è ovvio: lui (politico, new age, predicatore etc.), che si dedica alle stronzate 24 ore su 24, 7 giorni su 7(scusate il termine) può apparire in TV al semplice gettone di presenza, mentre un esperto, oltre ad essere più costoso, ha anche altro da fare nella vita. Per esempio, andare al lavoro.

2a Legge del ciarlatano: L’ onniscienza del ciarlatano.

Se un ciarlatano vi parla di scie chimiche, e voi tirate in ballo un esperto di aereonautica, lui ribatte con la percentuale di bario. E allora vi serve un esperto di misurazioni chimiche dell’atmosfera. Se anche voi faceste notare che per mettere tutto quel bario in tutta quell’atmosfera non basta la produzione mondiale di bario, loro tiraranno in ballo numeri che la moltiplicano per mille. E allora voi dovrete portare in campo un esperto di mineralogia e di mercato delle commodities. Ma appena questo sarà sputtanato, salterà di argomento e tirerà fuori il problema dei vaccini. Allora avrete bisogno di un immunologo, il quale vi dirà che i vaccini sono una delle più grandi scoperte mediche dello scorso secolo. Allora – sempre la stessa persona – tirerà in ballo le big pharma, e vi toccherà portare in campo un economista che dimostri il maggior guadagno delle farmaceutiche nel caso si scateni un’ epidemia rispetto al guadagno nell’evitarla.
Ma a parlare  tutte queste materie è sempre e solo UNA persona.
Questo significa che , mentre per essere smentito chiede SEMPRE il maggior esperto del mondo, il ciarlatano – senza essere esperto di nulla – spazia tranquillamente fra decine e decine di campi del sapere. Questo moltiplica a dismisura la quantità di costi che servono nel dibattito (Prima legge del ciarlatano).
L’asimmetria nei costi è evidente: avete bisogno di una intera squadra di esperti per discutere con un solo tizio che non è esperto in nessuno dei campi che cita. E lui salterà di palo in frasca di continuo, dalla fisica quantistica a medicina alla fisica atmosferica ai buchi neri alla neurologia, senza porsi alcun limite.

3a Legge del ciarlatano: La spinta interiore del ciarlatano

Mi chiedo spesso perchè tutto questo odio su internet? Perché le persone seguono teorie assurde in economia, sanità, scienza, politica e fomentino l’odio e l’ignoranza? Perché non fanno un minimo sforzo per vedere cose ovvie e accettare che la risposta più semplice è anche quella giusta? Semplice, perchè qualcosa nella loro vita non ha funzionato.
Si tratta di quelli che si definiscono “under achiever”, persone la cui esistenza non ha concluso niente. Persone infelici di un’esistenza che non ha sbocchi di soddisfazione, frustrante, povera, vuota.
Il motivo per il quale aderiscono a queste teorie, il motivo per il quale se ne fanno essi stessi portatori, è che se togliete il grande complotto, se togliete le multinazionali malvagie, se togliete gli alieni, le scie chimiche, il signoraggio, gli immigrati, le famiglie gay, l’euro, questi poveretti non possono più giustificare , prima di tutto con sè stessi, il proprio fallimento economico ed esistenziale.
Non possono giustificare la moglie fuggita con qualcuno se non con il complotto dei gay contro la famiglia, perchè è l’unica scusa che non dice “sei un uomo da poco”.
Non possono spiegare a sè stessi il proprio fallimento economico se non con il grande ordine mondiale del Bildberg o con l’invasione di immigrati o contro la Germania o contro l’Europa perchè altrimenti dovrebbero dire “perchè non so fare niente per cui qualcuno mi pagherebbe”.
La forza che li spinge a credere in queste cose è la necessità di non poter convivere col proprio fallimento.
La forza che li spinge a farsi apostoli di queste teorie è il desiderio di  fare in modo che gli altri credano alla stessa giustificazione che si danno loro.
Quindi non vi illudete: arriveranno sempre all’attacco.
Non si fermeranno mai. Niente spinge un uomo in avanti quanto un fallimento alle spalle. Esaurirete le energie molto prima di loro.




Intervista a Marco Castaldo, Amministratore Delegato di CSE-Cybsec

Due chiacchiere un’azienda italiana di eccellenza ‘nel campo della cybersecurity.

In questo Blog, sempre più spesso affrontiamo temi legati all’evoluzione del “cyberspazio”, e nel mio penultimo libro “Il sex appeal dei corpi digitali” pongo l’accento sui pericoli – anche per la salute del nostro organismo – di un abuso degli strumenti digitali nella nostra vita quotidiana. Di pari passo con lo sviluppo del digitale, cresce sempre di più la portata delle minacce cibernetiche, alla sicurezza di dati e infrastrutture tecnologiche, militari e statuali, ma anche aziendali e private. Nel 2017 si è costituita – fusione di precedenti esperienze professionali di eccellenza – un’azienda al 100% italiana nel campo della cyber security: Cybsec S.p.A, che inaugurerà mercoledì 24 a Roma la sua nuova sede. Ho intervistato in anteprima Marco Castaldo, Amministratore Delegato di Cybsec.
 

Dott. Castaldo innanzitutto, cos’è la Cyber Security, nella vostra visione?

Grazie per questa domanda solo apparentemente scontata. L’innovazione e la digitalizzazione sono elementi sempre più indispensabili per l’esistenza stessa di un’impresa: ricerche di grandi società di consulenza, come The Boston Consulting Group, mostrano numeri alla mano che le aziende più innovative e più digitalizzate sono quelle che hanno annualmente maggiori incrementi di produttività, di profitti e di quote di mercato, quelle meno innovative sono a rischio di espulsione dal mercato.
Ma, c’è un ma: il web è stato costruito pensando alla connessione e non alla sicurezza; assicura dunque i vantaggi imprescindibili dell’immediatezza e orizzontalità, che qualche anno fa erano impossibile anche soltanto immaginare, ma comporta anche dei rischi che vanno affrontati e ridotti ad un livello accettabile, dotandosi di strumenti efficaci di difesa cibernetica ed implementando “una cultura della sicurezza” all’interno delle organizzazioni e delle aziende.
Per usare una metafora: è come se grazie allo sviluppo della tecnologia digitale avessimo costruito negli ultimi dieci anni automobili che rispetto alle precedenti vanno dieci volte più veloci e consumano dieci volte di meno, dimenticando però di dotarle di un airbag speciale e di freni al titanio, che a certe velocità fanno la differenza tra il salvarsi la vita oppure no in caso di incidenti.

 
Non stiamo quindi parlando di ambiti squisitamente tecnologici, “cose da ingegneri e programmatori”, insomma…

Esatto: la cyber security ha un ineludibile aspetto tecnologico; ma non si esaurisce in esso. In Cybsec riteniamo infatti che per difendere i propri sistemi digitali – ma meglio sarebbe dire i propri asset patrimoniali più strategici – e incrementare i vantaggi della digitalizzazione si debba adottare, implementare ed aggiornare in continuazione soluzioni e strumenti capaci di prevenire e/o resistere efficacemente ad attacchi informatici. IL focus è proprio su questo: sulla protezione degli asset e dei “valori” delle aziende.

 
Questo è un elemento distintivo rispetto alla concorrenza. Ve ne sono altri?

Possiamo dire che il nostro approccio – conformemente al pensiero del nostro CTO, Pier Luigi Paganini: uno dei massimi esperti in campo internazionale nel settore – è quello di una strategia di security che parte da due poli: il punto di vista del vertice operativo del cliente sugli asset critici da proteggere e sugli obiettivi di sviluppo dell’organizzazione, e il punto di vista dell’attaccante, che mira ad abbattere le difese per motivi legati al profitto criminale, ad interessi politici – sempre più spesso geo-politici – o a visioni ideologiche estreme ed anti-sistema. Ci caratterizziamo quindi per un servizio “chiavi in mano” – di tipo tecnologico, ma anche legale, assicurativo e di formazione – che non è mai modellato su “soluzioni standard”.

 
La società in questi primi mesi ha stipulato “alleanze”?

Abbiamo lanciato un progetto di ricerca congiunto con l’Università del Sannio, considerata un’eccellenza nel campo della cyber security e focalizzato sull’uso del machine learning e dell’intelligenza artificiale per l’implementazione di strumenti di difesa cibernetica; abbiamo sottoscritto un contratto di partnership con uno dei più affermati Studi legali dello Stato di Israele, consociato con una primaria società di Venture Capital specializzata in particolare sul finanziamento di start up nel settore della Cyber Security. Oggetto del mandato, è lo scouting di start-up d’eccellenza, in particolare con focus sulle soluzioni per la GDPR (General Data Protection Regulation), Threat Intelligence e soluzioni per i SOC – Security Operation Center, per poi lanciare partnership finalizzate a veicolare sul mercato italiano le specifiche soluzioni, con marchio CSE. Inoltre, abbiamo promosso e contrattualizzato sin dalla partenza alleanze operative con tre brand internazionali: Orrick Legal, Grant Thorton Consulting, e NTT Data. Abbiamo inoltre costituito un Malware Analys Lab  dal nome “Zlab” – per la scoperta e l’analisi dei malware di nuova generazione, con analisti di altissima specializzazione, che sta rapidamente imponendosi all’attenzione della comunità internazionale della cyber security. É a firma dello ZIab la pubblicazione di una immediata analisi preliminare del malware BAD RABBIT che ha creato scompiglio a livello internazionale, uscendo, primi al mondo, in contemporanea con il colosso internazionale Kaspersky, analisi che è stata subito ripresa e rimbalzata sui social come Twitter e sui siti specializzati a livello internazionale.

 
In qualche misura, voi specialisti in Cyber Security “prevedete il futuro”: una costante pratica di simulazione di scenario per mitigare i rischi. Partendo da questa metafora, cosa vede in prospettiva, nel prossimo periodo, nello scenario degli attacchi cyber a livello internazionale?

Le rispondo così: tentare di “prevedere scenari futuri” è parte intrinseca della natura umana, anzi, forse ne è la principale caratteristica distintiva. Ma quella che stiamo vivendo in questo appassionante dominio è una condizione del tutto “innaturale”: ci sforziamo di fare previsioni ma siamo smentiti dai fatti in tempo reale. Tutto l’impegno profuso dalle migliori “menti tecnologiche” nello sviluppare il mondo digitale che ci circonda – in qualsiasi campo, dalla scienza al marketing, dalla medicina all’istruzione, dalla produzione al risparmio energetico, dalla riduzione dell’analfabetismo alla diffusione della democrazia – ha il suo opposto nello sviluppo di nuove capacità di attacco da parte dei “cattivi”, i quali– ricordiamolo – hanno dalla loro due enormi vantaggi strategici: da un lato una superficie attaccabile che si allarga a dismisura – mentre scrivo ci sono lanci di agenzia che parlano della minaccia alla rete mondiale del malware Okiru di cui il nostro Chief Technology Officer Pierluigi Paganini è stato il primo al mondo a dare l’allarme, insieme ad un’altra figura di riferimento mondiale dell’arena degli hacker etici, Odisseus – e dall’altro la possibilità di scegliere in totale autonomia il momento in cui attaccare. Senza dimenticare il bassissimo livello di rischio personale, stante la difficoltà da parte delle vittime di un attacco di poter riconoscere con precisione e senza dubbio i responsabili dell’attacco.
La strada maestra per difendersi è quindi “fare sistema”: occorre un cambiamento culturale radicale che ci convinca a mettere il problema della sicurezza cibernetica ai primi posti delle nostre priorità, con la conseguente necessaria spinta verso un processo urgente di innovazione tecnologico, organizzativo, legislativo, finanche militare, a un livello sicuramente sovranazionale.
Noi nel nostro quotidiano come ho detto mettiamo in campo competenze eccellenti, facciamo progetti di ricerca, importiamo tecnologie all’avanguardia dai paesi più avanzati in cyber security; mettiamo tutto il nostro impegno nella difesa del paese, delle sue strutture critiche e degli asset patrimoniali delle imprese pubbliche e private.




Concita De Gregorio: «Noi, tutte sorrisi nei selfie pieni di like. Senza più sapere chi siamo»

Reputazione e identità sono due storie ben diverse. Ma è sempre più difficile distinguerle, nell’epoca dell’auto-rappresentazione sui social tutta tesa al consenso. La giornalista e scrittrice, dopo avere raccontato le «ragazze del secolo scorso» nel documentario “Lievito madre”, passa alle «ragazze di questo secolo» nel libro “Chi sono io?”