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Italia non profit

L’ospite del blog di questa settimana è Giulia Frangione, CEO di Italia Non Profit.
Ciao Giulia, benvenuta nel mio blog. La vostra organizzazione è molto particolare: ci racconti come è nata Italia Non Profit?
Italia non profit nasce a seguito di anni di studio, di lavoro e impegno nel Terzo Settore: è frutto della nostra esperienza nel non profit italiano, delle analisi, delle borse di ricerca, di quanto abbiamo visto e di cosa volevamo realizzare per gli enti e per i donatori.
In Italia non esisteva una piattaforma a cui accedere per conoscere le informazioni sulle organizzazioni che animano l’ecosistema di ogni cittadino: se è possibile conoscere ogni dettaglio dei ristoranti della zona in cui viviamo o lavoriamo perché è difficile orientarsi nel mondo del Terzo Settore che si occupa del benessere della società e a cui tantissimi donatori contribuiscono?
Abbiamo creato Italia non profit proprio per avvicinare le persone, i donatori, al Terzo Settore. Ci siamo ispirate a modelli internazionali – oggi diventati nostri partner, come GuideStar Usa – che operano su mercati in cui le issue trasparenza e accessibilità dei dati sono da sempre temi sentiti e di grande importanza nella conoscenza del Terzo Settore.
Abbiamo calato il modello sul sistema italiano, molto differente rispetto a quello americano. Abbiamo evitato di costruire i nostri servizi sulla base della comparazione tra enti, delle classifiche, caratteristiche proprie dei modelli e della cultura americana. Ci siamo sforzati di rendere fruibili i dati e le informazioni di contenuto altamente tecnico.
Come siete organizzati e come è composto il team di Italia Non Profit?
Siamo un team di 7 persone con competenze diverse che attengono il Terzo Settore, la passione per il coding e il digitale e l’amore per i dati e per l’analisi. Lavoriamo insieme da alcuni anni e proprio in queste settimane ci stiamo allargando, presto avremo con noi tre nuove risorse. Siamo un bellissimo gruppo di professionisti che hanno il privilegio di svolgere il lavoro che amano.
Quali sono tra gli strumenti che avete messo a punto quelli più apprezzati?
Italia non profit è di per sé uno strumento per gli utenti (donatori, cittadini, aziende) e per le organizzazioni non profit.
Gli utenti hanno a disposizione un vero e proprio motore di ricerca, interamente dedicato a soddisfare le esigenze di chi si interfaccia con il settore: sono disponibili numerosissime chiavi di ricerca che vanno dal bisogno, ai beneficiari, dalla geolocalizzazione alle opportunità fino alle dimensioni economiche. In questo modo, i donatori possono scoprire gli enti secondo i propri criteri, secondo ciò che per ognuno è più importante. Le funzionalità a disposizione degli utenti sono in continuo aumento: abbiamo creato un Glossario grazie al quale tutti i nostri utenti possono scoprire nuovi aspetti del Terzo Settore e li aiutiamo ad orientarsi in questo mondo così importante, ma al contempo complesso, accompagnandoli verso la conoscenza di tutto il ciclo di vita dell’ente, delle specificità di ciascuna organizzazione (è proprio per questa attività che i dati e le informazioni ci vengono in aiuto).
Gli enti hanno a disposizione una vetrina sul mondo, un luogo da sfruttare per farsi conoscere, per esprimere le proprie potenzialità e mostrarsi attraverso informazioni nuove, per far comprendere come funzionano nella loro interezza (per questo sulla piattaforma non vi è un focus solo sui progetti). Non solo: le organizzazioni non profit all’interno delle aree riservate hanno a disposizione analisi specifiche sul proprio ente a supporto della conoscenza interna e di approfondire le scelte di utilizzo della piattaforma per capire meglio gli interessi e le leve che avvicinano i donatori all’ente. Lo strumento che ci sta dando moltissimi feedback positivi e a cui siamo particolarmente affezionati è la Guida alla Riforma del Terzo Settore, un tool digitale gratuito in libera fruizione che aiuta ad orientarsi all’interno dei cambiamenti connessi alla norma in modo rapido e intuitivo, proponendo approfondimenti e contenuti utili.
L’ultima domanda è d’obbligo: che programmi avete per il futuro?
Lavoriamo quotidianamente per rendere l’esperienza degli utenti e degli enti migliore. Il nostro obiettivo è quello di diffondere la conoscenza del Settore, aumentare l’apporto delle donazioni e soddisfare i bisogni dei donatori.
Abbiamo in programma nuovi strumenti per le organizzazioni, per supportarle a farsi trovare dai donatori più facilmente e non solo sulla piattaforma.
La prossima settimana saremo online con alcuni aggiornamenti che crediamo siano di grande rilevanza per il Settore, ampliando lo spettro di analisi e azione della piattaforma: una nuova sfida che speriamo come in altre occasioni possa essere utile per il non profit e per i cittadini.




Quando il fundraising incontra l'emotional marketing

Ben il 67% delle persone che non hanno mai fatto una donazione sarebbe disposto a farla se trovasse una causa convincente. «Un esercito di potenziali donatori che le associazioni potrebbero raggiungere semplicemente imparando a raccontarsi in maniera efficace. L’approccio emozionale – afferma Francesco Quistelli, fondatore e Ceo di Atlantis Company – ha altissime potenzialità: permette alle aziende di legarsi alle onlus più adeguate al proprio bacino di consumatori e alle associazioni di investire con maggiore efficacia le proprie risorse»

Tra i consumatori italiani c’è una spiccata propensione ad acquistare prodotti che sostengono cause benefiche. Ben l’83% degli intervistati sarebbe disposto ad acquistare un prodotto sapendo che parte degli incassi saranno utilizzati per finanziare una causa benefica. La percentuale sale a sfiorare il 90% se il contributo solidale non comportasse un aumento del costo del prodotto, ma che non precipita, attestandosi al 72%, nemmeno quando si segnala un piccolo aumento del costo finale. È quanto emerge dalla ricerca “Fundraising Survey Italia 2018”, realizzata da Emotional Marketing per Atlantis Company, azienda specializzata nella consulenza e nella comunicazione nel settore nonprofit. Lo studio – condotto attraverso tecniche innovative basate sull’analisi delle emozioni e fondato sui dati derivanti da mille questionari somministrati via web incrociati con bigdata in costante aggiornamento sull’immaginario emotivo degli italiani – è stato presentato oggi in occasione della quarta edizione di “Reinventing”, l’appuntamento dedicato all’innovazione e allo sviluppo del fundraising, della comunicazione sociale e della CSR promosso da Atlantis Company.
Non tutti i prodotti e non tutte le cause benefiche ottengono, però, gli stessi risultati. Dalla ricerca risulta, ad esempio, che i consumatori preferiscono sostenere associazioni che sostengono la ricerca scientifica contro gravi malattie e la tutela dei minori, a prescindere dalla tipologia del prodotto acquistato. Mentre chi acquistano prodotti per animali è molto più sensibile ai temi connessi agli amici a quattro zampe e all’ambiente. Lo studio rivela, inoltre, che anche le modalità di sostegno dichiarate dalle aziende e l’approccio comunicativo delle associazioni sostenute influenzano sensibilmente le intenzioni di acquisto dei consumatori.
Quanto al profilo dei donatori, la ricerca “Fundraising Survey Italia 2018” mette in luce che il 52% per cento del campione analizzato ha sostenuto economicamente una causa benefica negli ultimi 12 mesi e che si tratta per lo più di donatori episodici. I donatori costanti sono soprattutto persone con più di 55 anni e rispondono ad un preciso profilo emozionale, più sensibile a determinate tecniche di comunicazione che ad altre. Il profilo emozionale dei donatori è indicativo anche in relazione all’importo delle donazioni, che mediamente si attesta sui 51 euro, ma che è decisamente più alto per alcune specifiche fasce di popolazione. In relazione alle modalità di donazione la parte da leone viene svolta dalle donazioni in contanti (21%), dalle donazioni on line attraverso carte di credito (19%) e dal bollettino postale (16%).
Sulla Corporate Social Responsibility, emergono innovative fotografie del settore non profit. L’aspetto più rilevante è che ben il 67% delle persone che hanno dichiarato di non aver mai fatto una donazione sarebbe disposto a farla se trovasse una causa convincente. «Un dato che si traduce in un vero e proprio esercito di potenziali donatori che le associazioni potrebbero raggiungere semplicemente imparando a raccontarsi in maniera efficace e che lascia trasparire le altissime potenzialità della collaborazione tra profit e nonprofit, con vantaggi strategici per entrambi i settori», sottolinea Francesco Quistelli, fondatore e Ceo di Atlantis Company. L’analisi approfondita di scenari e contesti connessi alle emozioni permette infatti di individuare il target elettivo di ciascuna onlus e offre importanti indicazioni alle aziende sul fronte Corporate Social Responsibility. «Ciascuna associazione – spiega il Ceo di Atlantis Company – si incardina in uno specifico quadro emozionale e conoscerne le tinte è fondamentale per impostare una strategia di comunicazione efficace e per avviare collaborazioni realmente e reciprocamente vantaggiose con le aziende». «L’approccio emozionale – conclude Quistelli – ha senza dubbio altissime potenzialità: permette alle aziende di legarsi alle onlus più adeguate al proprio bacino di consumatori e alle associazioni di investire meglio e con maggiore efficacia le proprie risorse, migliorando così la capacità di generare risorse indispensabili per affrontare le tante sfide che un’organizzazione nonprofit deve affrontare per il bene comune».



MiMoto, il primo scooter sharing elettrico senza stazioni

Nasce a Milano MiMoto, il primo ed unico servizio di scooter sharing elettrico ed ecosostenibile della città. Un’idea semplice che unisce in sé rispetto per l’ambiente, Made in Italy, sicurezza stradale, condivisione ed efficienza.

MiMoto oltre a essere una start up innovativa, è un servizio che ha l’obiettivo primario di offrire ai propri clienti finali un’esperienza smart, green e unica nel suo genere e, allo stesso tempo, migliorare la vita dei milanesi. Infatti vuole anche essere un alleato dell’amministrazione comunale che fin da subito si è dimostrata aperta e sensibile nei confronti del progetto.
“La sharing mobility milanese si arricchisce di un nuovo mezzo con il servizio di scooter sharing MiMoto, che ha anche il vantaggio di essere a zero impatto ambientale.” – dichiara Marco Granelli, Assessore a Mobilità e Ambiente del Comune di Milano – “I milanesi e i city user hanno dimostrato di apprezzare molto questa tipologia di servizi e di usarli quotidianamente. Con il loro sviluppo diventa sempre più importante che tutti rispettino le regole della convivenza e della condivisione in strada”.
Dal 14 ottobre 2017 residenti, pendolari e turisti potranno dimenticarsi lunghe code e attese: districarsi nel traffico milanese sarà molto più facile, grazie agli eScooter di Askoll scelti da MiMoto, omologati per due e con due caschi posizionati nel bauletto. Elettrici e Easy-to-usegrazie alla leggerezza del mezzo, facile da guidare e progettato per la mobilità urbana; ma anche Economico, con tariffe alla portata di tutti ed Efficiente, perché abbatte i tempi di viaggio, facendo risparmiare tempo e denaro.
Last but not leastnon c’è alcun vincolo di stazioni di ricarica. MiMoto è un servizio free floating e senza chiavi: localizzi l’eScooter più vicino tramite App, disponibile per iOS e Android, lo prenoti, parti e una volta terminata la corsa lo lasci dove vuoi all’interno dell’area operativa. Quest’ultima comprende tutto il centro della Città di Milano: le principali zone di interesse (Navigli, Città Studi, Lambrate, Morivione, Calvariate, De Angeli, San Siro e Bovisa Politecnico) e i principali distretti universitari tra cui Cattolica, Bocconi, Bovisa, Città Studi/Politecnico e IULM.
Un progetto dunque smart, user oriented e giovane, come giovani (under 35) sono i tre founders di MiMoto, Alessandro, Gianluca e Vittorio che hanno lavorato senza sosta fino ad oggi con metodo, ambizione e minuziosità al fine di offrire, all’esigente pubblico milanese, il miglior servizio possibile. I tre founders hanno cercato e trovato imprenditori e professionisti in grado di apportare al progetto un valore aggiunto, non solo dal punto di vista finanziario, ma in termini di expertise e know how, conseguendo un club deal di imprenditori di successo del settore.
MiMoto non è per noi una semplice idea che stiamo realizzando: è una sfida personale e professionale” – dichiarano i tre founders – “Lanciare sul mercato italiano un servizio di scooter sharing (che stiamo già progettando di implementare su scala nazionale ed internazionale) completamente ecosostenibile e Made in Italy, vuol dire posizionarsi come una realtà proiettata al futuro. Fin dall’inizio abbiamo deciso che MiMoto si sarebbe distinto per due plus principali: la sostenibilità e il Made in Italy. Un servizio dunque a zero emissioni, in grado di salvaguardare la salute dell’ambiente e di tutti i cittadini milanesi già sensibili a questa tematica, che contemporaneamente si renda portavoce dell’italianità dei materiali, dei servizi e delle aziende”.
I partner meticolosamente scelti sono un’ulteriore conferma di ciò: primo fra tutti Askoll, realtà italiana fornitrice degli scooter completamente elettrici. Sarà invece PLT puregreen, partner energetico emiliano-romagnolo, ad alimentare il servizio con la sua energia, prodotta esclusivamente da fonti 100% rinnovabili, mentre come partner assicurativo MiMoto ha scelto la torinese Nobis, realtà anch’essa attenta alle tematiche ambientali e supporter di progetti innovativi.
Utilizzare MiMoto significa dunque non solo usufruire di un servizio di sharing, ma adottare un preciso stile di vita e diventare ambassador di un cambiamento che mira a migliorare la qualità della vita dei cittadini, facilitando gli spostamenti urbani e fornendo, allo stesso tempo, un valido e concreto aiuto per migliorare l’aria che quotidianamente respiriamo.




CRISI “RAINBOW": #PUBBLICITÀREGRESSO?

Pare essere la classica “buccia di banana” quella sulla quale è scivolato il patron – e Presidente da oltre un ventennio, parola peraltro mai come in questo caso densa di significati – di “Pubblicità Progresso” Commendator Alberto Contri, genero di Longanesi all’epoca del primo impiego, uomo di pubblicità e Consigliere di Amministrazione RAI ai tempi dell’”editto bulgaro” contro il giornalista Enzo Biagi.
Sulla bacheca Facebook di un apprezzatissimo creativo italiano – Paolo Iabichino, che era intervenuto commentando le discutibili dichiarazioni del neo-nominato Ministro alla Famiglia Fontana – Contri si è lanciato in un’invettiva dal retrogusto vagamente omofobo, definendo “checche” due cittadini italiani omosessuali, “giurati” del programma RAI “Ballando con le stelle”, due persone che Contri definisce “una squallida caricatura dell’omosessualità”, e lamentando anche l’eccessiva presenza di gay in televisione, a suo dire “sovra-rappresentati” rispetto alla maggioranza della popolazione, precisando in vari commenti successivi sul wall di Iabichino “di non aver nulla contro i gay ma di essere per la famiglia tradizionale”, quasi che le due cose fossero inspiegabilmente da vivere come un’antitesi in tema di rivendicazione di diritti.
Per chi si occupa di crisis management, pare la brutta copia della già trucida figuraccia di Guido Barilla al programma radio “La Zanzara” di qualche anno fa: l’esperienza non insegna proprio nulla, evidentemente.
Ebbene, al netto delle riflessioni su quanto sia davvero tristissimo leggere nell’Italia del 2018 dichiarazioni come queste di Contri, spicca un altro tema: Contri è anche, appunto, presidente di Pubblicità Progresso, la Fondazione che collabora con tutti i principali network televisivi per promuovere – udite udite – campagne di sensibilizzazione sociale anche e soprattutto a difesa delle minoranze. Si profila quindi all’orizzonte, vicinissima, una tempesta perfetta generata dal cortocircuito tra identità e reputazione percepita.
Infatti di lì a poco, Massimo Guastini, un altro noto pubblicitario, ingaggia un appassionato e sferzante dibattito con Contri sulla pagina di Iabichino , dichiarando anche: “Sono eterosessuale, ma la battaglia contro questi oscurantismi è una battaglia di diritti e di civiltà, non c’entra l’appartenenza personale”. In poche ore la questione diventa “trend topic” nelle stanze che contano della comunicazione e della pubblicità italiana.
Contri tuttavia non molla, e a modo suo si giustifica, richiamando le molte campagne sociali promosse dall’Ente che lui rappresenta e dirige senza soluzione di continuità da decenni: down, stranieri, non vedenti, anziani, bambini handicappati, donatori di sangue e di organi, e persone che fanno volontariato, tutte categorie che Contri indistintamente etichetta come “minoranze” (sic). Un utente su Facebook commenta a riguardo: “Il Presidente Contri dice cretinate insostenibili precisando successivamente di dirle a titolo personale e non come Presidente dell’ente, ma sua difesa cita un lungo elenco di campagne sociali di Pubblicità Progresso. Ma non farebbe prima a chiudere il computer e farsi una bella doccia?”
In tutto il mondo si discute di “pink economy”, ovvero dell’impatto positivo che l’inclusione e il rispetto della diversità hanno sul business e sull’economia, e magistrale in tal senso è il lavoro di Francesca Vecchioni con l’Associazione Diversity in collaborazione con l’Università Bocconi di Milano: Contri pare proprio non volersi fare mancare nulla, e riesce ad attaccare nei suoi commenti social anche l’esperienza della figlia del noto cantautore, il cui lavoro è invece già diventato un positivo caso di studio in diverse università italiane.
Mentre lo scenario inevitabilmente si scalda, sarebbe interessante anche conoscere la posizione di Assocom, l’associazione italiana delle agenzie di comunicazione, all’interno della quale Emanuele Nenna , stimato professionista e Presidente del network, pare non averla presa proprio bene, nonché della RAI, che siede nel consiglio di amministrazione di “Pubblicità Progresso”, in quanto – è bene ricordarlo – il “contratto di servizio” che lega la RAI al Ministero dello Sviluppo Economico cita la tematica LGBT tra gli assi di intervento della televisione pubblica in tema di educazione alla diversità. Anche SKY Italia, la TV di Stato della Repubblica di San Marino, e Discovery Channel, come altri enti, aderiscono a Pubblicità Progresso ed esprimono a vario titolo rappresentanti in Consiglio di Amministrazione: prenderanno posizione?
Contri negli ultimi post di ieri sera – da diverse ore infatti tace sui social – ha parlato di “categorie sessuali”, definendosi un “panda”, in quanto, a suo dire, sarebbe un eterosessuale discriminato nel proprio pensiero, che pure pare esprimere liberamente e anche con toni vagamente razzisti e discriminatori, e richiama a sostengo delle proprie tesi percentuali ISTAT (“il 95% degli italiani è eterosessuale”), in realtà usando categorie logico-ontologiche di lettura della realtà ben distanti dalla sensibilità della maggioranza degli italiani, e anche -tra l’altro- dal magistero del Santo Padre (“Chi sono io per giudicare?” cit. Papa Francesco): gli risponde stamane agguerritissimo lo show-man RAI Fabio Canino, che lancia l’hashtag #pubblicitàregresso.
Il 20 giugno pare esser stato convocato un consiglio di amministrazione di Pubblicità Progresso per discutere proprio di questa vicenda: diversi consiglieri hanno già preso le distanze da Contri, e si mormora che alcuni di essi vogliano presentarsi dimissionari chiedendo le dimissioni del loro attuale Presidente. Rossella Sobrero, nel CdA della Fondazione, donna da sempre sensibilissima alle questioni sociali, in vari contatti telefonici con colleghi pare abbia definito le parole di Contri “incommentabili”, mentre Stefano Del Frate, altro consigliere, ha preso nettamente le distanze in modo pubblico, sempre sul wall di Iabichino.
Ah, i social: croce e delizia dei comunicatori. Stay tuned: ne vedremo delle belle.




La Corte di Giustizia Europea conferma: fu patto scellerato tra Roche e Novartis

La Corte di Giustizia Europea ha confermato che i due gruppi farmaceutici Roche e Novartis hanno diffuso d’intesa informazioni ingannevoli per favorire in Italia un prodotto che costa 900 euro, ostacolando l’utilizzo di un farmaco equivalente a soli 80 euro. La Svizzera si dichiara impotente.

Interessante e documentato l’articolo di Federico Franchini su Il Quaderno  , il giornale degli italiani in Svizzera.
Franchini spiega che Roche e Novartis hanno ostacolato la vendita in Italia di un farmaco dal prezzo accessibile, l’Avastin, dal costo di 80 euro, a vantaggio di un medicamento più costoso, il Lucentis, che di euro ne costa 900.
Il primo è nato come medicamento antitumorale, la cui licenza è detenuta da Roche. La comunità scientifica ha stabilito che il prodotto ha un’ottima e sicura resa anche per il trattamento della maculopatia, una malattia dell’occhio. Quindi è sufficiente acquistare l’Avastin per ottenere gli effetti promessi dal Lucentis, la cui licenza è stata ceduta da Roche alla Novartis, che detiene circa il 30% delle azioni di Roche.
La vicenda è nota da tempo ma ora giungono le conferme: i due principali gruppi farmaceutici svizzeri hanno diffuso informazioni ingannevoli per differenziare artificiosamente i due prodotti, perfettamente sovrapponibili.
Ciò che ha generato costi sanitari enormi. Nonostante l’uso diffuso in ambito oftalmico, Roche non ha fatto nulla per richiedere un’estensione delle indicazioni dell’antitumorale Avastin per questo utilizzo. Anzi, tramite la filiale Genentech ha creato un farmaco clone – il costosissimo Lucentis – confezionato appositamente per l’uso in campo oftalmologico.
Da parte sua Novartis non è riuscita ad imporre subito il nuovo farmaco poiché i medici italiani, per ovvie ragioni di costi, continuavano a prescrivere l’Avastin benché non autorizzato dalle autorità sanitarie per questo trattamento (utilizzo off label).
La posta in gioco è molto elevata: la maculopatia colpisce un anziano su tre sopra i 70 anni ed è la prima causa di cecità nel mondo occidentale. In Italia della vicenda si sono occupate l’Antitrust e la magistratura. In Svizzera le autorità affermano di avere le mani legate.
Aggiotaggio: è questo il capo d’accusa con cui i due rappresentanti legali in Italia di Roche e Novartis sono finiti sul registro degli indagati. Aggiotaggio, stando al codice penale italiano, significa turbare il mercato, pubblicando o divulgando notizie false, esagerate o tendenziose atte a cagionare un aumento o una diminuzione del prezzo di un prodotto.
Nel caso specifico sono state messe in atto “manovre fraudolente” finalizzate a turbare il mercato italiano dei prodotti oftalmici e realizzare così “ingiusti profitti patrimoniali”: così si legge, nell’avviso di conclusione delle indagini firmato dal pubblico ministero di Roma Stefano Pesci.
In sostanza l’Avastin è stato presentato come un farmaco pericoloso (ciò che è risultato poi non veritiero) condizionando così le scelte dei medici e dei servizi sanitari. Un cartello che, secondo l’Antitrust, è costato, nel solo 2012, un esborso aggiuntivo per il Servizio sanitario nazionale di oltre 45 milioni di euro, “con possibili maggiori costi futuri fino a oltre 600 milioni l’anno”.
“I due gruppi si sono accordati illecitamente per ostacolare la diffusione dell’uso di un farmaco molto economico, a vantaggio di un prodotto molto più costoso, differenziando artificiosamente i due prodotti”.
Proprio nel 2012, cedendo alle pressioni delle case farmaceutiche, l’Aifa (Agenzia italiana del farmaco) decise di obbligare gli ospedali a utilizzare il Lucentis al posto di Avastin. Nella vicenda, però, è intervenuta l’Antitrust che, nel 2014, ha sanzionato le due multinazionali basate a Basilea. Il motivo: “I due gruppi si sono accordati illecitamente per ostacolare la diffusione dell’uso di un farmaco molto economico, Avastin, nella cura della più diffusa patologia della vista tra gli anziani e di altre gravi malattie oculistiche, a vantaggio di un prodotto molto più costoso, Lucentis, differenziando artificiosamente i due prodotti”.
Per questa vicenda le due società svizzere sono state condannate ad una multa di circa 90 milioni di euro ciascuna. Una decisione contro la quale è stata fatta opposizione. Il Consiglio di Stato italiano, l’ultimo organo che deve trattare il ricorso, ha chiesto un parere alla Corte europea di giustizia. La quale, lo scorso 23 gennaio, ha ribadito che l’intesa tra due aziende, “atta a diffondere informazioni ingannevoli sull’uso off label” di un medicamento al fine di ridurre la pressione che esercita su un altro medicamento, costituisce una restrizione alla concorrenza.
D’intesa le due ditte svizzere hanno fatto leva per diffondere il più ampiamente possibile una percezione di pericolosità per l’Avastin. “A tale scopo – si legge in un documento consultato dal Quaderno – spingendosi addirittura a predisporre apposite pubblicazioni scientifiche e piani di comunicazione mirati”.
Era la stessa Roche, affermano per iscritto diversi medici, che aveva inviato loro una lettera con la quale s’indicava che l’Avastin non era approvato per l’uso intravitreale e invitava a non usarlo per la cura delle maculopatie. Contemporaneamente anche Novartis cominciava a dire che era pericoloso usare Avastin e che si rischiavano guai giudiziari a usare un farmaco non approvato.
Emblematica è la vicenda con Federanziani. Quest’ultima, nel 2011, aveva scritto una lettera a Roche e Novartis per lamentarsi della sproporzione di costi esistenti fra Avastin e Lucentis in ambito oftalmico e le sempre maggiori difficoltà incontrate nell’uso off label del primo farmaco. Poi, all’improvviso, il cambio di rotta: la tesi dei problemi creati da Avastin viene sposata anche dalla stessa Federanziani. In un comunicato stampa del 2014, quest’ultima rivela dei risultati allarmanti in merito all’utilizzo del prodotto di Roche per la maculopatia. Secondo quanto riporta il Fatto Quotidiano, la Guardia di Finanza sospetta che il tutto sia stato creato ad hoc per “avvalorare la tesi della scarsa sicurezza dell’uso oftalmico dell’Avastin”. Non sarà quindi un caso se, nel 2014, la stessa Federanziani ha ricevuto due finanziamenti da parte di Novartis, uno da 54’000 euro e un altro da 91’000 euro. L’informazione la si trova su un documento  sul sito internet di Novartis.
In Svizzera, dove per il Lucentis le assicurazioni malattia spendono circa 75 milioni di franchi all’anno, questi metodi non sono necessari. Finché Roche non fa una domanda di autorizzazione a Swissmedic  (l’Istituto svizzero per gli agenti terapeutici) per l’utilizzo di Avastin in oftalmologia questo farmaco non può essere inserito sulla lista delle specialità  stabilita dall’Ufficio federale della sanità pubblica per il trattamento della maculopatia. Per questo l’utilizzo oftalmico di questo farmaco non può essere rimborsato dalle casse malati. Il coltello dalla parte del manico lo tiene Roche che ben si guarda dal chiedere a Swissmedic l’autorizzazione. Tanto riceve già le royalties per il Lucentis venduto da Novartis ma che è stato creato dalla Roche.
“La Confederazione non dispone delle basi legali per obbligare le aziende farmaceutiche a far omologare un nuovo medicamento o a estendere l’indicazione di uno già omologato” ribadisce il governo svizzero in seguito ad un’interpellanza  .
Un’impossibilità d’azione che genera costi enormi per il sistema sanitario elvetico. “Questo esempio dimostra come l’industria farmaceutica può cercare di massimizzare i suoi profitti a discapito dell’assicurazione di base. Purtroppo, i fabbricanti di medicamenti non possono essere obbligati a estendere l’indicazione dei loro prodotti per altri utilizzi che quelli previsti dall’iscrizione della sostanza sulla lista delle specialità”, spiega Christophe Kaempf di Santésuisse.