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“Intangible” e fattori Esg: riflessi su bilancio, report di sostenibilità e generazione del valore

"Intangible" e fattori Esg: riflessi su bilancio, report di sostenibilità e generazione del valore

(dall’Introduzione:) I beni immateriali («intangible») di un’azienda sono una particolare categoria di bene economico caratterizzata dalla mancanza di materialità. Questa caratteristica li rende non facilmente rilevabili nel bilancio delle imprese, dove, ricorrendone i requisiti, assumono la natura di immobilizzazioni immateriali. Le immobilizzazioni immateriali sono un sottoinsieme dei beni (anche “risorse”) immateriali e ai fini della loro iscrizione a bilancio soccorrono i principi contabili predisposti, in sede nazionale, dall’Organismo Italiano di Contabilità (OIC) e, in sede europea, tramite un articolato processo di recepimento e adozione nell’ordinamento giuridico dell’Unione…

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L’indagine su Delivery Hero e Glovo ha svelato per la prima volta un cartello nel mercato del lavoro

L'indagine su Delivery Hero e Glovo ha svelato per la prima volta un cartello nel mercato del lavoro

Come dimostra il caso Delivery Hero-Glovo, i primati del food delivery non finiscono mai. Le multinazionali del settore hanno reso un mercato mondiale un’economia che, fino a 15 anni fa, era considerata sommersa. Sono riuscite a creare flotte di lavoratori senza diritti, che sfrecciano quotidianamente nella precarietà di un finto lavoro da freelance guidati da un algoritmo. In Italia, come in altri paesi europei, hanno assoldato migliaia di migranti con permesso di soggiorno, sfruttando la mancanza di alternative alla quali le carenti politiche migratorie del nostro paese li mettono davanti. Poi, lo scorso novembre è entrata in vigore una direttiva sul lavoro di piattaforma, primo spiraglio di luce in questo abisso oscuro del “nuovo lavoro” guidato dagli algoritmi, ma capirne gli effetti è ancora troppo presto.

A un certo punto però, come dice un detto fin troppo azzeccato in questo caso, la ruota gira. Lo scorso 2 giugno la Commissione europea ha inflitto una sanzione complessiva di 329 milioni di euro alle due aziende di food delivery Delivery Hero e Glovo, con l’accusa di aver partecipato a un cartello nel settore della consegna di cibo online.

È la prima volta che le multinazionali sono sotto i riflettori per questa ragione in Europa, a dieci anni e più dalla loro nascita. “L’Antitrust spagnola – commenta a Wired il professor Antonio Aloisi, docente di Diritto del lavoro europeo e comparato alla IE University Law School di Madrid – aveva indagato su possibili clausole di esclusiva tra piattaforme e ristoranti (che coinvolgevano Just Eat, Deliveroo, Uber Eats e Glovo) ipotizzando restrizioni verticali alla concorrenza. Tuttavia, a inizio 2022 ha deciso di archiviare l’indagine senza aprire un procedimento formale”.

Le due aziende hanno ammesso alla Commissione le proprie responsabilità, e hanno accettato una procedura di transazione. Una sorta di “patteggiamento antitrust”, per cui hanno riconosciuto di aver partecipato a un cartello, accettano la loro responsabilità legale e si impegnano a non contestare la decisione della Commissione. In cambio, ricevono una riduzione della sanzione (fino al 10%). “Il caso della sanzione a Delivery Hero e Glovo funge da deterrente e da monito per tutto il settore. La multa elevata e la pubblicità data alla vicenda segnalano che qualsiasi intesa segreta tra concorrenti sarà oggetto di attenzione e potenziali sanzioni severe”, continua Aloisi.

Tre le pratiche anti-concorrenziali accertate

L’indagine della Commissione è iniziata a seguito di un’attività di monitoraggio del mercato stimolata da segnalazioni anonime e da un’autorità nazionale garante della concorrenza europea. È durata dal luglio 2018 allo stesso mese del 2022. Delivery Hero negli anni ha comprato molte società di delivery del settore, tra cui nel 2021 anche la stessa Glovo (aveva iniziato ad acquisirne partecipazioni minoritarie già nel 2018). Questione che non è sfuggita alla Commissione, che ha sottolineato come la partecipazione di minoranza di Delivery Hero in Glovo abbia facilitato una coordinazione anticoncorrenziale multilivello. Non è di per sé illegale possedere quote in un concorrente, ma l’Antitrust ha fatto luce su una serie di pratiche che comunque si sono rivelate illecite.

Le due società hanno concordato di non reclutare attivamente i lavoratori dell’altra, limitando per esempio la mobilità dei lavoratori nel settore. “Parliamo in particolare di dipendenti con ruoli dirigenziali o impiegatizi, non rider”, precisa Aloisi. Le compagnie hanno messo in piedi un do ut des che riguardava non solo le informazioni su prezzi, capacità aziendali e costi, ma anche dati sulle strategie commerciali, allineando così le politiche aziendali. Infine si sono spartite la torta di mercato senza pestarsi i piedi, coordinando l’ingresso del servizio di delivery in nuove aree geografiche. Quest’ultima può aver condizionato anche il lavoro dei rider. Dice Aloisi: “il cartello implicava che una sola piattaforma operasse in certi Paesi/zone. Il che può aver significato che, con un solo operatore in città, i rider non avessero alternative, perdessero potere negoziale e potenzialmente vedessero compensi e condizioni peggiori rispetto a uno scenario di concorrenza”.

E, tenuto conto che la Commissione esplicita chiaramente la possibilità a chiunque di “richiedere il risarcimento nei tribunali nazionali” in quanto “una decisione della Commissione rappresenta una prova vincolante della condotta illecite, anche i fattorini potrebbero attivarsi. Come chiarisce Aloisi, “con un unico datore di lavoro disponibile, quel rider non poteva “cambiare piattaforma” per ottenere condizioni migliori. Se si dimostra che i compensi o le condizioni dei rider in quella situazione sono stati più sfavorevoli rispetto a un mercato contendibile, anche i rider (tramite le loro associazioni o sindacati) potrebbero avanzare richieste di risarcimento”.

Sanzioni che incidono sui bilanci delle aziende

Con questa sanzione, comunque, da ora in poi le regole del gioco cambiano dice Aloisi: “L’eliminazione di queste pratiche dovrebbe giovare al mercato: in assenza di accordi occulti, le aziende dovranno competere sul serio. In altri termini, invece di “adagiarsi” su un patto di non concorrenza, le piattaforme saranno spinte a investire in nuove soluzioni per guadagnare o difendere quote di mercato”. Aspettiamo di vedere in che modo le multinazionali del delivery si reinventeranno. Anche perché, guardando agli utili annuali prodotti dalle più famose aziende di delivery, non c’è trippa per gatti come ci si aspetterebbe. E sanzioni simili peserebbero non poco sui loro bilanci.




Perché i “Trusted Flaggers” europei interessano (anche) ai comunicatori

Perché i “Trusted Flaggers” europei interessano (anche) ai comunicatori

Contrastare la disinformazione. Dall’infodemia ai Trusted Flaggers” è un webinar promosso da FERPI con il supporto non condizionato di Pfizer Italia. L’incontro – in programma venerdì 20 giugno 2025, dalle 16:00 alle 18:00 – offrirà cinquanta crediti CASP e verrà registrato per consentirne la fruizione anche in differita.

L’appuntamento online approfondirà i seguenti temi:

  • Il ruolo delle professioni della comunicazione nella prevenzione della disinformazione scientifica e sanitaria.
  • L’impatto crescente dell’intelligenza artificiale nella costruzione dell’informazione medico-scientifica
  • Le prime ricadute del Digital Services Act sulla strategia di contenuto delle imprese e sulla tutela dei minori online.
  • Il funzionamento pratico del bollino di segnalatore di fiducia: requisiti, iter di certificazione, obblighi per le piattaforme.

Relatori di ambiti diversi – fact‑checking, industria farmaceutica, relazioni pubbliche e giornalismo scientifico – presenteranno casi di studio e strumenti immediatamente applicabili.

Chi sono i Trusted Flaggers

Il Digital Services Act (DSA) dell’Unione europea – la regolamentazione europea sulla regolamentazione delle piattaforme digitali come Google e Meta – istituisce un canale di segnalazione privilegiato: i soggetti del terzo settore che dimostrano competenza specialistica, indipendenza e rapidità operativa possono ottenere la certificazione di “segnalatore di fiducia” (Trusted Flagger) dal Coordinatore nazionale per i servizi digitali (AgCom in Italia). Le piattaforme di grandi dimensioni – fra cui Meta, X, TikTok e YouTube – sono obbligate a esaminare con priorità le loro segnalazioni di contenuti illegali.

In Italia, i Trusted Flaggers sono Argo Business Solutions S.r.lBarzanò & Zanardo S.p.A.Telefono Azzurro e la Federazione contro la pirateria musicale e multimediale (FPM). (Qui una lista con i contatti e le competenze).

Perché i Trusted Flaggers contano per i comunicatori e i giornalisti

  • Difesa della reputazione e del marchio. Collaborare con un Trusted Flagger accelera la rimozione di falsità che danneggiano la credibilità di un’azienda o di un ente.
  • Report annuale sulle segnalazioni. Come parte del DSA, i Trusted Flaggers devono produrre un report annuale dei loro lavori, indicando quanti e quali segnalazioni hanno fatto. Per i giornalisti, questi report rappresentano una fonte di informazioni sui contenuti illegali online.
  • Conformità normativa e riduzione del rischio. Conoscere il meccanismo di segnalazione consente di anticipare richieste di adeguamento provenienti da autorità o piattaforme.
  • Valore ambientale, sociale e di governance. Integrare la lotta alla disinformazione nelle strategie di sostenibilità rafforza la dimensione sociale della responsabilità d’impresa.
  • Early‑warning e intelligence. I Trusted Flaggers rappresentano sensori sul territorio digitale e possono segnalare trend ostili prima che diventino crisi reputazionali.
  • Crescita della credibilità personale. Dimostrare familiarità con gli standard europei di moderazione accresce l’autorevolezza professionale e la fiducia degli stakeholder.

Programma in breve

  • Filippo Nani, Presidente FERPI
  • Biagio Oppi, Direttore Comunicazione Esterna Pfizer Italia
  • Luca Alfieri, Task Force FERPI
  • Massimo Alesii, Coordinatore comitato scientifico progetto “A DIRE IL VERO”
  • Angelica Giambelluca, Giornalista medico-scientifica
  • Noemi Urso, Debunker & Fact Checker – BUTAC
  • Lorenzo Canu, Università di Amsterdam
  • Matteo Forte, CEO Mosai.co
  • Sessione domande e risposte

Iscrizioni e materiali

L’iscrizione è possibile qui.

Per approfondire il tema dei Trusted Flaggers e cosa FERPI sta facendo sul tema della disinformazione

Contrastare la disinformazione è un gioco di squadra che coinvolge istituzioni, piattaforme, media e professionisti della comunicazione. Conoscere i Trusted Flaggers è il primo passo per giocare bene la partita.




La reputazione è davvero l’asset più importante per un’azienda?

La reputazione è davvero l’asset più importante per un’azienda?

Non un solo specialista in comunicazione d’impresa o marketer metterebbe oggi in dubbio che la reputazione è l’asset più importante per un’azienda, complici anche le, ormai frequentissime, crisi reputazionali che, una settimana sì e l’altra anche, generano distruzione di valore per gli azionisti. Parole come identità, coerenza, autenticità, sono tornate di moda, e hanno acquistato nuovi significati: è infatti da tempo dimostrato che le aziende che producono i maggiori utili sono quelle che inseriscono preoccupazioni di carattere etico nel proprio business a livello strategico, e che le organizzazioni con questa sensibilità sono le più resilienti e quindi le più interessanti per gli investitori.
A parole, quindi, tutti sono d’accordo: gli interventi ai congressi si sprecano, come anche gli articoli agiografia sulle eccezionali performance ESG di questa o quell’altra azienda, in qualunque comparto, di produzione industriale, finanziaria o di servizi.

L’apparire continua a essere più rilevante dell’essere

La verità, invece, dobbiamo esser schietti, è che l’apparire continua a essere più rilevante dell’essere: i manager e gli imprenditori continuano, nel concreto, a mirare a un vantaggio competitivo nel breve periodo, e la nostra è l’epoca dei “false ESG”, che si moltiplicano del tutto fuori controllo. Il modello “Enviromental, Social and corporate Governance”, tanto di moda negli ultimi anni – seppure messo in parte in crisi dalla raccapricciante svolta Trumpiana – restano al centro di crescenti speculazioni da parte di una vasta platea di professionisti che vendono a caro prezzo consulenze per poter ottenere le ambite certificazioni, delle quali aziende medie e grandi, in preda a una specie di bulimia compilativa tipica del framework americano, paiono non poter fare a meno.

Come ho scritto nella prefazione a un fascicolo di recente pubblicazione a cura della Scuola Etica Leonardo, opinione diffusa vuole che le società con le posizioni migliori in classifica sulla base di metriche ESG, otterranno – già solo per questo – migliori rendimenti per gli azionisti: questa convinzione è errata, per tutta una serie di ben documentati motivi.

Gli indici ESG, per come sono oggi intesi, sono centrati su uno sguardo del tutto generale, avulso dal particolare, che può generare effetti imprevisti e preoccupanti: si tratta di una vera e propria mania classificatoria, l’ennesima, tipica del mondo anglosassone. Ad esempio, l’impatto ambientale di una banca non è necessariamente rilevante per la sua performance economica: una corretta politica di contenimento delle emissioni nocive in atmosfera otterrebbe un punteggio alto sugli indici ESG, ma non influenzerebbe significativamente le emissioni di carbonio globali; al contrario, l’emissione da parte della banca di prestiti subprime che i clienti non saranno in grado di ripagare o la commercializzazione di titoli tossici, potrebbe(ro) avere devastanti conseguenze sociali e finanziarie, come le cronache di pochi anni fa hanno dimostrato. Nonostante ciò, il reporting ESG ha dato credito alle banche per la prima questione e, allo stesso tempo, ha tralasciato colpevolmente – o dolosamente? – la seconda.

L’adozione diffusa del reporting ESG ha indirettamente “tranquillizzato” gli investitori e i cittadini, ma, al contempo, ha distratto le aziende dall’attrezzarsi per causare un impatto sociale rilevante riguardo alle questioni centrali per i propri business: come se, assolti gli obblighi ESG, si potesse tirare un respiro di sollievo, con la certezza di aver fatto bene “i compiti a casa”.

Fare meno, ma fare meglio

Sono le politiche aziendali di alta sostenibilità che devono riflettere la cultura di fondo dell’organizzazione, e non deve essere la cultura dell’organizzazione a dover essere “piegata” al servizio dell’immagine per far apparire l’organizzazione più green e quindi più appetibile agli occhi di Clienti e investitori; così facendo, le aziende tradiscono i fondamentali del reputation management, la fiducia dei cittadini e bruciano valore, come veri e propri Giani Bifronte che – tristemente — fanno della comunicazione effimera condita da scarsa autenticità una delle peculiarità del proprio posizionamento.

Fare meno, ma fare meglio, è un paradigma che nel nostro mondo, quello della costruzione e difesa della reputazione, è considerato scontato da anni, ma evidentemente, e inspiegabilmente, ancora non lo è nella pratica d’impresa. La verità è che – al netto dell’agiografia pubblicitaria – solo una esigua minoranza di aziende dimostra di aver davvero a cuore il valore dei propri azionisti, e ogni giorno opera con la convinzione di poter fare bene, e di poter cambiare in meglio qualcosa nell’ecosistema sociale nel quale opera, consapevoli che questo cambiamento non si può improvvisare, e richiede tempo, fatica, risorse, non riducendosi a un certificato da appendere dietro alla scrivania, frutto magari dell’auto-compilazione di questionari o di analisi non sollecitate svolte dall’esterno da auditor compiacenti e benevoli.

Non c’è più tempo da perdere

L’economista italiano Antonio Genovesi (1713-1769), in pieno Illuminismo, “predicava” inascoltato sul tema dell’importanza della costruzione di una “economia civile”, ovvero finalizzata alla responsabile felicità delle persone, sostenibile in quanto capace di coniugare crescita economica ed equità sociale, all’insegna di parole chiave come reciprocità, fiducia e mutuo vantaggio.

Oggi, tre secoli dopo, le imprese sono chiamate a nuove responsabilità: non c’è più tempo da perdere, e non si può continuare a ingannare ancora a lungo il mercato. L’ora della coerenza, dell’autenticità, della responsabilità, è qui, ora.




La nuova norma UNI 11961:2024 sulla compliance a supporto dei sistemi integrati ISO ed i modelli 231

La nuova norma UNI 11961:2024 sulla compliance a supporto dei sistemi integrati ISO ed i modelli 231

Premesse

I sistemi di gestione volontari vedono oggi come unico punto di correlazione col D. Lgs. ​ 231/2001, l’art. 30 del D. Lgs. ​81/08 per i reati in tema di salute e sicurezza sul lavoro. ​I sistemi di gestione sono ormai ampiamente diffusi nelle organizzazioni e permettono di strutturare un sistema integrato aziendale per dare evidenza dell’effettiva ed efficace attuazione delle misure adottate dall’azienda in tema di compliance.

Per potere chiarire e valorizzare tali misure di correlazione con i dettami previsti dal D.Lgs. ​ 231/2001 è stata redatta una norma nazionale, la UNI 11961:2024 “Linee guida per l’integrazione del sistema di gestione per la compliance UNI ISO 37301:2021 a supporto dei Modelli Organizzativi di Gestione e Controllo e degli Organismi di Vigilanza in conformità al D.Lgs.231/2001” pubblicata in data 17 dicembre 2024.

Contesto nazionale in tema di Compliance 

A più di vent’anni dall’introduzione del D. ​ Lgs. 231/2001 relativo alla cosiddetta “responsabilità amministrativa degli Enti”, si assiste ancora oggi ad una variabilità molto ampia nell’applicazione dei dettami legislativi. ​ Le linee guida delle associazioni di categoria sono un importantissimo strumento di indirizzo per le imprese ma permane un’incertezza di fondo sulle modalità operative di attuazione per fare in modo che un Ente virtuoso che voglia dotarsi di un Modello di Gestione, Organizzazione e Controllo conforme ai dettami legislativi, possa svilupparlo e mantenerlo nel tempo secondo modalità e approcci solidi e sistemici, anche al fine di garantire i principi di adeguatezza ed effettività necessari per poter dimostrare il valore esimente del Modello per l’Ente stesso. ​

Esperienze e criticità rilevate

Gli “addetti ai lavori” e le imprese più “illuminate” chiedono da tempo di potere riconoscere gli sforzi delle aziende nell’ambito della Compliance Integrata ma, purtroppo, né la legislazionené la giurisprudenza in più di 20 anni di applicazione del D. Lgs.231/2001 hanno aiutato a riconoscere tale sforzo se non con degli accenni ad assunzione di esimenza di Modelli sviluppati secondo le best practice del settore – tra tutti, ma non le sole, citiamo le “Linee guida di Confindustria(1) -.

In tale alea di incertezza, si è rilevata inoltre un approccio a “macchia di leopardo” delle procure italiane che si sono mosse e si muovono con sensibilità molto diverse tra loro, vedendo una penalizzazione o agevolazione delle imprese con processi in corso ex-D.Lgs.231 dipendenti dall’area geografica in cui il processo è svolto.

Infine, in un contesto molto incerto e con poche sentenze giurisprudenziali a supporto delle imprese illuminate che attuano da anni una Compliance Integrata,  l’assenza di norme attuative più chiare hanno agevolato la proliferazioni di Modelli “cut and paste con una dubbia utilità per le imprese che li hanno implementati se non, addirittura, controproducenti per l’Ente in sede di giudizio.

La norma di collegamento tra ISO e D.Lgs. ​ 231/2001

La predisposizione di un documento normativo nazionale è stato ritenuto un utile compendio per creare una diretta correlazione:

  • tra gli strumenti sistemici forniti dalle norme ISO e i Modello 231,

sulla base del riconoscimento già avvenuto dal legislatore nell’ambito dei reati antinfortunistici (art. ​ 30 del D.Lgs. ​ 81/2008). ​

Questa correlazione permette di integrare il sistema di gestione con i protocolli e gli strumenti attuativi del Modello stesso, in linea con i principi già espressi nella recente revisione di Linee guida associative e dall’Harmonized Structure (ex-HLS) dell’ISO. ​

Progetto di normazione: cronoprogramma dei lavori 

  • Marzo 2022: Avvio inchiesta pubblica preliminare e approvazione del progetto di norma. ​
  • Aprile 2022: Approvazione avvio lavori progetto di norma (15 sì, 1 astensione). ​
  • Novembre 2023: Redazione del draft della norma. ​
  • Marzo 2024: Finalizzazione del final draft della norma. ​
  • Giugno 2024: Chiusura inchiesta pubblica finale. ​
  • Luglio 2024: Recepimento commenti da inchiesta pubblica finale e finalizzazione della norma. ​
  • Dicembre 2024: Pubblicazione della nuova norma UNI 11961:2024. ​

La nuova norma nazionale in tema di Compliance 

La norma nazionale UNI 11961:2024 è un importante novità nel panorama della Compliance Integrata in quanto:

  • per la prima volta, in Italia abbiamo una norma volontaria di collegamento tra il mondo dei sistemi di gestione ISO e il mondo dei reati amministrativi ex-D.Lgs.231/2001.

Questa rivoluzione copernicana permetterà alle aziende di aggiungere, tra le misure esimenti in sede processuale, che la stessa:

  1. ha adottato un Modello 231;
  2. ha insediato un OdV con poteri di vigilanza e controllo e,
  3. ha “integrato” il sistema aziendale con un sistema di gestione per la Compliance conforme alla UNI ISO 37301:2021, meglio ancora, se certificato con organismo di certificazione sotto accreditamento (e quindi controllo) di ACCREDIA.

Questo approccio integrato dovrà riflettersi anche in una revisione dei Modelli 231 e sarà di ausilio al lavoro degli Organismi di Vigilanza in conformità al D.Lgs. ​ 231/2001”.

Vediamo ora alcuni paragrafi della norma UNI per capire la correlazione tra il sistema di gestione ISO e il D.Lgs.231/2001, letto in combinato disposto con le Linee Guida di Confindustria.

Comprendere l’organizzazione e il suo contesto (§4.1) 

La comprensione dell’organizzazione e del suo contesto è uno dei passaggi iniziali fondamentali per conoscere i processi aziendali rilevanti dell’Ente al fine dell’inquadramento degli ambiti di attuazione del Modello di Gestione, Organizzazione e controllo (Modello 231) ai sensi del D. ​Lgs. 231/2001 e al fine dell’implementazione del Sistema di Gestione per la Compliance conforme alla norma UNI ISO 37301:2021. ​

Organismo di governo e Alta Direzione (§5.1.1) 

Nelle attività di progettazione di un Modello Organizzativo ai sensi del D.Lgs. ​ n. 231/2001 in linea con i requisiti della UNI ISO 37301 occorre identificare correttamente i soggetti che, secondo la norma tecnica, sono assegnatari delle principali responsabilità per la progettazione ed attuazione di un sistema di gestione della compliance. ​

Informazioni Documentate (§7.5) 

Il tema della documentabilità e della documentazione merita una particolare attenzione. ​ La norma UNI ISO 37301 e, in generale, tutte le norme UNI ISO che attuano l’HS (Harmonized structure) hanno visto demandare all’organizzazione la scelta di quali informazioni documentare con una conseguente e graduale semplificazione della burocrazia. ​

Conclusioni

La nuova norma nazionale sulla compliance rappresenta un importante passo avanti per le organizzazioni italiane, fornendo linee guida chiare e sistemiche per l’integrazione dei sistemi di gestione per la compliance con i Modelli 231. ​Questo strumento normativo non solo facilita la progettazione, attuazione e controllo dei modelli di gestione, ma contribuisce anche a dimostrare l’adeguatezza ed effettività dei presidi di controllo e prevenzione del reato, supportando le imprese nel loro percorso di conformità legislativa e miglioramento continuo. ​

Inoltre, implementare un Sistema per la Compliance Integrata aziendale che veda dialogare, conformemente alla norma UNI 11961:2024, il Modello 231 e il sistema di gestione per la Compliance, conforme alla norma UNI ISO 37301:2021, meglio ancora se quest’ultimo certificato da un organismo di parte terza accreditato,  dovrebbe permettere alle aziende di vedere rinforzata la posizione di esimenza in sede processuale.

Ora, attendiamo e speriamo che la giurisprudenza “batta un colpo”.

Intervento di Alessandro FOTI, Esperto in Compliance e HSE, Chairman dell’Organo Tecnico UNI “Governance delle organizzazioni” e Vicepresidente di AIAS – Associazione Italiana Ambiente e Sicurezza