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I NUMERI DEL CALCIO

I NUMERI DEL CALCIO

18 gennaio 2024: la Federazione Italiana Giuoco Calcio (FIGC) pubblica il Bilancio Integrato 2022, un articolato documento contenente informazioni, finanziarie e non, inerenti l’attività svolta sul pianeta calcio nel corso del 2022.

Molto bene: gli sforzi delle organizzazioni, imprenditoriali e non, verso una maggiore e migliore trasparenza vanno sempre accolti con favore. Se rendiconto e comunico quello che faccio, anche in assenza di precisi obblighi normativi, devo necessariamente assumermi la responsabilità di ciò che scrivo. Importante, quindi, uscire allo scoperto.

FIGC ha cominciato questo percorso già da diversi anni, e sicuramente non è facile rendicontare risultati e prospettive di un settore ad alta complessità (e tanti problemi) come quello del calcio.

Ma cos’è un bilancio integrato? La Federazione prende, come riferimento, l’Integrated Reporting Framework. Quindi:

  1. un Report Integrato è una comunicazione sintetica che ha lo scopo di illustrare e dimostrare agli stakeholder come la strategia, la governance, le performance e le prospettive di un’organizzazione consentono di creare valore nel breve, medio e lungo periodo nel contesto in cui essa opera;
  2. oltre ai fornitori di capitale finanziario, gli stakeholder interessati al Report Integrato possono includere: dipendenti, clienti, fornitori, partner commerciali e tecnologici, comunità locali, legislatori, regolatori, organismi di regolamentazione e policy makers;
  3. secondo il Framework internazionale <IR>, la determinazione del perimetro è relativa a due aspetti, ovvero l’entità che redige il bilancio e il complesso dei rischi, delle opportunità e dei risultati che sono attribuibili o associati ad entità e stakeholder diversi dall’organizzazione che redige il bilancio e che hanno un impatto sulla sua capacità di creare valore nel breve, medio e lungo termine.

Fatta questa premessa, e partendo dal presupposto che l’informativa sia perfettamente compliant, passo alle impressioni ricavate leggendo velocemente il documento.

Sinteticità e fruibilità

Non occorre un diluvio di informazioni: il report, per essere efficace, deve essere sintetico, chiaro ed essenziale nei suoi contenuti. Perché? Perché l’utilizzatore è interessato alle prospettive future dell’organizzazione, non solo a quanto la governance sostiene di essere o essere stata brava, di fare o aver fatto. Sul sito Figc sono disponibili:

  • bilancio integrato: file di 234 pagine, di cui 35 contenenti solamente foto (molto belle e di forte impatto, però non aggiungono nulla all’informativa);
  • cartella stampa completa con i principali highlights: file di 8 pagine, 3.396 parole, tanti numeri e informazioni, ma assenza totale di tabelle e grafici;
  • video della durata di poco più di 8 minuti: di fatto, un mega spot.

Francamente, tanto materiale. Forse troppo?

Il mio (opinabilissimo e poco autorevole) punto di vista: meno documenti, meno parole, più sintesi, più chiarezza. Molte pagine del report non sollecitano alla lettura, sembrano pensate più come un esercizio di grafica ed estetica (quindi comunicazione) che per un’esigenza di rendicontazione efficace, e le informazioni si perdono (penso, ad esempio, a un lettore dislessico).

In considerazione, poi, della voluminosità del documento, dei collegamenti ipertestuali sarebbero stati di grande utilità.

Stakeholder

I famosi portatori d’interessi, soggetti interni ed esterni all’organizzazione: a pagina 14 troviamo un bel dettaglio degli stakholder interni, mentre, per avere una panoramica di quelli esterni, occorre passare a pagina 76, dove si parla di stakeholder chiave, che influenzano e sono influenzati dall’organizzazione”. Con grande sorpresa non trovo espressamente indicate le banche (sono tra i fornitori?) nonché l’Agenzia Entrate ed enti previdenziale (rientrano tra i Ministeri?).

Impatti e rischi

Quali sono i rischi specifici e le opportunità che influenzano la capacità dell’organizzazione di creare valore nel breve, medio e lungo termine e in che modo sono gestiti? Nel documento vengono evidenziati gli impatti positivi del calcio sul sistema paese. E quelli negativi? Il report, secondo me, dovrebbe informare meglio (non necessariamente con “più dati”, bensì con dati più centrati) su alcuni passaggi chiave, come il modello di business e le problematiche economico-finanziarie.

Un esempio? Al tema Superlega, fortemente materiale, è dedicato soltanto questo passaggio di pagina 23: “Decisa opposizione della Federcalcio al progetto di creazione di una “Super League” chiusa (emanazione della cosiddetta norma “anti Superlega”)”. E se il progetto, invece, andasse avanti, quali sarebbero gli impatti sull’organizzazione e i suoi affiliati? E le alternative? Vista la rilevanza della questione, mi sarei aspettato qualcosa in più (descrizione rischio e potenziali impatti, piani di mitigazione, opportunità derivanti dal rischio, monitoraggio continuo, etc.).

Altro esempio? La sostenibilità economico-finanziaria. Potrebbe essere utile (per lo stakeholder esterno, ovviamente) avere un’idea dell’indebitamento verso banche e fisco e dell’incidenza sul totale, del numero di società in maggiore difficoltà, degli scenari ipotizzabili a seguito di uno stress test, etc.

Insomma le criticità si perdono in un mare di informazioni, dati, immagini e colori.

Gli SDGs

A pagina 17 sono riportati i “…9 SDGs che la Federazione Italiana Giuoco Calcio persegue maggiormente (insieme ad alcuni esempi di progetti), in coerenza con i propri obiettivi e la propria strategia…”. Mi chiedo: come sono stati individuati i 9 SDGs? Sono stati coinvolti gli stakeholder? Se sì, in che modo?

Rating Esg

Pagina 177: “…OpenEconomics, società specializzata in asset pricing e analisi economiche applicate all’industria del calcio, ha sviluppato in collaborazione con la FIGC la misurazione delle performance della Federcalcio nell’ambito della valutazione dei rischi Ambientali, Sociali e di Governance all’interno del contesto in cui la Federazione si trova ad operare. La FIGC è la prima Federazione sportiva in Italia che, oltre ad aver elaborato una propria Strategia di Sostenibilità, è stata in grado di misurare con una prima sperimentazione anche il relativo rating ESG…”. Ormai è la parola magica: rating Esg! Sorvolando sul dibattito su questo tema (e sull’affidabilità dei vari rating e punteggi…), ricordo solo che è in arrivo il regolamento comunitario che disciplinerà la materia. È vero, il rating raggiunto da FIGC è il risultato di una sperimentazione nata da una collaborazione con OpenEconomics: apprezzabile l’impegno, però i rating, per definizione, presuppongono, tra l’altro, terzietà del valutatore. Quelle che, però, maggiormente mi hanno colpito, sono le parole misurazione, valutazione, strategia: ma se ho elaborato una strategia di sostenibilità e sono in grado di misurarla, perché non scendere nel merito delle performance e dei risultati attesi, magari facendo ricorso allo standard GRI?

Conclusioni

Molto semplici, ho fatto vedere il documento a tre diciassettenni:

  1. ragazza che pratica ginnastica;
  2. ragazzo che pratica karate;
  3. giovane calciatore che pratica abitualmente attività agonistica con una Ssd.

Tutti e tre hanno un percorso scolastico regolare: 1 e 2 hanno risultati scolastici brillanti, 3 (il calciatore) naviga dignitosamente su livelli sufficienti, e dovrebbe comunque essere il soggetto maggiormente interessato. Risposte ottenute:

  1. “mi lascia indifferente”;
  2. “ma è celebrativo!”;
  3. “un file di 234, pagine non ci penso proprio ad aprirlo”.

Alè, oh oh! Alè, oh oh!




OnlyFans: La piattaforma di condivisione di contenuti che arricchisce i creators (?)

OnlyFans: La piattaforma di condivisione di contenuti che arricchisce i creators (?)

OnlyFans è la piattaforma di condivisione di contenuti che ha forse fatto più scalpore negli ultimi anni. Fondata nel 2016, ha creato una comunità online in cui creatori di contenuti possono condividere il loro lavoro e interagire direttamente con i propri fan.

Ma cos’è esattamente OnlyFans? È un social che permette ai creatori di pubblicare contenuti come foto, video e testi, e ai loro fan di accedere a questi contenuti pagando una tariffa mensile o a pagamento per post specifici. L’esplosione di OF si è realizzata con l’approdo di numerosissimi creators dediti all’industria dell’intrattenimento per adulti, ma in realtà la piattaforma ospita una vasta gamma di creatori che condividono contenuti su vari argomenti, come fitness, cucina, musica e molto altro.

OnlyFans era inizialmente diventato popolare tra influencer, modelli, artisti e appassionati di fitness che desideravano monetizzare il proprio rapporto con i followers. Grazie a OnlyFans, i creatori possono guadagnare direttamente dai loro fan, eliminando l’intermediazione tradizionale e ottenendo un maggior controllo sui propri guadagni. La piattaforma offre anche un modo per i fan di supportare direttamente i creatori che amano, fornendo loro contenuti esclusivi e l’opportunità di interagire con loro.

Tuttavia, l’uso di OnlyFans non è limitato solo ai creatori. Molte persone si iscrivono come fan per accedere a contenuti esclusivi e sostenere i loro creatori preferiti. Questo crea un ambiente di connessione e vicinanza tra creatori e fan, dove i fan possono sentirsi più coinvolti nel processo creativo.

Nonostante il successo e la crescente popolarità di OnlyFans, la piattaforma ha anche affrontato alcune controversie e critiche. Il suo legame con l’industria del porno ha portato a preoccupazioni riguardanti la sicurezza delle persone coinvolte e ha sollevato domande sulla regolamentazione e la tutela dei diritti dei lavoratori.

A causa di queste preoccupazioni, OnlyFans ha introdotto politiche più rigide per contrastare la diffusione di contenuti illegali o non consensuali. La piattaforma collabora con istituzioni finanziarie e enti regolatori e il fisco delle nazioni in cui opera per migliorare i processi di pagamento e contrastare fenomeni elusivi e di riciclaggio di denaro.

Nonostante – forse anche grazie – alla visibilità derivante dalle polemiche che ha solevato, OnlyFans continua a crescere come piattaforma di condivisione di contenuti. La sua capacità di consentire ai creatori di monetizzare il proprio lavoro e ai fan di connettersi direttamente con loro ha creato nuove opportunità per molte persone. Con l’aumento della domanda di contenuti personalizzati e di accesso diretto ai creatori, OnlyFans continua a offrire un ambiente unico per la condivisione e l’interazione.

È importante sottolineare che, nonostante la sua associazione con il lavoro sessuale, OnlyFans non è limitato a questo settore. La piattaforma offre un’opportunità per una vasta gamma di creatori di condividere le loro passioni, talenti e conoscenze con il loro pubblico. Dalla cucina all’arte, dal fitness alla musica, ci sono molte nicchie in cui i creatori possono esprimere se stessi e connettersi con i loro fan.

Per i creatori di contenuti che desiderano utilizzare OnlyFans come fonte di reddito, è fondamentale comprendere l’importanza di offrire contenuti di qualità e mantenere un rapporto diretto e autentico con i propri fan. La chiave del successo su OnlyFans è creare un equilibrio tra offrire contenuti esclusivi e coinvolgenti che soddisfino le aspettative dei fan e mantenere una comunicazione aperta e autentica.

OnlyFans è anche un esempio di come l’evoluzione della tecnologia e dei social media stia influenzando l’industria dell’intrattenimento e del contenuto online. La piattaforma ha aperto nuove strade per i creatori e ha ridefinito il concetto di “fan” e “celebrità”. Ora, chiunque abbia talento, creatività e una base di fan devota può sfruttare le potenzialità di OnlyFans per guadagnare e costruire una comunità di appassionati. Tuttavia, è fondamentale comprendere sia i vantaggi che le sfide associate a questa piattaforma e assicurarsi che vengano rispettate le norme e le regole per garantire un ambiente sicuro e sostenibile per tutti gli utenti.

Sarà interessante osservare come questa piattaforma si svilupperà e influenzerà ulteriormente l’industria dell’intrattenimento online nel futuro.




Pfizer denunciata per aver venduto dei farmaci per bambini sapendo della loro inefficacia. Le accuse negli Usa

Pfizer denunciata per aver venduto dei farmaci per bambini sapendo della loro inefficacia. Le accuse negli Usa

Guai legali in vista per Pfizer. La multinazionale farmaceutica statunitense è stata denunciata, insieme al fornitore Tris Pharma, dal procuratore generale del Texas, Ken Paxtron. L’accusa, resa nota lunedì 20 novembre, è di aver venduto dei farmaci per bambini sapendo della loro inefficacia. 

I farmaci incriminati

Secondo il procuratore del Texas, Pfizer ha venduto al programma assicurativo statale Medicaid, che sosteneva le persone a basso reddito, dei medicinali per bambini affetti da ADHD (disturbo da deficit di attenzione iperattività) pur sapendo che il trattamento non era efficace. In particolare, Pfizer e Tris Pharma avrebbero manipolato i risultati di alcuni test obbligatori, relativi al farmaco Quillivant XR, nel periodo 2012-2018. Paxtron sostiene che il trattamento avesse fallito i test di controllo qualità a causa di pratiche di produzione errate, ma che Pfizer e Tris abbiano fatto in modo di farlo risultare a norma.

Pfizer ha dichiarato in una nota di aver esaminato le accuse più volte e di «non aver riscontrato alcun impatto sulla sicurezza del prodotto». L’azienda, dunque, sostiene che il caso non abbia fondamento e ne chiederà l’archiviazione. Anche Tris ha rimandato al mittente le accuse.

Tris ha prodotto Quillivant Xr per Pfizer fino al 2018, prima di acquistarlo.Già nel 2017 la Food and Drug Administration aveva messo in guardia dai difetti di produzione del farmaco, che non ha mai raggiunto un’ampia quota di mercato (riproduzione riservata) 




Musica in streaming, se a cantare è l’intelligenza artificiale: l’allarme degli artisti

Musica in streaming, se a cantare è l’intelligenza artificiale: l’allarme degli artisti

Sembrava uno scherzo, ma in pochi mesi il fenomeno è esploso: sui social e nelle piattaforme streaming dilagano brani musicali generati dall’intelligenza artificiale (Ai) con le voci clonate di cantanti famosi o di artisti scomparsi, come David Bowie, Freddy Mercury, Michael Jackson. Il primo hit a suscitare clamore è stato «Heart On My Sleeve»: sembrava un nuovo titolo del rapper canadese Drake, ma si è rivelato una fake song. Il brano generato dall’Ai, con la voce di Drake, era stato lanciato in aprile su TikTok dall’utente Ghostwriter977 ed è diventato virale con 230 mila ascolti su YouTube e 625 mila su Spotify. Finché l’artista ha minacciato azioni legali e la sua casa discografica, in maggio, è intervenuta per far sparire la canzone da Spotify, YouTube, Apple Music. Un mese dopo però la stessa canzone più una decina di altri brani creati da algoritmi con la voce di Drake erano in testa alla classifica Ai Hits. È un sito creato da Michael Sayman, informatico di 26 anni, che recensisce le 100 canzoni generate dall’Ai più ascoltate sul web, tra cui quelle con le voci clonate di star come Travis Scott o Rihanna. «Dobbiamo ingaggiare una battaglia per difendere il nostro capitale umano di fronte all’intelligenza artificiale», ha detto Sting ai microfoni della Bbc.

Tra condanna e curiosità

Ma i pareri nel mondo musicale sono contrastanti. Diversi artisti stanno sperimentando gli strumenti di intelligenza artificiale per creare nuove liriche o comporre più facilmente testi. «La rivoluzione portata dall’Ai generativa nella musica è paragonabile a quella di Napster, è la più importante dall’inizio del file sharing e del download — dice Enzo Mazza, ceo di Fimi (Federazione dell’industria musicale italiana) —. Oggi l’industria musicale non intende opporsi, sta cercando di governare e integrare questa svolta tecnologica. Anche perché l’Ai generativa è ormai parte della produzione musicale. Chi usa un’app come Boomy può generare una base strumentale in pochi secondi sulla quale registrare una voce. Gli utenti hanno creato così 14,5 milioni di canzoni». BoomyAi ha generato già 14,5 milioni di canzoni. E Google Music ML da gennaio compone musiche sulla base di testi e imita voci di artisti; OpenAi Jukebo, l’equivalente di ChatGpt per la musica, introdotto il 30 aprile, genera su domanda brani musicali di tutti gli stili; SongStarter di BandLab permette di generare uno strumentale basandosi su testi ed emoji. E Reactional Music, nata per le musiche dei videogame, genera composizioni dal data set di un artista.

Musica in streaming, se a cantare è l’intelligenza artificiale: l’allarme degli artisti

Le tendenze dei giovani

La Generazione Z, che aveva fatto esplodere il consumo di musica in streaming (cresciuto in Italia ancora del 16 % nei primi sei mesi di quest’anno), ama non solo condividere, ma anche inventare nuovi mix musicali. Da un sondaggio condotto quest’estate da Fimi con Giffoni Innovation hub e Città della Musica di Napoli, su quasi 3 mila utenti di cui il 70% sotto i 34 anni, emergono nuove attitudini. Alla domanda «Utilizzeresti l’Ai per creare musica?», il 10% degli under 34 risponde di averlo già fatto. Il 37% pensa che in futuro gli artisti saranno sostituiti dall’intelligenza artificiale, benché a discapito della creatività. E un altro 20% segue abitualmente i concerti nel metaverso. «Per i giovani la musica è un’esperienza dinamica, i concerti virtuali offrono più partecipazione e interazione con gli artisti — dice Matteo Camarada, 21 anni, reporter nel metaverso per SecondStar —. E l’Ai è un’opportunità per democratizzare l’accesso alla creazione musicale». Una minaccia per il business? Universal Music ha chiesto a Spotify di rimuovere migliaia di canzoni generate da Boomy e introdotte dagli utenti, perchè usavano campionature di brani musicali coperti da diritto d’autore.

I possibili scenari

Il fenomeno però è difficile da arginare di fronte all’ondata di brani prodotti dai tool di Ai generativa introdotti quest’anno. «Il problema è a monte, perché gli sviluppatori di Ai per addestrare gli algoritmi usano illecitamente un vastissimo repertorio di musica coperta da diritti d’autore», dice Luca Vespignani, ceo di Dcp (Digital content protection) che controlla le violazioni di copyright online. Soluzioni? «Prima di tutto la trasparenza: i consumatori devono poter distinguere i contenuti originati dall’Ai, che vanno segnalati come tali— dice Mazza —. E le opere che non vengono dall’intelletto umano non devono avere copyright né sfruttamento commerciale. Poi bisogna usare i metadati, i codici che indicano l’origine e i diritti di ogni creazione musicale». Da agosto, scrive il Financial Times, Universal Music e Warner hanno avviato trattative con Google e OpenAi. Dice Vespignani: «L’obiettivo è concedere in licenza l’uso dei repertori coperti dai diritti per l’addestramento dei sistemi di Ai. Ma serve la collaborazione delle piattaforme streaming per rimuovere brani non autorizzati e impedire ai sistemi di Ai di sfruttare la musica online». Un primo accordo c’è: è del 6 settembre, tra Universal Music e Deezer. Lo streaming service premierà gli artisti professionisti: chi ha oltre mille ascolti al mese sarà pagato il doppio.




Ma quanto ha perso Chiara Ferragni con il caso pandoro Balocco? Il pubblicitario Guastini: “Danno attorno ai 20 milioni di euro. E altri brand come Coca Cola la abbandoneranno”

Ma quanto ha perso Chiara Ferragni con il caso pandoro Balocco? Il pubblicitario Guastini: “Danno attorno ai 20 milioni di euro. E altri brand come Coca Cola la abbandoneranno”

La storia di Chiara Ferragni sembra non esaurirsi mai perché, non appena tenta di darci uno scorcio di normalità, ecco che si apre un nuovo caso. Solo due giorni fa l’influencer era riapparsa quasi come se nulla fosse, e oggi veniamo a sapere che Coca Cola si è defilata da un contratto che prevedeva uno spot con la moglie di Fedez, a causa di presunte violazioni di accordi contrattuali. Abbiamo intervistato il pubblicitario Massimo Guastini per chiedergli delle previsioni sul futuro (e delle stime di perdita del recente passato e del presente) della donna più chiacchierata d’Italia.

 Massimo Guastini
Massimo Guastini

Due giorni fa Chiara Ferragni è tornata sui social, questa volta truccata e sistemata. Ha capito che lo stile “desperate housewive” non funzionava?

È riapparsa dopo un silenzio durato oltre due settimane. È un errore gravissimo per una simile crisi reputazionale e il non fare nulla è la cosa peggiore. Evidentemente è stata mal consigliata. Lo stesso messaggio di “scuse in gramaglie” era risultato del tutto inadeguato. Non solo per il registro esageratamente contrito, ma anche per le argomentazioni debolissime e poco credibili delle sue scuse. Non sono sembrate vere scuse le sue. Poi, come se niente fosse, il 3 gennaio torna e posta una story Instagram, con un inopportuno stile da adolescente appena rientrata dalle vacanze trascorse a Courmayeur: “mi siete mancati, con un cuoricino. Come state?”.

Secondo lei c’è stata una gestione corretta della crisi?

Non erano preparati e questo un po’ mi sorprende. Chiara Ferragni non è solo un essere umano, è un brand. E da ormai oltre dieci anni i brand hanno imparato che la questione non è se dovranno affrontare una crisi reputazionale ma quando e quindi prendono le adeguate contromisure. In genere si sceglie un esperto di Crisis Management, si individuano i potenziali scenari di crisi e le strategie di gestione. Prima che la crisi si verifichi. Il team di comunicazione che gestisce la crisi non dovrebbe essere lo stesso che l’ha determinata. Non per una questione di “colpe”. Sono due attitudini e ruoli diversi. Se mi perdoni il paragone è come accade nel football americano: i giocatori offensivi della squadra che ha perso la palla lasciano il campo di gioco e sono sostituiti dai giocatori difensivi.

La Ferragni ha fatto un box domande senza poi però rispondere pubblicamente a nessuno, che senso aveva?

Nessuno. È evidente che non erano preparati e che non si sono ancora organizzati. Nella gestione delle crisi reputazionali non si pongono domande puerili. Si “ascolta” e si danno risposte concrete.

La scelta di fare una storia e non un post è stato dettato dal fatto che non appena lei o Fedez postano vengono ricoperti di insulti?

Ritengo di sì. E il modo in cui si è mosso il “brand Fedez” nel suo profilo Instagram mi ha rafforzato la sensazione che non fossero preparati alla gestione di una crisi reputazionale. Di conseguenza i tre post da festività natalizie, pubblicati durante il silenzio della moglie Chiara, sono stati più dannosi che utili. Non avrebbe dovuto postare immagini dei suoi figli, per esempio.

Perché? Lo pensano in molti

Perché è inopportuno. Sono belli, ricchi e sani fortunatamente. Ma i loro genitori sono in questo momento percepiti come quelli che si sono intascati un milione di euro, raccontando che i soldi sarebbero serviti a “esplorare nuove strade per le cure terapeutiche dei bambini affetti da Osteosarcoma e Sarcoma di Ewing”. Tra l’altro, la storia è venuta fuori a ridosso del Natale e si lega a un dolce che è simbolo di questa festività: il pandoro. Non sorprende che uno dei commenti meno aggressivi sia stato questo: “Nel momento peggiore di massacro mediatico, il primo post è una serie di foto dei figli. Praticamente usati come scudo umano mediatico”.

Chiara Ferragni
Chiara Ferragni

Come dovrà muoversi ora Chiara Ferragni?

Io non sono un esperto di Crisis Management e non mi posso vendere come tale perché sarebbe come vendere fuffa. Se fossi stato a capo della comunicazione avrei suggerito di chiamare immediatamente il Professor Luca Poma, probabilmente il professionista più valido nel gestire questo tipo di situazioni e con grande umiltà mi sarei messo a sua disposizione.

C’è chi dice che deve sparire e chi invece che dovrebbe continuare come se nulla fosse. Lei di che partito è?

Entrambe le posizioni sono sbagliate, secondo me. Si tratta di gestire, senza perdere altro tempo, senza sbagliare le prossime mosse. Tenendo presente che i “marchi” sono in realtà potenzialmente tre: “Chiara Ferragni”, “Fedez” e i “Ferragnez”. E questo a mio avviso offre delle buone opportunità di uscire dalla crisi, se inizieranno a gestirla correttamente. Chiara Ferragni è riapparsa per parlare solo alla sua community, come se si fosse chiusa in una bolla. Quando in realtà quanto accaduto interessa l’opinione pubblica, non solo nazionale. Non può pensare di continuare a parlare solo con chi “la ama a prescindere”. Lasci perdere gli hater ma tenga ben presente tutta l’area dei “moderatamente a favore e moderatamente a sfavore”. È lì che si gioca la partita.

La sua immagine verrà mai veramente riabilitata?

Non ho la sfera di cristallo. Posso però dirti cosa può giocare a suo favore: Chiara Ferragni è un “love brand” e i love brand si tende a perdonarli, perché noi esseri umani odiamo la “dissonanza cognitiva”: ci comporta un dispendio energetico. In passato love brand come Nutella e Volkswagen hanno attraversato forti turbolenze reputazionali, rispettivamente per la questione olio di palma e per il “dieselgate”. Su Instagram Nutella ha 1.7 milioni di follower. Chiara Ferragni ne ha 29.5 e Fedez 14.7 milioni. A chi venderà questa sua community ora? Quali marchi italiani e internazionali compreranno la sua community? Le sfilate di moda imminenti saranno la cartina di tornasole, il primo banco di prova. Quale stilista la inviterà? Ma in ogni caso ci saranno altri banchi di prova. Sarà una partita lunga, purché inizino a giocare sul serio.

Ferragni, niente più Coca Cola in mostra sui social?
Ferragni, niente più Coca Cola in mostra sui social?

C’è anche un’altra novità: Coca Cola ha sospeso lo spot che aveva previsto con Chiara Ferragni. Cosa comporterà questo anche in termini economici sul lungo periodo?

Coca Cola non ha inventato il Babbo Natale di colore rosso come si legge spesso online, ma già a partire dagli anni ‘30 del novecento ha diffuso attraverso le sue campagne pubblicitarie l’immagine di Santa Klaus per come la conosciamo oggi. Inevitabile, quindi, che Coca Cola abbia cancellato la collaborazione prevista con Chiara Ferragni: uno spot che sarebbe dovuto uscire a fine gennaio in vista del Festival di Sanremo. Se Coca Cola viene associato a Babbo Natale, Chiara Ferragni in questo momento è percepita da una parte dell’opinione pubblica come una sorta di “Signora Scrooge” che ha intascato un milione di euro “sottraendolo” ai bambini malati di un raro tumore. Non sto dicendo che l’abbia fatto, sto descrivendo una percezione. Ed è inevitabile che nelle prossime settimane e mesi, saltino altri contratti e vengano “congelate” delle collaborazioni previste per il 2024. Parliamo di un danno di diversi milioni di euro che credo che si aggiri intorno ai 20 milioni, facendo un ragionamento sui danni preventivabili, anche se è difficile fare una stima esatta, ma stiamo sicuramente parlando di tanti milioni di euro.

C’era modo di evitare l’abbandono da parte di Coca Cola?

No, era un abbandono inevitabile e questo brand è il primo di una lunga lista. Non so quali siano esattamente i contratti tra Chiara Ferragni e altri marchi, ma è più che presumibile che nei prossimi mesi verranno cancellati. I prossimi 12 mesi sono quelli in cui lei dovrà lavorare sulla ricostruzione della propria affidabilità e credibilità reputazionale e credo che sia inopportuno farlo utilizzando i figli. È sempre inopportuno utilizzarli, ma a maggior ragione, in questo momento, c’è bisogno di cautela, la stessa che sto utilizzando io nell’analizzare non solo un’azienda, ma anche una madre con due bambini. Vorrei però concludere con una riflessione più ampia, che vada al di là del caso Ferragni, che mi interessa molto di più perché riguarda il futuro dei nostri bambini.

Ovvero?

Anni fa mettevo in guardia i miei colleghi e l’opinione pubblica dall’inquinamento cognitivo che la pubblicità poteva determinare. La situazione con il decollo dei social media si è aggravata. L’inquinamento cognitivo che noi pubblicitari produciamo è infinitamente più piccolo rispetto a quello generato oggi dai mega influencer. È più semplice per l’essere umano individuare la “finzione” pubblicitaria, anche perché confinata in riconoscibili spazi tabellari. L’esistenza degli influencer, invece, sembra vera anche se non lo è, e propone come veri dei modelli di vita irraggiungibili. L’incremento dei disturbi mentali, specie nelle generazioni più giovani, è imputabile in gran parte agli stili di vita inarrivabili rappresentati sui social network. È questa la vera partita che dobbiamo affrontare tutti. E se fossi nei panni dei “Ferragnez” ne terrei conto.