Chi sono i rivali di Facebook secondo Facebook (e qual è l’app con cui ci studia e li combatte)

In un documento di risposta ai quesiti del Congresso americano Facebook è entrato nel merito del suo presunto monopolio e ha parlato di Onavo
Più di duemila domande e più di duemila risposte, in due documenti da 500 pagine totali.
I quesiti sono del Congresso americano. Le repliche di Facebook, che dopo le audizioni di aprile di Mark Zuckerberg è entrato nel merito delle questioni sollevate a Capitol Hill. Nella colata di spiegazioni più o meno puntuali c’è un particolare inedito e interessante. Quello sulla concorrenza. Sia negli Stati Uniti sia in Europa, dove si è rivolto al Parlamento europeo, Mark Zuckerberg ha glissato sulla richiesta di lumi su una sua presunta posizione di monopolio.
«In media gli americani usano otto diverse app per comunicare con i loro amici e rimanere in contatto con le persone […]. Data la sua ampia offerta, Facebook rivaleggia con numerosi concorrenti per attrarre, coinvolgere e trattenere gli utenti e per attrarre e trattenere gli attori del mercato e gli sviluppatori di applicazioni mobili e Web. Se si vuole condividere una foto o un video si può scegliere fra Facebook, DailyMotion, Snapchat, YouTube, Flickr, Twitter, Vimeo, Google Photo, Pinterest e molti altri servizi. Allo stesso modo, se vuoi scrivere un messaggio, solo per citarne alcuni, puoi fare riferimento a iMessage di Apple, Telegram, Skype, Line, Viber, WeChat, Snapchat e Linkedin, oltre ad affidarti ai tradizionali Sms. Allo stesso modo, le aziende hanno diverse opzioni: dai cartelloni pubblicitari, alla stampa e alle trasmissioni fino alle più recenti piattaforme come Facebook, Spotify, Twitter, Google, YoutTube, Amazon o Snapchat. Facebook rappresenta una piccola parte (solo il 6 per cento) dell’ecosistema da 650 miliardi di dollari e la maggior parte di quanto ottiene arriva dalle piccole e medie imprese, molte delle quali non possono permettersi di acquistare pubblicità su giornali e tv, per raggiungere un pubblico più ampio in modo conveniente».
Quindi: il colosso pigliatutto di Menlo Park, che si è appena buttato anche nel mondo del gaming, mette nello stesso calderone tutte le soluzioni con cui compete nei diversi ambiti in cui fa valere la forza del suo ecosistema. Nella messaggistica, ad esempio, ha spinto il suo Messenger imponendo il download dell’app separata da Facebook nel 2014, nonostante lo strumento venisse utilizzato — quantomeno in prima battuta — per dialogare con gli amici del social network. Al momento ci sono 2,2 miliardi di persone che per comunicare in privato con gli amici in blu devono per forza scaricare Messenger, a meno di andare a cercare appositamente il contatto altrove. E i concorrenti devono vedersela con un mostro a due teste. Ne sa qualcosa Yahoo! Messenger, che il 17 luglio chiuderà i battenti dopo 20 anni di onorato servizio.
Quando parla di pubblicità Facebook si riferisce poi all’intero settore e non entra nel dettaglio di quella digitale, che nel giro di due anni dovrebbe catalizzare il 44,6 per cento degli investimenti delle aziende di tutto il mondo (fonte: Zenith) e di cui al momento Facebook controlla una buona parte insieme a Google. Secondo i dati di eMarketer relativi agli Stati Uniti, solo Amazon sarà in grado di scalfire il duopolio, che nel 2017 si è mangiato il 58,5 per cento della torta e quest’anno dovrebbe scendere al 56,8 per cento.
Nel documento è un’altra l’informazione delicata e importante sul presunto monopolio. Come fa Facebook a (provare a) spazzare via chiunque tenti di farsi avanti con nuove applicazioni o social network? Usa Onavo Protect, come aveva riportato il Wall Street Journal nel 2017 e come ha, di fatto, ammesso Facebook nel documento. Si tratta di una applicazione israeliana acquistata da Zuckerberg nel 2013. La sua funzione primaria è di proteggere la navigazione con una Vpn (virtual private network). Chi la scarica — lo hanno fatto in 33 milioni — e accetta le condizioni di servizio cede a Facebook dati anonimi e aggregati sulle sue abitudini online: nello specifico, quante e quali sono le applicazioni installate e come e con quale frequenza vengono utilizzate. Così Zuckerberg vede chiaramente chi rischia di dargli (molto) fastidio in futuro. E se lo compra, come ha fatto con WhatsApp o To be honest, intercettata quando andava per la maggiore fra i liceali americani, o lo copia senza remora alcuna (citofonare Snapchat). Un escamotage che può potenzialmente portare a una sorta di monopolio permanente. Facebook sa prima — o vede accadere in tempo reale — quello che gli analisti di mercato ci raccontano dopo. Ad esempio: il Pew Research Center ha appena sentenziato la passione degli adolescenti americani per YouTube, in una classifica in cui Instagram è secondo e Facebook si ferma ormai al 51 per cento delle citazioni dei 13-17enni. Benissimo: il colosso era già pronto e mercoledì 20 giugno Instagram metterà sul tavolo il suo anti-YouTube.

Non solo, negli Stati Uniti Onavo sta anche facendo capolino dentro Facebook come opzione legata alla sicurezza. Chi la seleziona dal menù in basso (iOs) o in alto (Android) a destra dell’app del social viene indirizzato alla pagina di download di Onavo, come avviene per Instagram.
Insomma, l’ecosistema usato come grimaldello per incoraggiare a scaricare l’iconcina che ne aiuta gli sviluppi e la prosperità futuri.

Chiunque abbia avuto una minima esperienza nel Retail avrà sicuramente avuto modo di imbattersi con clienti che presentavano dei reclami per problemi avuti con dei prodotti. In ogni situazione del genere, sempre molto delicata, è compito dell’addetto alle vendite o del responsabile del punto vendita gestire la situazione al meglio, con l’unico obiettivo di far contento il cliente ed ovviamente tutelare il profitto dell’azienda. Ma in questo caso qualcosa è andato storto. In questa situazione, oltre ad una cliente che si è scatenata all’interno del negozio inveendo contro la commessa e lamentandosi che l’abito acquistato poco tempo prima avesse perso colore macchiando una pelliccia che stava indossando durante un matrimonio, sempre all’interno del negozio, un altro cliente ha ripreso tutto e pubblicato immediatamente il video sui social. E da quel momento, un semplice e comune episodio di reclamo, sebbene un po’ colorito nella gestione della comunicazione da parte della cliente, è diventato un vero e proprio caso mediatico, il video è diventato in poche ore un cosiddetto “
Mettiamoci però nei panni dell’azienda che si è vista, in un attimo, balzare agli onori della cronaca e costretta a gestire una crisi, anzi una “nuova” crisi. Ma non dimentichiamoci che spesso le crisi si trasformano in opportunità, se ben gestite. E questo è stato il caso Silvian Heach. Siamo tutti d’accordo che l’azienda non abbia fatto una bellissima figura in questa circostanza e sicuramente sarebbe stato possibile evitare tutto ciò. Ma ecco che cosa è successo nel web nei giorni successivi: Il marchio ha avuto un’impennata impressionante e, analizzando la funzione pubblica di Google Trends, sono stati raggiunti valori mai registrati prima. Gestire “social media crisis”, non è semplice, ma è importante essere preparati e soprattutto consapevoli di quello che è l’ambiente in cui ci si muove. Nel caso specifico, la reazione dell’azienda è stata molto particolare e, forse, molto efficace. Silvian Heach infatti ha deciso di riprendere l’episodio con molta ironia e leggerezza ma, soprattutto, con estrema velocità, 

