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L’Onu studia l’obbligo di diritti umani

LA SOCIETÀ CIVILE VUOLE OBBLIGARE LE IMPRESE AL RISPETTO DELL’ETICA
L’Onu discute a Ginevra l’ipotesi d’un trattato vincolante per obbligare le società a rispettare i diritti umani. Gli strumenti giuridici in materia attualmente funzionano su base volontaria. Gli Stati Uniti sono contrari al nuovo testo, mentre la posizione Ue è ambigua

Qualche settimana fa a Ginevra si è incontrato il gruppo di lavoro intergovernativo dell’Onu sulle corporation transnazionali per discutere un trattato che sia vincolante per le società in materia di diritti umani. In altre parole, come anticipato dal sito d’informazione Osservatorio Diritti, le multinazionali potrebbero essere per la prima volta obbligate a rispettare idiritti umani. Fino ad ora, invece, tutti i codici sono solo proposti e vi si può aderire o meno su base volontaria.

LA PROPOSTA DI UN TRATTATO OBBLIGATORIO

Ma da dove nasce questa proposta? Raffaele Morgantini del Cetim (Centre Europe – Tiers Monde), un centro studi e ricerca sui meccanismi dello sviluppo diseguale, ha spiegato a Osservatorio Diritti che «la necessità di un trattato vincolante nasce dalla constatazione che mancano meccanismi giuridici in grado di condannare le imprese che violano i diritti umani».
Su questa stessa posizione ci sono comunità indigenemovimenti contadini e sindacati. Secondo questi gruppi, le possibilità esistenti a livello giuridico non sono efficaci quando si ha a che fare con multinazionali e grandi corporation. E i singoli Paesi, spesso, non sono in grado di contrastare eventuali violazioni, vuoi per mancanza di volontà, vuoi per impotenza di fronte alle società più grandi.
Morgantini spiega che il loro obiettivo è che «le norme sul commercio e gli investimenti siano subordinate a quelle sui diritti umani».

LA RICHIESTA DI UN TRIBUNALE

La richiesta del Cetim, però, va oltre a quella del trattato. «Servono dei meccanismi internazionaliche garantiscano la sua applicazione». Per questo motivo, la società civile chiede che sia installato un centro di monitoraggio delle aziende e un tribunale internazionale.
L’organo giuridico dovrebbe dunque occuparsi di condannare o assolvere le società in base alle accuse presentate dalle comunità coinvolte.
Morgantini chiarisce anche che «la responsabilità non sarà applicata solo alle imprese, ma anche ai dirigenti, alle persone fisiche».

IL RUOLO DELL’ECUADOR

Il calcio iniziale di questa lunga partita era stato dato da Ecuador e Sudafrica nel 2014, quando era stato creato il gruppo di lavoro delle Nazioni Unite. E lo scorso ottobre l’Ecuador ha presentato un testo nato proprio dalle discussioni di questi ultimi tre anni che dovrebbe essere la bozza su cui si lavorerà per arrivare al trattato.
Durante gli ultimi colloqui ufficiale, è intervenuto anche Pablo Fajardo, dell’Unione della popolazione colpita da Chevron-Texaco in Ecuador. La multinazionale, infatti, è accusata di aver devastato la foresta equatoriale nel paese.

LE POSIZIONI DI USA E UE

Gli Usa stanno boicottando le negoziazioni sin dall’inizio e avevano già scelto di non dare credito al gruppo intergovernativo che si era formato. Per gli Stati Uniti, infatti, sono sufficienti le linee guida su business e diritti umani dell’Onu del 2011, anche se sono solo a carattere volontario.
Più morbido l’atteggiamento dell’Ue, che pur prendendo parte agli incontri, però, ha cercato di portare al centro della discussione la procedura invece che il trattato stesso. L’Ue, infatti, continua a chiedere una nuova risoluzione che dia più potere al gruppo. E su questo punto, le parole di Morgantini sono nette: «La risoluzione è molto chiara: il gruppo ha il mandato di continuare il dibattito fino alla formulazione del trattato vincolante».




Come Nasce e si Sviluppa un’Intervista del Papa

Che un Papa rilasci interviste è cosa ormai ovvia e risaputa. Ciò a cui non eravamo abituati sono le modalità con cui avviene, negli ultimi tempi, questa frequentazione con i giornalisti da parte di un Pontefice.
Non solo per la frequenza dei contatti e della disponibilità a concedersi alle domande, ma anche per il tipo di testate e di interlocutori a cui Francesco si concede.
Ci sono senz’altro nomi blasonati che hanno l’opportunità di stare a tu per tu con il Papa; basta pensare ai continui colloqui che lo stesso Pontefice intrattiene a Casa Santa Marta con il fondatore di Repubblica, Eugenio Scalfari, non certo un chierichetto dell’ultima ora.
Ma ci sono anche giornali e bollettini di bassa tiratura, molto locali, come può essere ad esempio il milanese “mensile della strada” Scarp de’ tenis, alle cui domande il Papa ha risposto in occasione della sua visita nella città meneghina.
Senza contare quelle che ormai sono diventate un must nell’ambito dell’informazione religiosa: le interviste concesse in aereo nei voli di ritorno da Viaggi apostolici – e dove non è raro incorrere anche in qualche errata interpretazione delle parole del Papa.
Normalmente, in una strategia comunicativa che possa dirsi efficace, ciò che conta è che il capo conceda interviste soltanto a testate ben piazzate, con grandi tirature, vicine al modo di pensare della dirigenza, che mandano in anticipo le domande e che siano poi disponibili a far rivedere il testo prima della pubblicazione.
Francesco invece anche in questo offre una visione nuova, ed è lui stesso a spiegarla nella Prefazione che ha firmato al libro Adesso fate le vostre domande apparso in questi giorni, edito da Rizzoli e curato dal gesuita Antonio Spadaro.
Il testo raccoglie alcune conversazioni che lo stesso Spadaro ha avuto con il Papa, ma anche dialoghi del Pontefice con gruppi medio piccoli, dove il comune denominatore erano sempre le domande poste da qualcuno e la risposta “improvvisata” del Papa.
Francesco dice una serie di cose interessanti in questa Prefazione, che possiamo riassumere come segue.
Timore – Ad esempio: “ho la faccia tosta, ma sono anche timido”, e racconta che già da Arcivescovo di Buenos Aires aveva “un po’ timore dei giornalisti”, soprattutto “delle cattive interpretazioni di ciò che dico”.
Fiducia – Anche da Papa la sua prima reazione istintiva è stata di incertezza – racconta Francesco – ma poi “sentii che potevo avere fiducia, che dovevo fidarmi”.
Guardare negli occhi – Una cosa a cui non rinuncia è “guardare negli occhi le persone e rispondere alle domande con sincerità”. Questo perché se anche da una parte “non devo perdere la prudenza”, resta fondamentale la fiducia.
Rischio da correre – Francesco non nasconde che questo suo modo di fare “può rendermi vulnerabile, ma è un rischio che voglio correre”.
Necessità – D’altronde, “ho una vera e propria necessità di questa comunicazione diretta con la gente”.
Non una cattedra – Il Papa chiarisce anche che per lui concedere interviste “non è come salire in cattedra”; in fondo i giornalisti “spesso ti fanno le domande della gente”, ed è quel bisogno che lui vuole intercettare.
Linguaggio – Quanto al linguaggio con cui lui risponde, lo ritiene “semplice, popolare”, perché in fondo si tratta di “un dialogo, non una lezione”. E lo fa spontaneamente, “in una conversazione che voglio sia comprensibile, e non con formule rigide”.
Non mi preparo – Poi aggiunge un’affermazione che ai più esperti più sembrare paradossale: “non mi preparo”. E quando riceve in anticipo le domande: “quasi mai le leggo o ci penso sopra”. E ciò perché “per rispondere ho bisogno di incontrare le persone e di guardarle negli occhi”.
Inserirsi nelle conversazioni – La chiosa finale della Prefazione è in fondo il suo programma pastorale: “desidero una Chiesa che sappia inserirsi nelle conversazioni degli uomini, che sappia dialogare”.
Ecco, il Papa sta dicendo che per dialogare bisogna avere fiducia, guardare negli occhi l’interlocutore, non curarsi del rischio di essere fraintesi né salire in cattedra, utilizzando un linguaggio comprensibile, privo di formule rigide. Chissà se forse il segreto sta proprio nel non prepararsi, ma far nascere le risposte dall’incontro con le persone?




“Cit ma bun”, un progetto di riuso che viaggia in Triciclo

Piccolo ma buono e dunque utile, in piemontese lo dicono con il musicale “Cit ma bun”. Una sorta di jingle di un format ecosostenibile dedicato al riuso che sta raccogliendo successo a Torino. Partecipare è facile: basta riempire di oggetti, quelli dimenticati tra sgabuzzino e cantina, la cassetta della frutta, anche questa recuperata dopo il suo ciclo di vita al mercato e distribuita dalla Cooperativa Sociale Triciclo. Uomini e donne che riavviano al riutilizzo frullatori, vecchi giochi, libri, ferri da stiro – tutto quello che sarebbe altrimenti destinato a diventare rifiuto. Una second life garantita dal progetto sostenuto dal Tavolo del Riuso, costituitosi a Torino lo scorso giugno con il contributo della Compagnia San Paolo.
Un gioco di squadra utilissimo che mette al centro l’uomo. Si recuperano oggetti, ma si attivano anche relazioni umane, come ci spiega Pier Andrea Moiso, coordinatore del Tavolo del Riuso e Presidente di Triciclo, con vent’anni di esperienza nel mondo della raccolta dei rifiuti sostenibili: “Il valore aggiunto di questo format rispetto a tanti altri progetti è la su forza aggregativaNon è una raccolta punti di un marchio famoso e non è nemmeno la raccolta differenziata promossa da un ente pubblico o da un’azienda che si occupa di rifiuti. Noi facciamo un lavoro utile e concreto e allo stesso tempo sensibilizziamo i cittadini, che diventano così  ambasciatori del progetto”.
Il funzionamento è semplice: chiunque può diventare “campione del riuso”, aderendo al progetto e impegnandosi a formare un gruppo – tra i propri amici, colleghi di lavoro o parenti – che possa riempire almeno 10 cassette di beni usati: i “box del riuso”, forniti a domicilio dalla Cooperativa Triciclo, che si occuperà anche del ritiro, non appena il referente del gruppo comunichi l’avvenuto riempimento. Un meccanismo che ci basa sul coinvolgimento di piccoli gruppi come sottolinea Pier Andrea : “dagli amici che giocano a calcetto o vanno in bici insieme, ai condomini o alle associazioni sportive, culturali…. dal sindaco ai consiglieri comunali. Tutte le formazioni di aggregazione spontanea possono partecipare”. Le cassette possono essere riempite con soprammobili, giocattoli, casalinghi, telefonini, piccoli elettrodomestici, vasellame, pentole, libri, quadretti, vestiti – praticamente tutto quello che può, per taglia, entrare dentro, eccetto generi alimentari o oggetti pericolosi.
“Una volta ritirati gli oggetti vengono trasferiti nell’Ecocentro di Via Arbe, a Torinodove gli operatori di Triciclo li controllano e selezionano individuando la strada migliore per dar loro una seconda vita: il riuso tramite la vendita nei mercati gestiti dalla cooperativa o il riutilizzo tramite la trasformazione in laboratori specializzati di falegnameria, sartoria, riparazione e creazione di oggetti di design”. Nell’eventualità, al contrario, che alcuni prodotti inseriti nei box non siano recuperabili, l’iter sarà quello di un corretto smaltimento differenziato presso l’ecocentro AMIAT affinché siano avviati ad un adeguato processo industriale di riciclo“.
Il risparmio in termini ecologici è evidente, ma è notevole anche il carattere sociale, visto che Triciclo impiega 36 persone con problematiche sociali. Si crea lavoro buono e utile per l’ambiente svuotando sgabuzzini. A fine ottobre si concluderà la seconda edizione torinese del progetto, ma “Cit ma bun” è pronto per essere replicato, come buona pratica, in altre città italiane.




Aux Villes Du Monde lancia il lifestyle magazine digitale

Aux Villes Du Monde è il brand internazionale che riunisce in un unico network i luxury department store oggi collegati da una city guide digitale
Riuniti sotto il logo Avdm (Aux Villes Du Monde), i luxury department store più iconici del mondo, propongono un lifestyle magazine digitale in otto lingue dedicato alle città del gruppo, una newsletter bisettimanale e un servizio di personal concierge con App dedicata e via WhatsApp.
Ne fanno parte Central Chidlom & Central Embassy di Bangkok, Rinascente di Milano in piazza Duomo e il nuovo flagship di Roma in apertura ad ottobre in via del Tritone, KaDeWe a Berlino, Oberpollinger a Monaco, Alsterhaus ad Amburgo, Goldenes Quartier a Vienna e Illum a Copenhagen.
Aux Villes du Monde viene sviluppato a Milano nell’headquarter di Condè Nast Italia da uno staff internazionale di collaboratori distribuiti in tutto il mondo e residenti nelle città raccontate dal magazine. Il magazine è una city guide digitale, accessibile dai siti web e sui canali social dei department store Avdm. Firme del giornalismo internazionale raccontano la propria città, grazie all’aggiornamento continuo sulle ultime tendenze della moda, del design, della gastronomia, della cultura. Aprono le porte dei luoghi più esclusivi, dai rooftop più cool del momento agli angoli underground che in pochi conoscono. In più, una newsletter bisettimanale, aggiornata con tutte le novità del momento, segnala cosa fare per vivere il “local spirit”; come bere l‘aperitivo nei bar più alla moda di Milano, scoprire la café society hipster di Vienna o frequentare le tavole degli chef emergenti di Copenhagen.
Mentre attraverso l’applicazione dedicata, ogni utente Avdm può prenotare un appuntamento instore con un concierge, a disposizione per consigliare le migliori destinazioni in città in base ai gusti e ai desideri del cliente, che riceve così anche inviti a eventi speciali, complimentary gifts e accesso alle location più esclusive. Inoltre, a supporto degli acquisti a distanza, Avdm si avvale del nuovo servizio On Demand della Rinascente, che provvede a ricercare nello store di Milano i prodotti segnalati dai clienti e a inviarli ovunque desiderino
Yuwadee Chirathivat, ceo central department store group di Central Group, il gruppo thailandese leader del Sud-Est Asiatico nel retail e proprietario dei department store che hanno dato vita al progetto, spiega: “Abbiamo seguito la vision che il nostro fondatore ha indicato per Central Group: riunire le comunità attorno a una causa comune per migliorare la qualità della vita di tutti attraverso l’idea di “centralità”.




La Cina darà un punteggio social ai suoi cittadini dal 2020

Tutto fa parte del punteggio del Social Credit System cinese: comportamenti d’acquisto, posizione di credito, amicizie e relazioni online. Uno scenario alla Black Mirror, con ricompense per le persone ritenute più “affidabili”


In una scala distopica che va dal Grande Fratello a Black Mirror, siamo decisamente a metà strada. Nel 2014 il Consiglio di Stato cinese rilasciava un documento che preannunciava l’istituzione di un “Piano per la costruzione di un Social Credit System”. Al netto dei tempi di realizzazione, la domanda di base era — e resta — una: cosa ne sarebbe di un bel punteggio che valuti che tipi di cittadini sarebbero gli abitanti d’Oriente, in termini di affidabilità?
Presto detto: il governo, quel Social Credit System (SCS), per valutare l’affidabilità dei suoi 1,3 miliardi di cittadini, lo sta costruendo. Per costruire “una cultura della sincerità”, dice. Che poi, si tradurrebbe in controllo. Una nota ufficiale descrive il sistema come qualcosa che creerà “un ambiente di opinione pubblica nel quale il mantenimento della fiducia sia percepito come glorioso”, e “che rafforzerà la sincerità negli affari governativi, quella commerciale, sociale e la costruzione della credibilità giudiziaria”. Insomma: se siete dei bravi cittadini, ve lo diciamo noi.

Questo è lo scenario prospettato da Rachel Botsman, in un estratto del suo “Who Can You Trust? How Technology Brought Us Together and Why It Might Drive Us Apart (Penguin Portfolio)”, pubblicato da Wired Uk.

È il monitoraggio dei consumatori di Amazon con una torsione politica orwelliana 

Così Johan Lagerkvist, specialista di cultura cinese dell’International Institute of the Swedish Institute of International Affairs, ha commentato le rivelazioni dell’autrice.

Per ora, tecnicamente, l’adesione a questo punteggio dei cittadini che sembra un Klout, ma è gestito dal governo, è su base volontaria.

Sarà obbligatorio a partire dal 2020

Allora, il comportamento di ogni cittadino o persona giuridica (enti, società) sarà valutato e classificato.
Collaborazioni. Il governo cinese ha concesso a otto privati di elaborare sistemi di algoritmo e punteggio per il meccanismo di Social Credit. Il primo è China Rapid Finance, partner di Tencent e sviluppatore dell’app di messaggistica WeChat (850 milioni di utenti attivi). Poi c’è Sesame Credit,  gestita da Ant Financial Services (AFSG), società affiliata di Alibaba, che vende prodotti assicurativi e fornisce prestiti a piccole e medie imprese. Braccio operativo di Ant è AliPay: è quello che le persone utilizzano per lo shopping online, ma anche per pagare ristoranti, taxi, tasse scolastiche, biglietti per il cinema e per trasferire soldi.
Ma i dati che Sesame può gestire non si “limitano” a questi: ha anche collaborato con Didi Chuxing, concorrente di Uber, prima di acquistare Baihe, il più grande servizio di incontri online del paese. 
Come funziona. Nel caso del sistema di crediti studiato da Sesame, gli individui sono misurati su una scala compresa tra 350 e 950 punti. Alibaba non si sbilancia sul “complesso algoritmo” che regola la faccenda, ma individua cinque fattori presi in considerazione. Il prima è la storia del credito: il cittadino paga le bollette elettriche o il conto telefonico in tempo? In seconda battuta arriva la capacità di adempimento, cioè “la capacità di un utente di adempiere ai propri obblighi contrattuali”. Il terzo fattore riguarda le caratteristiche personali, ottenuto dalla verifica delle informazioni personali come il numero di cellulare e l’indirizzo. Al quarto posto arriva il “comportamento”: qui entrano in gioco le abitudini d’acquisto. “Ad esempio, qualcuno che gioca videogiochi per dieci ore al giorno, non sarebbe ben giudicato”, afferma Li Yingyun, direttore per la Tecnologia di Sesame. “Chi acquista spesso i pannolini sarebbe considerato un genitore, il che, probabilmente, lo rende una persona responsabile”. Ora, da qui non è difficile immaginare come la politica possa intervenire, via suggerimenti, a promuovere prodotti che desidera e a disincentivare quelli sgraditi.
Ma andiamo oltre: il sistema ficcherà il naso anche nelle relazioni interpersonali. E così, se si credeva che domande come “a chi sei amico?” — seconda solo a “di chi sei figlio?” — fossero un ricordo lontano di piccole realtà di paese, tocca fare un passo indietro. La scelta dei propri amici online, così come il tenore dei commenti, diventano fondamentali: giudizi positivi sul governo e l’economia del paese, neanche a dirlo, innalzano il punteggio. 
Alibaba al momento è convinto del contrario, e cioè che niente di negativo tra i commenti possa portare giù il punteggio, ma sembra essere una mera illusione: posto che l’algoritmo resta segreto, la Cina è già nota per aver chiuso la bocca a molti dissidenti, anche quando esprimevano le proprie opinioni all’interno di chat. E anche qualora non fosse così, le aziende, a regime completo del Social Credit System, sarebbero praticamente indotte a fare attività di spionaggio sui propri utenti per conto del governo. 
Cosa ha indotto, quindi, i milioni di persone che hanno già firmato per l’adesione alla gara del controllo? Escluse le ragioni di terrore — paura di essere già catalogati come non partecipanti — potrebbero essere stati attratti dalle ricompense, dai “privilegi speciali” chi sarà considerato “affidabile”.
Anche perché si tratta di premi sostanziosi: buoni spesa, prestiti agevolati, noleggio auto senza necessità di deposito, check-in veloci in alberghi di lusso. Per questo, a soli tre mesi dal lancio, su Weibo, cioè il Twitter cinese, gli utenti si vantano del loro punteggio. Se il punteggio Sesame cresce, si viene anche meglio profilati su Baihe, e hai visto mai, che trovi moglie.
Non serve spiegare come tutto questo possa viziare le relazioni sociali (chi non si sentirà autorizzato a chiedere agli amici di non rovinare la scalata con un commento negativo alla politica?) e far fiorire, dall’altro lato, un mercato nero della reputazione online, per far innalzare i punteggi (come succede adesso con la vendita di like e follower, ma con ripercussioni ancor peggiori). 
E se adesso sono tutti concentrati sulla positività del punteggio, con l’introduzione obbligatoria al sistema nel 2020, bisognerà anche guardare in faccia le sanzioni. Quelli che adesso sono premi, potrebbero essere merce di scambio al ribasso per chi non è in linea con la parte alta della classifica: non sei affidabile? Ti riduciamo la velocità di connessione, o magari l’accesso al ristorante.
E ne potrebbe essere di tutte quelle persone che non hanno una storia di credito, che non possiedono auto, o case? “La banca centrale ha i dati finanziari da 800 milioni di persone, ma solo 320 milioni hanno una storia di credito tradizionale”, spiega Wen Quan, un influente blogger che scrive sulla tecnologia e la finanza.
E mentre questa macchina del grande controllo viene permeata ufficialmente dalla politica cinese, il tema del controllo tiene banco anche a Occidente. Kevin Kelly, nel suo “The Inevitable”, sottolinea un momento cruciale nelle scelte di tutti: se optare per una sorveglianza a senso unico, o per un meccanismo che conduca alla reciprocità tra controllori e controllati. 

La vita diventerà un concorso di popolarità senza fine, con tutti noi a concorrere per il voto più alto, quello che solo pochi possono raggiungere.

“Se non restiamo vigili, la fiducia distribuita potrebbe diventare vergogna in rete”, dice la Botsman.