Il lusso ha cambiato pelle Ora è empatico, social e verde

Meno esibizionismi e più pragmatismo: le cinque regole per il 2015
Caviale o agenda senza appuntamenti? Negli anni Ottanta la risposta sarebbe stata «Caviale!», oggi no. Il mondo del lusso è cambiato, i vecchi miti sono caduti. Le emozioni contano più delle «cose». Meno esibizionismi, meno status symbol, meno esagerazioni (megabarche, jet, collari di diamanti per cani) diversa scala di valori. Domanda: il lusso sta perdendo la sua tradizionale identità? Saatchi & Saatchi, l’agenzia creativa più premiata d’Italia, parte di un network con 130 uffici nel mondo, ha cercato di rispondere con una metodologia etnografico-qualitativa: l’Xploring. «Non interviste, ma conversazioni, che permettono di andare più a fondo», spiega Giuseppe Caiazza Ceo di Saatchi & Saatchi Italia e Francia. Condotta in nove Paesi (Thailandia, Cina, Giappone, India, Emirati Arabi, Messico, Stati Uniti, Regno Unito, Italia) l’indagine ribalta le classiche cinque categorie del lusso: l’esclusività (per pochi) la tradizione (il legame con il passato) la rarità (basta pensare alle liste d’attesa per una Birkin) il prestigio del marchio che impone le sue regole, la serietà (la ricchezza spesso è troppo «solenne»). Ed ecco le nuove: condivisione, innovazione, personalizzazione, apertura social, ricerca di esperienze giocose e rilassanti, non necessariamente sofisticate.
La svolta
Sembra si sia verificata una piccola rivoluzione, con un modello che nasce dal low cost e dal mass-market. Dall’Attention Economy siamo approdati alla Participation Economy. Le tecnologie hanno creato un legame più stretto tra chi vende e chi acquista, le app offrono rapidità e possibilità di realizzare oggetti e creare situazioni su misura. Se pensate che chiunque, senza essere un milionario capriccioso può avere il «suo» Monopoly con i nomi delle strade che desidera, che brand come Stroili e Pandora ti permettono di comporre il bracciale, la collana, il mix di ciondoli… Certi lussi, insomma, sono diventati «democratici». Che cosa significa? Per la tostissima Jane Cantellow, Global Planning Director di Saatchi & Saatchi, l’innovazione ha preso il sopravvento sulla tradizione: «La tecnologia è un lusso quando ci permette di avere subito quello che vogliamo. E Amazon, intuitivamente, annuncia un servizio di consegna tramite droni. Vendiamo soprattutto esperienze! Esempio: l’auto ibrida è sinonimo di armonia, tranquillità, silenzio, in una parola, di “noia”. Aggiungiamo un po’ di adrenalina: 130 potenziali acquirenti di ibrida sono stati invitati a provarla con un pilota professionista. Prima del giro tutti hanno indossato un cardiofrequenzimetro: li abbiamo sfidati a mantenere le pulsazioni sotto i 120 battiti al minuto. Soltanto due ci sono riusciti. Altro che noia…».
Gli oggetti
Ancora miti da sfatare. L’oggetto raro, che sia una valigia o un orologio, mantiene la distanza: soltanto pochi pezzi alle condizioni del produttore (tempi, costi). Invece, nel lusso del futuro il controllo è del consumatore: è lui a decidere, a rendere la valigia o l’orologio davvero «personale».
Non è solo questione di prezzo, ma di filosofia. Una bici on demand può essere l’espressione di questa idea. La Kennedy City Bicycles di Londra punta alla city bike perfetta. Il concept: «Vogliamo che la gente possa risparmiare, uscire, sperimentare l’avventura e la libertà di pedalare nella sua città». Messa così è tutta un’altra storia.
Lo stile
I beni di lusso non sono più legati alla persona, ma a uno stile di vita, al piacere della condivisione. Un viaggio. Una full immersion nella natura. Una tavola da Masterchef. Ed ecco spiegate le acquisizioni di ristoranti e locali storici da parte dei brand moda. Lvmh ha speso, dicono, 15 milioni per il controllo di Cova a mentre, stando ai conti del primo trimestre 2014, Prada ha pagato l’80% di Angelo Marchesi 7,7 milioni di euro. In questo pacchetto relax c’è anche la famosa agenda senza appuntamenti, il bisogno di creare intimità ed empatia, di entrare in relazione con gli altri.
Non è un caso che il Ceo di Tag Hauer, Stéphane Linder, abbia messo in cima alla sua lista dei desideri il tempo libero e «una vacanza a contatto con la natura per scoprire la bellezza del mondo e imparare a rispettarlo». Poi va bene il cachemire, l’abito di sartoria, la limited edition. Ma tutto meno futile, più sensato, più umano (e un cucchiaino di caviale, in fondo ci può anche stare).


CSR e social media 2

CSR e social media 2

Prosegue la segnalazione di campagne realizzate sul web per valorizzare l’impegno sociale e ambientale delle aziende. Anche questa settimana propongo due iniziative di imprese che operano a livello internazionale.
La prima campagna è stata realizzata da Levi’s per far conoscere un progetto sociale a favore dello skateboarding. Il progetto ha visto il recupero nel parco Edenvale a Cape Town di piste per praticare questo sport. L’area è stata realizzata grazie al riciclo di materiali trovati sul posto e la sostituzione delle vecchie rampe metalliche con banchi e rampe nuovi. Levi’s ha donato le rampe ma, aspetto interessante, ha anche collaborato con i ragazzi del posto per recuperare questo centro di aggregazione per i giovani.
Ha poi utilizzato i social media per diffondere una serie di video con l’obiettivo di far conoscere al pubblico il valore sociale del progetto.
Un altro esempio interessante è la campagna di G Star Raw, in cui il famoso cantante Pharrell Williams, promuove una linea di abbigliamento realizzata in collaborazione con una società che recupera la plastica dagli oceani trasformandola in una nuova generazione di prodotti. In particolare viene valorizzato un tipo di denim realizzato con la plastica riciclata ottenuta dalle bottiglie. Grazie a questa iniziativa sono state recuperate oltre 2 milioni di bottiglie dalle coste oceaniche di tutto il mondo. La presenza del testimonial in questo caso contribuisce a rendere più attrattivo il messaggio. Pharrell Williams inoltre sottolinea che le persone possono adottare un comportamento sostenibile senza dover rinunciare ai capi che amano di più. In questo esempio i social network sono stati utilizzati non solo per far conoscere l’impegno dell’azienda ma anche per promuovere una buona causa ambientale. Un’iniziativa che – come è avvenuto – ben si presta a diventare virale.


Libri usati come biglietti della metro, in Brasile

Grazie a una tessera inserita nella copertina: si chiamano Ticket Books e sono un esperimento per abituare a leggere di più

La casa editrice brasiliana L&PM Editores – una delle più grandi del paese – ha messo in commercio Ticket Books, una collana di libri tascabili che possono essere utilizzati anche come biglietto della metropolitana a San Paolo, la città più grande del Brasile. I libri funzionano come un normale abbonamento dei mezzi grazie a una tessera inserita nella copertina del libro. Per entrare in metropolitana basta far scorrere il libro sul display ai tornelli come si farebbe con un normale biglietto; la tessera si può ricaricare sul sito della metropolitana o di Ticket Books.
Al momento la collana comprende dieci titoli: classici come Il Grande Gatsby di Francis Scott Fitzgerald, Amleto  di Shakespeare, Cento sonetti d’amore di Pablo Neruda e L’arte della Guerra del cinese Sun Tzu, un fumetto della serie Garfielddi Jim Davis, una raccolta di strisce dei Peanuts, i gialli Il mastino dei Baskerville di Arthur Conan Doyle e Assassinio sull’Orient Express di Agatha Christie, e quelli di due autori brasiliani, Chives In Trouble! di Mauricio de Sousa e Quintana Pocket di Mario Quintana. La grafica delle copertine ha uno stile molto minimale e i disegni ricordano delle mappe della metropolitana.

Il progetto Ticket Books è stato lanciato ad aprile dell’anno scorso per incoraggiare la lettura in Brasile, uno dei paesi in cui si legge di meno: solamente due libri a persona ogni anno, secondo dati dell’istituto di ricerca Ibope. Ad aprile sono stati distribuiti gratuitamente 10mila libri nella metro di San Paolo, ognuno con dieci biglietti inclusi. L’esperimento è stato positivo e L&PM Editores ha deciso di allargare l’iniziativa anche alle altre città del Brasile.

Ticket Books from Agência Africa on Vimeo.


Non vi affannate a scrivere un post all’ora sui social. Ecco perché comunque non vi leggerà nessuno

La gente è stufa di post a iosa. I social media sono iperpopolati. Ed è meglio ripensare la propria presenza dice il Guardian. Regola uno: less but better. E altre 7 a seguire
Il social media marketing sta cambiando. L’era del “more is better” è finita ed è il momento di tornare a pensare (e produrre) in termini di qualità, non di quantità. Ad annunciarlo è Jerry Daykin, marketer per Carat Global e Oreo e autore della campagna Twitter #DigitalSense. In un articolo pubblicato sul Guardian – “Social media marketing – let’s rethink community management” – scrive: «C’è bisogno di produrre meno cose, ma di qualità migliore, contenuti che visualizzeranno in milioni. Non serve a nulla incoraggiare i community manager a pubblicare un aggiornamento all’ora», perché lo vedranno in pochissimi. Questo mette in discussione il modo in cui è stato fatto social media marketing finora. Fare inversione di rotta, però, può essere eccessivo. Per cominciare, meglio correggere un po’ la strategia, con questi 7 punti bene in mente.

1. Less really is more

La maggior parte dei brand produce più contenuto di quanto ha davvero bisogno e farebbe invece meglio a concentrare la produzione su uno o due prodotti fantastici al mese. La quantità giusta dipende dal budget disponibile per la promozione e con quale frequenza si vuole essere presenti nei media. Su una piattaforma come Facebook, per esempio, è bene rivolgersi ai consumatori una o due volte alla settimana, con un massimo di otto post al mese, quindi. Non preoccupatevi di mostrare la stessa cosa due volte o se i vostri contenuti consentono di pubblicare uno o due post al mese, purché questi vengano sfruttati al massimo. L’unica ragione per produrre qualcosa in più è per comunicare messaggi rilevanti ad un target mirato di consumatori.

2. Pensate in grande con i video

I video sono sempre stati un media potentissimo. Ora, però, bisogna considerare che nei newsfeed di social media come Facebook e Twitter i filmati partono in automatico e senza audio. Ciò rende facile attirare le persone, ma complica le cose se l’obiettivo è tenerle davanti allo schermo fino alla fine. Da una parte questo si può tradurre in semplici gif o brevi video che animano delle immagini. Se, invece, avete una storia più lunga da raccontare fate in modo che il vostro brand sia visibile all’inizio del video, in modo da attirare l’attenzione in anticipo, come fareste su Youtube.

More is better, but less is more

3. Pensate alla provenienza dei contenuti

I community manager sono in grado di creare contenuti fantastici con il giusto tempo e spazio a disposizione. E ora è arrivato il momento di fare i dovuti investimenti in questo campo. La produzione dei contenuti sta diventando un requisito fondamentale. Pensateci quando scegliete il vostro community manager o vi rivolgete ad un’agenzia per avere dei contenuti originali. La sfida interessa in particolare i video per i social media e per vincerla può essere utile anche consultare chi ha una preparazione specifica nel settore, oppure avviare delle partnership con influencer o media owner o piattaforme professionali di crowdsourcing.

4. Ascoltate i consumatori

«I consumatori non vogliono conversazioni con il detersivo per la lavatrice, con le barrette di cioccolato o con la loro prossima automobile», scrive il Guardian. Se da una parte focalizzarsi meno sull’engagement che deriva dai social media può essere una mossa saggia, è bene continuare a leggere i commenti dei consumatori. Possono rivelarsi utili per strutturare strategie e rispondere a questioni specifiche evitando di dare una cattiva impressione del brand. Ricorrere all’outsourcing per la moderazione dei post può essere utile, ma «fate attenzione a non utilizzarla così tanto da far perdere personalità al vostro brand».

5. Siate fedeli al vostro brand

È molto importante che il contenuto dei vostri social rispecchi l’identità del marchio e comunichi dei messaggi chiave. Non abbiate paura di inserire anche il prodotto stesso, perché il marketing funziona quando un consumatore può facilmente ricondurre un’idea a qualcosa di tangibile – e memorabile. Non è il caso di fare una dimostrazione del prodotto, ma neanche di vergognarsi a mostrarlo.

6. I dati informano, ma voi decidete

Uno dei pericoli del social marketing e la quantità di dati disponibili sull’engagement dei consumatori o sulle loro reazioni e la nostra tendenza a seguirli ciecamente. Se capire gli interessi dei consumatori è un utile input, farne la propria strategia può essere controproducente e portare fuori strada. È giusto essere informati, ma se questo non aiuta non sentitevi obbligati a farlo. Questo tipo di big data possono aiutare, però, a identificare ampie audience per contenuti specifici.

7. Butta tutti i report

Si sprecano così tante energie per produrre report settimanali o mensili. È vero, raccolgono dati utili, ma ricerche mostrano che c’è una correlazione minima tra il digital engagement e le vendite o l’impatto di un brand. Anche in questo caso, seguire i report ciecamente può far perdere di vista i veri obiettivi. Come nei media tradizionali bisogna abituarsi a fare dei sondaggi a metà o alla fine di una campagna per capirne il vero impatto o per misurare davvero le conseguenze sulle vendite. Può sembrare un passo all’indietro, ma serve. Una settimana dopo aver lanciato un video su Youtube si può avere una chiara visione di come si sta comunicando l’identità del brand grazie ai sondaggi online e adattare, eventualmente, il contenuto. In una settimana vale la pena sapere quante persone si stanno raggiungendo e quanto spesso, dando per scontato che il contenuto comunichi ciò che deve comunicare.


Nimby Forum, intervista al dg di MM Spa Stefano Cetti

Informazione ai cittadini, M5 e M4, progettazione e strategie di comunicazione, workshop e partecipazione ed esempi stranieri. Ecco l’intervista al dg di Mm Spa Stefano Cetti realizzata in occasione del Nimby Forum del 17 novembre
1. IN ITALIA MANCA UNO STRUMENTO IN GRADO DI COINVOLGERE LE COMUNITÀ NELLA REALIZZAZIONE DELLE GRANDI OPERE, SUL MODELLO DEL DEBAT PUBLIC FRANCESE. IN QUESTO SCENARIO, SOCIETÀ DI INGEGNERIA COME MM, IMPEGNATE NELLA PROGETTAZIONE DI GRANDI PROGETTI INFRASTRUTTURALI, COME AFFRONTA IL TEMA DELL’INFORMAZIONE AI CITTADINI?
Il dibattito in Italia è ancora aperto ma ritengo che i tempi siano maturi per la sua introduzione. E’ dal Governo Monti – 2012- che nel nostro paese si sta portando avanti questa riforma che a mio, nostro parere suona strategica per evitare proprio l’effetto Nimby.
Come MM abbiamo studiato e approfondito quanto avviene in Francia e riteniamo che Oltralpe abbiano maturato un autentico percorso di condivisione e attenta accoglienza delle osservazioni provenienti dal territorio. Poter operare in forma preventiva – come in Francia – attenua, anzi sopisce contestazioni ed elimina criticità che spesso vengono da mal intendimenti. A Milano per un’opera strategica come M4, la nuova linea metropolitana della città, abbiamo voluto avviare un percorso innovativo fatto di ascolto e, ove possibile, di condivisione con le realtà territoriali. Tutto questo ha permesso di ridurre al minimo contestazioni che spesso sono apparse più strumentali che reali. Mi spiego: prendiamo la questione alberi che ha occupato pagine e pagine dei quotidiani. Il Piano di intervento sulle alberature per gli scavi M4 parte dal censimento messo a punto dal Settore Verde e Agricoltura del Comune di Milano. Gli alberi presenti lungo il tracciato sono stati mappati sulla base di una serie di indicatori (specie, ubicazione, altezza, diametro, valore estetico, stato vegetativo, difetti riscontrati ecc.) e divisi in classi prima di valutarne le interferenze con i cantieri. I lavoro svolto in questi mesi per ottimizzare gli ingombri dei cantieri – anche a seguito di un continuo ascolto del territorio – ha portato a una sensibile riduzione degli abbattimenti a fronte di un amento dei trapianti, mente per gli alberi rimasti sono state adottate tutte le protezioni previste dal regolamento comunale. Non si tratta certo di un taglio indiscriminato.
Nessuno dei contestatori – anche il più apparentemente contrario – ha mai contestato a priori l’opera. Ne contestava l’impatto: proprio su questo abbiamo lavorato con l’avvio di tavoli di confronto, con azioni  comuni promosse da MM, Amministrazione in accordo con alcuni Comitati di Quartiere. Questi ultimi li abbiamo coinvolti e li stiamo coinvolgendo per pensare insieme a come vivere e animare il quartiere, il perimetro interessato dal cantiere e come costruire insieme quell’area quando i lavori saranno finiti. Nessuna legge lo impone, ma il buon senso sì. Tutto occorre meno che opere (più o meno grandi) calate dall’alto. Per questo ben venga se in Italia si arriverà presto all’introduzione del Débat Public, che dovrebbe diventare parte essenziale della normativa dedicata agli appalti.
2.     A MILANO, LA REALIZZAZIONE DELLE NUOVE LINEE METROPOLITANE (M5 E M4) SONO DA CONSIDERARSI CASI NIMBY IN SENSO STRETTO?
Per quella che è l’esperienza italiana, siamo abituati a dover gestire proteste per opere quali termovalorizzatori o centrali per la produzione di energia, quindi per strutture circoscritte in un’area territoriale ben definita, quasi sempre periferiche o industriali. Diverso è il caso delle infrastrutture legate al settore della mobilità, ricordiamo tutti le vicende TAV. La protesta accompagna l’opera per tutta la sua estensione, chilometri, generando reazioni diverse a seconda della collocazione dei cantieri. Tutto si complica quando l’opera in questione viene realizzata in contesti urbani densamente popolati. Quando si costruisce una metropolitana si andranno a toccare aree differenti tra loro a livello sociale, culturale, economico, perfino demografico, innescando esigenze diverse da abitante ad abitante. Una realtà frammentata di questo tipo implica che il lavoro di studio delle caratteristiche del territorio in cui si opera sia allo stesso tempo profondo e permeabile alle diverse situazioni con cui inevitabilmente si verrà in contatto. Le ripercussioni a livello comunicativo sono molteplici. Su tutte, la necessità di usare un linguaggio che possa essere adatto e adattabile alle diverse realtà per tutta la durata dei lavori.
Nel caso della M4 stiamo constatando come non vi sia un rifiuto per l’opera in se, la quasi totalità della popolazione è a favore della sua realizzazione. Da una ricerca sulla mobilità a cura della società Swg – effettuata su richiesta del Comune di Milano lo scorso luglio – emerge che l’84% dei cittadini di Milano ritiene giusto realizzare la M4. Solo l’8% degli intervistati ritiene, infatti, che “sarebbe stato meglio fare a meno di M4, in quanto crea più disagi che benefici”. L’indagine analizza anche le motivazioni dell’8% dei contrari alla Linea. Tra questi, la maggior parte ritiene l’opera non necessaria perché le aree sono già servite da altri mezzi pubblici; viene poi espressa preoccupazione per la riduzione dei posti auto e, infine, emerge un’attenzione per il taglio di alberi. In quest’ultimo caso si tratta di un dato corrispondente al 2%. I casi NIMBY nascono quindi sul particolare: sulla posizione di una stazione, sul verde, sulla conformazione di un determinato cantiere, sui cambi di viabilità.
3.   LA COMUNICAZIONE PUÒ ESSERE CONSIDERATA UN ASSET STRATEGICO NELLA REALIZZAZIONE DI UN’OPERA, AL PARI DELLA PROGETTAZIONE?
Certamente, lo deve essere sempre di più. Non può essere più un aspetto delegato ad essere marginale, secondario o, per meglio dire, inutile. Un approccio di questo tipo non è solo superato dai tempi, ma è assolutamente controproducente. Senza una comunicazione integrata (territorio, online, offline) e con un’autentica regia in mano alle realtà impegnate sul campo (in accordo con le amministrazioni coinvolte) si rischiano cortocircuiti difficilmente gestibili in un secondo tempo anche al netto di manuali di crisi o di chiamate di Salvatori della Crisi. Comunicazione e progettazione devono viaggiare di pari passo. Prima, durante e dopo l’inizio dei lavori. In caso di incomunicabilità tra i due soggetti anche all’esterno si coglierebbero subito gli effetti. Generando così autentiche incomprensioni e qui mi fermo. Deve essere la stessa amministrazione in fase di gara d’appalto ad apprezzare il progetto di comunicazione presentato contestualmente alla realizzazione del progetto. Oppure, in caso contrario, affidare a realtà terza un apposito incarico. Ma non può essere più considerato un “di cui”, è parte fondamentale e dirimente per la realizzazione dell’opera infrastrutturale.
4. SPESSO RISULTA DIFFICILE SPIEGARE ALLA POPOLAZIONE PROGETTI INFRASTRUTTURALI COMPLESSI, CHE TIPO DI RELAZIONE C’È TRA LA FASE DI PROGETTAZIONE E LA COMUNICAZIONE?
Nel settore delle infrastrutture, da sempre strategico per lo sviluppo economico e sociale degli stati nazionali, la difficoltà di intreccio tra le aspettative dei cittadini nei confronti di un’opera che comporta profonde ripercussioni sul loro stile di vita, e la necessità di garantire un’adeguata informazione sui progetti e sull’avanzamento dei lavori, appare spesso di non facile gestione. È per questo che risulta più che mai indispensabile accelerare i tempi perché anche in Italia le grandi opere siano realizzate seguendo un iter che preveda all’origine il coinvolgimento dei territori interessati. Solo attraverso una condivisione allargata delle informazioni sul progetto e la partecipazione di tutti i portatori di interesse, si può infatti raggiungere l’obiettivo di mettere i cittadini realmente al centro del cambiamento che gli si chiede di accettare.
Il ruolo della comunicazione è fondamentale sia per garantire il flusso di informazioni necessario verso l’esterno che, non meno importante, per valorizzare e tutelare la professionalità degli operai e dei tecnici che lavorano quotidianamente nei cantieri. Per questo motivo è indispensabile che il flusso interno di informazioni tra uffici tecnici e ufficio comunicazione sia costante e fortemente sinergico.
In MM da più di un anno stiamo lavorando in questa direzione. Sul progetto M4, per esempio, ma anche sulla gestione delle case popolari di proprietà del Comune di Milano, gli ingegneri possono ormai essere considerati parte integrante dell’ufficio comunicazione. La puntualità e l’attendibilità delle informazioni che condividono sono i presupposti fondamentali di una comunicazione credibile come quella che intendiamo veicolare quotidianamente.
Entrambi i settori sono consapevoli di essere parte di un unico team e di essere ugualmente importanti. Gli ingegneri sono i primi a voler essere certi che la comunicazione data all’esterno sia il più possibile corretta e puntuale. E’ interessante vedere come più cresce l’intesa tra ingegneri e professionisti della comunicazione, più cresce l’apprezzamento dei cittadini, che con più informazioni a loro disposizione si sentono al centro del progetto e non ai margini, come in passato è troppo spesso avvenuto. Certamente, il fatto che MM abbia oggi sviluppato e continui a farlo una forte interazione tra le competenze tecniche dei nostri ingegneri e quelle relazionali dei nostri comunicatori rappresenta per l’azienda un valore aggiunto.
5. NEL CASO DI M4, QUALE STRATEGIA DI COMUNICAZIONE AVETE MESSO IN CAMPO PER ACCOMPAGNARE LA REALIZZAZIONE DEL PROGETTO?
Su M4, fin dalla consegna delle prime aree di cantiere, è stato avviato un percorso di coinvolgimento dei cittadini lungo il tracciato della linea, di concerto con il Comune di Milano e il Consorzio che realizza l’opera, sulla base del progetto Definitivo approvato dal CIPE (Comitato Interministeriale Programmazione Economica) nel 2013. Da gennaio 2015 si sono susseguiti incontri territoriali, presentazioni pubbliche, un dialogo costante con Consigli di Zona, Comitati di quartiere, associazioni, singoli cittadini, ottenendo risultati importanti in termini di riduzione degli ingombri di cantiere, interventi sulle alberature e cambi di viabilità. E proprio dal confronto di questi mesi, lo scorso luglio, la Giunta comunale ha approvato la delibera sulle modifiche al progetto della nuova metropolitana, che verranno ora sottoposte al CIPE. Le principali migliorie sono la formalizzazione dei risultati raggiunti in questi mesi di lavoro, in termini di riduzione degli impatti dei cantieri su viabilità e aree verdi: l’impiego di 2 talpe in parallelo per lo scavo della tratta centrale e lo smaltimento della terra di scavo delle gallerie mediante nastri trasportatori al posto del trasporto su camion.
L’attenzione intorno ai lavori della M4 è alta, perché i cantieri attraversano il cuore della città e i cittadini sono preoccupati per gli effetti che questa grande opera avrà sulle loro vite. È necessario spiegare i motivi e le modalità di costruzione della linea, trasmetterne l’evoluzione e le azioni messe in campo per ridurne gli impatti, oltre che le ricadute socio-territoriali di medio e lungo termine. Ecco perché diventa fondamentale la comunicazione al territorio: non si tratta solo di accompagnare passo dopo passo l’avanzamento dei cantieri, ma di raccontare come si trasforma la città, recependo allo stesso tempo le osservazioni dei cittadini, così che ogni soggetto si senta responsabilizzato e parte attiva del cambiamento.
MM Spa ha quindi attivato una serie di canali per offrire ai cittadini la possibilità di un confronto diretto e quotidiano sui lavori in corso: il sito Metro4milano.it  e la pagina facebook (con circa 15mila like in 6 mesi) pubblicano aggiornamenti in tempo reale sui cantieri, comprese le informazioni sui cambi di viabilità o di sosta; mentre attraverso la linea telefonica dedicata e l’indirizzo di posta elettronica info@metro4milano.it è possibile fare domande e inviare segnalazioni. Ma non ci siamo fermati a quelli che potremmo definire gli strumenti più tradizionali o “canonici” della comunicazione territoriale. Sempre in un’ottica di condivisione delle informazioni e coinvolgimento dei cittadini, abbiamo infatti promosso l’iniziativa “Idee in cantiere”, il workshop partecipato per la definizione di un progetto di comunicazione condiviso sui cantieri della Linea Blu.
6. L’ESPERIENZA DEI WORKSHOP COSA STA PORTANDO IN TERMINI DI COLLABORAZIONE CON I CITTADINI E I COMITATI?
L’obiettivo è rendere i cantieri degli spazi vivibili e fruibili, trasformando un periodo di disagio in un’occasione per ripensare alcuni luoghi della città rendendoli più a misura di cittadino. Ai primi due appuntamenti hanno partecipato oltre 100 persone fra cittadini, associazioni, studenti, ingegneri, studi professionali, consigli di zona, che hanno proposto idee e progetti per “vivere e far vivere” i cantieri della M4, confrontandosi su diversi temi tra cui le funzioni del perimetro di cantiere, l’arredo pubblico, gli eventi e la riqualificazione al termine dei lavori. Da questi primi appuntamenti sono state individuate una serie di iniziative da realizzare con la collaborazione dei cittadini per tutta la durata dei lavori, che potranno contribuire alla diffusione delle informazioni sul progetto e alla sua condivisione allargata. Penso alla realizzazione di infopoint lungo la Linea, a iniziative per la personalizzazione delle cesate a sostegno dell’attività commerciale, organizzate direttamente dai cittadini con il nostro supporto, a eventi per attrarre pubblico lungo il tracciato. Proprio in queste settimane stiamo facendo degli incontri operativi presso la sede di MM Spa, per discutere insieme a tecnici e cittadini dell’effettiva realizzazione di queste idee da qui all’anno in cui la M4 sarà operativa.
7. SEMPRE IN TEMA DI COMUNICAZIONE CI SONO ESPERIENZE STRANIERE CHE POSSONO ESSERE PRESE A RIFERIMENTO? QUALI DIFFERENZE AVETE RISCONTRATO?
Francia e Regno Unito – più propriamente Parigi e Londra – sono in questo un faro, un esempio cui guardare. A Parigi Société du Grand Paris ha investito in un metodo di lavoro basato sulla concertazione, coinvolgendo gli eletti sul territorio e i partner del progetto e istituendo per ciascuna gara un Comitato direttivo (COPIL), con il compito di esaminare le migliori soluzioni tecniche, urbane e ambientali per lo sviluppo di opere all’interno della rete metropolitana a fronte di un’attenta analisi di costi, ritardi e rischi (come ad esempio il posizionamento sotterraneo delle stazioni). Ogni COPIL viene preparato da riunioni del Comitato Tecnico (COTECH). La complessità e gli impegni di progetti di questa portata rendono la concertazione con gli attori locali (eletti, cittadini) non solo utile, ma anche indispensabile per prendere nella giusta considerazione tutti i bisogni del territorio e rispettare il calendario dei lavori. L’aspetto più interessante è proprio il rapporto con la popolazione: ogni troncone del progetto Grand Paris viene presentato alla popolazione interessata con un focus dedicato alla stazione di diretto interesse. E’ questa l’occasione per i partecipanti per porre questioni e comunicare le preoccupazioni legate al progetto, poi riassunte in un report reso disponibile sul sito della Societé du Grand Paris. Altro aspetto interessante è la nomina di un garante richiesto da Societé du Grand Paris alla Commission nationale du débat public (CNDP) per vigilare sull’applicazione delle modalità d’informazione e di partecipazione dei cittadini, sullo sviluppo della concentrazione e sulla bontà e qualità delle informazioni diffuse. Nel corso delle riunioni pubbliche il garante favorisce l’espressione dei cittadini, assicurando la trasparenza e la qualità delle risposte fornite, per poi redigere un rapporto da trasmettere alla Commission Nationale du débat public per essere reso pubblico e allegato al bilancio dei lavori.
Anche a Londra troviamo un modo di lavorare affine a ciò che succede in Francia. A far la differenza con il nostro Paese è sostanzialmente un approccio diverso sia nelle fasi di approvazione del progetto, che nella reazione della comunità dinnanzi a un’opera della portata della Crossrail, la nuova linea suburbana della City attualmente in costruzione: 40 stazioni per 118Km di lunghezza. Per la presentazione del progetto si sono susseguiti una serie di incontri pubblici che hanno visto la partecipazione di circa 250 residenti ed esponenti delle local authorities, che corrispondono alle municipalità in cui è suddivisa Londra. Il progetto deve obbligatoriamente specificare ogni singola azione che sarà messa in atto, dal materiale utilizzato per l’infrastruttura alle attività di comunicazione, ed è soggetto a controlli periodici in cui la società costruttrice deve fornire evidenza del rispetto di quanto stabilito. Un sistema di regole chiare che garantisce tanto gli addetti ai lavori quanto i cittadini, tanto che chi ha attività commerciali a Londra arriva a prevedere nel proprio business plan che vengano costruite certe infrastrutture, e che queste possano in qualche modo avere ripercussioni sul proprio lavoro (ad esempio in termini di ricollocazione della propria sede). Un contesto del genere consente alla comunicazione di poter essere proattiva e dinamica. Anche per questa ragione, nel caso londinese, non si parla mai della cosiddetta “comunicazione di crisi”, e si utilizzano strumenti come l’ufficio stampa e i canali social esclusivamente per un’informazione propositiva. Con ottimi risultati in termini di efficacia e, di conseguenza, di reputazione.


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