Non vi affannate a scrivere un post all’ora sui social. Ecco perché comunque non vi leggerà nessuno

La gente è stufa di post a iosa. I social media sono iperpopolati. Ed è meglio ripensare la propria presenza dice il Guardian. Regola uno: less but better. E altre 7 a seguire
Il social media marketing sta cambiando. L’era del “more is better” è finita ed è il momento di tornare a pensare (e produrre) in termini di qualità, non di quantità. Ad annunciarlo è Jerry Daykin, marketer per Carat Global e Oreo e autore della campagna Twitter #DigitalSense. In un articolo pubblicato sul Guardian – “Social media marketing – let’s rethink community management” – scrive: «C’è bisogno di produrre meno cose, ma di qualità migliore, contenuti che visualizzeranno in milioni. Non serve a nulla incoraggiare i community manager a pubblicare un aggiornamento all’ora», perché lo vedranno in pochissimi. Questo mette in discussione il modo in cui è stato fatto social media marketing finora. Fare inversione di rotta, però, può essere eccessivo. Per cominciare, meglio correggere un po’ la strategia, con questi 7 punti bene in mente.

1. Less really is more

La maggior parte dei brand produce più contenuto di quanto ha davvero bisogno e farebbe invece meglio a concentrare la produzione su uno o due prodotti fantastici al mese. La quantità giusta dipende dal budget disponibile per la promozione e con quale frequenza si vuole essere presenti nei media. Su una piattaforma come Facebook, per esempio, è bene rivolgersi ai consumatori una o due volte alla settimana, con un massimo di otto post al mese, quindi. Non preoccupatevi di mostrare la stessa cosa due volte o se i vostri contenuti consentono di pubblicare uno o due post al mese, purché questi vengano sfruttati al massimo. L’unica ragione per produrre qualcosa in più è per comunicare messaggi rilevanti ad un target mirato di consumatori.

2. Pensate in grande con i video

I video sono sempre stati un media potentissimo. Ora, però, bisogna considerare che nei newsfeed di social media come Facebook e Twitter i filmati partono in automatico e senza audio. Ciò rende facile attirare le persone, ma complica le cose se l’obiettivo è tenerle davanti allo schermo fino alla fine. Da una parte questo si può tradurre in semplici gif o brevi video che animano delle immagini. Se, invece, avete una storia più lunga da raccontare fate in modo che il vostro brand sia visibile all’inizio del video, in modo da attirare l’attenzione in anticipo, come fareste su Youtube.

More is better, but less is more

3. Pensate alla provenienza dei contenuti

I community manager sono in grado di creare contenuti fantastici con il giusto tempo e spazio a disposizione. E ora è arrivato il momento di fare i dovuti investimenti in questo campo. La produzione dei contenuti sta diventando un requisito fondamentale. Pensateci quando scegliete il vostro community manager o vi rivolgete ad un’agenzia per avere dei contenuti originali. La sfida interessa in particolare i video per i social media e per vincerla può essere utile anche consultare chi ha una preparazione specifica nel settore, oppure avviare delle partnership con influencer o media owner o piattaforme professionali di crowdsourcing.

4. Ascoltate i consumatori

«I consumatori non vogliono conversazioni con il detersivo per la lavatrice, con le barrette di cioccolato o con la loro prossima automobile», scrive il Guardian. Se da una parte focalizzarsi meno sull’engagement che deriva dai social media può essere una mossa saggia, è bene continuare a leggere i commenti dei consumatori. Possono rivelarsi utili per strutturare strategie e rispondere a questioni specifiche evitando di dare una cattiva impressione del brand. Ricorrere all’outsourcing per la moderazione dei post può essere utile, ma «fate attenzione a non utilizzarla così tanto da far perdere personalità al vostro brand».

5. Siate fedeli al vostro brand

È molto importante che il contenuto dei vostri social rispecchi l’identità del marchio e comunichi dei messaggi chiave. Non abbiate paura di inserire anche il prodotto stesso, perché il marketing funziona quando un consumatore può facilmente ricondurre un’idea a qualcosa di tangibile – e memorabile. Non è il caso di fare una dimostrazione del prodotto, ma neanche di vergognarsi a mostrarlo.

6. I dati informano, ma voi decidete

Uno dei pericoli del social marketing e la quantità di dati disponibili sull’engagement dei consumatori o sulle loro reazioni e la nostra tendenza a seguirli ciecamente. Se capire gli interessi dei consumatori è un utile input, farne la propria strategia può essere controproducente e portare fuori strada. È giusto essere informati, ma se questo non aiuta non sentitevi obbligati a farlo. Questo tipo di big data possono aiutare, però, a identificare ampie audience per contenuti specifici.

7. Butta tutti i report

Si sprecano così tante energie per produrre report settimanali o mensili. È vero, raccolgono dati utili, ma ricerche mostrano che c’è una correlazione minima tra il digital engagement e le vendite o l’impatto di un brand. Anche in questo caso, seguire i report ciecamente può far perdere di vista i veri obiettivi. Come nei media tradizionali bisogna abituarsi a fare dei sondaggi a metà o alla fine di una campagna per capirne il vero impatto o per misurare davvero le conseguenze sulle vendite. Può sembrare un passo all’indietro, ma serve. Una settimana dopo aver lanciato un video su Youtube si può avere una chiara visione di come si sta comunicando l’identità del brand grazie ai sondaggi online e adattare, eventualmente, il contenuto. In una settimana vale la pena sapere quante persone si stanno raggiungendo e quanto spesso, dando per scontato che il contenuto comunichi ciò che deve comunicare.


Nimby Forum, intervista al dg di MM Spa Stefano Cetti

Informazione ai cittadini, M5 e M4, progettazione e strategie di comunicazione, workshop e partecipazione ed esempi stranieri. Ecco l’intervista al dg di Mm Spa Stefano Cetti realizzata in occasione del Nimby Forum del 17 novembre
1. IN ITALIA MANCA UNO STRUMENTO IN GRADO DI COINVOLGERE LE COMUNITÀ NELLA REALIZZAZIONE DELLE GRANDI OPERE, SUL MODELLO DEL DEBAT PUBLIC FRANCESE. IN QUESTO SCENARIO, SOCIETÀ DI INGEGNERIA COME MM, IMPEGNATE NELLA PROGETTAZIONE DI GRANDI PROGETTI INFRASTRUTTURALI, COME AFFRONTA IL TEMA DELL’INFORMAZIONE AI CITTADINI?
Il dibattito in Italia è ancora aperto ma ritengo che i tempi siano maturi per la sua introduzione. E’ dal Governo Monti – 2012- che nel nostro paese si sta portando avanti questa riforma che a mio, nostro parere suona strategica per evitare proprio l’effetto Nimby.
Come MM abbiamo studiato e approfondito quanto avviene in Francia e riteniamo che Oltralpe abbiano maturato un autentico percorso di condivisione e attenta accoglienza delle osservazioni provenienti dal territorio. Poter operare in forma preventiva – come in Francia – attenua, anzi sopisce contestazioni ed elimina criticità che spesso vengono da mal intendimenti. A Milano per un’opera strategica come M4, la nuova linea metropolitana della città, abbiamo voluto avviare un percorso innovativo fatto di ascolto e, ove possibile, di condivisione con le realtà territoriali. Tutto questo ha permesso di ridurre al minimo contestazioni che spesso sono apparse più strumentali che reali. Mi spiego: prendiamo la questione alberi che ha occupato pagine e pagine dei quotidiani. Il Piano di intervento sulle alberature per gli scavi M4 parte dal censimento messo a punto dal Settore Verde e Agricoltura del Comune di Milano. Gli alberi presenti lungo il tracciato sono stati mappati sulla base di una serie di indicatori (specie, ubicazione, altezza, diametro, valore estetico, stato vegetativo, difetti riscontrati ecc.) e divisi in classi prima di valutarne le interferenze con i cantieri. I lavoro svolto in questi mesi per ottimizzare gli ingombri dei cantieri – anche a seguito di un continuo ascolto del territorio – ha portato a una sensibile riduzione degli abbattimenti a fronte di un amento dei trapianti, mente per gli alberi rimasti sono state adottate tutte le protezioni previste dal regolamento comunale. Non si tratta certo di un taglio indiscriminato.
Nessuno dei contestatori – anche il più apparentemente contrario – ha mai contestato a priori l’opera. Ne contestava l’impatto: proprio su questo abbiamo lavorato con l’avvio di tavoli di confronto, con azioni  comuni promosse da MM, Amministrazione in accordo con alcuni Comitati di Quartiere. Questi ultimi li abbiamo coinvolti e li stiamo coinvolgendo per pensare insieme a come vivere e animare il quartiere, il perimetro interessato dal cantiere e come costruire insieme quell’area quando i lavori saranno finiti. Nessuna legge lo impone, ma il buon senso sì. Tutto occorre meno che opere (più o meno grandi) calate dall’alto. Per questo ben venga se in Italia si arriverà presto all’introduzione del Débat Public, che dovrebbe diventare parte essenziale della normativa dedicata agli appalti.
2.     A MILANO, LA REALIZZAZIONE DELLE NUOVE LINEE METROPOLITANE (M5 E M4) SONO DA CONSIDERARSI CASI NIMBY IN SENSO STRETTO?
Per quella che è l’esperienza italiana, siamo abituati a dover gestire proteste per opere quali termovalorizzatori o centrali per la produzione di energia, quindi per strutture circoscritte in un’area territoriale ben definita, quasi sempre periferiche o industriali. Diverso è il caso delle infrastrutture legate al settore della mobilità, ricordiamo tutti le vicende TAV. La protesta accompagna l’opera per tutta la sua estensione, chilometri, generando reazioni diverse a seconda della collocazione dei cantieri. Tutto si complica quando l’opera in questione viene realizzata in contesti urbani densamente popolati. Quando si costruisce una metropolitana si andranno a toccare aree differenti tra loro a livello sociale, culturale, economico, perfino demografico, innescando esigenze diverse da abitante ad abitante. Una realtà frammentata di questo tipo implica che il lavoro di studio delle caratteristiche del territorio in cui si opera sia allo stesso tempo profondo e permeabile alle diverse situazioni con cui inevitabilmente si verrà in contatto. Le ripercussioni a livello comunicativo sono molteplici. Su tutte, la necessità di usare un linguaggio che possa essere adatto e adattabile alle diverse realtà per tutta la durata dei lavori.
Nel caso della M4 stiamo constatando come non vi sia un rifiuto per l’opera in se, la quasi totalità della popolazione è a favore della sua realizzazione. Da una ricerca sulla mobilità a cura della società Swg – effettuata su richiesta del Comune di Milano lo scorso luglio – emerge che l’84% dei cittadini di Milano ritiene giusto realizzare la M4. Solo l’8% degli intervistati ritiene, infatti, che “sarebbe stato meglio fare a meno di M4, in quanto crea più disagi che benefici”. L’indagine analizza anche le motivazioni dell’8% dei contrari alla Linea. Tra questi, la maggior parte ritiene l’opera non necessaria perché le aree sono già servite da altri mezzi pubblici; viene poi espressa preoccupazione per la riduzione dei posti auto e, infine, emerge un’attenzione per il taglio di alberi. In quest’ultimo caso si tratta di un dato corrispondente al 2%. I casi NIMBY nascono quindi sul particolare: sulla posizione di una stazione, sul verde, sulla conformazione di un determinato cantiere, sui cambi di viabilità.
3.   LA COMUNICAZIONE PUÒ ESSERE CONSIDERATA UN ASSET STRATEGICO NELLA REALIZZAZIONE DI UN’OPERA, AL PARI DELLA PROGETTAZIONE?
Certamente, lo deve essere sempre di più. Non può essere più un aspetto delegato ad essere marginale, secondario o, per meglio dire, inutile. Un approccio di questo tipo non è solo superato dai tempi, ma è assolutamente controproducente. Senza una comunicazione integrata (territorio, online, offline) e con un’autentica regia in mano alle realtà impegnate sul campo (in accordo con le amministrazioni coinvolte) si rischiano cortocircuiti difficilmente gestibili in un secondo tempo anche al netto di manuali di crisi o di chiamate di Salvatori della Crisi. Comunicazione e progettazione devono viaggiare di pari passo. Prima, durante e dopo l’inizio dei lavori. In caso di incomunicabilità tra i due soggetti anche all’esterno si coglierebbero subito gli effetti. Generando così autentiche incomprensioni e qui mi fermo. Deve essere la stessa amministrazione in fase di gara d’appalto ad apprezzare il progetto di comunicazione presentato contestualmente alla realizzazione del progetto. Oppure, in caso contrario, affidare a realtà terza un apposito incarico. Ma non può essere più considerato un “di cui”, è parte fondamentale e dirimente per la realizzazione dell’opera infrastrutturale.
4. SPESSO RISULTA DIFFICILE SPIEGARE ALLA POPOLAZIONE PROGETTI INFRASTRUTTURALI COMPLESSI, CHE TIPO DI RELAZIONE C’È TRA LA FASE DI PROGETTAZIONE E LA COMUNICAZIONE?
Nel settore delle infrastrutture, da sempre strategico per lo sviluppo economico e sociale degli stati nazionali, la difficoltà di intreccio tra le aspettative dei cittadini nei confronti di un’opera che comporta profonde ripercussioni sul loro stile di vita, e la necessità di garantire un’adeguata informazione sui progetti e sull’avanzamento dei lavori, appare spesso di non facile gestione. È per questo che risulta più che mai indispensabile accelerare i tempi perché anche in Italia le grandi opere siano realizzate seguendo un iter che preveda all’origine il coinvolgimento dei territori interessati. Solo attraverso una condivisione allargata delle informazioni sul progetto e la partecipazione di tutti i portatori di interesse, si può infatti raggiungere l’obiettivo di mettere i cittadini realmente al centro del cambiamento che gli si chiede di accettare.
Il ruolo della comunicazione è fondamentale sia per garantire il flusso di informazioni necessario verso l’esterno che, non meno importante, per valorizzare e tutelare la professionalità degli operai e dei tecnici che lavorano quotidianamente nei cantieri. Per questo motivo è indispensabile che il flusso interno di informazioni tra uffici tecnici e ufficio comunicazione sia costante e fortemente sinergico.
In MM da più di un anno stiamo lavorando in questa direzione. Sul progetto M4, per esempio, ma anche sulla gestione delle case popolari di proprietà del Comune di Milano, gli ingegneri possono ormai essere considerati parte integrante dell’ufficio comunicazione. La puntualità e l’attendibilità delle informazioni che condividono sono i presupposti fondamentali di una comunicazione credibile come quella che intendiamo veicolare quotidianamente.
Entrambi i settori sono consapevoli di essere parte di un unico team e di essere ugualmente importanti. Gli ingegneri sono i primi a voler essere certi che la comunicazione data all’esterno sia il più possibile corretta e puntuale. E’ interessante vedere come più cresce l’intesa tra ingegneri e professionisti della comunicazione, più cresce l’apprezzamento dei cittadini, che con più informazioni a loro disposizione si sentono al centro del progetto e non ai margini, come in passato è troppo spesso avvenuto. Certamente, il fatto che MM abbia oggi sviluppato e continui a farlo una forte interazione tra le competenze tecniche dei nostri ingegneri e quelle relazionali dei nostri comunicatori rappresenta per l’azienda un valore aggiunto.
5. NEL CASO DI M4, QUALE STRATEGIA DI COMUNICAZIONE AVETE MESSO IN CAMPO PER ACCOMPAGNARE LA REALIZZAZIONE DEL PROGETTO?
Su M4, fin dalla consegna delle prime aree di cantiere, è stato avviato un percorso di coinvolgimento dei cittadini lungo il tracciato della linea, di concerto con il Comune di Milano e il Consorzio che realizza l’opera, sulla base del progetto Definitivo approvato dal CIPE (Comitato Interministeriale Programmazione Economica) nel 2013. Da gennaio 2015 si sono susseguiti incontri territoriali, presentazioni pubbliche, un dialogo costante con Consigli di Zona, Comitati di quartiere, associazioni, singoli cittadini, ottenendo risultati importanti in termini di riduzione degli ingombri di cantiere, interventi sulle alberature e cambi di viabilità. E proprio dal confronto di questi mesi, lo scorso luglio, la Giunta comunale ha approvato la delibera sulle modifiche al progetto della nuova metropolitana, che verranno ora sottoposte al CIPE. Le principali migliorie sono la formalizzazione dei risultati raggiunti in questi mesi di lavoro, in termini di riduzione degli impatti dei cantieri su viabilità e aree verdi: l’impiego di 2 talpe in parallelo per lo scavo della tratta centrale e lo smaltimento della terra di scavo delle gallerie mediante nastri trasportatori al posto del trasporto su camion.
L’attenzione intorno ai lavori della M4 è alta, perché i cantieri attraversano il cuore della città e i cittadini sono preoccupati per gli effetti che questa grande opera avrà sulle loro vite. È necessario spiegare i motivi e le modalità di costruzione della linea, trasmetterne l’evoluzione e le azioni messe in campo per ridurne gli impatti, oltre che le ricadute socio-territoriali di medio e lungo termine. Ecco perché diventa fondamentale la comunicazione al territorio: non si tratta solo di accompagnare passo dopo passo l’avanzamento dei cantieri, ma di raccontare come si trasforma la città, recependo allo stesso tempo le osservazioni dei cittadini, così che ogni soggetto si senta responsabilizzato e parte attiva del cambiamento.
MM Spa ha quindi attivato una serie di canali per offrire ai cittadini la possibilità di un confronto diretto e quotidiano sui lavori in corso: il sito Metro4milano.it  e la pagina facebook (con circa 15mila like in 6 mesi) pubblicano aggiornamenti in tempo reale sui cantieri, comprese le informazioni sui cambi di viabilità o di sosta; mentre attraverso la linea telefonica dedicata e l’indirizzo di posta elettronica info@metro4milano.it è possibile fare domande e inviare segnalazioni. Ma non ci siamo fermati a quelli che potremmo definire gli strumenti più tradizionali o “canonici” della comunicazione territoriale. Sempre in un’ottica di condivisione delle informazioni e coinvolgimento dei cittadini, abbiamo infatti promosso l’iniziativa “Idee in cantiere”, il workshop partecipato per la definizione di un progetto di comunicazione condiviso sui cantieri della Linea Blu.
6. L’ESPERIENZA DEI WORKSHOP COSA STA PORTANDO IN TERMINI DI COLLABORAZIONE CON I CITTADINI E I COMITATI?
L’obiettivo è rendere i cantieri degli spazi vivibili e fruibili, trasformando un periodo di disagio in un’occasione per ripensare alcuni luoghi della città rendendoli più a misura di cittadino. Ai primi due appuntamenti hanno partecipato oltre 100 persone fra cittadini, associazioni, studenti, ingegneri, studi professionali, consigli di zona, che hanno proposto idee e progetti per “vivere e far vivere” i cantieri della M4, confrontandosi su diversi temi tra cui le funzioni del perimetro di cantiere, l’arredo pubblico, gli eventi e la riqualificazione al termine dei lavori. Da questi primi appuntamenti sono state individuate una serie di iniziative da realizzare con la collaborazione dei cittadini per tutta la durata dei lavori, che potranno contribuire alla diffusione delle informazioni sul progetto e alla sua condivisione allargata. Penso alla realizzazione di infopoint lungo la Linea, a iniziative per la personalizzazione delle cesate a sostegno dell’attività commerciale, organizzate direttamente dai cittadini con il nostro supporto, a eventi per attrarre pubblico lungo il tracciato. Proprio in queste settimane stiamo facendo degli incontri operativi presso la sede di MM Spa, per discutere insieme a tecnici e cittadini dell’effettiva realizzazione di queste idee da qui all’anno in cui la M4 sarà operativa.
7. SEMPRE IN TEMA DI COMUNICAZIONE CI SONO ESPERIENZE STRANIERE CHE POSSONO ESSERE PRESE A RIFERIMENTO? QUALI DIFFERENZE AVETE RISCONTRATO?
Francia e Regno Unito – più propriamente Parigi e Londra – sono in questo un faro, un esempio cui guardare. A Parigi Société du Grand Paris ha investito in un metodo di lavoro basato sulla concertazione, coinvolgendo gli eletti sul territorio e i partner del progetto e istituendo per ciascuna gara un Comitato direttivo (COPIL), con il compito di esaminare le migliori soluzioni tecniche, urbane e ambientali per lo sviluppo di opere all’interno della rete metropolitana a fronte di un’attenta analisi di costi, ritardi e rischi (come ad esempio il posizionamento sotterraneo delle stazioni). Ogni COPIL viene preparato da riunioni del Comitato Tecnico (COTECH). La complessità e gli impegni di progetti di questa portata rendono la concertazione con gli attori locali (eletti, cittadini) non solo utile, ma anche indispensabile per prendere nella giusta considerazione tutti i bisogni del territorio e rispettare il calendario dei lavori. L’aspetto più interessante è proprio il rapporto con la popolazione: ogni troncone del progetto Grand Paris viene presentato alla popolazione interessata con un focus dedicato alla stazione di diretto interesse. E’ questa l’occasione per i partecipanti per porre questioni e comunicare le preoccupazioni legate al progetto, poi riassunte in un report reso disponibile sul sito della Societé du Grand Paris. Altro aspetto interessante è la nomina di un garante richiesto da Societé du Grand Paris alla Commission nationale du débat public (CNDP) per vigilare sull’applicazione delle modalità d’informazione e di partecipazione dei cittadini, sullo sviluppo della concentrazione e sulla bontà e qualità delle informazioni diffuse. Nel corso delle riunioni pubbliche il garante favorisce l’espressione dei cittadini, assicurando la trasparenza e la qualità delle risposte fornite, per poi redigere un rapporto da trasmettere alla Commission Nationale du débat public per essere reso pubblico e allegato al bilancio dei lavori.
Anche a Londra troviamo un modo di lavorare affine a ciò che succede in Francia. A far la differenza con il nostro Paese è sostanzialmente un approccio diverso sia nelle fasi di approvazione del progetto, che nella reazione della comunità dinnanzi a un’opera della portata della Crossrail, la nuova linea suburbana della City attualmente in costruzione: 40 stazioni per 118Km di lunghezza. Per la presentazione del progetto si sono susseguiti una serie di incontri pubblici che hanno visto la partecipazione di circa 250 residenti ed esponenti delle local authorities, che corrispondono alle municipalità in cui è suddivisa Londra. Il progetto deve obbligatoriamente specificare ogni singola azione che sarà messa in atto, dal materiale utilizzato per l’infrastruttura alle attività di comunicazione, ed è soggetto a controlli periodici in cui la società costruttrice deve fornire evidenza del rispetto di quanto stabilito. Un sistema di regole chiare che garantisce tanto gli addetti ai lavori quanto i cittadini, tanto che chi ha attività commerciali a Londra arriva a prevedere nel proprio business plan che vengano costruite certe infrastrutture, e che queste possano in qualche modo avere ripercussioni sul proprio lavoro (ad esempio in termini di ricollocazione della propria sede). Un contesto del genere consente alla comunicazione di poter essere proattiva e dinamica. Anche per questa ragione, nel caso londinese, non si parla mai della cosiddetta “comunicazione di crisi”, e si utilizzano strumenti come l’ufficio stampa e i canali social esclusivamente per un’informazione propositiva. Con ottimi risultati in termini di efficacia e, di conseguenza, di reputazione.


Melegatti può essere salvata mentre distrugge il suo brand?

In questi giorni Melegatti è finita sotto i riflettori a causa di una serie di iniziative di marketing abbastanza “chiacchierate”, non sempre in modo positivo.
Chi mi segue da un po’ sa che ho sempre amato Melegatti e l’ho portata come caso studio nei miei corsi per quanto riguarda il corretto posizionamento di marca. Per quei pochi che non lo sapessero nel 1894 Domenico Melegatti riceve il brevetto per la produzione del Pandoro.
La Melegatti diviene quindi in Italia “l’azienda che ha inventato il Pandoro” (parliamo ovviamente di quello a qualità industriale, il dolce esisteva già come tradizione della cucina veronese).
Di tutti i prodotti della Melegatti il Pandoro rimane e rimarrà negli anni quindi il prodotto di punta. Molto di più di tutte le altre varianti e soprattutto del Panettone, lo storico “rivale” nei dolci da ricorrenza natalizia che Melegatti vende ovviamente in quantità minori rispetto al suo dolce di punta.
Il posizionamento di marketing di Melegatti quando si parla di Pandoro è quindi l’essere “l’originale”, nonché ovviamente la tradizione. In termini semplici il Pandoro Melegatti é la Coca Cola dei dolci da ricorrenza natalizi.
Veniamo al primo passo falso commesso da Melegatti in questi giorni, che è il coro di risate e polemiche derivato dalla produzione di una “special edition” del Pandoro con il volto di Valerio Scanu. Posto che si tratta di una edizione limitata ecc…ecc… la scelta di Melegatti è sbagliata per due motivi abbastanza semplici che descrivo subito:
Il “Visual Hammer” del Pandoro Melegatti è senza ombra di dubbio la sua confezione, esattamente come la bottiglietta lo è per la Coca Cola. In particolare:

  • – Colore blu “Melegatti”.
  • – Forma a campana tipica di Melegatti “ottagonale e squadrata”.
  • – Bordo dorato che dice “l’originale” a colpo d’occhio rispetto a qualunque altra confezione “blu” di altre marche.

Il Logo é paradossalmente la parte meno importante del visual hammer Melegatti. Potrei benissimo far vedere da lontano una confezione di Pandoro Melegatti SENZA logo e chiunque mi direbbe “Melegatti”.
Queste tre caratteristiche distintive del Pandoro sono elementi che Melegatti non dovrebbe sottovalutare mai, nemmeno nella creazione di altri prodotti dolci, ma ci torniamo tra un secondo.

Il caso dell’edizione speciale di Valerio Scanu

scanu
Ora il Pandoro versione “Scanu” di colpo perde sia la forma a campana tipica della casa per una campana più arrotondata, perde il blu caratteristico e perde il bordo dorato. Anche il logo diviene piccolissimo e quasi invisibile.
Nel contempo emerge enorme la foto di Valerio Scanu in una posa improbabile, con un braccio ricoperto di stelline dorate.
Ora i problemi dal punto di vista del branding e non del chiacchiericcio da internet sono essenzialmente due:
1 Quando lanci un nuovo prodotto, se fa parte di una famiglia di prodotti questo deve presentare elementi di differenziazione ma riconducendo sempre agli stilemi del prodotto principale.
2 Una edizione speciale o in generale un’associazione con un personaggio pubblico deve essere coerente con il posizionamento dell’azienda.
Nel caso specifico pare evidente come Melegatti abbia commesso molti errori di valutazione. La confezione del prodotto abbandona praticamente tutti gli stilemi del Pandoro Melegatti. La forma, la scelta del nero, la mancanza del bordo dorato (almeno quello tenetelo!) discostano il nuovo prodotto troppo dalla forma orginale.
Immagino che nella testa del creativo di turno si volesse fare “qualcosa di completamente diverso”. Capisco e ci arrivo, non ci vuole un genio. Ma questa mania della “creatività” senza una base di branding porta poi agli obbrobri che vediamo nella foto qui sopra.
Passando all’associazione di immagini, Scanu non va bene con Melegatti. Non mi interessa quale genio del marketing all’interno dell’azienda o quale agenzia esterna sia fan di Scanu e abbia proposto questo accostamento. E’ una idiozia. Fine.
Non ho nulla contro Scanu. Non seguo la musica italiana, non ho mai sentito un suo pezzo e non ho nessun pregiudizio al riguardo. Semplicemente “Scanu” è un ragazzo giovane, dal successo non mi sembra nemmeno così “universale” e accostarlo ad un brand che parla di “tradizione” dicendo “L’originale” è una scemenza. Ma non lo è solo per la Melegatti. Lo è anche per Scanu stesso ovviamente.
Scanu è “famoso” come oggetto di gossip per la sua sessualità ambigua. Abbastanza disgustose certe uscite da parte di gente come Chiambretti che nella sua trasmissione lo appella con “Scanu, sei gay?”. Posto che i gusti sessuali di Scanu saranno anche fatti di Scanu e non dovrebbero interessare, scandalizzare o diventare oggetto di gossip o chiacchiericcio, sta di fatto che lo sono. E accostare la Tradizione del Pandoro a un personaggio pubblico dalla sessualità quantomeno chiacchierata non è ovviamente la mossa del secolo.
Evidentemente chi cura il marketing alla Melegatti non lo sa cosa rappresenta il Pandoro e nella sua testa stava facendo qualcosa di “GGiovane” che avrebbe fatto parlare. Bhe, di sicuro c’è riuscito.
Le reazioni di ilarità della rete derivano dal fatto che la gente associa inconsapevolmente ma in maniera automatica come ridicolo l’accostamento tra un ragazzo così giovane e chiacchierato sessualmente e un prodotto della tradizione dolciaria. Non stanno bene insieme senza nessun giudizio di merito. Ma il brand ha a che fare con gli stereotipi. Il brand ha a che fare con i pregiudizi. Il brand si occupa di spazi nella mente.
E Scanu e Melegatti non occupano lo stesso spazio. Non vanno associati MAI, per nessun motivo, né per edizioni limitate né per altro. Punto.

Melegatti e la pubblicità creativa omofoba

L’ilarità e il chiacchiericcio provocata dall’immagine del pandoro con Valerio Scanu ha creato scombussolamento all’interno dell’azienda che ha pensato in maniera più o meno intelligente di reagire “cavalcando l’onda”.
Facciamo un piccolo passo indietro però. Melegatti ha cominciato in particolare sui social un tipo di comunicazione assolutamente errato rispetto al proprio brand, legato come detto alla tradizione. Vediamo un esempio:
Melegatti palle
Ora, questo tipo di comunicazione non è concepibile se associata a un brand come Melegatti. Chi si è lanciato in questi slogan sui loro social evidentemente pensa che fare qualcosa a casaccio di “GGiovane” abbia un senso.
Magari sono anche convinti di aver fatto una “gallata” che “rompe con il passato portando aria di novità in azienda”.
Ma sono in errore.
Se c’è una cosa che non bisognerebbe MAI fare quando si parla di marketing è proporre campagne che danneggino il brand o che comunichino messaggi non in linea con il posizionamento aziendale.
Melegatti non è “Giovane”, “Simpatico”, “Moderno”, “Street”, “Volgarotto” ecc…
Melegatti è IL Pandoro tradizionale. Fine.
Questo modo di comunicare “contromano” intrapreso dall’azienda è una china molto pericolosa e infatti pochi giorni dopo si è realizzato ciò che era normale si realizzasse in caso di “crisi”, cioè fare una gaffe enorme ancora più grave del problema stesso.
Ma torniamo a noi. Dicevamo che il caso Scanu ha scatenato un po’ di putiferio social e nei più importanti media online.
Prima di proseguire però permettimi di chiarire una cosa. Sento opinioni che arrivano da più parti, dal semplice Mario il muratore al laureato alla Bocconi che se ne escono con frasi del tipo:

“L’importante è che se ne parli, ne stanno parlando tutti, quindi hanno raggiunto il loro scopo!”.

Ora, considerando che questo è il blog dove scrive anche Al Ries, che è un signore di quelli veri, devo sforzarmi di non essere offensivo e giuro che mi ci metterò con il massimo impegno.
Il problema è che se dopo 5 anni che studi marketing alla Bocconi l’unica cosa che sai dire é una scemenza come : “L’importante è che se ne parli”, qualche dubbio che tu non fossi proprio attento durante le lezioni mi viene. Magari ai tuoi genitori se ti sentissero verrebbe voglia di chiederti la retta indietro, anni fuoricorso nei quali hai cazzeggiato compresi.
Ciò detto, non è affatto vero che l’importante è che se ne parli. In particolare non è vero per Melegatti.
Melegatti è un brand fortissimo che esiste dal 1894. Non ha bisogno di “awareness”. Le PR servono a chi sta lanciando un brand, e anche in quel caso servono PR possibilmente positive. Magari polarizzate se il brand è polarizzato, che suscitano scalpore, ma che contengono un legame con il brand in maniera chiara.
Melegatti è un brand storico. Non è polarizzato, ma ecumenico. Parla del Natale, momenti gioiosi e nei quali siamo tutti più buoni. E’ legato alla tradizione, al ricordo della tavola imbandita quando la nonna scartava il pandoro e il nonno stappava lo spumante. Ha bisogno di campagne pubblicitarie che vadano in quella direzione. E di PR che difendano quella posizione, non che facciano “chiacchiericcio” a sfondo di polemica sessista.
Regola base per chi é nuovo: I brand si costruiscono con le PR e una volta maturi si difendono con l’advertising.
Melegatti è il brand storico per eccellenza. Ha bisogno di rinforzare il suo posizionamento nella mente dei clienti, non di “che se ne parli”.

  • Non c’è nessuno là fuori che ha bisogno di “sapere che esiste Melegatti”.
  • Ma ci sono milioni di persone che devono ricordarsi PERCHE’ devono comprarlo.

Negli ultimi mesi nel mondo si sta parlando moltissimo di Subway, probabilmente come mai prima se n’è parlato dalla sua fondazione. Sai perché? Perché Jared Fogel il suo volto/testimonial storico è appena stato condannato a 12 anni di carcere per pedofilia e altri simpatici reati. Chiedi al marketing di Subway se sono felici e che “L’importante è che se ne parli.”
jared
 
Dicevamo quindi della reazione scomposta avuta da Melegatti che si è concretizzata in una immagine omofoba comparsa sul proprio profilo Facebook:
Omofobo
Ora, ovviamente questa immagine è una scemenza. Lo è in senso assoluto e lo è ancora in modo maggiore se pensiamo che a pubblicarla sia stata Melegatti.
Torniamo alla fesserie de : “L’importante è che se ne parli”. Certamente questa immagine ha fatto “parlare”, ma non in senso positivo. Sicuramente non in senso positivo per Melegatti.
E’ un’immagine “sbagliata” in senso assoluto? Non è detto. Andrebbe ad esempio bene se fosse associata a un partito magari, estremamente conservatore, contrario all’omosessualità ecc…
Ora è vero che Melegatti è il pandoro originale e legato in qualche modo al concetto di tradizione, ma non in questo senso. Melegatti è un brand ecumenico, parla a tutti e parla di amore, di Natale, di bei ricordi.
Amore, Natale e bei ricordi non hanno a che fare con i gusti sessuali delle persone.
Non bisogna essere eterosessuali o omosessuali per ricordarsi i momenti di affetto attorno alla tavola imbandita e con la gioia nel cuore che da lì a poco si sarebbero scartati i regali.
Chi ha fatto, commissionato, supervisionato e approvato questa pubblicità non ha minimamente idea di quello che sta facendo. E’ l’ennesimo “creativo” senza competenze per il quale buttare a casaccio frasi provocatorie e ad effetto sia “fare marketing”.
Risultato ottenuto? Caterve di offese su tutti i media, tanto che prima l’immagine viene rimossa e sostituita con questa:
omo2
che ovviamente è una brutta pezza che la rete non perdona (e poi non fa nemmeno più rima! Essù!) per poi, dopo altre caterve di insulti pubblicare finalmente questo comunicato:
Schermata 2015-11-21 alle 15.29.28
Ora, che questa cosa sia vera o non sia vera, la comunicazione di Melegatti rimane non corretta. In USA e ancora di più in Giappone ma in generale in ogni nazione civilizzata dove il business é una cosa seria, davanti ad avvenimenti incresciosi lesivi dell’immagine aziendale come questi, il direttore di funzione si dimette immediatamente quando addirittura non arriva a dimettersi l’amministratore delegato o il CEO.
Melegatti invece dirama un comunicato nel quale in pratica afferma che l’immagine aziendale è stata “delegata” all’esterno, senza nessun controllo (vorrei capire cosa pagano a fare un direttore marketing ma evidentemente sono i misteri dell’imprenditoria all’italiana) e la “colpa” di questo disastro viene data a dei poveracci di fornitori esterni senza un minimo di assunzione di responsabilità.
Ora, le scuse “posticce” fatte così suonano false e assolutamente poco sentite. Di base non sono realmente scuse. Sono:

“Scusate, ma in casa nostra il marketing é in mano a non si sa bene chi. C’è gente che fa cose e non sempre noi sappiamo chi fa che cosa e chi lo autorizza. E poi siamo un’azienda grande noi oh!
Mica possiamo sapere sempre tutto dai! Comunque scusate facciamo finta di niente eh?”.

Ora io vorrei ricordare brevemente che un manager é (dovrebbe essere almeno) un esperto di marketing che sa leggere un bilancio.
Detto in maniera più semplice, in azienda serve un tizio – che nelle aziende un minimo strutturate é il direttore marketing – il quale si occupi di spiegare a tutti i fornitori esattamente la linea da tenere per curare, sviluppare e difendere il brand e deve approvare il lavoro prima che venga effettuato.
Sicuramente in Melegatti hanno tante incombenze di marketing e non solo una. C’è chi si occupa di fare il packaging dei prodotti, chi si occupa dell’advertising, chi si occupa dei social ecc… e magari sono tutte persone diverse.
Ma non vengono buttati fuori 300 prodotti nuovi al giorno, così come non vengono postate migliaia di frasi al giorno sui social e nemmeno ogni giorno cambiano campagna pubblicitaria. Quindi il direttore marketing oltre che a prendere uno stipendio che ci sta a fare se non a controllare i lavori affinché il brand venga protetto?
Ma Melegatti è andata in alto mare da un po’ e da un’azienda che ha sempre lavorato così bene a prima vista mi sembrava una cosa realmente inspiegabile. Poi ho capito cos’era successo.

L’ultimo che arriva per farsi notare distrugge il lavoro di chi lo ha preceduto

Uno dei bruttissimi vizi di chi arriva a ricoprire un nuovo incarico specialmente al marketing in un’azienda è quello di cercare di farsi notare. Il modo più semplice per farsi notare normalmente é quello di arrivare e distruggere tutto ciò che di buono ha fatto la gestione precedente. Cambiando tutto si può quindi dimostrare che “il nostro contributo vale”, che abbiamo portato dei cambiamenti e che in sintesi non stiamo rubando uno stipendio.
Il problema accade quando in un’azienda storica come Melegatti arriva qualcuno che vuole dare uno “scossone” senza sapere minimamente cosa sta facendo, senza conoscere i presupposti di brand sui quali si appoggia l’azienda e finendo per danneggiare ciò che è stato chiamato a proteggere.
Distrutto da tanta curiosità per le manovre assurde di Melegatti una dietro l’altra, vado a fare una rapida ricerca su Google e scopro che:
Schermata 2015-11-21 alle 15.45.25
Eccolo qua risolto l’enigma. Da nemmeno cinque mesi é arrivato un nuovo direttore marketing che ha voluto evidentemente togliere quella “patina di vecchio” e dare un’immagine “giovanile e controtendenza” all’azienda. Peccato che Melegatti sia un’azienda storica e questo piano non sia particolarmente intelligente come abbiamo detto ma va bene così, facciamo finta di niente.
Il problema é un altro e la rete se ne accorge immediatamente. Giorgione prova l’ennesima mossa da maestro:
giorgione
In pratica si mette gli occhiali da sole in un tentativo di emulazione di Clark Kent che con gli occhiali diviene irriconoscibile rispetto a quando é Superman e si “auto-commenta” il post facendosi i complimenti da solo.
Il problema che Giorgione non considera é che dopo pochi istanti il web si accorge che a scrivere é proprio il direttore marketing della Melegatti S.p.A. Infatti chiunque passi distrattamente il mouse anche per sbaglio sul suo profilo vede che lavora in Melegatti e una rapida ricerca dimostra che si tratti proprio del direttore marketing.
In pratica Melegatti ha creato una sorta di marketing alla “Inception” il film di Nolan, un’insieme di scatole cinesi dove non si distingue più il mondo reale dalla fantasia e non si capisce bene chi sia chi e cosa faccia.
Ecco come reagisce il web:
giorgione 2
Ora, senza voler buttare la croce addosso a nessuno, pare evidente che il marketing in Melegatti non stia facendo le cose giuste da un po’ di tempo a questa parte. Ovviamente il commento di Serafini dopo aver ricevuto caterve di insulti è stato rimosso dal profilo social della Melegatti ma il web ha memoria storica che non si può cancellare così facilmente.
Che ciò stia accadendo dall’avvento di Serafini in azienda e che Serafini nel suo profilo si professi esperto di “marketing non convenzionale” potrebbero essere solo due indizi e non necessariamente la causa totale di questa debacle.
Il marketing non convenzionale per inciso è una puttanata, Serafini o no, e i risultati sono queste azioni scomposte su tutti i media che non fanno altro che ledere l’immagine aziendale.
Alla Melegatti tutto serve tranne che un esperto di marketing non convenzionale. Serve un esperto di marketing. Che sappia quello che sta facendo. Fine.

Cosa dovrebbe fare realmente la Melegatti S.p.A

A parte un po’ di sana ironia sulle azioni del nuovo direttore marketing dell’azienda, c’è da tornare seri e considerare che lì qualcuno ce l’ha messo. E quindi in azienda da qualche parte in alto è successa una cosa del genere.
Ora ti faccio la scenetta. Seguimi :

“Le nostre vendite sono stagnanti, dobbiamo fare qualcosa!”
“Sì ma le vendite sono un po’ in calo per tutti da qualche anno nel nostro settore…”
“Sì bhe ma è il momento di reagire, di fare qualcosa… dobbiamo dare una svecchiata, adattarci ai giovani, parlare il loro linguaggio, colpire nuovi target!”
“Ma noi siamo la Melegatti, un’azienda storica… sei sicuro che questa strategia vada bene per noi?”
“Certo, basta con il solito vecchiume! Aria nuova ci vuole… ho sentito parlare di marketing strano, incontinente, internazionale….”
“Non convenzionale vuoi dire?”
“Sì ecco quello… trovami uno che sappia fare sto marketing non connazionale, deve essere roba americana , che va forte!!
“Va beneeee…”

Mi taglio i coglioni se non è andata così.
Ora il vero problema é che Melegatti non avrebbe affatto bisogno di marketing non convenzionale. Avrebbe bisogno semplicemente di tornare a focalizzarsi e comunicare meglio quella che è già la sua ricetta per il successo: Essere IL Pandoro.
Solo che non la sta usando per niente.
Vediamo alcuni punti semplici sui quali concentrarsi:

Regola numero 1: Quando hai più prodotti nella stessa famiglia, focalizza gli sforzi di marketing sul prodotto di punta.

Il prodotto di punta di Melegatti é ovviamente il Pandoro. Quello che dovrebbe fare Melegatti è tornare a focalizzarsi sul Pandoro evitando di estendere troppo la linea e di inserire ogni anno nuovi prodotti a catalogo che confondono il consumatore.
Vediamo perché.

Posizionamento del Pandoro Melegatti: Il Pandoro Originale.

Melegatti ha un vantaggio competitivo nei confronti di qualunque altro pandoro: é l’originale, “the real thing” come la Coca Cola. Deve spingere su questo aspetto e ricordare questa cosa nella testa dei consumatori. Non continuare a lanciare nuovi prodotti e fare “marketing non convenzionale”.
Ora il problema é che se io vado sulla home page di www.melegatti.it mi ritrovo questi slogan:
Schermata 2015-11-21 alle 16.13.06Schermata 2015-11-21 alle 16.13.12Schermata 2015-11-21 alle 16.13.20
Schermata 2015-11-21 alle 16.16.04

  1. “Quando il buongiorno si vede dal mattino.”

  2. “In ogni momento della giornata.”

  3. “Soffici tentazioni per tutta la famiglia.”

  4. “Il piacere di stare insieme con dolcezza.”

Cosa sono tutti questi slogan? Roba creativa assolutamente inutile che non parla del brand Melegatti e non ricorda ai clienti perché dovrebbero preferirlo rispetto alla concorrenza.
Sono slogan che potrebbe usare benissimo la Bauli o la Paluani o qualsiasi altro competitor. Perché allora dovrebbe usarli Melegatti se sono privi di significato?
In più in un paio di queste immagini Melegatti sta cercando di andare con cornetti e dolci vari verso il food dolce non da ricorrenza, che non é esattamente una buona mossa per il brand.

Il problema di tutte le aziende

La faccio breve ma il problema di tutte le aziende di una certa dimensione é la non consapevolezza al vertice dell’importanza di sviluppare il brand in maniera corretta. La soluzione di solito è quella di chiamare un laureato dalla Bocconi, che s’è studiato Kotler.
Questo arriva e la prima cosa che gli chiedono ovviamente è di “aumentare i fatturati”.
Il buon manager appena arrivato se vuole continuare a farsi pagare lo stipendio, non trova altro modo di solito di setacciare tutte le nicchie all’interno delle quali l’azienda ancora non si è infilata e creare una bella estensione di linea che fa alzare le vendite nel brevissimo periodo (qualcuno magari il prodotto nuovo se spinto bene con la pubblicità e sugli scaffali lo prova) per poi danneggiare nel medio periodo il brand e le vendite dell’azienda.
Di base non é colpa sua. E’ contemporaneamente sia quello che gli chiede l’azienda che quello che gli insegnano a scuola. A scuola ti insegnano questo, a insediarti, a lanciare nuovi prodotti in nicchie ancora non coperte e a scappare con qualche milione di buonuscita prima che puoi.
La soluzione che trovano i manager quindi é quella di arrivare al secondo/terzo anno di insediamento, bruciare tutto il budget possibile per muovere qualche risultato e poi scappare entro il quarto anno prima che scoppi il bubbone, per andare a estendere la linea di un’altra azienda ignara.
L’azienda intanto non ha capito una fava di quello che è successo. il CDA dice “Oh quello veniva dalla Bocconi, doveva sapere il fatto suo. Citava sempre Kotler! Prendiamone un altro come lui”. E la ruota si ripete all’infinito. Con sempre meno fatturato, sempre più prodotti ma soprattutto sempre meno margini.
Servirebbe un manager con le palle che spiegasse alla proprietà come sia necessario un lavoro di ristrutturazione per il quale prima di poter fare tre passi avanti sia necessario farne uno indietro.
Steve Jobs quando tornò in Apple dopo essere stato cacciato passo anni a sfrondare i prodotti dell’azienda da quarantasei a solo 4. L’azienda non migliorò, anzi in alcuni casi peggiorò il proprio fatturato per sette anni. I prodotti erano veramente tanti da eliminare e il brand era veramente come poco burro spalmato su troppo pane.
Ma dopo il settimo anno, il brand era ricostruito e le vendite tornarono a decollare per rendere la Apple l’azienda più importante del mondo. Evidentemente Jobs non aveva studiato Kotler alla Bocconi né ad Harvard. Si focalizzò e vinse.

Il posizionamento di Melegatti:

Per i più nuovi ai concetti di branding secondo la scuola del fondatore Al Ries, servono 5 punti:
1 Focus : devi restringere il tuo focus per significare qualcosa nella testa dei clienti.
2 Categoria: devi definire la tua categoria o creare una nuova categoria.
3 Verbal nail: devi definire un “chiodo verbale” che definisca l’essenza della tua idea.
4 Visual Hammer: Ti serve un martello visivo, un’immagine che fissi il chiodo verbale nella mente dei clienti.
5 Battlecry: Ti serve uno slogan memorabile che viva per sempre.
Non c’è NULLA di “creativo” o di “non convenzionale” in questo processo. E’ appunto un processo scientifico che va seguito step by step per ottenere il miglior risultato possibile. Poi se parliamo di marketing operativo, qualunque cosa é lecita. Anche il “marketing non convenzionale” (che ancora non ho capito bene cosa sia ma va bene) se rispetta e si muove in accordo con i 5 step del branding di scuola Ries.
Il problema é fare “marketing non convenzionale” alla cavolo, per muovere “chiacchiericcio” o “far parlare del brand”.
Si fanno danni e pochi risultati. Spesso solo danni. Alcune volte irreparabili.
Ma veniamo a noi e cerchiamo di capire la strategia di Melegatti:

Focus:

Pandoro. Ragazzi siete gli inventori del Pandoro. Sveglia. Tutti gli altri prodotti che avete sono “contorno”. Sono difficili da posizionare perché sono l’ennesimo dolce farcito in mezzo a una marea di dolci farciti. Ma il pandoro che avete é straordinario. E’ IL pandoro. Solo che dal marketing che fate voi non ci credete più e negli anni hanno smesso di crederci un po’ anche i clienti.
Chissà Domenico cosa direbbe se sapesse che il suo brevetto, la cosa più preziosa che avete e l’unico vero asset aziendale viene maltrattato così, mentre spingete cornetti e panettoni al limone. Brr….

Categoria:

Melegatti ha creato una categoria che é quella del pandoro. Ovviamente quella del pandoro industriale, non di quello artigianale. Ma é sua. Ne ha il brevetto. Ha il pandoro originale. L’ha creato lei. Deve ritornare a essere quello nella testa dei clienti.
Attenzione, questo non significa che non possano avere altri prodotti, come il panettone e altri (senza sbragare troppo magari). Significa che il brand deve focalizzarsi su un prodotto e renderlo così speciale nella testa dei clienti, che quando i clienti vedranno altri prodotti associati a quella famiglia vorranno provarli. Focus anche sulle scelte di marketing. Si promuove solo un prodotto per far vendere di più anche gli altri. E’ contro-intuitivo ma è così che funziona.

Verbal Nail:

Cosa c’è di più facile del Verbal Nail di Melegatti nel momento in cui ci si focalizza?
Se parliamo della categoria “Dolci da ricorrenza”,é ovvio che Melegatti non sia NULLA. Deve menarla con le solite cose tipo qualità, dolcezza, freschezza degli ingredienti e altre cose che non significano nulla.
Se Melegatti addirittura esce dai dolci da ricorrenza per entrare nei prodotti da forno tipo cornetti, il suo brand si spalma ancora di più e significa ancora meno.
Ma se Melegatti tornasse a focalizzarsi sulla categoria che ha creato, che le appartiene e che sta facendo a pezzi come Jack lo Squartatore faceva con le sue vittime, avrebbe immediatamente un Verbal Nail: L’Originale.
Cosa c’è di più forte nel marketing di poter essere l’originale? Niente. Perché non lo stanno usando? Perché da qualche decennio ogni volta che arriva un nuovo direttore marketing tutto quello che sa fare é sputtanare il brand lanciando nuove estensioni di linea. Quando fai tutto per tutti non sei più nulla di specifico per nessuno.

Visual Hammer:

Ci eravamo già passati sopra prima ma ridiciamolo in maniera più precisa. Il Visual Hammer di Melegatti é la scatola che dice contemporaneamente Melegatti e Pandoro. Vediamola nel dettaglio:
pandoro melegatti
1 Il colore blu tipico di Melegatti.
2 La bordatura dorata, sopra e sotto.
3 La forma della scatola a ottagono irregolare.
Queste sono le 3 caratteristiche che rendono il Pandoro Melegatti il Pandoro Melegatti. Sono il Visual Hammer che non andrebbe abbandonato MAI. Il logo con i gatti e le mele é troppo poco caratteristico perché possa funzionare ed é pure piccolo. Poi è staccato dalla scritta “Melegatti” in fondo alla confezione.
Prendete il Visual Hammer della Coca Cola. Mentre per la Melegatti é la confezione del Pandoro, per la Coca Cola é la forma della bottiglietta che hanno ideato:
Coca visual
E’ così importante quel Visual Mammer che lo riportano in continuazione anche su altri prodotti, sulle lattine, sui bicchieri ecc… Il Visual Hammer serve a fissare il Verbal nail nella testa del cliente. In questo caso anche per la Coca Cola come per Melegatti parliamo de: “L’originale”. Melegatti dovrebbe ribadire la forma della confezione del pandoro il più possibile in tutte le sue campagne.

Come dovrebbe usare il Visual Hammer la Melegatti per rinforzare la vendita dei suoi prodotti quando non si parla di pandoro?

Guarda che magnifico lavoro é stato fatto ad esempio per il prodotto “gemello” ma meno “nobile” in casa Melegatti che é il loro panettone:
Schermata 2015-11-21 alle 17.06.56
Ci sono sicuramente molte cose fatte bene in questa confezione, nell’ordine:
1 Il blu Melegatti é stato rispettato.
2 Sulla confezione compare senza essere troppo invasiva l’immagine del panettone. E’ corretto perché mentre la confezione del Pandoro deve essere rigorosamente SENZA immagine del pandoro all’interno (perché la confezione stessa deve dire “Questo è ovviamente il pandoro Melegatti”) il panettone non é il prodotto di punta dell’azienda, la forma della scatola non é così riconoscibile e quindi il contenuto per evitare confusione va mostrato.
Ma é stato mostrato con sobrietà e eleganza, senza pacchianate che compaiono su molte altre confezioni di basso livello, dove la foto del panettone prende una larghissima porzione del visual.
Cosa si può migliorare al prossimo re-packaging seguendo la scienza del posizionamento:
Schermata 2015-11-21 alle 17.06.56
1 Un bravo grafico deve inserire con eleganza e in maniera coerente alla linea del packaging i bordi dorati “Melegatti”. Quei bordi non significano “Pandoro”. Significano Melegatti e aiutano qualunque prodotto “fratello” del Pandoro a differenziarsi sugli scaffali e a essere immediatamente riconoscibile tra tutti gli altri panettoni, in particolare su tutti gli altri panettoni che hanno scatole virate verso il blu.
Non possono essere ignorati. Non è questione di gusto, né di creatività. La forma della scatola la devi cambiare, il visual sulla scatola con la foto lo devi cambiare, ma il blu e i bordi d’oro no. Deve esserci sempre un aggancio forte al brand trainante e il blu da solo con il logo non sono sufficienti.
Sugli scaffali il panettone Melegatti deve combattere contro questo ad esempio:
panettone
Motta è sempre blu e in più può scrivere sul proprio front “Originale”, che invece Melegatti sfrutta malissimo per il suo Pandoro come abbiamo detto.
Al panettone Melegatti servono le bordature dorate per differenziare la scatola e dire chiaramente “Melegatti” e non “Questo è una copia di Motta”.
2 Al posto del logo da solo che non fa realmente parte del Visual Hammer, un bravo grafico potrebbe proporre la versione stilizzata col logo incastonato della forma ottagonale della scatola del Pandoro. Quello é il Visual Hammer e quello deve essere usato sempre e il più possibile.
La vera sfida per il futuro potrebbe essere quella di ricreare il Visual Hammer su tutti i prodotti a marchio Melegatti:

  1. Colore
  2. Forma
  3. Bordi dorati

Cosa Melegatti non deve assolutamente fare

Considerando che il Pandoro Melegatti é L’Originale, Melegatti dovrebbe focalizzarsi il più possibile sul suo prodotto principe, evitando di estenderne la linea con varianti “farcite” ( mentre é una cosa che può fare magari sempre senza esagerare con il suo panettone.)
Melegatti si deve mettere in testa che il suo Pandoro non é “UN” Pandoro ma è “IL” Pandoro. E’ un’opera d’arte che va trattata con rispetto, protetta e difesa.
Il dolce farcito é il panettone. Di quello puoi fare le varianti col cioccolato, la crema o quello che ti pare. Con il Pandoro NO. Con il suo Pandoro NO.
Lasciate che sia Bauli a estendere la linea del suo pandoro. Lasciate che sia Paluani a farlo. Il Pandoro Melegatti non toccatelo.
Ascolta bene, nel momento in cui tu fai una variante del tuo prodotto di punta non stai realmente conquistando quote di mercato. Stai cannibalizzando il tuo prodotto di punta e in più ne stai diluendo il brand.
La Coca Cola Light e la Coca Zero non hanno aumentato il consumo di Coca Cola. Hanno solo spostato il consumo da una bevanda all’altra dello stesso brand. In più la Coca Zero dice chiaramente “Guardate che la Coca Cola fa ingrassare!”
Così come l’ultima moda folle della Coca Cola Life verde dice : “La Coca Cola non solo fa ingrassare ma fa anche morire (???)”. 
Allo stesso modo il pandoro farcito dice :

“Il mio pandoro normale é insipido!”.

Ripeto, lasciatelo fare agli altri. Lasciate che la gente perda tempo a scegliere e decidere tra le varianti della Bauli e della Paluani o della Motta e quando arriva davanti a Melegatti dica:

“Ecco, il Pandoro!”.

Melegatti deve giocare sul fatto che se gli altri sono disposti a mettere dentro al loro pandoro cioccolata o crema industriale a lunghissima conservazione e piena di chissà quali schifezze per rimanere commestibile per mesi, forse il loro pandoro non é poi così buono.
E’ facile riposizionare la concorrenza quando conosci il branding, senza bisogno di fare “marketing non convenzionale”. Quello convenzionale se sai cosa stai facendo funziona perfettamente.
Ora guarda cosa faceva Ogilvy, il padre dell’advertising decine di anni fa per la Guinness:
guinness
ostriche
Ogilvy era famoso per creare dei booklet, in questo caso per la birra Guinness, nei quali educare le persone a come bere la birra insieme ad alimenti come i diversi tipi di formaggio, i diversi tipi di ostriche ecc…
Melegatti dovrebbe fare la stessa cosa. Una bella campagna di booklet dove insegnare alle mamme l’importanza di non comprare pandoro pre-farciti che non sono sicuramente sinonimo di freschezza dei prodotti, bensì imparare come farcire con i migliori ingredienti il proprio pandoro per i propri figli e la famiglia. Nutella, crema al caffè, crema al cioccolato, crema pasticcera, gelato e tutto quello che gli viene in mente.
Il messaggio che deve essere lanciato é:

“Il vero Pandoro si farcisce solo con ingredienti freschi e originali.
Melegatti sceglie il Pandoro, tu scegli il resto”.

Se Melegatti optasse per una scelta così intelligente e coraggiosa, alla Bauli e alla Paluani comincerebbero a cagare mattoni.
Lasciate a loro la rogna di spiegare perché mettono merda a lunga conservazione nel loro Pandoro.
Melegatti si deve ricordare sempre che é l’Originale. Dovrebbe dettare la strada e lasciare gli altri a inseguire e giustificarsi. Mai il contrario. Melegatti deve giocare in attacco, non in difesa.
Estendere la linea è giocare in difesa.
Abbassare i prezzi è giocare in difesa.
Ovviamente non lo faranno mai perché non è “Bocconiano” e nel brevissimo periodo porterebbe a un calo apparente delle vendite.
Nel medio periodo invece porterebbe il brand a rinforzarsi, ad aumentare le vendite a scapito dei competitor, a eliminare linee di produzione che costano inutilmente sui ricavi e appunto a migliorare i margini.
Ma come ho detto, servono imprenditori con le palle che guardino più in là del proprio naso e di un semplice “Voglio più vendite domattina!”, perché poi si finisce negli slogan omofobi, nelle scemenze GGiovanili e nelle estensioni di linea che erodono il brand.

Il prezzo è troppo basso (e la qualità si può alzare).

Il marketing non è questione di slogan creativi. E’ questione di conquistare un posizionamento nella mente dei clienti. Melegatti sono anni che vive sugli allori e non sta facendo nulla per difendere e potenziare l’ampiezza del proprio brand che é enorme e enormemente sottosfruttata.
Le ricerche di mercato mostrano come l’eccessiva defocalizzazione, le troppe estensioni di linea, lo strizzare l’occhio alla linea “per ogni giorno” con cornetti e altro abbia smussato sempre di più la forza del brand.
Melegatti è il Pandoro originale. Solo che nella maggior parte dei negozi e nella GDO esce a una media di un euro in meno al kg del diretto concorrente Bauli. Questa cosa non é possibile.
Come è possibile che una copia come Bauli costi di più del Vero Pandoro? E se Melegatti è il pandoro originale come fa a costare meno o meglio perché costa meno?
Il marketing é una battaglia di percezioni, non di slogan creativi. Melegatti dovrebbe lasciare a Bauli il compito di impelagarsi in produzione di cornetti da colazione ecc… e rifocalizzarsi per avere il dominio nella percezione del suo prodotto di punta, il pandoro. Focalizzarsi permette di avere un prezzo alto.

  • Avere un prezzo alto rende credibile il verbal nail: il Pandoro Originale.
  • Avere un prezzo alto permette di investire in ricerca, in ingredienti migliori e in un gusto migliore.

La sezione Cornetti andrebbe ceduta o scorporata, messa in gestione separata e riproposta con un brand nuovo. Melegatti non può essere anche cornetti da forno. Se gli altri lo fanno non è un buon motivo per imitarli rovinando il proprio brand. Creare appositamente un nuovo brand invece e rivoluzionare quella sezione permetterebbe all’azienda di andare a erodere margini a Bauli e agli altri protagonisti di quel comparto.
Ma serve un brand che nasca apposta, non spalmare il nome Melegatti anche in quella direzione.
Aumentare il prezzo con una corretta campagna può portare quelle risorse economicheper investire nella qualità e nel sapore del prodotto che negli ultimi anni un segmento della clientela indica in calo o non pienamente soddisfacente.
Anche qui focalizzarsi sull’originale e aumentare la qualità percepita, diviene fondamentale. Ma stracciando i prezzi non lo si può fare.

Battlecry

Come ho già detto, Melegatti é decisamente troppo defocalizzata oggi per poter rappresentare qualcosa di specifico nella testa di qualcuno. Gli slogan che girano oggi sono tanti, creativi e privi di significato:

  1. “Quando il buongiorno si vede dal mattino.”
  2. “In ogni momento della giornata.”
  3. “Soffici tentazioni per tutta la famiglia.”
  4. “Il piacere di stare insieme con dolcezza.”

Nel momento in cui ci rifocalizziamo sul Pandoro e le campagne vertono sul Pandoro come prodotto di punta è invece possibile riportare Melegatti laddove gli compete, cioé ad essere la regina assoluta del suo mercato specifico. Le vendite degli altri prodotti seguiranno.
Il Battlecry che caratterizza Melegatti é questo:
Schermata 2015-11-21 alle 18.15.51

“Melegatti, il Pandoro.
Da Sempre per il tuo Natale, il Pandoro Originale”

Stop.
Ovviamente non é “creativo”, non è “non convenzionale” e infatti funzionerebbe a meraviglia.
Per i più curiosi, sezioniamolo insieme:
1 E’ importante dire “Melegatti, il Pandoro” e non “Il Pandoro Melegatti” per un motivo molto semplice. Se dico “Il Pandoro Melegatti” sto mettendo in evidenza la parola Pandoro. Questo significa che se c’è UN pandoro Melegatti, allora c’è anche un pandoro Bauli, uno Paluani ecc… Sono tutti uguali e “va a gusti”.
Ma se dico “Melegatti, il Pandoro” sto dicendo un’altra cosa. Metto in risalto prima il Brand e poi dico IL pandoro. Vuol dire che “Melegatti il pandoro” è l’originale, mentre tutti i “Pandoro Qualcosa” sono brutte copie. Non male no?
2 “Da sempre” è fondamentale. Rinforza l’idea che sia il Pandoro originale. Il Primo.
3 Abbiamo la ripetizione Pandoro – Pandoro (rinforza l’idea che sia l’originale se lo diciamo due volte).
4 Abbiamo l’alliterazione piena con Nat- ALE / Origin- ALE che fa “suonare” lo slogan e lega le due parole nella mente. Natale Originale è solo con Melegatti.
Melegatti dovrebbe pagare un direttore marketing per assicurarsi che questo e solo questo slogan venga usato in ogni iniziativa di marketing e chi provi a cambiarlo, venga defenestrato seduta stante. Basta con la creatività basata sul nulla. E’ ora di finirla.

Conclusioni

Parlando molto seriamente, non credo che ciò che è successo tra Scanu, post omofobi e gaffes sociali del direttore marketing possano realmente influire in negativo su Melegatti.
Sono cose mediamente ininfluenti e tra qualche giorno verranno dimenticate e si parlerà del nuovo “caso del giorno”.
Melegatti è un brand che esiste da 121 anni. E’ troppo forte per venire squassato in qualche modo da questi venticelli risibili.
Quello che mi preme sottolineare in questo articolo é invece la mia frustrazione derivante da una evidente mancanza di direzione in un’azienda che ho sempre portato come esempio didattico di orgoglio italiano in tutte le mie presentazioni, in Italia come all’estero.
In Italia abbiamo dei patrimoni incredibili, come la Melegatti certamente é, che sono lasciate in balia del vento, senza una vera strategia di marketing basata sul branding che può fare realmente la differenza nel lungo periodo.
Non credo al di là di qualche ironia che il direttore marketing c’entri qualcosa direttamente. Fa quello che lo hanno chiamato a fare. Qualcuno lì ce lo avrà messo. Ci sarà stato un piano condiviso dalla proprietà, dal CDA ecc…
Fa quello che gli hanno chiesto. Fa quello che ha studiato a scuola unito a quello che oggi “va di moda”: espandere la linea e provare le strade “non convenzionali”. Lo fa perché deve portare a casa uno stipendio e deve giustificarlo.
Voi che non avete le risorse economiche di una Melegatti, che non avete un brand con una storicità di 121 anni che può sopportare scossoni e passi falsi, voi che non avete accesso al credito tale da potervi permettere sperimentazioni con inutili estensioni di linea, state in campana. Studiate il branding e applicatevi.
Alla Melegatti quasi sicuramente non sapranno mai che ho scritto questo articolo. Se lo leggerà qualcuno ci riderà sopra. Perché alla Bocconi non dicono queste cose. E loro sono da tanti anni nel settore. E il loro settore è molto particolare, che ne so io?
Voi non fatelo. Quello che ho scritto qui può salvare il futuro della vostra azienda, dei vostri cari e di chi lavora con voi.
Alla prossima.


Barilla, dallo scandalo a brand gay friendly. 10 modi in cui l'azienda ha rimediato alla gaffe sull'omofobia

“Non faremo pubblicità con omosessuali perché a noi piace la famiglia tradizionale. Se i gay non sono d’accordo, possono sempre mangiare la pasta di un’altra marca”. Era il 25 settembre del 2013 e Guido Barilla rispondeva così, ai microfoni di Radio24, ad una domanda sul perché l’azienda non avesse ancora dato spazio agli omosessuali nei propri spot. L’intervista causò una pioggia di polemiche, da parte delle associazioni gay friendly e di esponenti del mondo politico e dello spettacolo. Mentre i clienti più affezionati minacciavano di non comprare più la pasta, Barilla iniziava il suo percorso di “redenzione”. Un viaggio che l’avrebbe portata, in poco tempo, ad ottenere un punteggio perfetto dalla Human Right Campaign, un’importante associazione per i diritti degli omosessuali che stila ogni anno il Corporate equality index, una graduatoria basata sulle politiche interne ed esterne aziendali in questo campo.
https://twitter.com/BarillaCareers/status/535130162850177024/photo/1
Un caso esemplare, quello di Barilla: con un’operazione a 360 gradi, il brand italiano è diventato un modello da seguire, accogliendo e tutelando i dipendenti transgender e le loro famiglie. Il suo cambiamento, forse, servirà da esempio ad altri marchi italiani, al centro di polemiche sul tema della famiglia tradizionale. Come Dolce e Gabbana, criticato per le affermazioni della coppia di stilisti contro i figli “sintetici”, le madri surrogate e le adozioni (“No ai figli affidati alle coppie gay perché ci sono cose che non vanno modificate. E una di queste è la famiglia”).
Ma come è riuscita Barilla a risollevare la propria reputazione? Ecco dieci modi in cui la regina della pasta italiana ha saputo trasformare la sua gaffe in forza.
1. Il “mea culpa” di Guido Barilla

“È chiaro che ho molto da imparare sull’evoluzione della famiglia”. Dopo le critiche ricevute da tutto il mondo, stampa estera e social network in primis, il presidente dell’impero della pasta italiana, ha chiesto scusa per i suoi commenti, giudicati “omofobi”. In un videomessaggio internazionale, diffuso sui canali social del marchio, sul sito e su Youtube, ammetteva di essere triste e dispiaciuto: “In Barilla, abbiamo cura di tutti, senza distinzioni di razza, religione, fede, sesso o orientamento sessuale. A tutte le persone – amici, famiglie, dipendenti e partner commerciali – che si sono sentite toccate o offese, chiediamo sinceramente scusa”. “Nella mia vita ho avuto rispetto nei confronti di tutte le persone che ho incontrato, inclusi i gay e le loro famiglie, senza alcuna distinzione”, ha ribadito in quell’occasione il presidente.
2. L’incontro con la comunità LGBT
Nel videomessaggio di scuse, Guido Barilla affermava la volontà di incontrare “i membri dei gruppi che rappresentano nel modo migliore l’evoluzione della famiglia, inclusi coloro che ho offeso con le mie parole”. Un proposito ben presto realizzato. Circa una settimana dopo lo scandalo, il presidente si è trovato faccia a faccia con i responsabili nazionali delle associazioni Lgbt italiane per scusarsi della gaffe. Durante l’incontro, avvenuto nello studio del consigliere regionale dell’Emilia-Romagna Franco Grillini, storico leader del movimento lgbt italiano, Barilla ha avanzato “proposte concrete” per porre rimedio alla situazione.
3. Impegno nel promuovere la diversità
https://twitter.com/BoycottBarilla/status/389430602509737984/photo/1?ref_src=twsrc%5Etfw
A novembre 2013, neanche due mesi dopo lo scandalo, Barilla ha annunciato di voler cambiare la sua policy in favore della diversità. “Diversità, inclusione e uguaglianza sono da tempo parte integrante della cultura, dei valori e del codice etico di Barilla. Questi si riflettono nelle politiche e nei benefit offerti a tutto il personale, indipendentemente da età, disabilità, sesso, razza, religione o orientamento sessuale. Allo stesso tempo il nostro impegno è volto a promuovere la diversità perché crediamo fermamente che sia la cosa giusta da fare”.
4. Lancio del “Diversity & Inclusion Board”
All’interno dell’azienda è stato istitutito il “Diversity & Inclusion Board’, composto da esperti esterni indipendenti che aiutano Barilla a stabilire obiettivi e strategie concrete per migliorare lo stato di diversità e uguaglianza tra il personale e nella cultura aziendale in merito a orientamento sessuale, parità tra i sessi, diritti dei disabili e questioni multiculturali e intergenerazionali. Tra le persone che ad oggi hanno accettato di far parte del Board si annoverano David Mixner, importante leader mondiale della comunità Lgbt (Lesbiche, Gay, Bisessuali e Transgender), e Alex Zanardi, medaglia d’oro alle Paraolimpiadi.
5. I corsi contro la discriminazione
L’azienda si è impegnata a tutelare i propri dipendenti dalle discriminazioni organizzando dei training sulla “diversità” ai quali sono invitati a partecipare gli oltre 8000 lavoratori.
6. Benefit estesi anche alle famiglie dei transgender
La Barilla ha deciso di estendere la copertura sanitaria anche alle famiglie e ai parenti dei dipendenti transgender.
7. Le donazioni a favore di associazioni che lottano per i diritti LGBT
L’azienda, negli Stati Uniti, ha deciso di donare parte dei propri ricavi alla Tyler Clementi Foundation, un’organizzazione contro il bullismo formata dalle famiglie degli studenti gay della Rutgers University che si sono suicidati. Sostiene anche la missione di una coppia di lesbiche che ha fondato un sito per spingere le famiglie a mangiare a tavola insieme.
8. Attivisti gay lavorano come consulenti per il cambiamento
Dopo le polemiche, Barilla si è fatta aiutare da alcuni attivisti gay che hanno dato i loro suggerimenti per favorire la ripresa. David Mixner, un rispettato attivista LGBT e scrittore che ha lavorato come consulente dell’azienda, ha spiegato al Washington Post che quello a cui ha assistito è “lo sforzo più completo per rimediare a una gaffe al quale abbia mai preso parte”.
9. Le continue scuse di Guido Barilla (e il tornare sulla questione famiglia)
https://twitter.com/CNNMoney/status/535356656918339584/photo/1?ref_src=twsrc%5Etfw
Guido Barilla non ha lasciato correre quello che è successo, ha rivangato il suo errore più volte nel corso degli ultimi anni, anche quando ormai la sua azienda aveva preso una direzione diversa. “Sono fiero di dire che alla fine di queste discussioni abbiamo tutti imparato molto riguardo la definizione e il significato di “famiglia” – ha scritto in un comunicato – e negli scorsi anni abbiamo lavorato duro per far sì che quel pensiero fosse riflesso a tutti i livelli della nostra società”.
10. Il riconoscimento internazionale della Human Right Campaign
Senza neanche chiedere di essere valutata, la Barilla ha ottenuto un “punteggio perfetto” dalla Human Right Campaign, un’importante associazione per i diritti degli omosessuali che stila ogni anno il Corporate equality index, una graduatoria basata sulle politiche interne ed esterne aziendali in questo campo. Delle 781 aziende internazionali che volontariamente si sono sottoposte alla valutazione meno della metà hanno un punteggio perfetto. Secondo Deena Fidas, responsabile dello specifico programma nella Human Rights Campaign “è incontrovertibile che alla Barilla ci sono oggi delle politiche e pratiche aziendali inclusive per gay, lesbiche, bisessuali e transgender che un anno fa non esistevano”.


Conflitto su Wikipedia: la British Petroleum si auto-descrive

L’azienda responsabile dell’incidente nel Golfo del Messico ha redatto metà dell’articolo che la riguarda, «rispettando le regole»
Storie di conflitti di interesse: protagonista, per una volta, non l’Italia ma Wikipedia e la British Petroleum. L’azienda petrolifera è tristemente nota per l’incidente nel Golfo del Messico, un disastro ambientale di vaste proporzioni costato ai responsabili miliardi di dollari di danni .
Sull’enciclopedia online c’è ovviamente una voce dedicata all’episodio e alla BP, ma secondo alcuni editor indignati sarebbe stata riscritta al 44% dalla società stessa, in particolare per quanto riguarda le politiche di riparazione ambientale. La polemica si infiamma proprio mentre la BP si appresta, il 5 aprile, ad affrontare in udienza una class action miliardaria per rivendicazioni che l’azienda definisce “fittizie o gonfiate”.
Ma il dubbio avanzato da alcuni redattori della Wikipedia è che “gonfiate” o comunque faziose siano le informazioni che l’enciclopedia ospita attualmente sulla vicenda. Il danno d’immagine per la BP è stato quasi inquantificabile e non stupisce che il marketing stia lavorando alacremente per darle una ripulita, su Internet prima di tutto.
La BP non avrebbe mai messo mano direttamente alla pagina che la riguarda, ma avrebbe inserito un suo rappresentante nella comunità di collaboratori di Wikipedia. Il testo sarebbe poi copiato “così com’è” nella pagina dai redattori, all’insaputa dei lettori che pensano di leggere informazioni imparziali.
Le sezioni sotto accusa sono state curate dall’”Utente: Arturo presso BP ”, e includerebbero le voci “Energia Alternativa”, “Le accuse di greenwashing” (termine che indica attività di pr che tendono a dare un’immagine “ecologica” di una particolare azienda), e “risultati Ambientali”, tra gli altri.
“Arturo presso BP”, che peraltro si qualifica come un membro dell’ufficio stampa, fornisce il contenuto per la pagina di Wikipedia. Lui stesso dichiara di avere “creato questo account per contribuire a migliorare gli articoli su BP, in linea con gli standard e le linee guida di Wikipedia”. E sulla pagina di discussione dell’enciclopedia aggiunge: “Le informazioni che presento da nuove fonti sono verificate dai vari esperti del tema all’interno della società. Io non sono un esperto su tutti gli argomenti e voglio fare in modo che qualsiasi contenuto proposto dalle fonti adottate sia in realtà preciso”.
In questo modo, il ruolo della BP resta nascosto ai lettori di Wikipedia, ma non ai redattori abilitati, che a quanto pare si dilungano in discussioni e polemiche , senza intervenire.
Polemiche che favoriscono l’attività di marketing della BP, che ha potuto di chiarare a Cnet di non avere mai leso le regole di Wikipedia. “La BP – hanno spiegato al sito – opera all’interno delle linee guida di Wikipedia su come rappresentanti delle società devono interagire con i redattori del sito. Per quasi un anno, siamo stati completamente trasparenti, senza mai operare direttamente le modifiche” e “rivelando quando abbiamo offerto suggerimenti ai redattori di Wikipedia che provenivano da un nostro rappresentante”. “La nostra partecipazione al processo editoriale – sostiene l’azienda petrolifera – ha senza dubbio portato a una maggiore precisione, che in fondo dovrebbe essere la principale preoccupazione di tutti coloro che si basano su questa risorsa per le informazioni”.
La polemica non cade in un momento troppo favorevole per la grande enciclopedia aperta del web. Il sito cerca fondi ed è stato investito da accuse e sospetti di articoli comprati e commissionati.
Le informazioni offerte dalla British Petroleum potrebbero anche essere le più precise e corrette, non vorremmo negarlo a priori, ma di fronte ai sostenitori dell’idea e del progetto Wikipedia, una compagnia petrolifera responsabile di uno dei più gravi disastri ecologici degli ultimi anni che redige da sé gli articoli che la riguardano è il peggiore degli spot possibili. Anche questo è un danno di immagine.


creatoridifuturo.it | Selected by Luca Poma | (1/1)