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Shike, il bike sharing senza stazioni cerca finanziatori per il “lucchetto smart”

Al giorno d’oggi, nonostante la vastità della proposta, le alternative all’uso dell’automobile per muoversi all’interno di città di dimensioni medio-grandi spesso sono ancora un po’”macchinose” e quindi poco accessibili da parte dei fruitori, alla ricerca di mezzi puntuali, rapidi, ecologici e facilmente accessibili (in termine di prenotazione, utilizzo e diffusione).
Shike, progetto lanciato da Mug Studio di Parma, intende promuovere nuove forme di mobilità sostenibile e facilitare l’accesso ai servizi di bike sharing, permettendo la condivisione della propria bicicletta senza stazioni o infrastrutture.
Nonostante l’assenza del servizio in molti comuni italiani, i dati del 2016 dimostrano infatti che esiste un mercato florido, con oltre 200 città nelle quali è attivo un servizio di bike sharing e dove vivono circa 13 milioni di italiani, il 18% del totale.
“Shike” si inserisce in questo mercato e ne crea uno nuovo, rivoluzionando i classici servizi di bike sharing: grazie ad un innovativo lucchetto “smart”con GPS e sensori ambientali integrati, Shike elimina le stazioni di parcheggio permettendo nuovi modelli di condivisione del proprio veicolo e gettando le premesse per la creazione del più esteso servizio di bike sharing sul mercato. I sensori integrati nel sistema permettono inoltre di raccogliere dati ambientali e valutare la CO2​ ​ risparmiata, incentivando così comportamenti virtuosi.
I beneficiari del servizio sono i privati cittadini, sia quelli che utilizzano la bicicletta per spostamenti quotidiani (come ad esempio studenti, lavoratori, ecc.) sia quelli che la utilizzano solo in modo saltuario. Parallelamente la startup intende avviare collaborazioni con enti pubblici e società private (quali, ad esempio, realtà che si occupano di turismo sostenibile e territoriale).
Attualmente la startup sta attivando partnership con diversi produttori di biciclette italiani con i quali far partire un progetto pilota in almeno una città di media popolazione italiana. Al contempo sta contattando diverse realtà del territorio, sia in campo elettronico che in campo meccanico, per cercare di sviluppare e brevettare il lucchetto “smart” proprietario.
Mug Studio è una realtà giovanissima che nasce a Parma a novembre 2016 dalla volontà di due neo-laureati di concretizzare e portare in vita le diverse idee concepite e perfezionate durante gli anni universitari. Andrea Tommei, background di studi economico, e Andrea Cantore, informatico, fondano uno Startup Studiouna sorta di “incubatore di sogni e di idee” che prova a trasformare i diversi progetti in realtà. Il primo di questi loro progetti è anche quello che gli sta più a cuore: un servizio di mobilità condivisa e sostenibile, che possa permettere a ogni cittadino del mondo di spostarsi in bicicletta nel modo più semplice e comodo possibile.
A metà settembre 2017 il progetto Shike approda sulla piattaforma italiana di crowdfunding Eppela e viene selezionato dalla call di Nastro Azzurro: se il progetto raggiungerà il traguardo, ovvero riceverà i 5.000 euro di finanziamento richiesti dai suoi due creatori, Nastro Azzurro finanzierà il progetto andando ad aggiungere a sua volta altri 5.000 euro




Il segreto della crescita di Facebook

Da poche centinaia di utenti fino ai due miliardi di oggi: l’espansione del social network sembra non avere mai fine.

ochi giorni dopo la sua nascita, Facebook aveva già alcune centinaia di iscritti. Lo scorso giugno, il social network di Mark Zuckerberg ha raggiunto quota due miliardi di utenti attivi al mese. Un risultato raddoppiato nel giro di cinque anni dopo aver solcato, nel 2012, il traguardo di un miliardo. Si tratta di una crescita tanto veloce quanto, soprattutto, costante nel tempo. D’altra parte, come scrive Harry McCracken in un lungo articolo pubblicato su Fast Company, il colosso di Menlo Park si è sempre focalizzato su un unico obiettivo: come convincere sempre più persone a iscriversi al servizio.

Fin dall’inizio, lo sviluppo è stato guidato e indirizzato da un team composto da esperti di web marketing e analisti dei dati. Insomma, l’approccio è il seguente: capire e comprendere quali sono i bisogni degli utenti; se è necessario, anche anticiparli. Il Growth Team è nato nel 2007 e ha supervisionato e indirizzato tutte le innovazioni e i cambiamenti del social network. Dal lancio di Facebook Live al servizio Safety Check, passando per i droni a energia solare in grado di portare internet nelle parti più remote del mondo; fino al pulsante “donate” per le organizzazioni senza scopo di lucro o le campagne di crowdfunding. A guidare il loro operato, l’analisi dei comportamenti delle persone e delle loro abitudini. Informazioni che permettono agli analisti di creare modelli statistici in grado di prevedere i bisogni futuri degli utenti. “La nostra filosofia è quella di porci sempre un obiettivo in più. Quando nel 2007 avevamo toccato quota 70 milioni, ci siamo detti: non ci basta. E così, poco dopo, tutti hanno iniziato a immaginare come poter arrivare a 100 milioni”, ha detto alla stessa Fast Company Alex Schultz, manager del Growth Team fino al 2014.

 

La crescita di Facebook: in dieci anni è passato da meno di 200 milioni a due miliardi di utenti (fonte: Statista)

Il primo grande fattore di sviluppo di Facebook, ovviamente, è stata la lingua. Per potersi espandere, oltre all’inglese, il social network si è reso il prima possibile disponibile anche in francese, spagnolo o tedesco. Ma non solo, anche in somalo o afrikaans. Senza dimenticare dialetti come il sardo o la lingua berbera Tamazight. E se è impossibile rendere alla perfezione le centinaia di idiomi disponibili, sono proprio gli stessi utenti a offrire traduzioni, ad esempio di concetti come ‘tag’ o ‘poke’.

Ma è l’approdo sullo smartphone ad aver favorito l’espansione globale del social network.  Secondo gli ultimi dati, relativi a dicembre 2016, sono più di un miliardo gli utenti attivi ogni giorno che accedono da un dispositivo mobile. Una crescita possibile solo se non si rinuncia a inseguire i potenziali utenti, anche se questi vivono in zone povere in cui la connessione è di scarsa qualità. Ed è per questo motivo che, nel 2011, Facebook ha acquisito Snaptu: una startup israeliana che aveva creato una versione leggera in grado di funzionare anche con telefoni meno potenti. Così è nato Facebook Lite: fruibile anche nelle zone poco coperte da internet. Solo nello scorso febbraio, il social network ha aggiunto 200 milioni di nuovi iscritti provenienti da paesi come il Vietnam, il Bangladesh o la Nigeria.

 

La crescita degli utenti che ogni giorno utilizzano Facebook da mobile nel mondo (fonte: Statista)

Allo stesso tempo, coinvolgere nuovi utenti significa anche disegnare Facebook in modo che possa essere utilizzato intuitivamente da tutti coloro che si iscrivono per la prima volta con uno smartphone. Per questo motivo, negli anni sono cambiate anche piccole cose, più importanti di quanto potrebbero sembrare: nella schermata di login, al posto dello sfondo in blu, ci sono oggi immagini di persone che condividono foto o video; la frase “iscriviti a Facebook” è stata sostituita con “crea un nuovo account”, permettendo inoltre di sostituire la password senza prima scrivere quella errata.

“Nel nostro lavoro teniamo conto di diversi aspetti: se gli utenti possiedono una casella di posta elettronica, se sanno cosa sia, se conoscono il wifi e se sanno che possono trovarlo in alcuni punti e in altri no”, spiega a Fast Company, il responsabile del settore Design Luke Woods. E siccome, soprattutto nei paesi in via di sviluppo, in una famiglia è spesso presente un solo dispositivo per più persone, è diventato possibile passare da un account all’altro, senza ripetere l’accesso al proprio profilo.

 

L’analisi dei dati si sposa con quella dei bisogni reali degli utenti; per esempio quando si trovano in situazioni di pericolo. Safety Check è un servizio che, in caso di attentato terroristico o catastrofe naturale, permette di comunicare ad amici e parenti che si è sani e salvi. E anche questo prodotto è stato pensato e sviluppato in modo da poter convincere sempre più persone a iscriversi a Facebook. “Vogliamo avere un impatto nel mondo e per averlo dobbiamo pensare a servizi che funzionino”,  afferma Naomi Gleit, la vice presidente della divisione dedicata al sociale.

Molto probabilmente, il futuro prossimo di Facebook potrebbe essere scritto nella realtà aumentata. Lo ha spiegato lo stesso Mark Zuckerberg, in un’intervista rilasciata a Recode lo scorso aprile: “Gli oggetti di cui abbiamo bisogno non devono necessariamente essere materiali. Vuoi giocare a un gioco da tavolo? Ti basta muovere le dita ed ecco il gioco. Vuoi guardare la tv? Non hai bisogno dello schermo, ma ti basta acquistare un’app da un dollaro per per poterla vedere”. Il colosso di Palo Alto non ha ancora nei suoi piani la creazione di un modello di occhiali a realtà aumentata, ma sta aprendo la propria piattaforma agli sviluppatori in modo che possano creare nuove funzionalità per gli utenti. Il tutto con l’obiettivo di continuare a crescere, oggi, ma soprattutto domani.




Duci, l’Impact Report come un “check up” completo del nostro contributo economico e sociale

È stato presentato a Milano, il 1° Impact Report della Cisl Lombardia, evoluzione del bilancio sociale, curato da Marco Grumo, docente di Economia e management dell’organizzazioni no profit dell’Università Cattolica. Il documento non si limita a riportare le attività del sindacato, ma soprattutto misura l’impatto economico e sociale che la presenza e l’azione della Cisl ha prodotto nei luoghi di lavoro e nel territorio lombardo. Il Diario del Lavoro ha chiesto a Ugo Duci, segretario generale della Cisl Lombardia, di spiegarci gli obiettivi dell’iniziativa, la prima del genere nel mondo sindacale.
Duci, qual è l’elemento di novità principale del vostro Impact report?
E’ semplice: 750mila persone, in Lombardia, hanno versato una quota alla Cisl affinché le tutelasse e si occupasse dei loro problemi. Alla fine di un anno, qual è il valore che il sindacato ha fatto ricadere sul territorio? Tre volte tanto. Per ogni euro, il ritorno è di tre euro. Credo che sia in questo l’aspetto innovativo dell’Impact Report: e cioè nel modo in cui, scientificamente, si valutano le prestazione del sindacato. Ma ovviamente non c’è solo un impatto economico. Dobbiamo pensare anche a tutti i servizi messi a disposizione della Cisl nel territorio, che aiutano lavoratori e cittadini.
C’e’ anche un effetto ‘’trasparenza’’, nel vostro Report?
La Cisl e’ un’organizzazione sostanzialmente privata, come del resto gli altri sindacati, dal momento che non è mai stata data attuazione all’articolo 39 della Costituzione. E tuttavia, è vincolata alla trasparenza, come del resto qualsiasi altro ente privato. Resta il fatto che il sindacato confederale è un’esperienza di rappresentanza e di tutela per milioni di lavoratori e pensionati, che deve quindi sempre mostrarsi in modo cristallino: per ciò che è, per il mondo in cui utilizza le risorse che gli derivano, prima di tutto, dagli iscritti, e poi dai rapporti di sussidiarietà e cooperazione che il sindacato intrattiene. Noi, come Cisl Lombardia, a partire dal congresso, abbiamo deciso di mettere tutto on line, con assoluta trasparenza, perché è giusto che le 750mila persone che mi hanno affidato pro tempore la loro rappresentanza sappiano chi è e come agisce il segretario generale e come opera l’intera organizzazione. La trasparenza, per noi, è dunque una cosa normale e necessaria.
C’è in questa vostra iniziativa anche la volontà di un rinnovo da parte del sindacato, per cambiare una  percezione che talvolta appare negativa e che porta ad un calo di fiducia verso “l’istituzione” sindacato?
Ci sono nella nostra società molte realtà di rappresentanza, penso sia al sindacato sia ai partiti politici, ma anche a altri organismi, che hanno perso la fiducia della collettività. Per vincere i pregiudizi e gli stereotipi occorre quindi dimostrare, fatti e dati alla mano, in che modo opera un’organizzazione. Con il bilancio sociale e l’Impact Report la Cisl Lombardia ha voluto fare proprio questo, misurando quale sia il nostro impatto, in termini economici e sociali, sulla collettività.
È la prima volta che il sindacato fa un’iniziativa di questo genere?
Se parliamo di semplice rendicontazione economica, un ente privato è obbligato a farla. Se invece parliamo di un bilancio sociale, ci riferiamo a qualcosa che solo da pochi anni è diventato oggetto di interesse. Inoltre, non c’è una regola che ci dice passo dopo passo come imbastire questo tipo di rendicontazione. Nel sindacato ci sono gia’ state delle lodevoli, anche se un po’ artigianali, iniziative volte a fare un bilancio sociale. Ma e’ senz’altro la prima volta che un’associazione di rappresentanza si fa misurare da un soggetto esterno, contando sulla professionalità e la competenza di un accademico riconosciuto a livello internazionale come il professor Marco Grumo dell’Università Cattolica, che si è basato su dei criteri europei impiegati per strutturare i bilanci sociali e di missione. È un po’ come se la Cisl Lombardia si fosse fatta fare un check up completo per valutare quale è il suo contributo economico e sociale.
Crede che l’iniziativa possa essere estesa ad altre strutture sindacali?
Tutta la Cisl si è data l’impegno di rendere obbligatorio il bilancio sociale, non solo in Lombardia. È un lavoro in progress, se si vuole fare un lavoro serio e preciso. Per stilare questo Impact Report della Cisl più grande d’Italia, ci sono voluti tre anni. L’esempio della Lombardia può divenire dunque un traino affinché tutte le altre Cisl adottino questo strumento.




Un italiano “reinventa” la plastica biodegradabile in acqua

Già nel 1954 a Ferrara, negli stabilimenti della Montecatini, un chimico italiano scoprì il polipropilene isotattico, noto come Moplen. Scoperta che valse a Giulio Natta il premio Nobel.
Sempre in Emilia Romagna, un’altra scoperta rivoluzionaria, il MINERV® PHA.
A Minerbio, in provincia di Bologna, città da sempre considerata la capitale del packaging.
Il merito della scoperta va a Marco Astorri e Guy Cicognani . Entrambi non sono nemmeno biochimici: il primo un grafico, il secondo un marketer con studi di chimica alle spalle poi abbandonati. Già soci di un azienda di microchip, decidono nel 2007 di dedicarsi ai biomateriali.
Invece di investire nella produzione di acido polilattico, decidono di scommettere su una scoperta del francese Maurice Lemoigne risalente al 1926, i polidrossialcanoati. All’epoca si scelse di cambiare rotta ed investire sul petrolio, di costo minore.
Con una parte dei loro risparmi decidono di acquistare un brevetto, messo a punto da un’università americana, che riguarda la produzione della plastica con il ricorso agli scarti della lavorazione del melasso (scarto della lavorazione dello zucchero) che, ad oggi, rappresenta un costo per il suo smaltimento poiché non viene più impiegato nei lieviti. Il melasso: da scarto a materia prima per una plastica realmente bio. All’acquisto di questo brevetto ne aggiungono una serie di altri sparsi nel mondo e, nell’arco di un anno, sono vicini alla realizzazione della molecola descritta da Lemoigne : il PHA.
Il progetto, ideato e sviluppato dalla società di ricerca bolognese BIO-ON attraverso le risorse logistiche, tecniche e finanziarie di COPROB è di avanguardia innovativa: i biopolimeri PHAs (polihydroxyalkanoato) nascono dai derivati della lavorazione delle barbabietole e della canna da zucchero e non da olii o amido di cereali, come gran parte dei biopolimeri attualmente in commercio.
I polimeri esistenti finora possono sciogliersi in acqua diventando invisibili all’occhio umano ma restano presenti nella soluzione acquosa con la loro struttura macromolecolare (molecola a lunga catena): la solubilizzazione.
Altra cosa è il fenomeno degradativo che viene promosso dall’intervento di microorganismi (batteri, funghi, alghe) e che può essere correttamente definito biodegradazione.
Sono infatti alcuni ceppi batterici a compiere il miracoloin condizioni naturali si nutrono di un certo substrato e creano una riserva di energia all’interno del proprio corpo. Questa riserva di energia è polidrossialcanoato, plastica a tutti gli effetti .
Nel 2008 il progetto è stato certificato Ok Biodegradabile Water dall’ente certificatore internazionale Vinçotte (Belgio) che ha attestato la completa biodegradabilità in acqua e a temperatura ambiente, ponendo MINERV® PHA al primo posto tra le bio plastiche sperimentali esistenti.
Il grosso del lavoro lo fanno dunque i batteri, Astorri e Cicognani hanno individuato i tempi da rispettare per nutrirli il più velocemente possibile e, attraverso il vapore estraggono la plastica dai batteri . Dopo l’estrazione la plastica viene scissa dalla membrana cellulare e il residuo viene rimesso in circolo per il nutrimento dei batteri. Zero scorie.
Il polimero estratto viene essiccato e la polvere ricavata viene estrusa in pellet plastici come per il normale poliestere.
I polidrossialcanoati, a differenza di tutti gli altri biopolimeri conosciuti, rappresentano una famiglia vastissima e quindi tantissime opportunità. Possono replicare con innumerevoli gradi di caratterizzazione diverse le prestazioni del polipropilene, polietilene, polistirene, HDPE, LDPE, ecc. Ma oltre ad essere utilizzabili per tutte le principali caratterizzazioni che riguardano gli oggetti in plastica di uso quotidiano presentano prestazioni tali da consentire modalità d’uso oggi ancora non perlustrate, o scoperte, dalle plastiche tradizionali. Possono, per esempio, essere accoppiati benissimo con la carta e stampati senza nessun pre-trattamento. Inoltre, in quanto come prodotto sono considerati un metabolita umano, i polidrossialcanoati si prestano ad essere utilizzati anche per realizzare degli stent cardiaci o qualsiasi altro tipo di protesi nonché come base per l’accrescimento delle cellule staminali. È un prodotto completamente naturale. Se dal punto di vista fisico si presenta come un comune pezzo di plastica, dal punto di vista della struttura si lega invece benissimo con quella che può essere la struttura dell’uomo, senza nessun tipo di problemi di rigetto”.
La bioplastica sostituirà la plastica che conosciamo in molti settori, tra i quali quello delle costruzioni per esempio.
Salvo che non si tratti di plastiche particolarissime – aggiunge Astorri – avremo l’opportunità di sostituire un elemento che oggi rappresenta un problema nel momento in cui io devo andare a riciclare con qualcosa che è amico dell’ambiente”.
” Lo stabilimento attuale (circa 600 mq), ad oggi il più grande al mondo. Una struttura di imminente costruzione avrà una capacità produttiva estendibile sino 10.000 tonnellate all’anno”. Il tutto resterà a Minerbio dove le barbabietole arrivano da stabilimenti vicini.
Oltre al progetto della barbabietola, hanno messo a punto un nuovo progetto con la canna da zucchero, per il quale hanno già ricevuto la certificazione. Lo zucchero è un mercato gigantesco e riguarda tutto il Sud del mondo (Brasile, Sud Africa, Australia, India) : si arriverebbe ad impiegare ciò che di fatto oggi viene buttato.
Il prodotto MINERV® PHA accentua il suo fattore di biodegradabilità in acqua batteriologicamente non pura ( per es. fiumi). In 40 giorni MINERV-PHA si trasforma in acqua di fiume oppure in acqua di mare. Questo tipo di biodegradazione dei polimeri rappresenta il “futuro” della biodegradabilità mondiale oltre ad essere a bassissimo costo.
La biodegradabilità in acqua risulta molto più vantaggiosa rispetto al compost, quindi biodegradabilità nel terreno.
L’estrema biocompatibilità del prodotto unita alle ottime caratteristiche del polimero -resistenza, flessibilità, stampabilità- ne fanno un prodotto di altissima qualità. Più di 100 differenti monomeri possono essere uniti da questa famiglia per dare vita a materiali con proprietà estremamente differenti. Possono essere creati materiali termoplastici o elastomerici, con il punto di fusione che varia da 40 a 180°C. MINERV® PHA è un bio polimero PHAs ad elevata prestazione. è possibile soddisfare esigenze produttive da -10°C a +180°C. Il prodotto è particolarmente indicato per la produzione di oggetti attraverso metodi di produzione ad iniezione o estrusione. Sostituisce inoltre prodotti altamente inquinanti come PET, PP, PE, HDPE, LDPE
Bio-on intende operare nella produzione e distribuzione del mondo agro alimentare, nel settore del design e dell’abbigliamento fornendo loro la tecnologia necessaria alla produzione e/o utilizzazione dei PHAs .
Grandi gruppi industriali e investitori hanno avanzato numerose proposte ma i due soci hanno deciso di diffondere il più possibile questo prodotto, non permetteranno che sia sfruttato soltanto da pochi gruppi. Per questo Bio-On venderà licenze e impianti chiavi in mano.
L’ architetto Enrico Iascone, ha disegnato l’impianto . La produzione avrà inizio nel 2013 comincerà a produrre nel 2013. Entro il 2017 intendono costruire altri 7 impianti in Europa ma puntano anche al Sudamerica, Usa e Medioriente.
«Le potenzialità sono enormi – dice Astorri – Forse stiamo trattando qualcosa che è più grande di noi, ma è emozionante e ci crediamo. Il nostro modello di business, basato sulla licenza della tecnologia produttiva e sullo sviluppo esclusivo dei vari gradi di bio polimero PHAs si unisce alla competenza di un grande gruppo globale come TECHINT E&C. In questo modo – spiega Marco Astorri, amministratore delegato di Bio-on – possiamo mettere a disposizione, in tutto il mondo, una tecnologia rivoluzionaria per la produzione dei bio polimeri PHAs, bio plastica estremamente performante e completamente bio degradabile in suolo e acqua».
Astorri e Cicognani non sono stati i primi in assoluto. Catia Bastioli e la Novamont produconoMaterBi (plastica a base di amido di mais) dal 1990 : alle prossime Olimpiadi di Londra i piatti, i bicchieri e le posate, decine di milioni di pezzi, saranno di bioplastica italiana.
Essendo però fatto di mais, che è un alimento, la produzione di MaterBi comporta un aumento del prezzo della materia prima e, come già evidenziato dall’utilizzo dei biocarburanti, ciò non è privo di complicanze.
Siamo sulla strada giusta e in più la Bio-on costituisce una innovazione anche come start-up: niente finanziamenti pubblici o da istituti di credito. La cooperativa agricola emiliana CoProB produce il 50 per cento dello zucchero italiano e il melasso che è lo scarto. Una fabbrica a km 0 i cui titolari saranno gli stessi contadini emiliani.
Il MinervPHA ha fatto il suo debutto ufficiale al Salone del Mobile ma Astorri è fiducioso che nel giro di poco tempo lo ritroveremo negli occhiali da sole italiani, nei pc californiani, nei televisori coreani e in tutti i packaging.
La Bio-on attualmente collabora con aziende di tutto il mondo.




L'azienda che ha abolito gli orari di lavoro: il successo con l'auto-organizzazione dei dipendenti

In un piccolo paese vicino a Pordenone, la Graphistudio confeziona album fotografici per i matrimoni. Duecento dipendenti, settanta su cento donne, niente sindacati. I team rispettano le scadenze, la vita personale funziona meglio e il prodotto spopola nel mondo.


Per i creativi iperconnessi ormai è vita quotidiana, ma per gli addetti di un’azienda manifatturiera non avere orari fissi di lavoro è una vera novità. Alla Graphistudio di Arba, piccolo paese in provincia di Pordenone, è una novità che esiste dagli anni Novanta e che oggi è ben rodata. Duecento dipendenti, il 70 per cento sono donne, unica sede produttiva con alcune sedi commerciali all’estero, la Graphistudio produce album per matrimoni e ritratti: è un servizio ai fotografi di tutto il mondo, che mandano i loro file e ricevono un libro fotografico, ben confezionato, da consegnare ai protagonisti degli scatti.
Detta così sembra semplice, ma il lavoro è un mix di sapienza artigiana, design di qualità e parecchia innovazione tecnologica. Alla quale si è affiancata negli anni l’innovazione dell’organizzazione aziendale, e la mancanza di orari fissi per i dipendenti, che praticamente si autogestiscono, lo testimonia.
Sono soprattutto giovani e donne, persone per le quali poter organizzare il proprio tempo è importante per fare figli, accudire anziani, ma anche per favorire la crescita personale. E professionale. “Lavoravo e questa cosa dell’orario, del cartellino, della sirena che suona, mi ha sempre dato fastidio, è qualcosa che ti limita, sono catene. Quando ho fatto il mio percorso ho voluto farlo diverso”: il presidente e fondatore Tullio Tramontina va dritto al cuore. “Non c’è stato un calcolo, è stato casuale: è partito tutto da lì, da quel fastidio. Se lavori libero, lavori meglio e dai di più. E si lavora più in team, gli obiettivi sono di tutti”.
L’unico comparto soggetto a orari prestabiliti è, per forza di cose, quello amministrativo: gli interlocutori sono gli sportelli di banche e uffici esterni. Per il resto, si rispettano i tempi di consegna basandosi sull’auto-organizzazione dei dipendenti, c’è la responsabilità verso l’azienda ma pure quella nei confronti dei colleghi. I sindacati? Inesistenti. La flessibilità è negli orari e, quando serve, delle mansioni: “Ognuno fa il proprio, ma si sposta facilmente di ruolo, anche perché cambiano i prodotti. Certe cose non si fanno più, se ne fanno delle altre, e le persone si muovono con estrema facilità”.
L'azienda che ha abolito gli orari di lavoro: il successo con l'auto-organizzazione dei dipendenti

Un modello ideale che si è fatto pratica, e incredibilmente funziona. Come testimonia Tramontina, pure sul mercato: “Copiare i modelli, come dire, militari, delle vecchie aziende non sarebbe stato un passo avanti. Anzi, quelle le vedi morire. Con lo spirito creativo che c’è qui tutti si sentono liberi, anche di inventare, di creare, di proporre idee, me le ritrovo sul tavolo tutti i giorni. Questo sistema è ancora più importante che in passato. Perché oggi devi veramente combattere con le competenze. Con il saper fare. Con il Made in Italy”.