La Ragazza che conquista l’Europa

Fino a tre anni fa era solo un’utente molto attiva di Yelp, sito americano di recensioni collettive. Oggi Miriam Warren guida da Londra l’espansione in Europa della società, che fa affari segnalando pregi e difetti delle attività locali.
Se c’è un indirizzo, lo puoi trovare su Yelp.
C’è un’azienda californiana, la classica start up della Silicon Valley, nata in un garage per iniziativa di due giovani intraprendenti, che imbrocca l’idea giusta, capace di attrarre l’attenzione di centinaia di migliaia di persone su Internet. L’idea è quella di far recensire dagli utenti, sul sito, non solo alberghi e ristoranti, come fa ad esempio Tripadvisor, ma anche molte altre attività, dai negozi ai bar, dai parrucchieri alle estetiste, dai dottori agli avvocati; a tutte queste imprese viene data la possibilità di segnalare le proprie offerte, come fanno Groupon, Jumpin e gli altri siti di social shopping.
E c’è una ragazza californiana, con molto tempo libero a disposizione, che si mette a recensire centinaia di negozi e servizi dell’area di San Francisco; tutte recensioni ben scritte e documentate, che catturano l’interesse non solo degli altri utenti, ma anche dei manager della società. “Una così non dobbiamo lasciarcela sfuggire”, si dicono. Così la convocano nella loro sede – che nel frattempo non è più un garage, ma un grande palazzo di San Francisco – e le offrono un lavoro.
La società si chiama Yelp ed è stata fondata nel 2004 da Jeremy Stoppelman e Russel Simmons, due ingegneri informatici di PayPal. ‘Incubata’ da Mrl Ventures, nel giro di quattro anni cresce tanto da attirare l’attenzione di Google, che nel 2009 offre 500 milioni di dollari per comprarla. L’anno dopo Microsoft mette sul piatto 700 milioni. Finora però i due fondatori hanno resistito alle lusinghe e respinto le proposte d’acquisto. Ora puntano sulla quotazione in Borsa, convinti di poter crescere ancora con le proprie forze e con il sostegno del mercato. Il 17 novembre la società ha avviato la procedura presso la Sec (l’equivalente americano della nostra Consob) per l’offerta pubblica di acquisto. Tra gli advisor, Goldman Sachs, Citigroup, Jefferies & Company, Allen & Company e Oppenheimer, cioè alcuni dei nomi più noti della finanza e della consulenza americane. Nel frattempo Yelp ha raccolto giudizi lusinghieri, come quello di Steve Jobs: su YouTube c’è un video che mostra il mitico fondatore della Apple dichiarare: “Quando la gente vuole trovare un posto per mangiare, guarda su Yelp”.
La ragazza, invece, si chiama Miriam Warren. Ha partecipato alla sua prima start up a 14 anni, mentre frequentava le scuole superiori all’A-Tech (Advanced Technologies Academy) di Las Vegas. Laureatasi in antropologia al Mills College di Oakland (California), ha lavorato prima nell’executive search e poi in McKesson, multinazionale americana della salute. Nel 2007 entra in Yelp: è la prima community manager dell’area di Washington Dc, poi diventa responsabile dei team dei community manager, i giovani che mantengono vivo il dialogo tra i frequentatori del sito, della East Coast.
La caratteristica che distingue Yelp dalle altre iniziative del genere è la capacità di creare una vera comunità di utenti intorno al sito, gente che si ritrova tutti i giorni on line per vedere cosa hanno scritto gli amici e mettere i propri commenti, ma che si incontra anche nella vita reale, organizza incontri, feste, giornate di shopping. È questa la vera forza di Yelp, che oggi può contare su oltre 22 milioni di recensioni: gli utenti scrivono, raccontano le loro esperienze e valutano negozi e servizi attribuendo loro delle stelle, come quelle degli hotel.
Dagli Stati Uniti Yelp è dilagata nel resto del mondo. Questo genere di attività, basato su una piattaforma informatica e sulla collaborazione degli utenti, sembra fatto apposta per espandersi a macchia d’olio, come del resto confermano tutti i social network, da Facebook in giù. Miriam Warren ora guida da Londra l’espansione della società nei Paesi europei. In Italia Yelp è partito in settembre e Miriam è venuta nel nostro Paese per il taglio del nastro. In quella occasione le abbiamo posto alcune domande sul suo lavoro e sul business di Yelp.
Prima – Quali sono le vostre fonti di ricavo?
Miriam Warren – Yelp fa soldi attraverso la pubblicità. La fonte principale di ricavi è la pubblicità locale. Gli imprenditori possono pagare a Yelp una commissione mensile per promuovere i loro beni e servizi. Otteniamo ricavi anche facendo pubblicità ai brand, tramite i banner che si vedono sul sito. Attualmente Yelp è a pagamento per gli operatori solo negli Stati Uniti; in Europa il business è ancora troppo giovane.
Prima – Quali sono stati i risultati nel 2010 e quali sono le previsioni per quest’anno?
M. Warren – Nel 2010 siamo partiti in quattro Paesi: Francia, Germania, Austria e Olanda. È stato un anno importante per Yelp in Europa, dal momento che queste nazioni rappresentano il nostro debutto in mercati diversi da quello anglosassone. La comunità degli ‘yelper’ a Parigi, Monaco, Vienna, Berlino e Amsterdam sta crescendo rapidamente e ci sono tutti i motivi per credere che questo trend continuerà anche nei prossimi mesi. Quest’anno siamo partiti in Spagna, a maggio, e siamo felici di aver debuttato in Italia a settembre. Inoltre continuiamo ad aggiungere città nelle nove nazioni in cui Yelp è già presente. In questo momento di crisi economica per noi è una sfida diventare ancora più competitivi, perché i consumatori ci pensano bene prima di fare qualsiasi acquisto; Yelp può dare una mano per cercare la qualità, l’affidabilità e il valore prima di spendere denaro. Il sito inoltre è un eccellente strumento per le imprese che vogliono segnalare le proprie offerte ai consumatori.
Prima – Aprirete una sede in Italia?
M. Warren –
Attualmente Yelp ha uffici a San Francisco, Scottsdale (Arizona) e New York. Abbiamo anche un piccolo ufficio marketing a Londra. Ma la maggioranza dei nostri addetti al marketing lavora da casa, via computer. I nostri community manager di Milano e Roma lavorano da Internet cafè, scuole, biblioteche, parcheggi e ogni altro luogo da cui si può accedere a Internet. Consideriamo i nostri community manager il volto e la voce di Yelp. Così diventano i nostri ambasciatori nelle varie città. Intendiamo diventare la più grande guida locale per il pubblico di Milano e Roma. Prima – Chi guida l’attività in Italia? M. Warren – Come negli altri Paesi europei, seguo direttamente io il business da Londra, anche come country manager per l’Italia. Prima – Avete qualche obiettivo particolare per il nostro Paese? M. Warren – Visto che i consigli locali sono molto utili anche per i turisti, ci aspettiamo che Yelp diventi una fantastica risorsa per il turismo italiano.
Prima – Quali sono i vostri punti di forza?
M. Warren – La profondità e l’ampio respiro dei contenuti. Yelp è uno strumento sociale di ricerca. Il sito cerca di incuriosire gli utenti mostrando tutte le attività più interessanti e insolite che ci sono nei dintorni. Ed è anche uno strumento per diffondere notizie su eventi e spettacoli. Nell’ultimo mese abbiamo avuto cinque milioni di accessi attraverso telefoni cellulari, e più di un terzo di tutte le ricerche sono fatte tramite apparecchi mobili. Quindi è uno strumento molto utile per prendere decisioni mentre si è in movimento.
Prima – Che differenza c’è tra Yelp e Tripadvisor, il noto sito di recensioni di hotel e ristoranti?
M. Warren – Yelp si occupa di tutte le attività locali, non solo di quelle turistiche. Circa il 25% dei 22 milioni di recensioni su Yelp riguardano ristoranti. Ma la maggioranza del sito è fatta di recensioni di tutt’altro genere: si parla di negozi, dentisti, dottori, palestre, eccetera. Yelp è veramente una guida locale per ogni esigenza della tua vita. Il nostro motto è: se ha un indirizzo, lo puoi trovare su Yelp.
Prima – A proposito di business, ho visto che oltre alle recensioni, Yelp propone anche delle offerte speciali, i daily deals, simili alle offerte di Jumpin, Groupon e Facebook: cosa sono esattamente e cosa rappresentano per Yelp?
M. Warren – Il mese scorso 63 milioni di persone hanno visitato Yelp per decidere dove spendere i loro soldi. Questo rende il sito un posto ideale per gli imprenditori che vogliono fare delle offerte speciali sui loro prodotti e servizi e farsi conoscere a nuovi potenziali clienti. Le imprese possono segnalare le offerte anche via e-mail. Incoraggiamo gli imprenditori a proporre offerte economicamente sostenibili nel medio e lungo termine. Il nostro rapporto con gli inserzionisti vuole essere di lunga durata.
Prima – Può raccontarci la sua storia? Come è arrivata a diventare una professionista delle recensioni?
M. Warren – Sono nata in Germania da madre tedesca e padre filippino e sono cresciuta a Las Vegas. Ho studiato antropologia in un’università della West Coast, discutendo una tesi sulla formazione dell’identità etnica nella mescolanza di razze filippino americane. Ho cominciato la mia carriera professionale come selezionatrice di personale in una società specializzata. Poi ho lavorato nel campo dell’executive search, esperienza che mi serve molto ora che debbo cercare talenti in tutta Europa. Infine ho lavorato in una multinazionale della sanità, la McKesson. Sono arrivata a Yelp quasi per caso. Ho cominciato a scrivere recensioni per Yelp a San Francisco e il sito è diventato rapidamente parte della mia vita, tanto che nel 2007 mi sono trasferita a Washington per diventare la prima community manager della capitale.
Prima – Ma perché ha cominciato a scrivere queste recensioni?
M. Warren – Gli amici mi chiedevano sempre consigli su dove portare la fidanzata a cena o dove comprare scarpe al prezzo più conveniente. Ho scritto più di mille recensioni e ho scoperto che anche alcune persone in Yelp si affidavano ai miei consigli. L’ho scoperto quando mi hanno chiamato per offrirmi un lavoro.


Ora i marchi si fanno il loro tiggì

Airbnb inaugura il bollettino delle buone notizie. Bormioli Rocco si racconta con le ricette.
News senza brand, il consumatore è immerso nelle loro storie

Non è solo sulle iniziative social che si gioca la partita della creatività e dell’audience tra i grandi marchi. Perché c’è chi, come il colosso online degli affitti tra privati AIRBNB, è arrivato a confezionarsi addirittura un telegiornale di buone notizie e diffonderlo su YouTube per creare intrattenimento intorno al brand.
La società dell’ospitalità in casa d’altri, che ha anche un magazine cartaceo, “Pineapple”, ha arruolato un ex mezzobusto della BBC, il giornalista Peter Sissons, organizzando uno studio simile a quello dei grandi notiziari, con il brand Airbnb visibile a inizio trasmissione, e poi ha lanciato una serie di programmi brevi  di 6 minuti e 30 secondi in tutto, dedicati a tre buone notizie raccontate con lo stile da tg di prima serata.
A orchestrare quello che – tradotto in italiano – è il “bollettino quotidiano della gentilezza”, è stata TBWA/Chiat/Day, l’agenzia online che si definisce una “disruption company”, di rottura, insomma. E la trasmissione, che viaggia nel solco della campagna di Airbnb “Is mankind” (“è l’umanità”), apre un canale di comunicazione alternativo per il sito che vuole sottolineare la normalità di viaggiare ni casa altrui e la gentilezza del mondo. “L’idea della news è molto nuova, qui il consumatore è immerso nel contenuto”, spiega Margherita Pagani, professore associato di digital marketing alla Emilton Business School (Francia) e alla Bocconi di Milano. “Penso alla differenza con il classico engagement, di tipo social: questo è un coinvolgimento di tipo ‘personale’ che va dritto al punto non per fare pubblicità ma incollare lo spettatore al racconto”:
Il Daily kindness bulettin”vuole raccontare argomenti felici, che non fanno notizia”, dice il conduttore a inizio trasmissione. E la frase non potrebbe essere più azzeccata viste le poche migliaia di like contro gli oltre 2 milioni di contatti della campagna del marchio Is Mankind. Ma la novità è che tra le storie a lieto fine del tiggì, il marchio Airbnb resta in disparte, un po’ come gli sponsor dei telefilm o delle partite di calcio a inizio trasmissione: “in questo modo diventa ancora più parte del racconto, diventa ancora più familiare”, aggiunge Pagani. “Gli studi effettuati fino ad oggi nel progetto di ricerca sulla Brand Love di Bocconi mostrano la tendenza delle aziende ad essere social, ma anche a definire contatti diretti. Qui l’azienda fa leva sulle notizie felici anche se poi l’ambito è molto più ampio, perché il business riguarda l’ospitalità. Il massimo è combinare i due aspetti: social e personal”.
Che per i marchi sia fondamentale lavorare intorno ai “pilastri” valoriali oltre che sul prodotto lo sottolinea anche Alberto Guglianda, ceo di TG Adv che per l’italiana Bormioli Rocco ha chiamato, fra gli altri, un’ex comparsa di un tiggì, seppure satirico, come Maddalena Corvaglia. L’idea è di raccontare ricette e promuovere esperienze intorno al best seller, ovvero i vasetti per le conserve. Quattro stagioni, protagonisti di un progetto di riposizionamento che coinvolge 11 testate digitali, celebrità e blogger, in collaborazione con l’agenzia Personal Media.
“Per noi si tratta di un evento  nell’evento, visti anche i touch point a Expo Milano”, spiega il capo di Tg Adv. “Quello digitale è un ambiente che permette di lavorare sulla quotidianità. In questo progetto le caratteristiche intrinseche del brand si sposano con quelle del personaggio. Nel caso della Corvaglia, ad esempio, trattasi di una donna che ha poco tempo, mamma, e che non è una cuoca esperta”. Su ButtaLaPasta.it e Youtube i video raccontano tutto questo insieme ai prodotti e alle ricette: dalla marmellata artigianale, all’aperitivo in casa, fino alla colazione della domenica in famiglia.
L’iniziativa di Airbnb? “Anche qui si vuole sottolineare un topic principale, la felicità”, commenta Gugliada. “In se non è un vero Tg, ma si raccontano le notizie attraverso un pilastro del brand. Più che un format per un nuovo posizionamento, l’obiettivo è di far parlare di se. Nel mondo dell’ospitalità stanno arrivando tanti competitor. Il marchio esce dal concetto funzionale per entrare in quello relazionale”:
Se il tg Airbnb arriverà in Italia è presto per dirlo. La società, che ha nella Penisola il suo terzo mercato ed è celebre per l’immediatezza delle risposte alle prenotazioni, non ha rilasciato dichiarazioni in merito.


NEGOZIO LEGGERO: LA SPESA CHE NON PESA

Si arriva muniti del proprio barattolo del caffè o del vuoto del detersivo per i piatti da Negozio Leggero. Se ve lo siete dimenticati però, c’è sempre la possibilità di acquistare a pochi centesimi un contenitore, che poi ovviamente riutilizzerete le volte successive. Da Negozio Leggero non troverete né scatole di cartone né involucri di plastica dai colori ammalianti e dalla forma accattivante.

Come dice il nome, Negozio Leggero, prevede di farvi tornare a casa con tutto ciò di cui avete bisogno per preparare ottime cene, per pulire la casa e per curare il corpo, senza appesantirvi dell’inutile imballaggio che, appena finito di consumare il prodotto, rimane lì, inerte, ad accumularsi insieme al resto della spazzatura.

Da Negozio Leggero la pasta, così come i legumi, è sfusa, contenuta all’interno di profonde vaschette circolari e acquistabile a peso. Il caffè viene macinato sul posto. I detersivi per la casa vengono erogati alla spina da piccole taniche, mentre i cosmetici sono ridotti a capsule da reinserire dentro le proprie mini trousse. Tutto è a vista, ogni prodotto con i propri colori e forme.

Qualche nonna – la mia è tra quelle! – non ci troverà nulla di strano in questa modalità di vendita e di consumo: fino a cinquant’anni fa così si acquistava in qualsivoglia drogheria. Molte di quelle nonne tornano ora entusiaste, ma insieme con loro non mancano le giovani madri, piuttosto che gli universitari che abitano nel quartiere.
Siamo a Torino, in una zona popolare del centro. Sono pochi i mini-market ancora attivi. Apre i battenti qui Negozio Leggero, in via Napione 37. Non soltanto una nuova attività commerciale, ma un modo per riattivare il concetto di negozio di prossimità, attraverso la diffusione di una nuova (specie per i più giovani) filosofia di consumo.
L’idea nasce circa un anno fa all’interno dell’ente di ricerca scientifica e ambientale Ecologos, impegnato da tempo a promuovere progetti in grado di sostenere comportamenti responsabili, il cui approccio può essere sintetizzato nel tentativo di non cercare di trovare soluzioni in coda al problema ma analizzare il processo che lo genera e risolverlo alla fonte. Quando il problema da affrontare è la riduzione dei rifiuti da imballaggio, la vendita sfusa può essere un’ottima soluzione, perché eliminando l’inutile confezione con cui si porta a casa il contenuto, possiamo risparmiare l’energia, l’acqua e le emissioni di CO2 che servono per produrlo.
Su queste basi, sono nati il progetto “Detersivi self-service” – al momento presente in Piemonte, Lazio e Umbria in alcuni supermercati della grande distribuzione – “Fontana leggera” – che prevede un’erogazione di acqua frizzante dalle fontanelle comunali – e, infine, Negozio Leggero, per la cui realizzazione Ecologos collabora con la cooperativa Rinova.
Negozio Leggero rappresenta un momento di verifica dell’effettivo cambiamento di mentalità da parte della gente. Il supermercato, luogo di passaggio e di grande affluenza, è un ambiente difficile dove capire l’incidenza di un progetto su un dato comportamento, mentre il negozio di prossimità, dedicato a promuovere esclusivamente un dato tipo di acquisto è maggiormente esposto al giudizio e alla sensibilità delle persone”. A raccontarci i retroscena del progetto è Lidia Signori, ricercatrice presso Ecologos. Ci conferma il successo dell’iniziativa e senza celare una meritata soddisfazione ci parla anche dell’idea di trasformare questo primo negozio sperimentale in un franchising da diffondere in tutta Italia. Un business che porta con sé una visione: “Per noi Negozio leggero è innanzitutto un progetto culturale che intende promuovere un modo di consumare diverso, più consapevole e responsabile. Qui i prodotti vengono selezionati sulla base di produzioni a km 0, senza prescindere da varietà e scelta, e desideriamo che le persone presenti in negozio siano preparate sui prodotti che vengono venduti, sappiano raccontarne la provenienza e le caratteristiche, stimolando anche la curiosità e l’attenzione di chi si ferma per comprare. Ci piace che il negozio non sia fai-da-te ma che il fatto di essere serviti sia anche occasione per saperne di più“.
Un negozio che oltre alla conoscenza del prodotto non dimentica neanche la questione prezzo. Dove la qualità dell’offerta infatti è pari, se non superiore, a qualsiasi altro mini-market o bio-shop, il salto dell’imballaggio nella filiera produttiva garantisce anche un risparmio economico non marginale per chiunque scelga Negozio leggero. Si va dal 30 al 50% di spesa in meno.
Negozio, leggero per le braccia ma anche per le tasche, dunque.


Il tuo piano marketing è inadeguato per 5 ragioni

Scopri le 5 ragioni per cui devi necessariamente cambiare Il tuo piano marketing

#1 Il paziente non è più quello di prima
Patient access: potenza del consumatore, quando il consumatore si informa su internet.
La trasformazione del paziente è in atto ed è strettamente correlata al nuovo stile del consumatore.
Come preconizzava Giampaolo Fabris, il consumatore – inteso come colui che consuma il bene acquisito – non esiste più. I beni materiali, oggi, non si comprano perché quelli precedenti sono finiti o consumati. Si compra, invece, per altri bisogni: dalla necessità di essere o sentirsi integrati in un gruppo, a quella di soddisfare bisogni più ingenui o profondi.
Soprattutto ad essere cambiato è il nostro modo di acquistare servizi. Nel corso di un paio di generazioni, infatti, si sono sviluppate modalità di scelta decisamente meno passive, dalla scelta di servizi assicurativi e bancaria, ma anche per la scelta di un viaggio.
Il benessere ha trasformato i bisogni, tanto da attestare la cultura dell’essere sempre nelle migliori condizioni.
Il paziente è informato, vuole partecipare alla diagnosi, vuole spiegazioni e pretende attenzioni in quanto persona.
In pratica, le compresse non bastano più, come puoi leggere nell’articolo: Radical changes needed in pharmaceutical industry to improve patient outcomes, says KPMG.
Il passaggio di market access che poco fa sembrava innovativo si è dimostrato in breve vecchio, orientato al prodotto. Non è l’accesso al mercato ad essere il focus principale della azienda, ma l’accesso al paziente. L’obiettivo principale è che il paziente abbia accesso alle informazioni che gli consentano di scegliere, oggettivamente, la proposta di cura dell’azienda.
Chiunque abbia scritto un marketing plan che includa progetti di accesso al mercato li deve rivedere.
Un piano di successo deve essere orientato al paziente. Il paziente non consuma farmaci, sceglie consapevolmente. Per questo un buon marketing plan deve prevedere la relazione.
#2 Il medico non è più quello di prima
L’azienda che parla di difficoltà a raggiungere il medico e di diminuzione della durata della visita media perde di vista le cause più profonde che hanno portato le aziende ad uno iato nei confronti del medico.
Le aziende hanno sempre parlato al medico e non parlato con il medico, hanno richiesto ed imposto agli ISF di presentare i prodotti in base alle caratteristiche in termini di vantaggi-benefici. Un po’ come a dire: “Il mio prodotto è più efficace e più tollerabile”. Una traduzione di “lava più bianco”.
Mantenendo la metafora del bucato, il medico penserebbe: “Se tutti lavano meglio e nessuno lava meglio a basse temperature o con meno acqua, a chi dovrei dare retta?”.
Meglio informarsi altrove. Il medico ascolta l’ISF, ci discute, ma magari pensa ad altro o – nella migliore delle ipotesi – ritiene chel’ISF stia esagerando.
Per convincerlo non bastano più gli studi clinici. Secondo le più recenti ricerche, il medico è influenzato da internet e dai colleghi.
In un piccolo esperimento, senza basi scientifiche condotto nella nostra rete, abbiamo riscontrato che solo adoperando mezzi ben noti e non certo nuovi del “paziente al centro” i risultati sono stati eccellenti.
Insegnare agli ISF a parlare con il medico e non al medico, però, richiede che i progetti di comunicazioni inseriti nei piani marketing siano rivisti. I visual di 16 pagine non lo permettono, e forse non lo permettono nemmeno visual di 8 pagine. La comunicazione deve passare da esperienze, che vanno presentate al medico come proposte vantaggiose per il paziente.
Qualunque piano marketing attuale che usi mezzi che non prevedano una modalità relazionale con il medico o che non includa servizi utili al paziente è destinato ad avere costi non proporzionali ai benefici.
Il piano marketing e quello vendite devono concentrarsi su una nuova leva, la più vecchia di tutti: il benessere del paziente. Probabilmente, oggi, il canale più semplice è l’insieme dei servizi che il medico può offrire al suo cliente.
#3 Le farmacie non sono più quelle di prima
La maggior parte dei progetti di marketing che ho modo di vedere sono incredibilmente privi di un riferimento reale alle farmacie.
Se è vero che queste sono in crisi e che hanno perso il 20% della marginalità, secondo un recente studio pubblicato in occasione di Cosmofarma, è anche vero che sono sempre più integrate nella filiera. Aiutarle a svolgere il proprio lavoro al banco di supporto, contatto, promozione e comunicazione è prezioso.
Qualunque patologia stiamo trattando – dal diabete alla aftosi secondaria, alla chemioterapia – il farmacista può offrire un contributo di valore.
Basta uscire dalla logica della logistica, della distribuzione e dello sconto. Non è facile, ma si può fare.
Quale ruolo attribuire alla farmacia non è facile da dire, le condizioni dei prodotti sono completamente diverse, ma noi in Merqurio abbiamo verificato – sulla base di esperienze concrete – l’importanza della formazione diretta in farmacia.
Il piano marketing che non includa le farmacie – ed i farmacisti stessi – nella comunicazione e promozione è carente e destinato a non ottenere il successo sperato.
Si può parlare agli operatori professionali ed al consumatore, senza passare dal farmacista, che di fatto è la cerniera tra le parti?
#4 il mercato non è più quello di prima
Il mercato del Merger and Acquisition (M&A) sta cambiamo completamente il perimetro delle aziende.
Questo mi sembra così evidente che penso si possa esemplificare con il caso Meda. Questa, comprando il gruppo Rottapharm|Madaus si trova ad avere un listino etico in parte raddoppiato o triplicato, con una linea solo farmacie e GDO che prima non aveva ed un baricentro spostato in Italia. Quindi Meda si trova davanti ad almeno tre sfide: massimizzazione dei risultati del listino ed eventuale cessione dei marchi sovrapposti; una nuova dinamica promozionale che passa per la TV, la carta stampata la vendita in farmacia con rete agenziale e prodotti da consumo per la GDO; infine ilbaricentro in un nuovo Paese, che comporta un sicuro spostamento del metacentro decisionale.
Tale esempio deve, però, interessare tutti i player degli stessi mercati, in quanto sono tutti influenzati dal cambiamento. Tutti i concorrenti – e tutti coloro che operano singolarmente o per linee di prodotti – saranno influenzati da questa acquisizione. In considerazione del fatto che il 2014 risulta l’anno con maggiori M&A nel settore farmaceutico e considerando l’impatto che ciò avrà nel settore,ogni piano marketing sarà assolutamente da rivedere. Per tutti e senza eccezioni.
Promuovere nel momento in cui gli altri disinvestono ha enormi vantaggi. Ma va fatto subito. Occorre trovare modelli di promozione che partano già dal mese prossimo ed al massimo della velocità. Solo così si possono conquistare nuove quote. Se il piano risulta vecchio e sarà adattato in ritardo sarà inutile.
Agire presto è meglio che agire bene. Rivedere i piani con chi è in grado di supportarti in azioni efficaci e tempestive – ab jetzt – farà la differenza.
#5 Gli strumenti di un piano marketing non sono più quelli di prima
Sono tutti d’accordo, almeno nel proprio animo, anche se nelle riunioni qualcuno prova a cantare fuori dal coro che le attività promozionali più efficaci siano gli ISF ed i congressi.
Ma, senza considerare se questa opinione sia vera o meno, in mancanza di questi mezzi/strumenti, cosa faccio? Per qualcuno esiste il nulla oltre l’informazione diretta degli ISF, quindi ci si può spingere addirittura fino al marketing diretto postale ed alle DEM online che puntano alla scheda tecnica.
Purtroppo non è così: la cassetta degli attrezzi del marketing si è espansa, si è evoluta, è cresciuta in quantità e modelli. Se non li conosci e non li sai adoperare sono problemi tuoi, in quanto i tuoi colleghi e soprattutto i tuoi competitor iniziano a saperlo fare ed a maneggiarli abbastanza bene.
Nell’ultimo anno abbiamo organizzato, con grande successo, diversi corsi di formazione per il management delle aziende farmaceutiche. Un grande successo “di pubblico e di critica”, poiché sono stati corsi pratici, improntati al cosa fare oggi.
Sono a volte amareggiato, sinceramente, nel sentire i manager delle aziende farmaceutiche che vengono da noi e che andando via dicono “non mi aspettavo di trovare tutto questo” oppure “non pensavo fosse possibile fare tutto questo”. Penso a quanto perdiamo in termini di efficacia solo per il fatto che manca la conoscenza dei mezzi.
Che solo l’8% dell’intero budget della comunicazione sia dedicato al digitale significa che il management non ha ancora un’idea chiara di quanto esso contenga. È digitale un sito internet di prodotto chiuso al pubblico, ma risulta inutile perché non visitato o non è aggiornato. È digitale una DEM che punta al PDF della scheda tecnica.
Il piano marketing va aggiornato con l’aiuto della nuova figura del Digital Manager,con l’aiuto di agenzie e società che innovano, propongono soluzioni e – soprattutto – che risolvono. Non chiedete solo case history, chiedete anche competenze singole e del team, chiedete esperienza, capacità, assett. Solo poche aziende hanno investito in assett e solo poche, quindi, hanno nel proprio interno il patrimonio necessario da condividere con il marketing farmaceutico dell’azienda farmaceutica.
Ora dovresti capire che il tuo piano marketing è vecchio anche se lo hai scritto sei mesi fa. Allora va riscritto. Ma ti do un consiglio. Non lo riscrivere ancora, continuerebbe a risultare vecchio. Prima parti dalle nuove basi e poi verifica se si possono adoperare modelli diversi, alternativi ed innovativi.
Con la giusta conoscenza il piano marketing verrà facilmente fuori e sarà nuovo ed efficace.


Csr: il 90% dei Ceo vuole integrare la sostenibilita'

Un’indagine condotta dal Coca Cola Enterprisesmostra che 9 Ceo su 10 ritengono che le aziende dovrebbero integrare obiettivi di sostenibilità nel loro business e che i leader del futuro sono molto determinati nel mettere in pratica obiettivi di Csr ben definiti.

L’INDAGINE – Si tratta di un sondaggio che ha coinvolto in tutto 150 Ceo, 150 studenti MBA o neolaureati europei. I risultati sono stati presentati al“Future for Sustainability Summit: Enhancing the Value of Business” di Londra. I DATI – Ebbene, il 90% dei leader di oggi e di domani sono convinti che un business di successo dovrebbe combinare obiettivi di profitto e obiettivi sociali, un mix che determina di fatto la sopravvivenza stessa del business, data la sua importanza per impiegati e clienti.
Il Ceo di Coca Cola, John F. Brock, ha commentato: “Le aziende che guardano in avanti si stanno già focalizzando su come bilanciare profitti e buoni propositi e c’è una crescente aspettativa nei confronti di queste azioni. I leader di oggi giocano un ruolo fondamentale nell’integrare questioni ambientali e sociali nelle decisioni strategiche, ma le generazioni future hanno persino ambizioni maggiori. E’ chiaro che tali questioni avranno un’importanza sempre crescente negli anni a venire”.

A CHE PUNTO SIAMO? – Secondo l’indagine, comunque, la maggior parte dei Ceo di oggi ritengono che la loro azienda è a buon punto nella costruzione della sua leadership ambientale. Peccato però che solo il 19% dei leader di domani invece creda sia così.

Se ci concentrassimo sul caso della Coca Cola poi avremmo parecchio da discutere. L’azienda sta tentando in tutti i modi – soprattutto attraverso il marketing – di porsi come azienda attenta alla salute del consumatore e all’ambiente.
Basti pensare alla presa di posizione contro l’obesità, al lancio di una bevanda con meno zuccheri e all’adozione del semaforo che ne segnala la presenza massiccia. Peccato che di salutare la Coca Cola abbia poco e che certe mosse profumino troppo di greenwashing. E’ il momento della svolta?


creatoridifuturo.it | Selected by Luca Poma | (1/1)