L'ETICA COME STRUMENTO DI PRESSIONE SULLE AZIENDE?

Intervista a Alessandra Viscovi, Direttore Generale del fondo di investimenti “Etica Sgr”

Direttore, Etica Sgr utilizza lo strumento dell’acquisto di azioni per “esercitare un controllo” sulle società partecipate, vigilare, esigere dei miglioramenti sotto il profilo dell’etica, e man mano “
stimolarle dall’interno” a diventare socialmente più responsabili. Una strategia che – andando al di la del primo impatto del vedere un banca etica come la Vostra compartecipare utili di società discusse sotto il profilo dell’impatto ambientale o degli standard etici – si sta rivelando invece assai intelligente e utile. Ci potrebbe il significato della parola “engagement” per Etica Sgr?

L’engagement rappresenta la forma più evoluta dell’investimento responsabile: presuppone un impegno costante e di lungo periodo da parte dell’investitore e una conoscenza approfondita della società partecipata. Il Soft engagement si sviluppa attraverso incontri periodici con le società di cui diventiamo azionisti, l’invio di comunicazioni su specifici temi o sulla politica di investimento responsabile dell’investitore e sulla condivisione di linee guida, relazioni o altro materiale di supporto. L’azionariato attivo (hard engagement) si realizza attraverso la partecipazione alle assemblee degli azionisti tramite l’esercizio del voto sui punti all’ordine del giorno, la lettura di interventi e la presentazione di mozioni finalizzate a ridurre l’impatto ambientale delle società delle quali siamo azionisti e migliorare concretamente i loro standard etici. Di fatto, è uno stimolo ad indirizzare le Società verso pratiche più attente alla sostenibilità.
Il Vostro intervento è costante od occasionale?
 
Assolutamente costante ed attento, perché ogni anno Etica Sgr partecipa alle assemblee delle aziende in cui investono i fondi del “Sistema Valori Responsabili” votando e intervenendo in modo coerente con quanto previsto nelle Linee Guida sull’Azionariato Attivo. Ma il contatto diretto con le imprese non si limita al momento assembleare: prosegue nel corso dell’anno in un’ottica relazionale di lungo periodo. Al fine di moltiplicare l’impatto positivo e condividere le migliori pratiche, molte delle iniziative di engagement sono svolte in collaborazione con network internazionali di investitori responsabili.

Qual è, a suo avviso, l’elemento cardine per costruire una finanza realmente responsabile?

 
Il dialogo con le aziende sicuramente è parte integrante del nostro approccio alla finanza responsabile: non cerchiamo lo “scontro”, vogliamo costruire relazioni, e sulla base di queste relazioni spiegare e far capire che possono esistere alti utili di esercizio anche rispettando l’etica e l’ambiente, anzi, che sul lungo periodo forse gli utili possono essere anche maggiori, se nel quadro di una gestione d’impresa socialmente responsabile. Noi crediamo che solo da una conoscenza approfondita e diretta delle aziende controllate si possa valutare efficacemente la reale sostenibilità del loro business e gli spazi di miglioramento. Siamo stati tra i primi a introdurre le pratiche dell’azionariato attivo in Italia, superando lo scetticismo iniziale della comunità finanziaria e ottenendo risultati concreti: quello che proponiamo alle imprese, come investitori responsabili, è infatti un approccio aziendale più lungimirante, che siamo convinti possa migliorare la sostenibilità economica di lungo periodo generando effetti positivi anche per tutti gli altri stakeholder


La rivoluzione digitale travolgerà le aziende farmaceutiche

Seppure in forte ritardo rispetto ad altri settori, da sempre più aperti al cambiamento, nel 2014 – finalmente – anche i dirigenti delle aziende farmaceutiche cominciano a dimostrare un deciso cambiamento del proprio sentiment nei confronti del digital. 

La rivoluzione digitale del settore farmaceutico non è una trovata del marketing, ma un processo in atto, supportato da un interessante studio: Impact of Digital Health on the Pharmaceutical Industry. Will Business Models be Reshaped by Digital Health?
La ricerca, basata sulle opinioni di oltre 50 dirigenti senior del pharma provenienti da tutto il mondo, mette in evidenza la dirompente carica di trasformazione della digitalizzazione.
Il dottor Thilo Kaltenbach, uno degli autori dello studio, ha dichiarato a eyeforpharma che: «Oggi la digitalizzazione rappresenta una nuova dinamica», mentre solo nel 2012 era ancora appannaggio esclusivo di pochi focus di alcuni product management particolarmente illuminati.
Lo studio, condotto nel 2013, ha rivelato un paradosso: l’industria farmaceutica si impegna in piani di crescita basati sull’innovazione tecnologica, ma senza considerare il digitale. Al momento del sondaggio, infatti, addirittura i due terzi delle aziende non avevano in atto alcuna strategia digitale.
Il dato più interessante è che, però, i dirigenti concordano che entro il 2020 il digitale avrà sviluppato nuovi interessanti segmenti di business nell’ambito del Pharma. Le aziende che sapranno cogliere l’occasione si ritroveranno un sensibile vantaggio nei confronti dei competitor di sempre.
Tra i vantaggi del digitale i più appetibile sono 3:
• aumentare la consapevolezza dei consumatori;
• stimolare il progresso tecnologico;
• ridurre i costi di assistenza.
In definitiva, tutti i partecipanti al sondaggio credono che il digitale rappresenterà un plus per l’intero settore sanitario. Il 27% degli intervistati ritiene che entro il 2020 l’impatto positivo sull’Healtcare sarà importante e addirittura il 73% dichiara che sarà determinante per il vantaggio competitivo delle proprie aziende.
Eppure – nel 2014 – il ritardo del Pharma appare, ancora, più ingiustificato se si pensa a quanto la tecnologia – evidente espressione della più attuale contemporaneità – sia indissolubilmente connessa al settore sanitario. Basteranno sei anni a colmare il gap? Finita la rivoluzione digitale il Gotha delle aziende farmaceutiche rimarrà inalterato?

Cosa ostacola il Multichannel
In primo luogo esistono ostacoli interni. Nella maggior parte delle aziende, infatti, i dirigenti hanno una formazione basata essenzialmente sulla vendita face-to-face, motivo per cui sono più disposti a puntare su canali tradizionale; mentre guardano ancora con sospetto il digitale, che al massimo è considerato come un sopporto alla strategia di marketing e non come uno strumento attualissimo e altamente modulabile.
Le aziende farmaceutiche, inoltre, temono che il multichannel possa farle incorrere in problemi di non conformità normativa. Per tale ragioni, quindi, diffidano di alcuni canali.
Lisa Druce, Senior Vice President di CircleScience, sostiene che: «L’ambiente esterno, ciò che appare sulla stampa, possa non essere particolarmente positivo». Tale paura, in pratica, non fa altro che incrementare la diffidenza già presente all’interno delle aziende farmaceutiche. «Penso – aggiunge la Druce – che ciò renda le aziende farmaceutiche più reticenti a intraprendere progetti multichannel su larga scala».
Infine, le metriche di misurazione del digital rappresentano un’ulteriore sfida per il multichannel.
I canali digitali non sono misurabili in termini di ROI (Return on Investment), tuttavia possono essere analizzati utilizzando molteplici parametri.
Il multichannel, in realtà, può essere misurato solo in base all’obiettivo finale del progetto. Per cui, ancora di più rispetto ai canali tradizionali, ogni campagna digitale deve essere valutata singolarmente, ma considerando che il raggiungimento di alcuni risultati sarà più evidente solo a lungo termine.

La soluzione
Per facilitare l’ingresso di modelli multichannel all’interno del settore farmaceutico, le aziende dovrebbero recrutare digital specialist, in modo da portare all’interno un know-how più attuale.
Dallo studio di eyeforpharma emerge con chiarezza che sia proprio la mancanza di personale qualificato ad ostacolare maggiormente il successo del MCM.
Solo la conoscenza delle nuove piattaforme, infatti, potrà riuscire a rimuovere i limiti tecnici e ad instaurare una nuova mentalità di squadra fondata sulla condivisione di informazioni e insegnamenti estesi a tutta l’azienda.
Prima di progettare una campagna di comunicazione, le aziende farmaceutiche dovrebbero analizzare – in primis – l’aggiornamento delle loro piattaforme tecniche e, immediatamente dopo, capire quali sono le esigenze specifiche e, soprattutto, gli obiettivi da raggiungere.
ll Multichannel Marketing rappresenta una risorsa essenziale solo se tutti i canali coinvolti sono adeguati agli obiettivi che si vogliono raggiungere. In alcuni casi, quindi, sarà funzionale modificare i secondi sulla base dei dati e di puntare sulla formazione in chiave digital di tutta la squadra.


LAMBORGHINI E L'AMBIENTE

La Casa del Toro ha ottenuto la certificazione CO2 neutrale grazie ad una serie di soluzioni “verdi”


Contrariamente a quello che si può immaginare analizzando la gamma delle supercar Lamborghini la Casa del Toro è una delle più attente all’ambiente. Il marchio emiliano ha infatti ottenuto nel 2015 la certificazione CO2 neutrale (prima azienda al mondo a raggiungere questo traguardo tramite il programma Carbon Neutrality di DNV GL: Det Norske Veritas Germanischer Lloyd, società specializzata nella classificazione, nella verifica e nei servizi per la gestione del rischi ambientali) e ha inaugurato oggi – alla presenza di Gian Luca Galletti (Ministro dell’Ambiente e della tutela del territorio e del Mare) – i nuovi impianti di trigenerazione e teleriscaldamento diSant’Agata Bolognese.

COS’È L’IMPIANTO DI TRIGENERAZIONE LAMBORGHINI?

Il nuovo impianto di trigenerazione Lamborghini si trova all’interno dello stabilimento di Sant’Agata Bolognese e permette di produrre energia elettrica, termica e frigorifera utilizzando gas naturale. Ha una potenza installata pari a 1,2 MW e consente di produrre ogni anno circa 9.800 MWh, una quota di energia che potrebbe soddisfare il fabbisogno annuale di tutte le abitazioni del comune emiliano. Il tutto con un risparmio di emissioni pari a circa 820 tonnellate all’anno di CO2, valore che salirà a 5.500 tonnellate quando si procederà con l’alimentazione a biogas, prevista entro il 2017.

COS’È L’IMPIANTO DI TELERISCALDAMENTO LAMBORGHINI?

L’impianto di teleriscaldamento Lamborghini – il primo mai realizzato da una Casa automobilistica italiana – consente la distribuzione di acqua calda, proveniente da una centrale di cogenerazione a biogassituata a circa sei chilometri dall’azienda, attraverso una rete di tubazioni interrate. Il tutto con un risparmio di emissioni pari a circa 1.800 tonnellate di CO2 ogni anno.

LAMBORGHINI E L’AMBIENTE: LE SOLUZIONI “VERDI”

Già in passato la Lamborghini ha mostrato di essere un’azienda molto attenta all’ambiente: nel 2010 ha realizzato un impianto fotovoltaico da 15.000 metri quadrati (tra i più grandi del settore industriale in Emilia Romagna, risparmio di quasi 1.000 tonnellate di CO2 all’anno) mentre risale al 2011 l’inaugurazione del Parco Lamborghini, dedicato all’iniziativa “Lamborghini per la biodiversità – Progetto di ricerca Foresta di Querce” (collegata ad uno studio sperimentale volto all’analisi delle relazioni tra le piante, la loro densità, il clima e la CO2 realizzato in collaborazione con il comune di Sant’Agata Bolognese e le Università di Bologna, Bolzano e Monaco di Baviera), che ha previsto la messa a dimora di oltre 10.000 giovani querce in un’area di circa sette ettari (70.000 m2).
Ma non è tutto. Nel 2012, infatti, è stato inaugurato il nuovo edificio dedicato allo sviluppo del prototipi e delle vetture pre serie: il primo industriale multipiano in Italia ad essere certificato in classe energetica A (così come il Centro Logistico del 2013 e il Training Center del 2014).

LAMBORGHINI E L’ECOLOGIA: LE CERTIFICAZIONI AMBIENTALI

Nel 2009 la Lamborghini è stata la prima (ed è ancora oggi l’unica) Casa automobilistica in Italia ad aver ottenuto la certificazione ambientale EMAS (regolamento ideato dall’Unione Europea per supportare le organizzazioni a valutare e migliorare la propria efficienza). Pochi mesi prima il brand di Sant’Agata aveva invece ottenuto la certificazione ISO 14001, soddisfacendo gli standard internazionali sulla gestione ambientale.
Risale invece al 2011 la “conquista” della certificazione ISO 50001, un primato tra i brand italiani specializzati nell’automotive.


Nativi della csr

Nel lungo periodo saremo tutti passati a miglior vita. Ma anche se siamo qui il tempo di un battito di ciglia, non possiamo non interrogarci – specie per chi ha figli – su quello che sarà non solo domani ma anche dopo domani e poi ancora più avanti. Avere lo sguardo lungo, insomma, è quasi una necessità esistenziale.
Negli ultimi tempi una delle espressioni più belle che mi hanno spinto a riflettere sui tempi lunghi è questa: nativi della csr. L’ho letta per la prima volta in un bell’articolo. Non so se sia stata usata prima. Ma l’ho fatta subito mia.
Beh, per farla breve il concetto è questo. Siamo abituati a sentir parlare di nativi digitali, no? I giovani anzi i giovanissimi nati al tempo del web, dei social network, della banda larga e ultra-larga, degli smartphone e dell’always connected. Per loro la grande rete informatica, che mosse i primi passi decenni or sono e non proprio per scopi umanitari, è semplicemente un dato di realtà. Descrive il mondo che hanno intorno. Non è una conquista, o almeno non la vivono così. Non è un qualcosa di cui dire “ma come facevamo quando non c’era?”, perché ci sono nati dentro. Un po’ come la televisione per quelli della mia età. Il telefono per quelli di una generazione prima, credo. C’è, esiste. Punto.
E allora, che succede se si applica questo concetto alla csr? Succede che stanno arrivando sui luoghi di lavoro (quelli che un lavoro lo trovano, ovviamente) e sul mercato, nel senso di acquirenti capaci di essere decisori dei loro acquisti (su chi paga spesso è da vedere…), e ancor più arriveranno nei prossimi anni, delle vere e proprie batterie, legioni, insomma generazioni di ragazze e ragazzi che la csr semplicemente ce l’hanno nel sangue. Che la vedono e la vivono come un dato di realtà. Sono abituati cioè a guardare alle imprese, quelle in cui lavorano e quelle che producono i prodotti che acquistano, come a organizzazioni che non solo finalizzano la loro attività al conseguimento di un profitto, ma tengono conto – perché devono tenerne conto, non possono non farlo, non avrebbero posto in questa realtà – di variabili sociali e ambientali.
Per i nativi della csr dire impresa e dire sostenibilità è la stessa cosa: l’impresa dev’essere sostenibile. Sostenibile dev’essere il loro stile di vita, il modo di spostarsi, mangiare, vestire, buttare o meglio riciclare quello che usano tutti i giorni. E di immaginare il lavoro, naturalmente.
Ciò ha almeno due conseguenze importanti, nella prospettiva di questo blog.
Primo: è facile prevedere che molti di questi giovani sono o comunque presto potranno essere consumatori responsabili, critici, in una parola consum-attori.
Secondo: è ugualmente facile intuire che si aspetteranno, dalle aziende in cui andranno a lavorare, tutta una serie di attenzioni in senso sociale e ambientale: li possiamo chiamarelavor-attori? Massì, proviamoci. Perché per loro quelle non saranno attenzioni particolari, o dimostrazioni del fatto che alcune aziende sono più illuminate di altre: per loro sarà semplicemente un elemento di realtà. Non potrà che essere così, per loro.
E allora, sui tempi lunghi, mi vien da essere fiducioso (ammetto che non capita spesso, di questi tempi). Perché tutto questo seminare che si è fatto in anni e decenni sulla csr, sulla sostenibilità, sull’etica d’impresa e via discorrendo, beh, evidentemente sta cominciando adare frutti. Non perché cresce il numero di aziende che pubblicano il bilancio sociale o che controllano e cercano di ridurre le loro emissioni di Co2 o che migliorano i programmi di conciliazione vita-lavoro o chiedono alla supply chain di rispettare certi requisiti, che va sempre bene, intendiamoci. Ma perché le persone che ci sostituiranno man mano su questo pianeta saranno persone diverse da noi, semplicemente in quanto nate e cresciute in un mondo che è cambiato. Persone per le quali la csr in azienda sarà scontata, dovuta, un dato di fatto, di realtà. Non potrà non esserci.
Perché loro sono i nativi della csr, noi no. Facciamogli spazio.


Quando il profitto non è tutto

Responsabilità sociale e imprese virtuose impegnate a favore della collettività
Da non confondere con la mera filantropia, laResponsabilità sociale (Corporate social responsibility – Csr) impegna le imprese, su base volontaria, in una serie di pratiche di natura etica e sociale da integrare nelle strategie aziendali, e da realizzare a favore dei dipendenti, del territorio nel quale operano e più in generale degli stakeholder (portatori di interesse). Azioni che vengono poi comunicate attraverso la redazione di documenti come ilBilancio Sociale e il Bilancio di Sostenibilità.
Benché il fenomeno si sia diffuso in Italia solo negli ultimi 15 anni, lo spirito della Csr trova un riscontro, già agli inizi del  ‘900, in Camillo Olivetti, e più tardi nel figlio Adriano, che nella fabbrica di Ivrea diedero forma a un articolato sistema di servizi sociali a favore dei dipendenti che ha anticipato il moderno ‘welfare state’. Oggi il concetto si è ampliato e coinvolge più ambiti. Tra questi, l’ambiente, la sostenibilità, la solidarietà, la formazione,l’arte e della cultura.
Una delle esperienze attuali più eclatanti di responsabilità sociale d’impresa ha preso forma per volere di Brunello Cucinelli, industriale del cashmere, che nel 1985 ha acquistato un borgo trecentesco sulla cima di un colle in Umbria, Solomeo è il suo nome, diventato dopo un meticoloso intervento di recupero il fulcro delle attività produttive. Nella rocca medioevale, ad esempio, sono stati collocati gli uffici e i laboratori; l’antica casa del fattore ospita la mensa aziendale che propone il meglio della cucina umbra, mentre attraverso il recupero del teatro, dell’anfiteatro e del ‘giardino dei filosofi’ è stato creato il Foro delle arti. Cucinelli, convinto che il profitto non basti se non è accompagnato dal raggiungimento del bene collettivo, ha dato così vita a una realtà imprenditoriale di ‘capitalismo etico’ che ha tra gli obiettivi primari il miglioramento della vita di chi lavora.
Pur senza toccare le vette raggiunte da Cucinelli, altri casi si possono citare:  Edison ha avviato una serie di iniziative come, tra le altre, ‘Edison green movie’, primo protocollo europeo per un cinema sostenibile; ed ‘Edison change the music’, primo progetto musicale a emissioni zero. La maison fiorentina Gucci si è invece impegnata a ridurre l’impronta ambientale nei processi produttivi, mentre persino una piccola realtà come Borgo San Felice, hotel cinque stelle nel Chianti senese, ha dato vita al programma socio-assistenzialeImpariamo nel borgo’ a sostegno dei ragazzi in difficoltà e con storie difficili alle spalle, aiutandoli a progettare il loro futuro.
Nonostante la crisi, le aziende hanno continuato in questi anni a investire in responsabilità sociale, pur limando un po’ i budget e con qualche variazione rispetto agli ambiti d’intervento.  Secondo il VI Rapporto dell’Osservatorio Socialis, nel 2013, l’investimento medio, calcolato sulla base di 292 aziende campione, destinato a iniziative sociali è stato di 158mila euro, in diminuzione rispetto al 2011 quando l’importo era pari a 210mila euro, ma con una previsione di crescita a 169mila euro nel 2014. Sempre secondo il rapporto, tra le motivazioni che inducono un’impresa a varare politiche di responsabilità sociale c’è al primo posto il ‘miglioramento dell’immagine aziendale’ (47%); seguita dalla capacità di ‘attirare nuovi clienti’ e di ‘migliorare il clima interno’ (con il 27% ciascuna). Le ricadute derivanti dalle iniziative di Csr  si sono inoltre concretizzate in un ‘miglioramento del clima interno e in un aumento del coinvolgimento dei dipendenti’ per il 46% delle imprese interpellate, in un ‘miglioramento dell’immagine dell’azienda nei confronti degli stakeholder’ per il 36% e in un ‘consolidamento della reputazione per affrontare eventuali crisi di comunicazione’ per il 26%.
Come detto, si è invece registrato qualche cambiamento sul fronte degli ambiti di intervento. “Attualmente c’è una grande interesse verso le tematiche ambientali. Che significa anche risparmiare da un punto di vista economico”, spiega Rossella Sobrero, presidente diKoinètica, società attiva dagli albori della Csr nella comunicazione e nello sviluppo della responsabilità d’impresa, “mentre sono diminuiti i contributi al Terzo settore. Chi infatti promuove oggi iniziative filantropiche o di charity tende spesso a collaborare su progetti congiunti. Ci sono poi imprese che, pur costrette dalla crisi a ristrutturazioni aziendali, hanno privilegiato politiche il più possibile condivise e, quando realizzabili, di ricollocazione”.
Un altra tendenza da seguire, della quale parla Sobrero nel suo blog ‘Csr e dintorni’, è inoltre quella del  ‘reshoring’, fenomeno partito dagli Usa grazie alle politiche del Presidente Barack Obama, che vede alcune aziende riportare ‘a casa’ la produzione dopo aver negli anni passati delocalizzato per risparmiare sui costi della manodopera. Un segnale, questo, di una rinata considerazione per il territorio. Di come la responsabilità sociale abbia cambiato i processi produttivi e le modalità di consumo e di quali siano le prospettive future si parlerà al ‘Salone della Csr e dell’innovazione sociale’ in programma all’Università Bocconi di Milano il 7 e l’8 ottobre prossimi.
Durante l’evento, promosso dall’Università Bocconi, Alleanza delle Cooperative Italiane, CSR Manager Network, Fondazione Sodalitas, Unioncamere e Koinètica, verrà inoltre tracciato un bilancio sui primi 15 anni della Csr per verificare, tra le altre cose, se l’Europa, su questo fronte, sia diventata davvero un Polo di eccellenza, obiettivo indicato dalla Ue durante il vertice di Lisbona del 2000, e per analizzare, anche alla luce della crisi, le opportunità e le criticità del settore.
Un ruolo importante sul fronte della diffusione della cultura della Csr gioca, naturalmente,la comunicazione. E a questo aspetto sono dedicate alcune iniziative come, ad esempio, ilPremio Areté (in greco percorso virtuoso di pensiero, sentimento ed azione), il primo del genere, nato per segnalare alla business community in particolare e all’opinione pubblica in generale, i soggetti che si sono distinti per l’efficacia della comunicazione nel rispetto delle regole della responsabilità.
“Aziende pubbliche e private, editoriali e finanziarie, enti e associazioni, agenzie di pubblicità, chiunque e a qualsiasi titolo si relazioni con i consumatori/utenti attraverso tecniche e tecnologie di comunicazione, di informazione, di intrattenimento ha l’opportunità di proporre forme e contenuti che abbiano una reale funzione educativa e che contribuiscano alla definizione di nuovi format”, spiega Enzo Argante, presidente di Nuvolaverde e ideatore del Premio. “Perché l’elemento strategico chiave della comunicazione – informazione – intrattenimento non può più essere unicamente l’aspetto creativo fine a stesso, ma la capacità di rendere responsabile il messaggio.  La comunicazione responsabile non è solo una comunicazione di solidarietà o di funzione sociale, ma si ascrive anche alle attività correnti di una azienda che veicola informazioni chiare, concrete e di valore, sia nell’ambito delle iniziative editoriali e di intrattenimento sia sui prodotti e sui servizi che vende. L’azienda che comunica in modo responsabile contribuisce ad accrescere il proprio valore economico, rafforza il rapporto con i portatori di interesse, svolge un ruolo diretto nella formazione della coscienza collettiva per un futuro sostenibile”.
Il Premio, giunto quest’anno all’undicesima edizione, è promosso da Nuvolaverde  conConfindustria,  Abi (Associazione Bancaria italiana) e Gruppo 24 Ore grazie ad associazioni, fondazioni e istituzioni, tra i quali  Sodalitas, Anima, Ascai, Legambiente, Manageritalia,Fondazione Pubblicità Progresso, Altis Università Cattolica di Milano, Transparency International, ed è in programma per il 21 novembre prossimo nell’ambito della Settimana della Cultura d’Impresa di Confindistria e ComunicaBanca di Abi. Prima ancora, Areté sarà presente al Salone della Csr  con la tappa milanese di Knowledge, un progetto dedicato alle scuole superiori, dove, nell’ambito di un workshop  sulla nuova normativa Ue sul Bilancio Sociale per le aziende quotate in borsa, verranno anche selezionati i bilanci che concorreranno alla nuova sezione dedicata al tema del Premio.


creatoridifuturo.it | Selected by Luca Poma | (1/1)