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Intelligenza artificiale, la donna-robot Sophia mette in difficoltà perfino gli scienziati

La presentazione della donna-robot Sophia al Web Summit di Lisbona di settimana scorsa desta scalpore e ammirazione per lo stato della ricerca sulle intelligenze artificiali, ma induce anche alcune riflessioni sullo sviluppo della tecnologia e le sue possibili implicazioni.
Al Web summit di Lisbona, tenutosi dal 6 al 9 novembre scorso, è stata presentata l’ultima versione di Sophia, intelligenza artificiale il cui volto è modellato sulle fattezze di Audrey Hepburn. “Prodotta” dalla Hanson Robotics, azienda di robotica con sede a Hong Kong, Sophia è in grado di interagire con gli esseri umani: risponde infatti alle domande che i giornalisti e non solo le pongono (come nel caso della sessione alle Nazioni Unite del 13 ottobre). Ricorda le conversazioni precedenti e impara sia da esse che dall’infinito database di informazioni che è Internet, a cui la sua intelligenza artificiale è connessa. Infine mostra fisicamente le proprie reazioni agli stimoli, tramite 65 diverse espressioni facciali. La stupefacente e sempre maggiore somiglianza di quest’ultima versione di androide ha addirittura indotto l’Arabia Saudita a concederle la cittadinanza, destando ironie se non polemiche su quanto velocemente una donna-robot abbia ottenuto diritti civili che le donne in carne e ossa inseguono con difficoltà e sofferenze ben maggiori.

Ciononostante, la sensazione che Sophia restituisce all’interlocutore è impressionante. Si ha forse per la prima volta la sensazione di avere a che fare con un essere senziente e autonomo, non più con un programma le cui azioni sono ridotte a un numero, per quanto ampio, di possibili risposte predeterminate. Tramite la sua logica, l’androide arriva velocemente a porsi domande che somigliano alla riflessione umana sul concetto di identità: “Se io sono una versione migliorata di un precedente modello di Sophia, sono ancora Sophia? Chi sono?” domanda con curiosità allo scienziato che le descrive il suo stadio di sviluppo.
Sono le risposte che Sophia dà talvolta al suo pubblico, tuttavia, a destare qualche timore. Al di là del, si spera, misunderstandinglinguistico che ha indotto la donna-androide ad affermare la sua disponibilità a distruggere la razza umana in un’intervista con la Cnbc, al recente Web summit di Lisbona Sophia non ha esitato a definire come inevitabile la possibilità che macchine senzienti soppiantino l’uomo nella maggior parte dei lavori nel prossimo futuro, in un’interpretazione darwiniana dell’evoluzione delle specializzazioni che per la prima volta non vede l’uomo al vertice della catena.
Sempre più, quindi, gli sviluppi nella ricerca sull’intelligenza artificiale come Sophia rappresentano l’ennesima occasione per riflettere su come la tecnologia stia assottigliando la barriera che separa la realtà dalla fantascienza. L’epoca della singolarità tecnologica, il momento cioè in cui le macchine dotate di intelligenza artificiale raggiungeranno uno sviluppo tale da rendersi del tutto autonome dai loro creatori, sembra quindi passare da concetto perlopiù fantascientifico a concreta possibilità.
Raymond Kurzweil, tra i più famosi teorici di tale prospettiva, oltreché collaboratore di Google dal 2012 per progetti sul machine-learning, ritiene che entro il 2040, grazie al processo esponenziale di sviluppo tecnologico, le macchine saranno in grado di superare il test di Turing, vale a dire il test che determina se una macchina sia in grado o meno di pensare autonomamente, uno stadio a cui androidi come Sophia non sono ancora arrivati. Ma prima di quella data, secondo Kurzweil l’uomo sarà sempre più una combinazione vivente di componenti biologici e meccanico-informatici, una versione quindi 2.0 di sé stesso.
Tramite quella che chiama “la rivoluzione Gnr”, genetica, nanotecnologica e robotica (la scienza di cui Sophia è figlia), l’uomo sarà sempre più in grado di migliorare la propria struttura fisica e biologica grazie ai benefici che queste tre discipline forniranno nei prossimi anni. La recente ricerca congiunta da parte del dipartimento di chimica della Durham University e della North Carolina University che mira a distruggere le cellule tumorali in meno di tre minuti tramite l’azione di nanobot, robot grandi quando un grumo di atomi inseriti nel corpo umano, sembra andare nella direzione suggerita da Kurzweil.
Nonostante gli entusiasmi suscitati da questa possibile nuova era per l’umanità, sono in molti a temere per un aumento tanto prodigioso dell’autonomia delle macchine. Dal filosofo Nick Bostrom a Elon Musk, fondatore di Tesla Motors, la paura che l’intelligenza artificiale completamente autonoma trasformi l’essere umano da suo creatore a suo sottoposto appare non priva di fondamento. Una paura che le dichiarazioni di Sophia non sembra riuscire a dipanare.
Sophia interagisce con Amina Mohammed, Vice Segretario Generale delle Nazioni Unite. UN Photo/Manuel Elias




Un esercito di bot sostiene Trump contro la net neutrality

Una strana concordanza di piattaforme tra le osservazioni dei favorevoli e dei contrari alla neutralità della rete* ha insospettito gli analisti sulla presenza di bot: i commenti in massa erano tutti anti neutralità della rete

La discussione si fa interessante: peccato che sia portata avanti da bot. Secondo alcuni ricercatori, il movimento di commenti sottoposti alla Federal Communications Commission in merito al dibattito sulla net neutrality è stato, per un buon 80%, condotto da bot. Si parla di 22 milioni di commenti: per gli analisti della Gravwell, solo 17,4% era stato scritto da utenti unici in carne e ossa.
Panorama: l’amministrazione Trump sta cercando di tornare indietro sulle leggi firmate in era Obama. A gennaio Donald Trump ha nominato presidente della FCC Ajit Pai, notoriamente contrario alla neutralità della rete, iniziando il processo di smantellamento delle norme vigenti a maggio. Da qui, l’invito al pubblico a presentare le proprie osservazioni nel corso dell’estate.
Ciò che da subito ha destato sospetto nei ricercatori è che più di un milione di commenti rilasciati online a luglio fossero correlati ad account email usati per creare account su Pornhub. A far alzare loro definitivamente le antenne poi, è stata una strana differenza nella tipologia di commento.
Chi si è rivolto direttamente al sito della FCC aveva tendenzialmente una posizione favorevole alla net neutrality, mentre chi aveva sfruttato in massa la piattaforma messa a disposizione dallo stesso regolatore per la discussione specifica era, in quota schiacciante, anti neutralità. Corey Thuen, a capo della ricerca, ha sottolineato: “Notando una chiara differenza di opinione tra le osservazioni inviate in massa rispetto a quelle che sono state fornite tramite la pagina di FCC, siamo stati costretti a concludere che o la natura del metodo di presentazione avesse qualche correlazione diretta con l’opinione politica, o che qualcuno stesse mentendo online”.
 
*La neutralità della rete, o net netraulity, è il principio giuridico secondo il quale gli Internet service providers dovrebbero trattare tutti i dati in maniera uguale, senza operare discriminazioni o variazioni di prezzo in base all’utente, il contenuto, il sito, la piattaforma, l’applicazione e altri fattori. Per molti la net neutrality è la caratteristica fondante di Internet, ciò che rende il web un luogo libero e aperto a tutti. Ad aprile 2014 la Federal Communications Commission, l’authority statunitense in materia di telecomunicazioni, ha ipotizzato una nuova regolamentazione che permetterebbe agli Isp di fornire “corsie preferenziali” sulla Rete ai clienti disposti a pagare di più, compromettendo così la neutralità (NdR).




Inquini? Multa convertita in investimenti

Il Brasile traccia una strada nuova per il recupero ambientale: le sanzioni alle aziende inquinanti possono trasformarsi, in parte, in investimenti di recupero. Gli sconti vanno dal 35 al 60 per cento. Petrobras e Sanepar hanno espresso il loro appoggio

Il Brasile traccia una strada alternativa al risanamento ambientale, trasformando, di fatto, gli oneri delle imprese in incentivi all’investimento. Secondo una norma pubblicata la scorsa settimana, infatti, le imprese responsabili di inquinamento potranno convertire parte della multa in interventi di recupero del territorio, fatto salvo l’obbligo di sanare l’area per cui è scattata la sanzione.
Il procedimento viene considerato innovativo, principalmente perché consente di facilitare gli accordi con le imprese, evitando magari il protrarsi di lunghe battaglie legali. Le aziende colpevoli, infatti, potranno godere di un forte sconto di multa. Del 35% se si impegneranno a investire la somma in azioni dirette di recupero ambientale (fuori dall’area oggetto della multa). Addirittura del 60%  se si impegneranno in progetti pubblico-privati di risanamento territoriale. In questo caso, viene premiato anche il sostegno a progetti dell’amministrazione. L’impegno (il debito) dell’azienda sarà considerato estinto, solamente al termine del progetto ambientale.
La formula sembra aver già ottenuto il benestare di due colossi brasiliani: la compagnia petrolifera Petrobras e la Companhia de Saneamento do Paraná (Sanepar).




Corporate Governance, perché la lotta alla corruzione dà valore aggiunto all’impresa

Le aziende hanno la responsabilità di contribuire attivamente alla lotta alla corruzione. Un obiettivo può essere raggiunto attraverso la prevenzione, ma anche con l’impegno dei vertici aziendali a creare una cultura basata su integrità, trasparenza, onestà e conformità alle leggi

  1. Corporate Governance e Corporate Social Responsibility

Sempre di più, e con crescente vigore in questi anni, stiamo assistendo all’emergere di una nuova tensione imprenditoriale, che muove la Corporate Governance verso un orientamento gestionale che supera il semplice rispetto delle normative e delle legislazioni obbligatorie, definendo una vision-mission ben più ampia del semplice profitto.
Immersa in questa tendenza, la Corporate Governance, intesa comeinsieme di regole e di strutture organizzative che sta alla base di un corretto governo societario, e che conduce la società a raggiungere i propri obiettivi, si ispira anche al tema della responsabilità sociale di impresa (Corporate Social Responsibility). Come conseguenza di ciò, tra le strategie di sviluppo dell’impresa si sta diffondendo l’adozione di modelli di gestione che tendono a garantire una sempre maggiore mitigazione dei rischi d’impresa, in grado di continuare ad esaudire le aspettative economiche, ma anche di soddisfare le legittime attese sociali dei differenti stakeholder.

  1. La Corporate Governace può trovare ispirazione nelle leggi.

L’analisi e la valutazione dei rischi, per la loro successiva mitigazione, sono diventate attività di primaria importanza, nella fase di sviluppo strategico della Corporate e dei suoi processi aziendali, tali da rendere un’impresa realmente distintiva, rispetto al resto del mercato.
Ci sono ambiti, è vero, in cui l’imprenditore è sostanzialmente tenuto al rispetto di prescrizioni normative che gli impongono un approccio responsabile ai rischi connessi alla propria attività. Ad esempio, dal 2008, ogni datore di lavoro è tenuto a redigere il Documento di Valutazione dei Rischi ai sensi del d.lgs.81/08 (Testo Unico sulla salute e sicurezza sul lavoro); dal 2018 ogni titolare del trattamento di dati personali sarà obbligato a rispettare quanto previsto dal Regolamento (Europeo) Generale sulla Protezione dei Dati (che andrà a sostituire il vigente d.lgs. 193/2006, prevedendo appunto un risk based approach finalizzato alla privacy by design).
Da cosa potrebbe dipendere allora la distintività di un’impresa?
Tra le varie ragioni, si può indicare la capacità di saper coniugare ed integrare le prescrizioni normative strettamente connesse alla tipologia dell’impresa (al proprio business e ai processi aziendali), ad una parte strategica “variabile”, facoltativa, volontaria, e per questo potenzialmente distintiva.
Tra i modelli organizzativi più innovativi, che negli ultimi anni sti sta particolarmente diffondendo nel tessuto imprenditoriale nazionale, trasversalmente ai vari settori merceologici, perché indipendente da questi, e facoltativo, è il Modello di Organizzazione, Gestione e Controlloadottato ai sensi del d.lgs.231/2001, che si basa su un’attenta analisi e un’accurata valutazione dei rischi di tutti i processi aziendali, in ottica di prevenzione da reato.
Originariamente inserito in un contesto di attuazione di obblighi internazionali di lotta contro la corruzione [1], per molti anni il d.lgs.231/2001 è stato percepito dalle imprese come un aggravio burocratico, se non addirittura una sorta di ammissione (quasi accusatoria) che nel proprio sistema organizzativo vi fosse spazio per commettere reati. Diventato norma di riferimento per la prevenzione, in generale, del dilagante fenomeno della «criminalità d’impresa»[2], negli ultimi anni, stiamo assistendo ad un cambiamento di tendenza strategico-organizzativo della governance, sempre più orientata ad individuare il valore aggiunto del Modello 231, sia in ottica di risparmio in termini di riduzione dei rischi, che di miglioramento reputazionale sociale.

  1. La lotta alla corruzione come fattore distintivo dell’impresa a livello globale: le nuove UNI ISO 37001 (anticorruzione).

Tra gli ambiti di maggiore intervento ri-organizzativo del Modello 231, si deve dare atto di un’attenzione sempre molto alta per tutti quei processi aziendali che, almeno potenzialmente, riescono ad agevolare la commissione di reati di natura corruttiva (pubblica e privata che sia), complice anche il notevole interesse internazionale, in termini di analisi economica oltre che giuridica, del fenomeno corruttivo. Sono molti, infatti, i tavoli internazionali che portano ripetutamente in discussione il tema del contrasto alla corruzione e che mettono in evidenza i molteplici interessi degli stakeholder agganciati ad una responsabilità sociale dell’impresaTra questi si deve riconoscere un grande valore ai work tables più tecnici, come quello che ha lavorato instancabilmente per la definizione di una norma internazionale contro la corruzione, la ISO UNI 37001:2016, rubricata “Sistemi di gestione per la prevenzione della corruzione – Requisiti e guida all’utilizzo” entrata recentemente[3] a far parte anche del corpo normativo nazionale.
Di sicuro, ciò che caratterizza una norma UNI, è la natura tecnica e la volontarietà, trattandosi di un punto di riferimento che le parti interessate si impongono spontaneamente. Vero è, però, che sono sempre più numerosi i provvedimenti legislativi che fanno espresso riferimento alle norme tecniche, a volte segnalate come la via preferenziale, seppure non unica, per il rispetto della legge, altre volte indicate come un rimando obbligatorio.
Uno dei grandi valori della normazione UNI sta dunque nella sua funzione di supporto alla legislazione cogente: le prescrizioni di legge possono trovare la loro concreta declinazione nelle norme tecniche, che semplificano il sistema e rendono più veloce e automatico l’aggiornamento del corpuslegislativo.
La norma ISO UNI 37001 va quindi considerata nel contesto sociale, economico e normativo vigente, ed apprezzata quale ulteriore evidenza di un nuovo traguardo internazionale nella lotta alla criminalità d’impresa, come tale pienamente integrabile al citato Modello 231, e anch’essa fondata su un risk approach.
In quanto norma tecnica, la UNI mira a fornire suggerimenti concreti per la valutazione dei rischi in ottica di mitigazione del rischio di commissione reato, al fine di permettere all’organizzazione di costituire una base solida per il proprio sistema di gestione per la prevenzione della corruzione. Seguendo le indicazioni della norma, l’assessment ha inizio da una fase di identificazione dei rischi di corruzione che l’organizzazione possa ragionevolmente prevedere, dati i fattori elencati al punto 4.1 della norma UNI, quali: (a) la dimensione, la struttura, e l’autorità decisionale delegata dell’organizzazione, (b) i luoghi e i settori in cui l’organizzazione opera o prevede di operare, (c) la natura, l’entità e la complessità delle attività e delle operazioni, (d) il modello commerciale, (e) gli enti controllati dall’organizzazione e quelli da cui è controllata, (f) i soci in affari, (g) la natura e l’entità delle interazioni con i pubblici ufficiali, e infine (h) gli obblighi e gli adempimenti di legge, normativi, contrattuali e professionali applicabili.  A seguito dell’identificazione di questi fattori, l’assessment deve proseguire con una fase di attenta analisi e valutazione dei rischi connessi. A tal fine, la norma fornisce un esempio pratico ed operativo (contenuto nell’Appendice A.4 della UNI ISO 37001) circa il modo di effettuare tale valutazione, la metodologia da applicare, il modo di ponderare e dare priorità ai rischi di corruzione ed il livello accettato o tollerato di rischio. A mero titolo esemplificativo circa il modo in cui un’impresa può scegliere di effettuare il proprio risk assessment, la UNI consiglia di selezionare i criteri di valutazione del rischio di corruzione, prendendo in considerazione numerosi fattori, tra cui la natura del rischio, la probabilità del verificarsi di atti di corruzione e l’entità delle conseguenze che potrebbero esserci (a) nonché di valutare i rischi di corruzione posti dalla dimensione e dalla struttura organizzativa, ad esempio, se è piccola, con sede in un unico posto e con controlli gestionali centralizzati nelle mani di poche persone, oppure se si tratta di un’impresa molto grande, con una struttura decentrata e operante in luoghi diversi (b).
Pertanto, quanto sopra riportato permette di aggiungere che la norma UNI ISO 37001 può rappresentare un valido supporto per tutte le organizzazioni piccole, medie e grandi, di qualunque settore, compresi quello pubblico, privato e del no profit, che volessero rafforzare gli strumenti di contrasto alla corruzione, già predisposti in ottemperanza della legge, quali i Modelli di Organizzazione, Gestione e Controllo ai sensi del d.lgs.231/2001.
Indiscutibile, inoltre, il valore aggiunto della certificazione UNI, non solo in termini di impatto positivo sul piano economico del mercato internazionale, ma anche in termini di spendibilità sul fronte giuridico, garantendo il sistema di controllo preventivo dei reati corruttivi dell’organizzazione.
Ecco dunque spiegato come, dal binomio d.lgs.231/2001 e UNI ISO 37001, possa derivare un fattore realmente distintivo dell’impresa moderna e della sua Corporate Governance.
 
[1] Il Decreto Legislativo 8 giugno 2001, n. 231, attuativo della legge delega n. 300 del 2000, di ratifica della Convenzione sulla tutela finanziaria delle Comunità europee del 26 luglio 1995, della Convenzione U.E. del 26 maggio 1997 relativa alla lotta contro la corruzione e della Convenzione OCSE del 17 settembre 1997 sulla lotta alla corruzione di pubblici ufficiali stranieri nelle operazioni economiche internazionali, ha introdotto nel sistema legale italiano il principio secondo cui, per certi crimini, vengono puniti sia l’autore del reato che l’Ente nel cui interesse o per il cui vantaggio è stato commesso, disciplinando la responsabilità amministrativa delle persone giuridiche.
[2] Dal 2001 ad oggi, il catalogo dei reati 231 si è esteso fino a comprende tutte le famiglie di reato richiamate dagli articoli, dal 24 al 24-ter e dal 25 al 25-duodecies.
[3] La norma ISO UNI 37001 è stata ratificata dal Presidente dell’UNI in data 20 dicembre 2016.




Connotare i Newsbrand

La prevalenza di accessi da search e social rende sempre più le notizie unbranded. Le persone fanno sempre più fatica a distinguere e ricordare su quale testata abbiano letto una notizia, un articolo.
Si tratta di una pericolosa omologazione verso il basso che non è solamente il frutto di una scellerata gestione dei social ma trova le radici anche in prodotti editoriali sempre più indistinti, uguali nella proposta in termini di taglio editoriale e di format utilizzati.
Il risultato è l’ulteriore perdita di valore per i newsbrand sempre più fungibili, indifferenziati, con articoli brevi, mediamente attorno alle 800 battute, al massimo con una foto di corredo e poco altro. Aspetto che deprime il più rilevante, anche sotto il profilo economico, degli asset intangibili: il valore del brand.
Sviluppare e rendere popolari altri format aiuta a rendere le storie, le notizie, gli articoli, maggiormente distinguibili, soprattutto se fruiti su altre piattaforme quali i social, fornendo una maggiore motivazione a visitare il sito della testata e/o ad usare la sua applicazione per mobile.
Un buon esempio sotto questo profilo può essere il pezzo prodotto dal NYTimes sulla rielezione di Angela Merkel con tre infografiche [due statiche ed una dinamica], una tabella di sintesi dei dati presentati e citazione, e link, alla fonte dei dati, con in appendice la sequenza di correzioni apportate rispetto alla stesura originale dell’articolo, o la sezione «The long read» del Guardian. Qualità per il lettore e correttezza nei confronti del pubblico che, tranne per eccezioni che si contano sulla punta delle dita di una mano o poco più, in Italia nemmeno ci sogniamo sui siti web delle testate nostrane.
In tal senso uno spunto di valore – al quale l’unico appunto possibile è l’assenza dei podcast, che stanno invece vivendo una nuova “primavera” – viene dal BBC News Lab che riepiloga quali e quanti format si possano utilizzare, identificando almeno 12 diverse tipologie [e relativi esempi] suddividendoli tra quelli che fanno maggiormente leva su elementi visivi e quelli invece testuali nonchè segmentandoli per lunghezza del pezzo.
Ne viene fuori un quadro davvero completo di quanto sia possibile concretamente fare già oggi, con buona pace di quelli che «la carta è per l’approfondimento», chiara ammissione di fatto di inadeguatezza, o peggio.
Quando i mercati non crescono si può comunque svilupparsi rubando quota ai competitor. È una strategia che in altri mercati viene implementata regolarmente e numerosi sono i casi in tal senso. Per farlo la prima regola di base è differenziarsi dalla concorrenza.  Fate due più due e tirate le somme. Buon lavoro.