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Leghisti e grillini, ecco i siti e le pagine Facebook imparentate

Il report informatico citato dal Nyt: “Hanno lo stesso codice”. Il social manager di Salvini: lo cambierò

Mentre il Movimento smentiva furiosamente la notizia di un incontro con Matteo Salvini, un sito web che sostiene in modo ufficiale Salvini risultava condividere i codici analytics di Goo gle e l’Id di Google adsense (con cui viene monetizzata la pubblicità online) con siti pro M5S, e siti pro Putin. L’analisi, resa nota dal New York Times, è in un report della società dell’informatico Andrea Stroppa, consulente tra gli altri di Matteo Renzi, che La Stampa ha potuto consultare, e aggiunge importanti dettagli sull’esistenza nei social italiani di sovrapposizioni de facto tra aree politiche diverse in Italia, all’insegna di un nemico comune: il governo, le élite liberal, il Pd, Renzi, la Boschi, la Boldrini, ma anche Monti, Napolitano, la Bonino, Gentiloni, gli immigrati, la società multietnica, gli Stati Uniti, l’euro, l’Europa. Una propaganda spesso xenofoba, sempre anticasta, centrata sull’idea che i politici siano tutti corrotti tranne grillini e leghisti, o sull’esaltazione di Putin. Oggi possiamo fare alcuni passi avanti, fornendo i nomi dei due siti grillini citati nel report.
Si tratta, ci ha confermato Stroppa, di Videoa5stelle.info (ha una relativa pagina Facebook da 21 mila follower) e infoa5stelle.info (e relativa pagina Facebook da 95 mila follower). Luca Morisi, il social media manager di Salvini, che inizialmente aveva declinato ogni commento al Nyt, in serata ha riconosciuto che i codici coincidono per i diversi siti. Ha spiegato però che un ex attivista M5S ha lavorato assieme a lui alla costruzione del sito ufficiale “Noi con Salvini”, e ci ha copiato gli stessi codici informatici dei siti grillini e putiniani; «ma non abbiamo nulla a che fare con i siti pro M5S o pro Putin», dice Morisi. Ha promesso che tutto sarà bonificato nel weekend. A una richiesta di ulteriore chiarimento inviata da La Stampa non ha risposto. In alcuni paesi, come l’Inghilterra, la coordinazione delle propagande è illegale secondo la legge elettorale (in Uk c’è un’inchiesta su presunto coordinamento illegale tra la campagna per la Brexit di Farage e quella di Cameron). In Italia non lo è, non si è mai neanche ben capito il problema. Per ora, continuiamo a non sapere – Google non aiuta – chi sia l’intestatario dell’account Adsense.
Un’analisi dei contenuti, di questi siti, aiuta a capire alcuni “mediatori”, tra network diversi (i mediatori sono come i tubi di un impianto idraulico): usando il grafo di Facebook scopriamo che i post di un sito grillino in questione, “Infoa5stelle”, vengono rilanciati alacremente (quattro volte nei primi quattro post della colonna ordinata per ampiezza delle condivisioni) dal Fan club Luigi Di Maio, una pagina non ufficiale di 75 mila seguaci, di cui abbiamo scritto in passato, molto centrale nel network pro M5S su Facebook, e gestita da personaggi intrecciatissimi (nelle amicizie Facebook) a profili di big grillini. La Stampa scrisse un anno fa di un vero network pro M5S, ben costruito, 550 pagine, sei grossi cluster, profilati per temi. Traduzione: la sovrapposizione Lega-mondo M5S, dai codici coincidenti, entra facilmente nei rispettivi network.
La seconda storia di questi giorni riguarda un caso di falso interessante perché anche qui c’è un errore, della catena, che fa venire alla luce connessioni: Maria Elena Boschi ha denunciato giorni fa un profilo Facebook (tale Mario De Luise) e una pagina (Virus5stelle) che postavano diffamazione violenta contro lei e Boldrini, tra gli altri, accostandole a Riina (oltre a cose come foto di Renzi in una bara, e foto di Napolitano schiacciato in un pozzo; così, per fare due soli esempi). Uno dei due gestori della pagina, Adriano Valente, esibisce nei suoi post sui social una foto con Di Maio a una marcia grillina (la foto è stata ritrovata e pubblicata su twitter da Lorenzo Romani, un social consultant che ad agosto aveva per primo lanciato l’allarme documentato su sovrapposizioni di codici tra siti leghisti e grillini). Valente indossa il laccio nero da badge riservato agli organizzatori del corteo. La foto è vera? Nardelli, reporter di Buzzfeed, ha poi pubblicato che Di Maio dal suo profilo ufficiale Facebook, in passato, ha taggato Valente. Boschi aveva sfidato Di Maio a dire qualcosa; ieri nel suo post sulle fake news il candidato premier M5S non ha detto nulla sui due casi specifici, ha solo condannato in generale le fake news. Valente dice di cadere dalle nuvole: «Giusto per chiarire, gestisco sei pagine numerose in rete (sic) assieme ad altri ragazzi, un certo Mario De Luise pare abbia postato ieri dal suo profilo una bufala del funerale di Riina. Pare poi l’abbia pure pubblicata sulla pagina Virus 5 stelle. Io personalmente sono estraneo». Ma è lui il gestore di quella pagina. E poi: chi sono gli «altri ragazzi» di cui parla? Esistono persone che fanno gli intestatari di pagine e gruppi?
Infine, il profilo di De Luise: è stato chiuso su Facebook, ma ne aveva almeno un altro identico (col nome scritto attaccato) che posta contenuti da pagine o gruppi Facebook del network pro M5S: Tutti con il M5S (146.114 seguaci), Adesso basta (473 mila), Noi sosteniamo il M5S (99.870). È una guerra; che, senza nessun problema, raggiunge più di tre milioni di profili di italiani.




Dal Lego al Monopoli: l’era digitale inizia ad arrancare

Nel giorno del Cyber Monday ci scopriamo a giocare con i Lego e non è un corto circuito, solo un ibrido di cui c’è un dichiarato bisogno. Una necessità che ha un suo indice di mercato. L’era del digitale, così come l’abbiamo vissuta nella sua prima ondata, è finita. Non torneremo indietro, ma ci mancava qualcosa e abbiamo trovato il coraggio di dirlo.

Il revival non è recente, la libertà di sfruttarlo e rivederlo a piacimento invece sì. Fino all’anno scorso questo mondo riemerso veniva nascosto sotto l’etichetta vintage, una moda, un genere, un capriccio eccentrico. Il vintage è sempre guardato con pregiudizio perché sa di reticenza alla contemporaneità, smania di stare altrove. Ma il ritorno all’analogico non è un atteggiamento anticonformista, è la pace con i desideri insoddisfatti, un pezzo di noi archiviato troppo in fretta.
Non torneremo ad aprire scomode cartine quando possiamo cercare l’indirizzo sulla mappa dello smartphone, useremo tutte le app che ci sono utili per prenotare una vacanza o organizzare il lavoro e contemporaneamente regaleremo costruzioni. Non è obsoleto, è umano. Distratti dalla curiosità per i nuovi giocattoli abbiamo ceduto alla logica binaria tipica del computer: se prenoto la cena con un clic poi è vietato perdere tempo al mercato, se voglio comprare un libro vero e non trovo gusto nel pur comodo ebook, poi non sembra coerente sbloccare una bici a tempo con il codice a barre, inviato da un sistema al mio telefono. Il digitale ha preteso una radicalità che ora lo penalizza. È efficiente e quindi indispensabile, però è limitato. Va contaminato da un’intelligenza meno artificiale, vanno bene anche dei pezzi di plastica colorata.



Google contro la disinformazione: «Russia Today e Sputnik fuori dalle News»

Google contro la disinformazione: «Russia Today e Sputnik fuori dalle News»

Lo ha annunciato il presidente Eric Schmidt: su Google News verranno deindicizzate le notizie dei media vicini al Cremlino e accusati di campagne di disinformazione

Google dichiara guerra alle fake news diffuse da media vicino al Cremlino. A farlo è stato Eric Schmidt in persona: l’ex Ceo, e ora presidente del Consiglio di amministrazione del colosso di Mountain View, ha promesso che Russia Today Sputnik verranno deindicizzati da Google News per combattere la propaganda che stanno facendo con messaggi «ripetitivi, falsi o strumentalizzabili».  Schmidt ha citato espressamente l’emittente televisiva e il sito, tradotto in più di 30 diverse lingue in tutto il mondo, durante un forum sulla sicurezza internazionale, sostenendo di essere impegnato nel modificare l’algoritmo alla base di Google News per prevenire le campagne di disinformazione. Questo senza però ricorrere alla censura: l’ex Ceo ha assicurato che non verrà impedito l’accesso ai rispettivi siti. 

Google coinvolta nel Russiagate

Si tratta di una mossa frutto di una maggiore consapevolezza del motore di ricerca nella battaglia contro le fake news. Va ricordato che recentemente l’azienda è stata chiamata a rispondere davanti alle commissioni del Congresso che si occupavano di indagare sul Russiagate, pur essendo stata oggettivamente meno coinvolta rispetto a Facebook.  Se le pubblicità acquistate dai russi erano di scarsa entità, gli inquirenti avevano però puntato il dito soprattutto sui video caricati dall’emittente Russia Today sulla piattaforma Youtube.

Le mosse di Twitter e Facebook

Proprio poche settimane fa Twitter aveva invece annunciato la rimozione della pubblicità di Rt e Sputnik per via delle interferenze riscontrate durante la campagna presidenziale. Ma lo stesso social era stato anche accusato di aver deliberatamente offerto più spazi pubblicitari all’emittente russa.  Ma anche Facebook, il gigante che più di tutti è sembrato coinvolto nelle vicenda delle pubblicità acquistate dai russi, ha modificato da poco le sue linee guida per la monetizzazione sul social, garantendo maggiore trasparenza su chi compra le inserzioni pubblicitarie.




L’Onu studia l’obbligo di diritti umani

LA SOCIETÀ CIVILE VUOLE OBBLIGARE LE IMPRESE AL RISPETTO DELL’ETICA
L’Onu discute a Ginevra l’ipotesi d’un trattato vincolante per obbligare le società a rispettare i diritti umani. Gli strumenti giuridici in materia attualmente funzionano su base volontaria. Gli Stati Uniti sono contrari al nuovo testo, mentre la posizione Ue è ambigua

Qualche settimana fa a Ginevra si è incontrato il gruppo di lavoro intergovernativo dell’Onu sulle corporation transnazionali per discutere un trattato che sia vincolante per le società in materia di diritti umani. In altre parole, come anticipato dal sito d’informazione Osservatorio Diritti, le multinazionali potrebbero essere per la prima volta obbligate a rispettare idiritti umani. Fino ad ora, invece, tutti i codici sono solo proposti e vi si può aderire o meno su base volontaria.

LA PROPOSTA DI UN TRATTATO OBBLIGATORIO

Ma da dove nasce questa proposta? Raffaele Morgantini del Cetim (Centre Europe – Tiers Monde), un centro studi e ricerca sui meccanismi dello sviluppo diseguale, ha spiegato a Osservatorio Diritti che «la necessità di un trattato vincolante nasce dalla constatazione che mancano meccanismi giuridici in grado di condannare le imprese che violano i diritti umani».
Su questa stessa posizione ci sono comunità indigenemovimenti contadini e sindacati. Secondo questi gruppi, le possibilità esistenti a livello giuridico non sono efficaci quando si ha a che fare con multinazionali e grandi corporation. E i singoli Paesi, spesso, non sono in grado di contrastare eventuali violazioni, vuoi per mancanza di volontà, vuoi per impotenza di fronte alle società più grandi.
Morgantini spiega che il loro obiettivo è che «le norme sul commercio e gli investimenti siano subordinate a quelle sui diritti umani».

LA RICHIESTA DI UN TRIBUNALE

La richiesta del Cetim, però, va oltre a quella del trattato. «Servono dei meccanismi internazionaliche garantiscano la sua applicazione». Per questo motivo, la società civile chiede che sia installato un centro di monitoraggio delle aziende e un tribunale internazionale.
L’organo giuridico dovrebbe dunque occuparsi di condannare o assolvere le società in base alle accuse presentate dalle comunità coinvolte.
Morgantini chiarisce anche che «la responsabilità non sarà applicata solo alle imprese, ma anche ai dirigenti, alle persone fisiche».

IL RUOLO DELL’ECUADOR

Il calcio iniziale di questa lunga partita era stato dato da Ecuador e Sudafrica nel 2014, quando era stato creato il gruppo di lavoro delle Nazioni Unite. E lo scorso ottobre l’Ecuador ha presentato un testo nato proprio dalle discussioni di questi ultimi tre anni che dovrebbe essere la bozza su cui si lavorerà per arrivare al trattato.
Durante gli ultimi colloqui ufficiale, è intervenuto anche Pablo Fajardo, dell’Unione della popolazione colpita da Chevron-Texaco in Ecuador. La multinazionale, infatti, è accusata di aver devastato la foresta equatoriale nel paese.

LE POSIZIONI DI USA E UE

Gli Usa stanno boicottando le negoziazioni sin dall’inizio e avevano già scelto di non dare credito al gruppo intergovernativo che si era formato. Per gli Stati Uniti, infatti, sono sufficienti le linee guida su business e diritti umani dell’Onu del 2011, anche se sono solo a carattere volontario.
Più morbido l’atteggiamento dell’Ue, che pur prendendo parte agli incontri, però, ha cercato di portare al centro della discussione la procedura invece che il trattato stesso. L’Ue, infatti, continua a chiedere una nuova risoluzione che dia più potere al gruppo. E su questo punto, le parole di Morgantini sono nette: «La risoluzione è molto chiara: il gruppo ha il mandato di continuare il dibattito fino alla formulazione del trattato vincolante».




Come Nasce e si Sviluppa un’Intervista del Papa

Che un Papa rilasci interviste è cosa ormai ovvia e risaputa. Ciò a cui non eravamo abituati sono le modalità con cui avviene, negli ultimi tempi, questa frequentazione con i giornalisti da parte di un Pontefice.
Non solo per la frequenza dei contatti e della disponibilità a concedersi alle domande, ma anche per il tipo di testate e di interlocutori a cui Francesco si concede.
Ci sono senz’altro nomi blasonati che hanno l’opportunità di stare a tu per tu con il Papa; basta pensare ai continui colloqui che lo stesso Pontefice intrattiene a Casa Santa Marta con il fondatore di Repubblica, Eugenio Scalfari, non certo un chierichetto dell’ultima ora.
Ma ci sono anche giornali e bollettini di bassa tiratura, molto locali, come può essere ad esempio il milanese “mensile della strada” Scarp de’ tenis, alle cui domande il Papa ha risposto in occasione della sua visita nella città meneghina.
Senza contare quelle che ormai sono diventate un must nell’ambito dell’informazione religiosa: le interviste concesse in aereo nei voli di ritorno da Viaggi apostolici – e dove non è raro incorrere anche in qualche errata interpretazione delle parole del Papa.
Normalmente, in una strategia comunicativa che possa dirsi efficace, ciò che conta è che il capo conceda interviste soltanto a testate ben piazzate, con grandi tirature, vicine al modo di pensare della dirigenza, che mandano in anticipo le domande e che siano poi disponibili a far rivedere il testo prima della pubblicazione.
Francesco invece anche in questo offre una visione nuova, ed è lui stesso a spiegarla nella Prefazione che ha firmato al libro Adesso fate le vostre domande apparso in questi giorni, edito da Rizzoli e curato dal gesuita Antonio Spadaro.
Il testo raccoglie alcune conversazioni che lo stesso Spadaro ha avuto con il Papa, ma anche dialoghi del Pontefice con gruppi medio piccoli, dove il comune denominatore erano sempre le domande poste da qualcuno e la risposta “improvvisata” del Papa.
Francesco dice una serie di cose interessanti in questa Prefazione, che possiamo riassumere come segue.
Timore – Ad esempio: “ho la faccia tosta, ma sono anche timido”, e racconta che già da Arcivescovo di Buenos Aires aveva “un po’ timore dei giornalisti”, soprattutto “delle cattive interpretazioni di ciò che dico”.
Fiducia – Anche da Papa la sua prima reazione istintiva è stata di incertezza – racconta Francesco – ma poi “sentii che potevo avere fiducia, che dovevo fidarmi”.
Guardare negli occhi – Una cosa a cui non rinuncia è “guardare negli occhi le persone e rispondere alle domande con sincerità”. Questo perché se anche da una parte “non devo perdere la prudenza”, resta fondamentale la fiducia.
Rischio da correre – Francesco non nasconde che questo suo modo di fare “può rendermi vulnerabile, ma è un rischio che voglio correre”.
Necessità – D’altronde, “ho una vera e propria necessità di questa comunicazione diretta con la gente”.
Non una cattedra – Il Papa chiarisce anche che per lui concedere interviste “non è come salire in cattedra”; in fondo i giornalisti “spesso ti fanno le domande della gente”, ed è quel bisogno che lui vuole intercettare.
Linguaggio – Quanto al linguaggio con cui lui risponde, lo ritiene “semplice, popolare”, perché in fondo si tratta di “un dialogo, non una lezione”. E lo fa spontaneamente, “in una conversazione che voglio sia comprensibile, e non con formule rigide”.
Non mi preparo – Poi aggiunge un’affermazione che ai più esperti più sembrare paradossale: “non mi preparo”. E quando riceve in anticipo le domande: “quasi mai le leggo o ci penso sopra”. E ciò perché “per rispondere ho bisogno di incontrare le persone e di guardarle negli occhi”.
Inserirsi nelle conversazioni – La chiosa finale della Prefazione è in fondo il suo programma pastorale: “desidero una Chiesa che sappia inserirsi nelle conversazioni degli uomini, che sappia dialogare”.
Ecco, il Papa sta dicendo che per dialogare bisogna avere fiducia, guardare negli occhi l’interlocutore, non curarsi del rischio di essere fraintesi né salire in cattedra, utilizzando un linguaggio comprensibile, privo di formule rigide. Chissà se forse il segreto sta proprio nel non prepararsi, ma far nascere le risposte dall’incontro con le persone?