1

Intervista a Aurora Magni – Blumine

Aurora Magni Blumine

Si parla sempre più spesso di sostenibilità applicata al settore della moda, di controllo della filiera nel settore e dei danni causati dal fenomeno del “fast-fashion”. Blumine è una società di ricerca e consulenza nata 12 anni fa a Milano con l’obiettivo di stimolare il dibattito sulla transizione dell’industria tessile e della moda verso modelli di sostenibilità e supportare le aziende impegnate in questo progetto. L’azienda si è focalizzata sulla sicurezza chimica dei prodotti e dei processi, supportando le imprese impegnate nell’ eliminazione delle sostanze tossiche sulla base di parametri più restrittivi di quelli fissati dal regolamento UE Reach. Oggi Blumine opera su progetti di economia circolare ed ecodesign con imprese italiane e straniere, coordinando il progetto di UNIDO che punta a costruire filiere per il riciclo tessile in aree in cui vi è una presenza di brand italiani, come Egitto, Tunisia e Marocco, oltre ad aver in attivo la realizzazione di libri e studi sul settore tessile e moda sostenibili e a pubblicare mensilmente una newsletter su www.sustainability-lab.net.

Abbiamo intervistato su questi argomenti di estrema attualità Aurora Magni, cofondatrice e presidente di Blumine

Su questa testata ho scritto a più riprese – come molti altri colleghi – dell’impatto del “fast-fashion”: qual è, culturalmente, il vostro pensiero al riguardo?

Il fast fashion è l’elefante nella stanza, per dirla con una metafora. È un sistema industriale e distributivo che occupa centinaia di migliaia di persone nel mondo, generando valore ed occupazione, e che si basa sull’idea che acquistare molti beni a poco prezzo renda felici. Non mi interessa naturalmente dare un giudizio etico su questo, sarebbe inoltre un’arroganza ignorare il valore sociale della democratizzazione della moda, cioè dell’accesso di tutti al godimento di beni materiali e non auspico certo un ritorno alla moda d’elite. Quello che va tenuto presente è l’impatto ambientale di questo fenomeno che si regge su consumi esasperati di materie prime e di risorse e che genera volumi enormi di rifiuti a causa dalla sovraproduzione e dalla stessa scarsa qualità dei materiali, caratteristica che condanna i beni alla rapida obsolescenza e li rende difficilmente riusabili e riciclabili. Sono inoltre note le problematiche sociali di questo modello economico basato sullo sfruttamento di manodopera a basso prezzo e che accetta che i lavoratori lavorino in condizioni di scarsa sicurezza come tragedie come il Rana Plaza ci hanno ben mostrato. La Commissione UE ha avviato una vera e propria campagna contro il fast fashion nell’ambito di proposte lanciate nel marzo del 2022 e riformulate quest’anno che ridisegnano il modello generale del sistema moda dall’ecodesign alla circolarità, proposte che un pezzo alla volta dovrebbero trasformarsi in leggi e regolamenti. E’ un approccio corretto: inserire progressive azioni volte a trasformare un modello negativo in un fenomeno accettabile. Vanno in questa direzione il divieto ad esportare rifiuti tessili in Paese poveri, coprendo con la falsa bandiera della solidarietà l’abitudine di trasformare aree del mondo lontane dai nostri occhi in discariche a cielo aperto o la Corporate Sustainability Reporting Standard Directive sulla responsabilità sociale delle imprese. Sul fronte della circolarità qualcosa si sta muovendo con l’avvio dei consorzi e con la definizione della responsabilità estesa del produttore -per quanto la sua applicazione sia ancora in discussione nel nostro paese. Inoltre crescono i modelli di business alternativi basati sulla vendita di articoli di seconda mano e sulla valorizzazione creativa di scarti fino a poco fa giacenti nei magazzini delle aziende. Saremo pronti nel 2025 a gestire correttamente i rifiuti tessili come previsto dalla Direttiva UE? Speriamo, considerato che il DL 116 impegnava già tre anni fa a raggiungere questo obiettivo nel 2022.

Periodicamente, notiamo iniziative di comunicazione e CSR (genuina o meno questo è un altro discorso) centrate sul tema dell’impatto ambientale, da parte di giganti della moda a basso prezzo. Può esistere un’anima sostenibile dentro aziende “insostenibili” dal punto di vista ambientale, o e una contraddizione?

Che esistano green e social-washing è indubbio. La moda è un’industria che costruisce una quota importante del suo valore con la comunicazione e i messaggi emozionali. Finalmente si abbina l’idea del lusso alla sostenibilità a conferma di come questi temi caratterizzino il nostro tempo e le sensibilità dei consumatori. E i brand non possono certo perdere questa opportunità, pena l’esclusione da uno dei driver culturali dominanti. Detto questo, va riconosciuto lo sforzo che i marchi stanno mettendo in campo per darsi una nuova reputazione, mettersi al riparo da attacchi di movimenti ecologisti, umanitari e animalisti ma anche per inserire la moda in una narrazione di responsabilità sociale e ambientale. Nei bilanci di sostenibilità dei grandi attori della moda possiamo leggere (suggerisco di farlo per capire dove và la moda) obiettivi alti come la riduzione dei GHG cioè dei gas responsabili dell’effetto serra e che essere raggiunti richiedono modalità di misurazione dell’impatto ambientale proprio e della supply chain -dai produttori di fibre ai nobilitatori fino ai confezionisti. Un salto di qualità considerando che fino a poco tempo fa le strategie di sostenibilità si identificavano con qualche capsule a tema green. Tutti i brand dispongono ormai di uffici per la sostenibilità, adottano metodologie di lavoro ispirate all’ecodesign, non disdegnano di ricorrere ai sistemi di certificazione, collaborano con università e start up. Del resto la moda non è un universo isolato e questi cambiamenti riguardano tutto il sistema industriale seppur con punte avanzate e aree più restie.

La moda in generale tra 20 anni: cosa vedreste nel futuro se disponeste di una sfera di cristallo, e (soprattutto) cosa c’è da fare per ottenerlo concretamente?

Difficile dirlo. Aziende e centri di ricerca ma anche start up stanno lavorando molto sui materiali: dal riciclo ai biopolimeri, dalle fibre da agricoltura rigenerativa alla plastica ottenuta da fonte biologica anziché da petrolio. E c’è già chi ottiene polimeri dai gas di scarico, cioè dal sequestro della CO2. La stampa 3D sta entrando anche nella moda quindi forse avremo tessuti fatti senza tessitura e forse a minor impatto ambientale. Nuovi materiali oppure al contrario tradizionali e riscoperti in una logica di valorizzazione dei territori, robotica nei processi produttivi e riscoperta di artigianalità. Insomma, questo settore continuerà a divertirci con le sue molteplici anime. Una raccomandazione: va bene parlare di moda ma volumi di materiali e di prodotti ancora più significativi riguardano quelli gli addetti ai lavori chiamano tessili tecnici, cioè la componente fibrosa dell’automotive, delle tecnologie e dei processi industriali, i tessili usati nel comparto medicale e nell’assorbenza, ma anche nell’edilizia, in agricoltura e naturalmente nel packaging e nell’arredo. Ci si interroga poco sul carico ambientale di questo lato dell’industria tessile eppure, per fare un esempio, è più difficile riciclare un composito che un paio di jeans. Cosa fare quindi? Innanzitutto, non smettere di studiare e fare ricerca, sia a cura delle aziende che delle università e delle istituzioni pubbliche. Queste sono le vere sfide per il futuro.




Fake Reputation: tutela della reputazione o manipolazione della percezione?

Fake Reputation: tutela della reputazione o manipolazione della percezione?

“Sicari reputazionali” senza scrupoli pronti manipolare il percepito di cittadini e pubblici di riferimento, e una cornice, quella della pubblica informazione, sempre più “corruttibile”, in cui il prezioso asset della fiducia viene sacrificato all’altare della convenienza economica, e in cui la linea di separazione tra verità e menzogna appare sempre più sottile.

Per anni, nel settore ci siamo dati un gran da fare parlando di “Responsabilità Sociale”, del valore, economico e sociale generato dall’inserimento di preoccupazioni di carattere etico all’interno del business e abbiamo insegnato alle aziende che “essere etici conviene”, abbiamo riempito il nostro vocabolario professionale con parole come autenticità, trasparenza, sincerità.

È giunto il momento di fare quello che nell’ultimo ventennio abbiamo insegnato ai nostri clienti: guardarci allo specchio, fare analisi e assumerci le nostre responsabilità. Ed è qui che entra in gioco l’etica. Non come un concetto astratto, ma come un pilastro solido e inamovibile, una pietra angolare sulla quale costruire ogni nostra azione di supporto professionale a brand, imprenditori, decisori politici.

A seguito di queste riflessioni, il 21 settembre, in un webinar organizzato da FERPI, il panorama del settore delle relazioni pubbliche e della comunicazione è stato analizzato sotto una lente critica, mettendo in luce insidie e responsabilità deontologiche che i professionisti del settore si trovano a dover affrontare e gestire nell’attuale e preoccupante scenario di un mercato dominato sempre più dalla pressione per mantenere buona – spesso a qualunque costo – la reputazione dei propri mandanti.

Nel corso del webinar, si sono alternate in un acceso e vivace dibattito le le voci di esperti ed esperte del calibro di Daniele Chieffi, Arturo Di Corinto, Giovanna Cosenza, Matteo Flora, Elisa Giomi, Nicola Menardo e Luca Poma.

Un primo confronto necessario, fortemente voluto e promosso dal Presidente Filippo Nani, che ha colto l’appello di Luca Poma e Daniele Chieffi di analizzare e approfondire un tema sempre più urgente in un’ottica di presa in carico strategica del futuro della professione.

Cosa è emerso nelle due ore di dibattito tra professioniste e professionisti?

Gli ideatori dell’evento, Luca Poma e Daniele Chieffi hanno aperto il dibattito offrendo un’analisi penetrante delle attuali dinamiche di gestione (e a volte manipolazione) della reputazione, che come sappiamo è l’asset immateriale più prezioso per qualunque organizzazione, e hanno evidenziato come la fragilità del panorama attuale possa rendere la professione vulnerabile a minacce e derive deontologiche allarmanti, tali da nuocere non solo al singolo professionista bensì all’intero comparto. La loro conclusione è stata chiara e assertiva: è essenziale concentrarsi sull’etica, prendendo in carico queste preoccupazioni mettendo a terra soluzioni concrete tali da perimetrare meglio gli ambiti e gli strumenti di intervento dei professionisti, levando ogni ambiguità.

Giovanna Cosenza, ha disegnato un quadro delle radici del concetto di “fake” analizzandone gli aspetti semiotici, psicologici e antropologici. Ha evidenziato come, nell’era dell’Intelligenza Artificiale, discernere tra verità e menzogna sia diventato un compito sempre più arduo.

Arturo Di Corinto ha offerto una prospettiva storica, guidandoci in un breve viaggio attraverso la storia della disinformazione, dalle astuzie dell’antica Grecia fino alle moderne tecniche di manipolazione mediatica.

Parallelamente, Elisa Giomi, in qualità di commissaria dell’AGCOM, ha delineato il panorama normativo attuale, fornendo un’analisi dettagliata sul diritto all’oblio e le sue implicazioni nel contesto contemporaneo.

Dal punto di vista legale, Nicola Menardo ha esplorato le oscure profondità delle “lavanderie reputazionali” e della “macchina del fango”, termini che evocano vividamente le tattiche utilizzate per alterare e manipolare la percezione pubblica, e le ricadute che questo genere di malepratiche possono avere sotto il profilo legale, inclusi gli eventuali strumenti di tutela.

Infine, Matteo Flora ha sottolineato l’importanza crescente dell’Intelligenza Artificiale nel settore della comunicazione specie digitale. Ha anche posto l’accento sulla crisi di autorevolezza che affligge i principali attori informativi, anche con riguardo alla disponibilità dei gruppi editoriali a porsi in modo acritico al servizio del brand (a pagamento, ovviamente) e ha sollevato domande cruciali sul futuro della professione del relatore pubblico e del comunicatore.

Ogni contributo ha – da angolazioni differenti – rafforzato l’appello per una sollecita presa in carico di queste criticità: le sfide alle quali i professionisti del mondo della comunicazione, delle relazioni pubbliche e del reputation management sono dinnanzi, ben centrate nel dibattito tra gli esperti coinvolti nel panel, evidenziano la necessità di un cambio di passo anche da parte delle associazioni di categoria.

In conclusione, nell’attesa di riorganizzare un secondo momento di confronto alla presenza anche del decano delle relazioni pubbliche italiane Toni Muzi Falconi, è emerso dunque un imperativo urgente, necessario, sfidante: occorre agire, anche immaginando la redazione di un codice di condotta e di autoregolamentazione che possa guidare l’azione dei professionisti del settore in questo complesso, delicato e mutevole panorama.

L’intero evento è visibile, su Youtube, a questo link:

https://www.youtube-nocookie.com/embed/mDifmwrToPc?rel=0&showinfo=0




IL TORMENTONE DELLA “PESCA” DI ESSELUNGA: DALLA (TROPPA) COMUNICAZIONE ALLA (POCA) REPUTAZIONE

IL TORMENTONE DELLA “PESCA” DI ESSELUNGA: (TROPPA) COMUNICAZIONE, (POCA) REPUTAZIONE

Ne hanno scritto e parlato tutti: esperti di comunicazione e sedicenti tali, relatori pubblici, digital strategist, Presidente del Consiglio, associazioni di genitori e di divorziati, partiti politici, financo filosofi e psicoterapeuti, impegnati a discettare, niente meno, sul significato metafisico della pesca, che nell’antica tradizione cinese richiama la durata e i legami forti, quelli che permangono, in contrapposizione alla mela, il frutto della rottura, del tradimento, dell’allontanamento (da Dio e non solo): un tale profluvio di articoli, di analisi più o meno dotte, di commenti, che neppure un feuilletton estivo sarebbe stato in grado di regalarci.

Anch’io vi dico la mia, in breve, ponendo alcune domande, e abbozzando una risposta alla fine di questo articolo.

È bello lo spot? Dal punto di vista pubblicitario, niente da dire, è impeccabile. Ha tutto: non è per nulla sguaiato, il racconto scorre bene, il brand è presente ma non è invasivo, e soprattutto emoziona (e le neuroscienze ci insegnano, da sempre, quanto le emozioni, negative o positive non importa, aiutino a fissare i ricordi nella memoria a lungo termine). Insomma, bravi i ragazzi di Small, l’agenzia con cuore italiano ma nata a New York 4 anni fa: promossi a pieni voti (pur perdonandogli il fatto che uno spot assai simile, seppur più cupo e triste, l’aveva ideato Ikea nel 2016).

È (troppo) lungo lo spot? Per favore, quelle cretinate assurde sulla curva dell’attenzione che dura pochi secondi ce le siamo per fortuna lasciate alle spalle da tempo, sono almeno 10 anni che, con altri colleghi, promuoviamo i long-form, perché è così evidente: il tema non è la lunghezza del messaggio, ma la qualità dello stesso, le persone ascoltano volentieri Podcast da 20 minuti, il tempo lo trovano eccome, e disdegnano (giustamente) messaggi molto più brevi ma banali e privi di significato. I cittadini paiono dire: dammi qualità, e io ti darò attenzione. Come dargli torto?

È divisivo lo spot? Un po’ si, è tautologico sottolinearlo, visto quanto ha diviso l’opinione pubblica tra fan della famiglia tradizionale, realisti della famiglia non convenzionale, e via discorrendo. Che bella questa scoperta dell’acqua calda, quasi bollente: in comunicazione, se si vuole fare hype è utile essere divisivi. E pensate: se si lancia un sasso in uno stagno si aumenta l’entropia e si ottiene movimento. Wow, benvenuti nel 2023.

Prende posizione, lo spot? Si, quindi? I precedenti certo non mancano (guardateli, questi brevi video, alcuni sono davvero magnifici): Che mondo sarebbe, splendido spot con correlata campagna multicanale di Telecom con protagonista il Mahatma Ghandi, sul tema del potere delle tecnologie di comunicazione come amplificatori mondiali di messaggi di pace, ed era il 2004; Where the hell is Matt, clip sponsorizzata dell’azienda di gomme da masticare USA Stridegum, centrato sul valori dei rapporti tra i popoli, anno 2008, un crescendo narrativo e musicale commovente; Dare è la migliore forma di comunicazione, eccezionale spot di un’azienda di telecomunicazioni Thailandese, centrato sul valore della generosità e del ritorno moltiplicato delle buone azioni, era se ben ricordo il 2011; Thank You Mom, altro potentissimo messaggio emozionale sul ruolo delle madri e sul rapporto con i figli come valori centrali per crescere nella vita e vincere le proprie sfide, prodotto da Procter&Gamble in occasione delle Olimpiadi 2012; e poi, avvicinandoci al presente, gli esempi davvero si sprecano, a decine, a centinaia, specie in termini di Brand Activism, tendenza in ossequio alla quale le aziende – giustamente – prendono posizione su tematiche di carattere sociale che interessano la comunità (e i loro stakeholder). Spot lunghi/film brevi, alcuni più riusciti, altri meno, altri ancora piccoli spettacolari capolavori: ma anche qui, qual è la novità?

Eppure, pare che in Italia, improvvisamente, a fine settembre del 2023, tutti – cittadini, analisti, esperti, comunicatori, docenti… – abbiano (ri)scoperto il valore dirompente dello storytelling. Una vera epifania…

Diversi colleghi che stimo hanno osservato come “Esselunga dovesse comunicare, dopo alcune beghe giudiziarie che l’hanno coinvolta”. Corretto, impeccabile: in questo mondo superficiale nel quale con uno spot su una famiglia divorziata (ve ne sono milioni) e su una pesca regalata si riescono (o si desiderano) far dimenticare pesanti accuse di frode fiscale “monstre” (ferma restando la presunzione di innocenza, secondo la Procura, che ha sequestrato al colosso della grande distribuzione oltre 47 milioni di euro, “sarebbe stata realizzata da Esselunga una complessa frode fiscale caratterizzata dall’utilizzo di fatture per operazioni giuridicamente inesistenti e dalla stipula di fittizi contratti di appalto per la somministrazione di manodopera”), l’apparenza ha la meglio sulla sostanza, e la comunicazione commerciale e quella politica si allineano armonicamente e trovano finalmente una sintesi, in una nobile gara a chi riesce a costruire la più efficace delle armi di “distrazione” di massa.

La reputazione, però è tutt’altra cosa – ben più complessa – rispetto alla comunicazione tout-court: è saper costruire relazioni autentiche con tutti i propri pubblici sul medio-lungo periodo; è non nascondere la polvere sotto al tappeto, fare auto-analisi e saper chiedere scusa; è anche generare fiducia con/tra i propri stakeholder mediante una rendicontazione trasparente, non solo sui plus, ma anche sulle criticità dell’azienda; ed è molto altro ancora, pilastri alla base della costruzione di valore nei quali credo e che chi mi legge da più tempo ben conosce. E chi pretende di costruire buona reputazione affidandosi ai comunicatori, ai creativi della pubblicità, agli esperti di immagine, e via discorrendo, ha davvero sbagliato strada ed è – credetemi – fuori dal tempo.

Chissà se delle vicende relative alla frode fiscale di Esselunga si parlerà con schiettezza sul loro bilancio di sostenibilità 2023, quando il documentone verrà pubblicato: son davvero curioso.

Nel frattempo, accontentiamoci, e parliamo di pesche.

AGGIORNAMENTO DEL 12/10/2023 h 19:06: mi hanno segnalato un interessante articolo (pubblicato peraltro già da tempo, mi scuso quindi con i lettori per non averlo rintracciato prima online) che confermerebbe la richiesta di Esselunga, autorizzata dal Tribunale di Milano, di accedere in via eccezionale a un inedito “contraddittorio al fine di monitorare i progressi di legalizzazione”, ovvero un procedimento in base al quale, anticipando gli sviluppi dell’inchiesta, Esselunga si impegnerebbe ad assumere direttamente 3.000 lavoratori, reinternalizzando attività sinora affidate all’esterno. Un buon segno, che non sana l’assoluta carenza di rendicontazione sui canali digitali di Esselunga riguardo a questa spiacevolissima vicenda, ma sicuramente un primo passo concreto verso la soluzione della vertenza. To be continued…




Human&Green Retail Forum: la XIII edizione al Pacta Teatro Milano nel segno della ‘direzione obbligata’ per prendersi cura degli altri e del pianeta

Human&Green Retail Forum: la XIII edizione al Pacta Teatro Milano nel segno della 'direzione obbligata' per prendersi cura degli altri e del pianeta

In che direzione evolve il mondo del retail e del largo consumo?
Il titolo della tredicesima edizione dello Human&Green Retail Forum risponde a questa domanda con una affermazione perentoria: la direzione è obbligata e sta in quelle due parole “Human&Green”, che si scrivono senza spazi perché in realtà sono una cosa sola che ha nel prendersi cura, degli altri come del pianeta, il suo asse portante.

In questa cornice umano-ecologica sono diversi i temi su sui si articolerà la giornata e mezza di dialogo. Il primo è il tema dell’umanità in azienda, che è già nel nome stesso della XIII edizione del Green Retail Forum, trasformatosi per l’occasione in Human&Green Retail Forum. La transizione ecologica è orientata all’uomo e non avrebbe senso se non fosse finalizzata al benessere umano, ma da quest’anno il forum ha voluto far emergere con più forza il tema dell’umanità come prendersi cura in quanto approccio vincente per generare e guidare il cambiamento di cui le aziende hanno bisogno per affrontare la transizione umano-ecologica.

Le persone sono in cerca di significato e le aziende che sapranno crearlo insieme a tutti gli stakeholder
usciranno dalla transizione rafforzate.

Riccardo Taverna insieme ad Edvige Della Torre proporrà un “modello-non modello” di umanità in azienda e farà conoscere alcuni dei campioni di questa speciale categoria che i due professionisti hanno intervistato e raccolto sotto il titolo “Sulle tracce di Adriano” ispirandosi alla figura del grande Olivetti.

Paolo Mamo, presidente PLEF: “Umanità è l’irrinunciabile bisogno e la capacità di prendersi cura, lo stare in relazione, la sensibilità di capire tempi e modi in cui l’altro ha bisogno, che sia esso una persona, un animale, una cosa o il pianeta intero. La sostenibilità è scegliere di prendersi cura dei bisogni del
pianeta e delle persone con la consapevolezza che è il modo migliore per prenderci cura di noi stessi.”

La distribuzione organizzata è centrale nella vita delle persone, come la pandemia ci ha potentemente ricordato, e ha la responsabilità di prendersi cura di milioni di persone che ogni giorno fanno la spesa, sono impegnate nelle filiere produttive, lavorano tra logistica e commercio, nella filiera, consumatori e dipendenti.

Come il retail gestisce queste relazioni sarà la domanda a cui il Forum risponderà con la presentazione dei diversi casi e progetti di Coop, LIDL, Sogegross e Decò e gli esempi internazionali raccontati da KikiLab. Delle altre forme di sostenibilità del retail si parlerà invece con Leroy Merlin, Humana
e il Libraccio.

Il secondo tema in agenda è l’emergenza greenwashing che interessa oltre l’80% della comunicazione ambientale. La necessità di rivoluzionare la comunicazione green per arginare il greenwashing, che svuota di senso l’azione per la transizione ecologica, ha reso evidente l’importanza dei principi di misurabilità e verificabilità che ispirano la legislazione europea in discussione: direttiva Green Claims, ma anche il
regolamento Packaging Waste e la direttiva CSRD.

L’obiettivo di questo corpus normativo è quello di dare ai cittadini e alle aziende la reale possibilità di partecipare alla transizione e porre un freno al dilagare di promesse non mantenute. Sebbene ancora sia ancora lunga la strada per arrivare ad uno standard comune di misurazione dell’impronta ambientale che dia ai consumatori una chiara rappresentazione dei valori di sostenibilità, la consapevolezza del greenwashing e la scientificità dell’approccio sono già un primo passo nella giusta (e obbligata) direzione.

Domenico Canzoniero, attraverso la lente del suo marketing consapevole, guiderà questa riflessione sul greenwashing con l’ausilio di Luca Poma, Gianluca Della Campa, Chiara Faenza e Rossella Gallio, per poi affrontare il terzo tema chiave: la narrazione della sostenibilità.

La storia che ci raccontiamo è la più importante componente delle nostre decisioni di acquisto e oggi la narrazione della sostenibilità promette ai consumatori green di salvare il pianeta pur sapendo che non è tecnicamente possibile che siano i cittadini a fare la parte più importante. Quale può essere un’etica della narrazione della sostenibilità che rispetta i ruoli e il contesto della crisi umano-ecologica in cui siamo? Un contributo sul tema verrà dal ‘keynote speech’ di Paolo Marcesini di Italia Circolare, e dalla presentazione di uno spot 30″, realizzato da Gothacom su un soggetto ideato da 6 studenti di Strategie della Comunicazione Pubblica e Politica dell’Università di Firenze, sotto la guida di Maurilio Brini e di Apicom Toscana. Attorno allo spot si svilupperà la discussione sull’etica della narrazione della sostenibilità.

Sempre in materia di nuove legislazioni europee e avvio di una nuova stagione della sostenibilità, Coripet affronterà il tema del riciclo e riuso con il punto di Monica Pasquarelli sul riciclo selettivo delle bottiglie in PET, mentre i ricercatori della S.S. Sant’Anna di Pisa relazioneranno sui progetti per l’economia circolare elaborati per GS1 Italy.

Da ultimo il tema chiave del Right to Repair, anch’esso da poco regolamentato a livello europeo, che sarà affrontato dal direttore di Aires, Associazione Italiana Retailers Elettrodomestici Specializzati, Davide Rossi, che premierà anche le iniziative più sostenibili dei suoi associati.

La scommessa e il messaggio della XIII edizione dello HGRF è che nel nesso fondamentale tra umanità e ambiente, nella necessità di fare riferimento a queste due dimensioni della sostenibilità per pensare al futuro, c’è la chiave per mettersi in marcia, per dare nuova energia e nuova motivazione alla transizione umano-ecologica del retail e del largo consumo.

La direzione è obbligata, c’è da mettersi in marcia nei tempi e nei modi che non rendano vano il cammino.
L’iniziativa, inserita all’interno del palinsesto della Milano Green Week promossa dall’Assessorato all’ambiente del Comune di Milano, vedrà numerosi protagonisti: da Paolo Mamo, presidente di Planet Life Economy Foundation a Alessandra Fazio (Quality Manager Nestlé) alla prima presenza al forum come presidente della fondazione Carta Etica del Packaging, a Pierluigi Stefanini presidente Asvis e fondazione Unipolis, a Rossella Brenna, vicepresidente Associazione Donne del Retail.

Tra le presenze del mondo retail avremo:
Coop Italia – Chiara Faenza e Alessandro Masetti
LIDL – Alessia Bonifazi
Sogegross – Maurizio Gattiglia
Decò – Mario Gasbarrino
Leroy Merlin – Luca Pereno
Il Libraccio – Carlotta Sanzogni
Humana Vintage – Alfio Fontana
Naturium – Giovanni Sgrò
Il Mercatino – Sebastiano Marinaccio

Tra gli esperti del settore:
Paolo Cuppini – GS1 Italy
Gianluca Della Campa – Junker
Paolo Marcesini – Italia Circolare
Luca Poma – LUMSA e Università San Marino
Rossella Gallio – Fondazione Carta Etica del Packaging

Main sponsor:
Coripet, il consorzio del riciclo selettivo delle bottiglie in PET che parteciperà con Monica Pasquarelli.

Sponsor:
Mugo, azienda giovane che fornisce soluzioni per rendere l’esperienza d’acquisto climate friendly. Al forum ci sarà il CEO Benedetto Ruggeri.
Aires, l’associazione dei retailer dell’elettronica che al forum premierà le iniziative più
green dei suoi associati.

L’iniziativa si terrà al Pacta Salone di Milano, che giovedì 28, al termine del Forum, permetterà di assistere allo spettacolo “Scienziate Visionarie – Il mondo che vogliamo”, una produzione PACTA. dei Teatri: un’attrice e due fisiche ambientali del CNR racconteranno le storie di due pioniere della sostenibilità ambientale, Alice Hamilton e Donella Meadows (ingresso gratuito fino ad esaurimento posti, con prenotazione obbligatoria a
biglietteria@pacta.org ).

Qui il programma completo e il link di registrazione




Tesi di laurea: L’ESPERIENZA TRANSGENDER E L’INCLUSIONE SOCIALE NELL’ERA DELL’INFLUENCER MARKETING

L'ESPERIENZA TRANSGENDER E L'INCLUSIONE SOCIALE NELL'ERA DELL'INFLUENCER MARKETING

di Alice Molari, Università degli Studi della Repubblica di San Marino – Alma Mater Studiorum, Università di Bologna

DIPARTIMENTO SCIENZE UMANE
CORSO DI LAUREA IN COMUNICAZIONE E DIGITAL MEDIA, CLASSE L-29

Viviamo in un’epoca digitale, nella quale il mondo è più connesso che mai. Le barriere geografiche si stanno sgretolando, e attraverso i social media milioni di voci risuonano con potenza in tutto il globo. Questa connessione ha innescato una trasformazione profonda, portando alla ribalta temi essenziali come l’inclusione, la rappresentanza delle minoranze e l’accettazione della diversità.

In un periodo in cui la diversità, l’equità e l’inclusione sono al centro del dibattito sociale, esplorare queste tematiche diventa non solo importante ma anche imprescindibile. È un’opportunità per ampliare le nostre prospettive, per comprendere meglio noi stessi e per dare voce ai gruppi spesso sottorappresentati o discriminati nei media. È un invito a contribuire a costruire una società più equa e armoniosa, dove ogni individuo possa esprimere la propria autenticità senza restrizioni.

In questo contesto emergono nomi che risuonano con una grande eco tra milioni di seguaci: Francesco Cicconetti, Muriel, Lady Gaga, Nina Rima, Alicia Garza e molti altri. Il loro impatto va ben oltre il numero di like e condivisioni: questi influencer incarnano l’autenticità e si impegnano quotidianamente per veicolare uguaglianza, sono modelli positivi e fonti di ispirazione per coloro che intraprendono il cammino di accettazione e transizione.

Tuttavia, l’inclusione sociale non è solo una questione di “visibilità online”: per costruire una società veramente giusta e rispettosa di ogni identità di genere, è essenziale che azioni legali, sociali ed educative lavorino insieme per promuovere la diversità e l’inclusione. Siamo tutti chiamati a lavorare insieme per costruire un futuro in cui la diversità sia celebrata e in cui ogni individuo possa esprimere la propria autenticità senza restrizioni. È una sfida, ma anche una straordinaria opportunità di cambiamento. In questo percorso, esploreremo come le piattaforme digitali possano contribuire a plasmare un mondo più inclusivo e rispettoso delle differenze e come l’inclusione sia divenuta una forza trainante nell’era digitale.

Il testo integrale della tesi è scaricabile in formato .pdf a questo link