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Corporate Governance, perché la lotta alla corruzione dà valore aggiunto all’impresa

Le aziende hanno la responsabilità di contribuire attivamente alla lotta alla corruzione. Un obiettivo può essere raggiunto attraverso la prevenzione, ma anche con l’impegno dei vertici aziendali a creare una cultura basata su integrità, trasparenza, onestà e conformità alle leggi

  1. Corporate Governance e Corporate Social Responsibility

Sempre di più, e con crescente vigore in questi anni, stiamo assistendo all’emergere di una nuova tensione imprenditoriale, che muove la Corporate Governance verso un orientamento gestionale che supera il semplice rispetto delle normative e delle legislazioni obbligatorie, definendo una vision-mission ben più ampia del semplice profitto.
Immersa in questa tendenza, la Corporate Governance, intesa comeinsieme di regole e di strutture organizzative che sta alla base di un corretto governo societario, e che conduce la società a raggiungere i propri obiettivi, si ispira anche al tema della responsabilità sociale di impresa (Corporate Social Responsibility). Come conseguenza di ciò, tra le strategie di sviluppo dell’impresa si sta diffondendo l’adozione di modelli di gestione che tendono a garantire una sempre maggiore mitigazione dei rischi d’impresa, in grado di continuare ad esaudire le aspettative economiche, ma anche di soddisfare le legittime attese sociali dei differenti stakeholder.

  1. La Corporate Governace può trovare ispirazione nelle leggi.

L’analisi e la valutazione dei rischi, per la loro successiva mitigazione, sono diventate attività di primaria importanza, nella fase di sviluppo strategico della Corporate e dei suoi processi aziendali, tali da rendere un’impresa realmente distintiva, rispetto al resto del mercato.
Ci sono ambiti, è vero, in cui l’imprenditore è sostanzialmente tenuto al rispetto di prescrizioni normative che gli impongono un approccio responsabile ai rischi connessi alla propria attività. Ad esempio, dal 2008, ogni datore di lavoro è tenuto a redigere il Documento di Valutazione dei Rischi ai sensi del d.lgs.81/08 (Testo Unico sulla salute e sicurezza sul lavoro); dal 2018 ogni titolare del trattamento di dati personali sarà obbligato a rispettare quanto previsto dal Regolamento (Europeo) Generale sulla Protezione dei Dati (che andrà a sostituire il vigente d.lgs. 193/2006, prevedendo appunto un risk based approach finalizzato alla privacy by design).
Da cosa potrebbe dipendere allora la distintività di un’impresa?
Tra le varie ragioni, si può indicare la capacità di saper coniugare ed integrare le prescrizioni normative strettamente connesse alla tipologia dell’impresa (al proprio business e ai processi aziendali), ad una parte strategica “variabile”, facoltativa, volontaria, e per questo potenzialmente distintiva.
Tra i modelli organizzativi più innovativi, che negli ultimi anni sti sta particolarmente diffondendo nel tessuto imprenditoriale nazionale, trasversalmente ai vari settori merceologici, perché indipendente da questi, e facoltativo, è il Modello di Organizzazione, Gestione e Controlloadottato ai sensi del d.lgs.231/2001, che si basa su un’attenta analisi e un’accurata valutazione dei rischi di tutti i processi aziendali, in ottica di prevenzione da reato.
Originariamente inserito in un contesto di attuazione di obblighi internazionali di lotta contro la corruzione [1], per molti anni il d.lgs.231/2001 è stato percepito dalle imprese come un aggravio burocratico, se non addirittura una sorta di ammissione (quasi accusatoria) che nel proprio sistema organizzativo vi fosse spazio per commettere reati. Diventato norma di riferimento per la prevenzione, in generale, del dilagante fenomeno della «criminalità d’impresa»[2], negli ultimi anni, stiamo assistendo ad un cambiamento di tendenza strategico-organizzativo della governance, sempre più orientata ad individuare il valore aggiunto del Modello 231, sia in ottica di risparmio in termini di riduzione dei rischi, che di miglioramento reputazionale sociale.

  1. La lotta alla corruzione come fattore distintivo dell’impresa a livello globale: le nuove UNI ISO 37001 (anticorruzione).

Tra gli ambiti di maggiore intervento ri-organizzativo del Modello 231, si deve dare atto di un’attenzione sempre molto alta per tutti quei processi aziendali che, almeno potenzialmente, riescono ad agevolare la commissione di reati di natura corruttiva (pubblica e privata che sia), complice anche il notevole interesse internazionale, in termini di analisi economica oltre che giuridica, del fenomeno corruttivo. Sono molti, infatti, i tavoli internazionali che portano ripetutamente in discussione il tema del contrasto alla corruzione e che mettono in evidenza i molteplici interessi degli stakeholder agganciati ad una responsabilità sociale dell’impresaTra questi si deve riconoscere un grande valore ai work tables più tecnici, come quello che ha lavorato instancabilmente per la definizione di una norma internazionale contro la corruzione, la ISO UNI 37001:2016, rubricata “Sistemi di gestione per la prevenzione della corruzione – Requisiti e guida all’utilizzo” entrata recentemente[3] a far parte anche del corpo normativo nazionale.
Di sicuro, ciò che caratterizza una norma UNI, è la natura tecnica e la volontarietà, trattandosi di un punto di riferimento che le parti interessate si impongono spontaneamente. Vero è, però, che sono sempre più numerosi i provvedimenti legislativi che fanno espresso riferimento alle norme tecniche, a volte segnalate come la via preferenziale, seppure non unica, per il rispetto della legge, altre volte indicate come un rimando obbligatorio.
Uno dei grandi valori della normazione UNI sta dunque nella sua funzione di supporto alla legislazione cogente: le prescrizioni di legge possono trovare la loro concreta declinazione nelle norme tecniche, che semplificano il sistema e rendono più veloce e automatico l’aggiornamento del corpuslegislativo.
La norma ISO UNI 37001 va quindi considerata nel contesto sociale, economico e normativo vigente, ed apprezzata quale ulteriore evidenza di un nuovo traguardo internazionale nella lotta alla criminalità d’impresa, come tale pienamente integrabile al citato Modello 231, e anch’essa fondata su un risk approach.
In quanto norma tecnica, la UNI mira a fornire suggerimenti concreti per la valutazione dei rischi in ottica di mitigazione del rischio di commissione reato, al fine di permettere all’organizzazione di costituire una base solida per il proprio sistema di gestione per la prevenzione della corruzione. Seguendo le indicazioni della norma, l’assessment ha inizio da una fase di identificazione dei rischi di corruzione che l’organizzazione possa ragionevolmente prevedere, dati i fattori elencati al punto 4.1 della norma UNI, quali: (a) la dimensione, la struttura, e l’autorità decisionale delegata dell’organizzazione, (b) i luoghi e i settori in cui l’organizzazione opera o prevede di operare, (c) la natura, l’entità e la complessità delle attività e delle operazioni, (d) il modello commerciale, (e) gli enti controllati dall’organizzazione e quelli da cui è controllata, (f) i soci in affari, (g) la natura e l’entità delle interazioni con i pubblici ufficiali, e infine (h) gli obblighi e gli adempimenti di legge, normativi, contrattuali e professionali applicabili.  A seguito dell’identificazione di questi fattori, l’assessment deve proseguire con una fase di attenta analisi e valutazione dei rischi connessi. A tal fine, la norma fornisce un esempio pratico ed operativo (contenuto nell’Appendice A.4 della UNI ISO 37001) circa il modo di effettuare tale valutazione, la metodologia da applicare, il modo di ponderare e dare priorità ai rischi di corruzione ed il livello accettato o tollerato di rischio. A mero titolo esemplificativo circa il modo in cui un’impresa può scegliere di effettuare il proprio risk assessment, la UNI consiglia di selezionare i criteri di valutazione del rischio di corruzione, prendendo in considerazione numerosi fattori, tra cui la natura del rischio, la probabilità del verificarsi di atti di corruzione e l’entità delle conseguenze che potrebbero esserci (a) nonché di valutare i rischi di corruzione posti dalla dimensione e dalla struttura organizzativa, ad esempio, se è piccola, con sede in un unico posto e con controlli gestionali centralizzati nelle mani di poche persone, oppure se si tratta di un’impresa molto grande, con una struttura decentrata e operante in luoghi diversi (b).
Pertanto, quanto sopra riportato permette di aggiungere che la norma UNI ISO 37001 può rappresentare un valido supporto per tutte le organizzazioni piccole, medie e grandi, di qualunque settore, compresi quello pubblico, privato e del no profit, che volessero rafforzare gli strumenti di contrasto alla corruzione, già predisposti in ottemperanza della legge, quali i Modelli di Organizzazione, Gestione e Controllo ai sensi del d.lgs.231/2001.
Indiscutibile, inoltre, il valore aggiunto della certificazione UNI, non solo in termini di impatto positivo sul piano economico del mercato internazionale, ma anche in termini di spendibilità sul fronte giuridico, garantendo il sistema di controllo preventivo dei reati corruttivi dell’organizzazione.
Ecco dunque spiegato come, dal binomio d.lgs.231/2001 e UNI ISO 37001, possa derivare un fattore realmente distintivo dell’impresa moderna e della sua Corporate Governance.
 
[1] Il Decreto Legislativo 8 giugno 2001, n. 231, attuativo della legge delega n. 300 del 2000, di ratifica della Convenzione sulla tutela finanziaria delle Comunità europee del 26 luglio 1995, della Convenzione U.E. del 26 maggio 1997 relativa alla lotta contro la corruzione e della Convenzione OCSE del 17 settembre 1997 sulla lotta alla corruzione di pubblici ufficiali stranieri nelle operazioni economiche internazionali, ha introdotto nel sistema legale italiano il principio secondo cui, per certi crimini, vengono puniti sia l’autore del reato che l’Ente nel cui interesse o per il cui vantaggio è stato commesso, disciplinando la responsabilità amministrativa delle persone giuridiche.
[2] Dal 2001 ad oggi, il catalogo dei reati 231 si è esteso fino a comprende tutte le famiglie di reato richiamate dagli articoli, dal 24 al 24-ter e dal 25 al 25-duodecies.
[3] La norma ISO UNI 37001 è stata ratificata dal Presidente dell’UNI in data 20 dicembre 2016.




Connotare i Newsbrand

La prevalenza di accessi da search e social rende sempre più le notizie unbranded. Le persone fanno sempre più fatica a distinguere e ricordare su quale testata abbiano letto una notizia, un articolo.
Si tratta di una pericolosa omologazione verso il basso che non è solamente il frutto di una scellerata gestione dei social ma trova le radici anche in prodotti editoriali sempre più indistinti, uguali nella proposta in termini di taglio editoriale e di format utilizzati.
Il risultato è l’ulteriore perdita di valore per i newsbrand sempre più fungibili, indifferenziati, con articoli brevi, mediamente attorno alle 800 battute, al massimo con una foto di corredo e poco altro. Aspetto che deprime il più rilevante, anche sotto il profilo economico, degli asset intangibili: il valore del brand.
Sviluppare e rendere popolari altri format aiuta a rendere le storie, le notizie, gli articoli, maggiormente distinguibili, soprattutto se fruiti su altre piattaforme quali i social, fornendo una maggiore motivazione a visitare il sito della testata e/o ad usare la sua applicazione per mobile.
Un buon esempio sotto questo profilo può essere il pezzo prodotto dal NYTimes sulla rielezione di Angela Merkel con tre infografiche [due statiche ed una dinamica], una tabella di sintesi dei dati presentati e citazione, e link, alla fonte dei dati, con in appendice la sequenza di correzioni apportate rispetto alla stesura originale dell’articolo, o la sezione «The long read» del Guardian. Qualità per il lettore e correttezza nei confronti del pubblico che, tranne per eccezioni che si contano sulla punta delle dita di una mano o poco più, in Italia nemmeno ci sogniamo sui siti web delle testate nostrane.
In tal senso uno spunto di valore – al quale l’unico appunto possibile è l’assenza dei podcast, che stanno invece vivendo una nuova “primavera” – viene dal BBC News Lab che riepiloga quali e quanti format si possano utilizzare, identificando almeno 12 diverse tipologie [e relativi esempi] suddividendoli tra quelli che fanno maggiormente leva su elementi visivi e quelli invece testuali nonchè segmentandoli per lunghezza del pezzo.
Ne viene fuori un quadro davvero completo di quanto sia possibile concretamente fare già oggi, con buona pace di quelli che «la carta è per l’approfondimento», chiara ammissione di fatto di inadeguatezza, o peggio.
Quando i mercati non crescono si può comunque svilupparsi rubando quota ai competitor. È una strategia che in altri mercati viene implementata regolarmente e numerosi sono i casi in tal senso. Per farlo la prima regola di base è differenziarsi dalla concorrenza.  Fate due più due e tirate le somme. Buon lavoro.




Il Riposizionamento di The Coca-Cola Company

Le bevande dolci e gassate fanno male. Se anche in Italia se ne parla da tempo, dall’altra parte dell’oceano è ormai l’ossessione di una nazione piena di contraddizioni nella quale si possono tranquillamente comprare armi ad ogni angolo ma le calorie di una bevanda sono il demonio, mentre invece il puritanesimo protestantista che mette al bando chi mente – come era accaduto a Bill Clinton per la nota vicenda della stagista – pare, ahimè, ormai sdoganato dalla “post verità” di Trump e compagni.
Infatti, sono ormai moltissimi i comuni che negli Stati Uniti tassano pesantemente i soft drink zuccherini, con quella che è stata soprannominata la “soda tax”, e il neo-proibizionismo pare funzionare nella riduzione dei consumi di questa tipologia di bevande. Problema da affrontare anche in Europa dove il settore dei soft drink si è impegnato a ridurre del 10% il contenuto zuccherino delle proprie bevande proprio per provare a scacciare lo spettro di una maggiore tassazione.
Ecco che allora The Coca-Cola Company prova a riposizionare la sua immagine al grido, appunto, di #CocaColaRenew, proponendosi come una «organic tea company», ma anche una «premium juice company», piuttosto che una «coconut water company», attribuendosi pubblicamente, in uno spot di metà Settembre durante il “Sunday Night Football” [programma nel quale uno spot da 30″ costa tra 100mila e 300mila dollari], una serie di prodotti che la maggior parte delle persone, che spesso li acquista per placare il proprio senso di colpa per uno stile di vita, ed alimentare, “disordinato”, consuma senza neppure sapere che siano prodotti dall’azienda che produce la bibita gassata più famosa del mondo.
È da intendersi in tal senso evidentemente, anche, il lancio relativamente recente di Coca-Cola Life, line extention della bibita zuccherata con elementi naturali.

Un trend che ovviamente coinvolge anche altri multinazionali, come ad esempio Nestlé che di recente ha acquisito Blue Bottle Coffee e si inserisce, come noto, in una tendenza in atto da tempo dove il salutismo ed il “welleness” coinvolgono fasce sempre più ampie della popolazione anche nel nostro Paese.
Insomma, The Coca-Cola Company prova a riposizionarsi come impresa “buona”, anche, per la salute, per ora, degli americani, e sicuramente in un prossimo futuro non troppo lontano anche di altri, italiani compresi naturalmente, anche se nel nostro Paese la comunicazione pubblicitaria di questa estate è stata invece tradizionale rispetto al nuovo spot negli USA.
Un riposizionamento partito dall’unificazione del packaging sempre rosso e non più di colori diversi per le varianti della bibita e, soprattutto, dal passaggio da “open happiness”, con il quale Coca-Cola  veicolava messaggi utopici ed aspirazionali, a “taste the feeling”, che invece pone al centro il prodotto.
L’idea di riposizionarsi, unificando e riordinando tutta la comunicazione del brand è senza dubbio interessante. Quando i brand utilizzano codici coerenti in tutti i suoi punti di contatto riescono ad essere compresi e riconosciuti con maggior facilità. Resta da vedere se, e in quanto tempo, il tentativo possa portare ai risultati attesi dopo decenni di identificazione, quasi di simbiosi, tra l’impresa ed il suo brand più noto.
Nell’epoca del passaggio dalla brand image alla brand reputation, e dalla brand identity alla brand personality il riposizionamento passa, anche, da azioni di questo genere che solo il tempo potrà dire se avranno il successo atteso.
Una cosa è certa, a parlare sono i numeri: tra il 2012 e il 2015 all’interno del portafoglio di Coca-Cola Inc., che conta oltre 100 referenze drink, a crescere [in milioni di litri] sono stati i consumi di bottigliette d’acqua e bibite gassate non riconducibili alla cola.

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La Recyclerie: a Parigi un esempio virtuoso di economia circolare ed equità sociale

Da qualche anno abbiamo cominciato a sentir parlare di economia circolare, in opposizione a quella lineare tradizionale, il cui ciclo di produzione si basa sull’estrazione (delle materie prime), la produzione (di oggetti), il consumo e la trasformazione del bene usato in rifiuto. Alla base dell’economia circolare, invece, ci sono le idee di riusoriciclo e riduzione (dei rifiuti), che sono le stesse alla base della filosofia de La Recyclerie, un piccolo mondo anticonformista a Parigi.

La Recyclerie biblioteca
LA BIBLIOTECA (PH: LIKE A LOCAL)

La Recyclerie, che cos’è?

La Recyclerie è stata costruita dove prima sorgeva la stazione ferroviaria Ornano, nell’allora Petite Ceinture, dismessa e chiusa ai viaggiatori nel 1934.
Il 14 giugno 2014 ha riaperto al pubblico col nome di La Recyclerie, lasciando intatta l’atmosfera industriale e un po’ retrò, ma cambiando decisamente scenario: entrando, infatti, troverete un bar, un ristorante, un centro culturale, una biblioteca, un’officina; e, nello spazio esterno, una fattoria – dove abitano ben sedici galline e due anatre – e un orto, oltre a uno splendido giardino dove sedersi a leggere, bere un caffè o chiacchierare.
Secondo quanto dicono del posto i fondatori, La Recyclerie è «un centro di svago incentrato sulle nuove pratiche della vita quotidiana, immerso in un universo che utilizza la low-tech – cioè quella tecnologia che per la costruzione dei dispositivi utilizza materiali naturali, attraverso processi sostenibili, che rispettano gli equilibri naturali preesistenti [NdR] -, la trasmissione e la riappropriazione di tradizioni utili».

La Recyclerie orto
L’ORTO (PH: RFI)

La filosofia delle tre R

La Recyclerie si basa sulla filosofia delle tre R – riuso, riciclo, riduco –: la collaborazione e il “fai da te” sono i valori che guidano il centro nella progettazione e programmazione dei suoi eventi e nell’offerta di ristorazione.
Sì, perché ogni settimana alla Recycleriesi svolgono numerosissimi eventi: laboratori sulla riparazione di piccoli elettrodomesticiconferenze sui temi della sostenibilità ambientalecorsi dicosmesi naturale, laboratori su come costruire le ghirlande, su come riciclare oggetti che a primo impatto sembrano inutili e da buttare, sul giardinaggiomostre artistiche, ecc.
Nella biblioteca del centro si trovano romanzi, saggi, guide pratiche, i cui temi sono di grande attualità: lo sviluppo sostenibile, il clima, l’acqua, le energie rinnovabili, la prevenzione e la gestione dei rifiuti, la biodiversità, l’agro-ecologia, l’eco-comunicazione, il cambiamento sociale, ecc.
La maggior parte dei libri che si trova nella biblioteca è stata fornita dalla fondazione Veolia, riferimento mondiale per la gestione delle risorse ottimizzate, nonché principale partner de La Recyclerie.

Il bar e il ristorante

In linea con la filosofia di base, il cibo offerto al ristorante e alla caffetteria del centro è frutto di una cucina responsabile: i prodotti sono freschi – le uova arrivano direttamente dalle galline allevate nella mini-fattoria del luogo -, e di qualità.
Il menù offre almeno tre piattivegetariani al giorno, e almeno unovegano.
I piatti sono sempre preparati in loco e accessibili a tutti anche riguardo al prezzo, che varia tra gli 8 e i 15 euro.
rifiuti organici, cioè i resti dei cibi nei piatti o gli scarti della cucina, diventano cibo per gli animali della fattoria o, compostati, concime per l’orto e il giardino.

La Recyclerie atelier
UNO DEI LABORATORI DI RICICLO E RIUSO A LA RECYCLERIE (PH: ECOMIECIRCULAIR.ORG)

L’Associazione degli Amici Riciclatori

L’Associazione degli Amici Riciclatori si occupa dell’animazione, della programmazione dei laboratori e dell’azienda agricola.
L’obiettivo dell’associazione è promuovere l’uso sulla proprietà agevolando il consumo collaborativo, rafforzando le interazioni e lo scambio locale tra i cittadini e sensibilizzando ai valori del riciclaggio, della riparazione e del “fai da te”.
La gestione del centro funziona grazie ai ricavi delle iscrizioni e ad alcune attività pagate (per i non membri), ma anche attraverso partenariati finanziari a lungo termine che accompagnano i numerosi investimenti necessari per lo sviluppo economico de La Recyclerie nel suo complesso.
L’associazione, a oggi, conta quasi 500 membri.

Anatre
LE ANATRE DE LA RECYCLERIE (PH: MY MORNING TRAVEL GUIDE)

La fattoria e il giardino

Infine, la fattoria e il giardino de La Recyclerie consentono la creazione di un ambiente adatto alla biodiversità di circa 1000 mq, dove vivono svariate specie di uccelli.
Oltre a ospitare sedici galline, due anatre e un orto, la fattoria possiede due sistemi di compostaggio, quattro alveari, un sistema acquaponico e soprattutto un giardino collettivo di 400 mq con 150 mq nel terreno e 130 mq di serra acquaponica.
Il sistema acquaponico è una tipologia di agricoltura mista ad allevamentosostenibile: in un sistema acquaponico l’acqua delle vasche per acquacoltura, cioè per l’allevamento dei pesci commestibili, viene pompata in quelle idroponiche, cosicché le piante che vi si trovano possano filtrarla sottraendo diverse sostanze di scarto dei pesci e traendone quindi nutrimento.
L’acqua così filtrata potrà quindi essere reimmessa nelle vasche per acquacoltura e riprendere il suo ciclo.
La Recyclerie si trova nella Parigi popolare, quasi a voler suggellare il suo legame con la giustizia sociale, ambito per cui il centro sta lavorando molto, cercando di avvicinare quante più persone possibili a un’innovativa idea di economia, quella circolare, l’unica che può trasformare l’ingiustizia sociale attuale in equità.




Realtà aumentata: quello che ogni marketer dovrebbe sapere

Realtà aumentata: uno strumento potente che potrebbe introdurre nuove tecniche per fare marketing

La realtà aumentata è uno strumento molto potente per fare marketing, non a caso fa parte dei Tech Trend inseriti nel Report Deloitte 2017. Uno tra i più eclatanti esempi di utilizzo dell’augmented reality è stato nell’estate 2016, quando l’app Pokémon Go ha ottenuto più di 500 milioni di download e pari persone viaggiavano con la testa curva sul display del proprio smartphone impegnate nella ricerca di Pikachu ed i suoi amici. Quello di Pokémon Go è stato il primo utilizzo di un’applicazione sviluppata in realtà aumentata che ha fatto impazzire le masse e ha dimostrato efficacemente il valore della tecnologia applicata a nuove piattaforme per la ricerca di nuovi clienti. Pokémon Go è scomparso quasi subito dalle luci della ribalta e il Gonna Catch ‘Em All è solo un lontano ricordo dell’estate 2016, insieme ai tanti tormentoni che l’hanno caratterizzata.
Le sfide della realtà aumentata, comunque, non si sono fermate con l’involuzione della tendeza Pokémon, anzi, l’ultimo anno è stato un fiorire di nuove funzionalità basate proprio su questa tecnologia.

I giganti del tech: nuovi possibili scenari

Visto l’enorme successo dell’app Pokémon Go, diversi marketer hanno iniziato a parlare della realtà aumentata come potente strumento di marketing. Chiudi gli occhi e prova ad immaginare cartelloni pubblicitari ed annunci che esistono solo nel mondo virtuale, creati per offrire sconti e promozioni esclusive solo per gli utenti AR. Un concetto totalmente nuovo, ma alcuni grandi nomi della tecnologia ne stanno sperimentando le funzionalità così da sfruttarne il grande potenziale.
Uno su tutti Apple, che sta puntando parecchio su questa nuova tecnologia con la speranza di costruire il prossimo sistema operativo iOS 11 sulla prima piattaforma di realtà aumentata del mondo. Non a caso, il gigante tecnologico ha recentemente annunciato la ricerca di decine di professionisti con competenze molto specifiche per supportare lo sviluppo di progetti software AR.
Nel contempo, anche il colosso Facebook ha dimostrato il suo crescente interesse per questa tecnologia, rilasciando una beta chiusa per la piattaforma mobile basata sui principi dell’AR. Proprio in occasione del Facebook F8, infatti, molti si aspettavano che venissero presentati progetti di realtà virtuale, rimanendo completamente spiazzati all’annuncio di Zuckerberg:

La realtà aumentata cambierà il modo di utilizzare i nostri cellulari e tutta la nostra tecnologia.

 

Ma come si potrebbe utilizzare una tecnologia così all’avanguardia in un’ottica di marketing aziendale?

In un Paese digitalizzato come l’Italia, dove ancora ci sono diverse remore nei confronti del web marketing (complici i numerosi fuffaroli), non è semplice portare avanti nuovi sviluppi basati sull’AR ma certo non è impossibile. All’estero, al contrario, esistono già numerosi esempi di realtà aumentata applicata al marketing, uno su tutti l’esperimento Blippar.
L’azienda, specializzata in servizi AR, ha lavorato con diversi brand per creare annunci banner basati su questa nuova tecnologia, senza la richiesta di una particolare app per visualizzarli. Quando gli utenti mobile fanno click sull’annuncio abiliteranno la funzionalità AR, riuscendo così ad interagire con il proprio ambiente fisico e virtuale in modo completamente nuovo ed innovativo.
Puntando la fotocamera su particolari oggetti, infatti, gli utenti possono ricevere suggerimenti su prodotti simili o complementari. Immagina ora di essere al ristorante: puntando la fotocamera verso il piatto, l’AR potrebbe fornirvi consigli di abbinamento dei vini, degli stessi piatti fra loro, dei dolci e così via.
La realtà aumentata potrebbe essere una grande risorsa anche in ottica di local marketing, perché ha la possibilità di fornire numerose informazioni utili. Puntando la fotocamera in direzione di un particolare oggetto, ad esempio un lampadario, il cellulare può dirvi dove acquistarlo in zona, risparmiandovi tempo prezioso nella ricerca online.

Un ponte tra l’online e l’esperienza in-store

Grazie alla presenza di Internet e dispositivi sempre connessi, i consumatori si aspettano di avere un enorme flusso di informazioni, su qualsiasi prodotto, sempre a portata di mano.
In un mondo così evoluto, la vecchia comparazione dei prezzi fatta tra gli scaffali dei negozi sarà solo un vecchio ricordo. Il brand inglese Jura Watches, ha sviluppato applicazioni in AR che consentono agli acquirenti di conoscere ulteriori dettagli ed informazioni sui prodotti mentre camminano nel negozio confrontando le diverse marche. Il concetto è lo stesso dei più vecchi beacon, ma con funzionalità completamente differenti: infatti, nel caso specifico Jura Watches, i clienti possono “provare” i diversi orologi e vedere quale stile si adatta meglio, senza avvicinarsi alla vetrina.
Insomma, la realtà aumentata può migliorare l’esperienza di acquisto digitale, mettendo i prodotti nelle case dei consumatori ancor prima di effettuare un acquisto.
A tal proposito cade a pennello il caso Ikea, che ha sperimentato una funzionalità AR che consente agli acquirenti di vedere come uno o più pezzi di arredamento, potrebbero stare all’interno di una determinata abitazione. La linea tra esperienze di acquisto digitali e fisiche si assottiglierà sempre di più, creando possibilità sempre nuove di engagement fra i clienti.

Questa tecnologia renderà più facile prendere decisioni di acquisto in casa propria, ispirarsi e provare diversi prodotti, stili e colori in ambienti reali con il semplice scorrere di un dito. Penso che la realtà aumentata e la realtà virtuale saranno un modo per portare la vendita al dettaglio al pari di quella online. Solo così sarà molto più veloce accedere a miliardi di nuovi potenziali clienti.

Queste le parole in un comunicato stampa di Michael Valdsgaard, leader della trasformazione di Ikea.
Poiché le aziende continuano ad investire in questa nuova tecnologia, le nuove applicazioni di marketing si adatteranno in modi sempre nuovi. Ora che importanti aziende stanno investendo in realtà aumentata, non passerà molto tempo prima che diventi un vero e proprio strumento di marketing riconosciuto.
Il futuro dell’AR è pieno di incredibili potenzialità e, in Italia, ci stiamo avvicinando piano piano a questo nuovo mondo. Ad esempio, numerose testate editoriali (es. Focus, Donna Moderna ed altri) stanno utilizzando la realtà aumentata per fornire contenuti sempre più approfonditi e nuovi rispetto a quelli presenti sulla carta stampata. Un nuovo modo di fare content marketing? Lo scopriremo soltanto osservano gli sviluppi di questa nuova tecnologia.