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Mostra di Helmut Newton a Venezia

Helmut Newton: a Venezia esposti 200 suoi indimenticabili scatti. Un breve reportage dalla mostra, per riflettere sulla figura di questo grande artista.
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Ogni Oceano ha il suo ha il suo eco-resort

Dall’America latina all’Africa, all’Indonesia: ecco le mete esotiche dove rilassarsi nel rispetto della natura. Tra foreste pluviali, spiagge dorate e animali selvaggi. In nome del turismo compatibile

Vacanza ecologica, con il comfort del lusso ma a costi contenuti. La domanda di turismo sostenibile p sempre più imperiosa: chi viaggia valuta la destinazione per i sevizi e prezzo ma per fare la scelta, l’impatto ambientale diventa un fattore determinante. Oggi molte strutture nel mondo hanno dotato eco-accorgimenti, ma poche possono autenticamente definirsi  “absolute green”. Nascosto nella foresta pluviale di Mata Atlantica, riserva ecologica a sud di Rio de Janeiro, l’eco-resort del Club Med Rio Das Pedras è stato appena insignito del Green Globe, riconoscimento mondiale della qualità dei servizi nel rispetto dello sviluppo sostenibile.
Costruito in stile coloniale ospita nei bungalow mimetizzati tra i giardini di bromelia, hibiscus e alberi di pitaga, ai cui piedi c’è il mare e una baia di 600 metri di sabbia d’oro. In Rio Das Pedras si specchia un Paese, il Brasile, particolarmente attivo in tema di sostenibilità. L’Amazzonia è il più esteso cuore verde del pianeta, l’85% dell’elettricità brasiliana è fornita da fonti rinnovabili e il Paese ha imboccato una politica turistivca verde tanto da radunare gli eco-hotel e gli eco-resort in una sezione di destinazioni verdi sul portale del Ente del Turismo (www.embratur.gov.br). Per condividere la biodiversità in questo Club Med sono previste anche diverse attività ad doc, come le escursioni ecologiche per conoscere la Mata a piedi, in canoa a mountain bike, adatte per tutta la famiglia. Pacchetto 7 giorni da 2.000 euro, volo Tam tutto compreso (www.clubmed.it).
Dall’America Latina all’Africa, il verde è una realtà importante anche a Mauritius dove l’Ente del Turismo insieme a Air Maruritius ha creato Mauritius Essentia (www.mauritiusessenti.com), collezione di indirizzi di eccellenza sul web dove si possono trovare i consigli e i suggerimenti sui luoghi dell’isola divisi per temi: spa, resort, eco, food, sport. In questo modo si pianifica la vacanza secondo il gusto, cliccando eco e Troux aux Biches Resort & Spa si entra nel primo resort eco-friendly dell’isola apparentemente al gruppo Beachcomber. Appena riaperto, ora monta pannelli solari per il riscaldamento dell’acqua, trasforma i rifiuti in concime e si è dotato di un impianto di riciclo dell’acqua e di desalinizzazione per rifornire   le 106 piscine. Trouc aux Biches si trova nella parte nord occidentale, adagiato su giardini e lagune smeraldo, con una spiaggia bianca di 2 chilometri. Qui, solo suite e ville di pietra, legno e foglie di palma e illuminazione a led.
Per fare un’esperienza immersi nella natura si imbocca la via del tè, tra le piantagioni di canna da zucchero, e si arriva all’interno del Black River Gorges National Park, orgoglio di Mauritius: 6.500 ettari di foresta endemica ideale trekking, percorsi avventura, equitazione e kayak tour. Per vedere gazzelle, scimmie, uccelli tropicali c’è un angolo di isola che sembra Africa nera, la Domaine di Ylang Ylang, riserva privata (visitabile con guida) tra coltivazioni di geranio, pepe rosa, vaniglia e Ylang Ylang, da cui si ottengono oli essenziali nella distilleria di profumati sul luogo. Pacchetto 8 giorni/6notti da 1.721 euro per persona (bambini 0/17 anni soggiorno gratuito in camera con i genitori), volo Air Mauritius (www.beachcomber-hotel.it).
Infine, andando ancora più a est, in Indonesia la natura è la manifestazione del divino, forse è per questo che piante e fiori hanno colori così esuberanti. Ubud è la città degli artisti, furoi del turismo “di massa” della città di Bali. Il mare è lontano, ma le terrazze di risaie di Yeh Ganfa, la foresta pluviale e il fiume Ayung non lo fanno rimpiangere, chi è in fuga dal mondo o in cerca di trascendenza, può rifugiarsi nel Como Shambhala Estate (www.cse.como.bz), ex monastero Zen, ristrutturato con il solo impiego di materiali ecocompatibili, intitolato al benessere. Si alloggia in camere, ville tra gli alberi e residenze private, con piscina a filo e 8 ettari di giardini. La cura dell’anima e del corpo è affidata ai ritiri di meditazione, yoga, ayurvedici e Qi Gong, tenuti da guru di fama internazionale; ma anche chi sceglie un ritiro più fisico può fare esperienze autentiche: trekking e mountain bike tra le risaie all’alba. Pacchetto 5 notti da 2.685 euro a persona, volo Thai Airways (www.mappamondoescapes.travel).




Una “personal factory” in Calabria

Cemento a chilometro zero?
Se le parole cemento e Calabria compaiono nella stessa frase di solito è per parlare di speculazione selvaggia. Dei chilometri di costa deturpati, di intere città fatte di case non finite che sembrano bombardate o di viadotti incompiuti, tristi ecomostri che allungano il loro collo di dinosauro sul nulla. Questa volta, invece, si parla di un calabrese che il cemento ha voluto reinventarlo fino al punto di smaterializzarne la produzione. Francesco Tassone, ingegnere trentenne di Simbario (Vibo Valentia), folti capelli ricci e tono di voce pacato, è convinto che il materiale più pesante da trasportare, più sporco e più old economy che esista possa diventare impalpabile, ecologico, in una parola intelligente.
“ Mio padre aveva un impianto di produzione di malte”, spiega Francesco. “ Sono prodotti per l’edilizia composti al 98 per cento da materiale inerte come la sabbia. Il restante due è chimica che aggiunge al materiale il colore o il grado di impermeabilizzazione. Gli impianti di produzione tradizionali sono grossi stabilimenti, con torri alte fino a cento metri che servono a miscelare i componenti”. Movimentare una merce così pesante ne fa crescere non solo il prezzo, ma soprattutto il costo in termini di inquinamento. “ Si calcola che il cemento sia responsabile del 6 per cento delle emissioni di CO2 di tutto il pianeta” chiosa Francesco.
La sfida di Francesco, fin dai tempi dell’università che ha fatto a Trento, è smantellare il vecchio modello per inventarne uno a chilometro zero. Perché non usare materie prime locali e non fornire solo la chimica? Perché non mettere in Rete l’esperienza e i bisogni di tutti gli utenti sparsi per il mondo? Nasce così a Simbario (30 chilometri dal Tirreno e 30 dallo Jonio, nel cuore verde delle Serre Calabresi) Personal Factory, una fabbrica smaterializzata in cui a viaggiare è solo il know how e non quintali di materiali inerti. Alla base del sistema c’è un brevetto, un macchinario chiamato Origami 4. Origami proprio perché è come se un grande stabilimento si ripiegasse su se stesso in appena sei metri quadrati. La mescola dei materiali inerti con la parte chimica (venduta da Personal Factory in apposite buste sigillate e dotate di un codice che ne identifica con precisione i componenti) avviene all’interno di un cilindro, mentre peso, quantità di materiali e tipo di malta da produrre sono regolati da un software. La macchina ha una capacità di sei metri cubi di materia prima ed è in grado di produrre e insaccare dagli 80 ai 100 quintali di prodotto finito senza essere ricaricata. Ogni ricarica richiede all’operatore all’incirca 10 minuti. Inoltre gli scarti sono quasi inesistenti e i tempi di pulizia sono inferiori a 10 minuti.
“Sono partito dall’idea del cloud computing per arrivare al cloud factoring”, spiega Francesco. “ Come nel cloud computing si offre un software comune che serve alle persone per lavorare insieme, così noi offriamo un software che permette alle nostre macchine di lavorare insieme. L’obiettivo è smaterializzare la produzione e distribuirla sul territorio mantenendo però la gestione dei dati in un cervellone centralizzato. È come avere una stampante a centinaia di chilometri dal mio computer”.
A oggi sono state installate macchine in Tunisia, Calabria, Sicilia, Puglia, Abruzzo, Toscana,Lombardia e, a breve, anche in Campania e Lazio. E ogni microbetoniera è monitorata dal software collegato via Internet al centro di controllo di Simbario. Ogni busta di componente chimica (il know-how “fisico” che Personal Factory vende ai clienti), grazie al suo codice che la macchina è in grado di riconoscere, è la “chiave” che permette alla Origami 4 di procedere con la mescola e l’insaccamento delle malte. “ Nell’era di Internet non è più necessario spostare merci. Basta spostare le informazioni”, conclude Francesco. “ Non servono più le grandi fabbriche ma strumenti flessibili, connessi e intelligenti da dare agli uomini: strumenti programmabili in base al contesto in cui si trovano”. Se la Origami 4 è il braccio, una specie di microbetoniera evoluta, il sistema centralizzato di cloud manufacturing è il cervello. Della squadra fanno parte anche il babbo Giuseppe Tassone, 66 anni, e Luigi, il fratello venticinquenne di Francesco, ma chi ha in mente la solita aziendina familiare è fuori strada. Questa è piuttosto l’avanguardia di una rivoluzione possibile. Quella che il blogger inglese Cory Doctorow ha battezzato la subcultura dei “makers”, cittadini comuni capaci, grazie all’innovazione tecnologica e all’hacking di hardware e di modelli di business, di togliere all’industria manifatturiera il monopolio della produzione in serie. Personal Factory però è anche la storia di ragazzi calabresi che potrebbero lavorare benissimo altrove, ma hanno scelto di non arrendersi e non andare via.
“Questa è casa mia”, sottolinea Francesco Tassone. “ Ma non sopporto il fatalismo di qui: l’idea che siccome non c’è niente, allora non potrà mai esserci niente”. In un territorio dove l’unica economia è quella dell’assistenzialismo (il Comune con i suoi 50 dipendenti è il principale datore di lavoro) Personal Factory potrebbe presto diventare il nuovo motore di sviluppo della zona, ma la strada è tutt’altro che in discesa. “ Oggi finalmente è arrivata l’Adsl in tutto il paese”, spiega Francesco, “ ma solamente perché il ministero degli Interni ha cablato tutte le caserme dei Carabinieri. C’è una sola ragione che mi spinge a rimanere qui: voglio trasformare questo paesino di montagna in un posto in cui una nuova generazione di innovatori possa essere in grado di fare impresa e produrre tecnologia. Spero che guardando a quello che stiamo realizzando qualche giovane calabrese diventi più audace e invece di pensare che “tanto non cambia mai niente” possa convincersi che sì, “‘si può fare’”.




Trash is for Tossers, Lauren Singer racconta due anni di vita "a spazzatura zero". Tra prodotti handmade e spazzolini di bambù

“Non è tanto una questione di come vivi, ma di che scelte fai. Ci sono sempre delle alternative”. Lauren Singer ha 24 anni e vive senza produrre spazzatura. Newyorkese, laureata in Studi Ambientali, conduce una “Zero Waste Life” a Brooklyn. “Un mio compagno di università si portava tutti i giorni il pranzo da casa in un sacchetto di plastica, con un contenitore usa-e-getta accompagnato da una bottiglietta d’acqua monouso. Mi ha fatta riflettere: Noi dovremmo costruire il futuro del nostro pianeta, ed eccoci qui a incasinare tutto con la nostra spazzatura”.

Lauren è già diventata un punto di riferimento internazionale per la lotta agli sprechi, e sul suo blog Trash is for Tossers ha documentato il processo di cambiamento della sua vita, da eticamente indirizzata a praticamente etica. “Volevo vivere davvero seguendo i miei valori”, racconta. Perciò evita di comprare prodotti confezionati in contenitori non riciclabili o riutilizzabili, compra nei mercati alimentari, fa i cosmetici in casa (il cosiddetto “spignattare”), fa la differenziata e il compost dei rifiuti organici, mette solo vestiti di seconda mano.

 
La mattina, dopo colazione, si lava i denti con uno spazzolino in bambù riciclabile. “Prima pensavo di avere bisogno di mille prodotti diversi, ma quando ho iniziato a fabbricarmi saponi e creme in casa ho ridotto il numero al necessario: pochi, ma buoni”, racconta ad HuffPost. Per contenere cosmetici e alimenti usa tantissimi vasetti di vetro, come quelli per le conserve e le marmellate. “Quando sono fuori per i pasti o mi porto il pranzo da casa, oppure scelgo ristoranti che siano in linea con la mia etica: biologici, con contenitori biodegradabili… Non è un problema trovarne, anche in viaggio: al massimo vado a cercare ingredienti nei mercatini”.

Ovviamente c’è voluto tempo – spiega Lauren – per raggiungere questo livello assoluto di zero sprechi. Un processo sempre dinamico (si augura di imparare a cucirsi i vestiti da sola, un giorno), raccontato tra blog, video-tutorial Youtube e profili social: “Non cerco di imporre la mia scelta agli altri, ma voglio dare il buon esempio sperando di potere influenzare qualcuno. Dimostrando che non solo è possibile, ma semplice.”

Questa semplicità ha dato il nome alla sua ultima avventura: la creazione, a inizio 2015, di The Simply Co., un’azienda di prodotti naturali e fatti a mano. Il progetto è stato finanziato tramite crowdfunding su Kickstarter, con 820 donatori e un totale di 42mila dollari (in due giorni ne aveva già raccolti 10mila). Il “primo nato” è un sapone per la lavatrice fatto di tre soli ingredienti, bicarbonato, soda e sapone di Marsiglia, in due profumi, lavanda o neutro. “Il crowdfunding è un ottimo metodo di testare il mercato quando si lancia un nuovo progetto, perché ti permette di avere già alle spalle fin dalla partenza dei potenziali interessati – sottolinea Lauren – inoltre puoi trasmettere le tue idee a chiunque, nel mondo”.
Ovviamente non tutte le idee funzionano. Ma Lauren, di spazzatura, non ne produce.

Trash is for Tossers



NEL 50% DELLE AZIENDE COINVOLTE, LA LEGGE NON ARRIVATA IN CDA

Le ricerche presentate alla Integrated Governance Conference di mercoledì 21 giugno evidenziano una diffusa consapevolezza sulla non financial. Ma anche una chiara sottovalutazione nei board. Sembra di rivedere l’avvio della legge 231

Csr, tutti la praticano, in pochi la prendono sul serio. È un vecchio leitmotiv che accompagna l’industria italiana (si pensi ai vecchi, cari, distretti), quello dell’adozione di tecniche di gestione all’avanguardia, senza la consapevolezza manageriale o regolamentare che, in linea teorica, avrebbe dovuto accompagnarle. Sembra che lo stesso schema self-made si stia rivelando per la corporate social responsibility. Lo dimostra il percorso di adeguamento alla direttiva non financial, ovvero alla legge di recepimento (Decreto Legislativo 30 dicembre 2016, n. 254) che regola come le aziende devono monitorare e riportare i propri risultati in termini di fattori environmental, social e governance (Esg).

UN ADEGUAMENTO FAI-DA-TE

Le ricerche che saranno presentate mercoledì 21 giugno alla Integrated Governance Conference, infatti, evidenziano un vasto perimetro di conoscenza delle indicazioni della non financial. Ma, allo stesso tempo, continua a essere rimandata la piena consapevolezza del problema, ossia un suo esame da parte degli organi più elevati dell’azienda.
Nei fatti, le oltre 30 aziende che hanno risposto al questionario (sul campione delle prime 100 aziende per capitalizzazione) hanno risposto nel 94% dei casi di rientrare nell’ambito dell’applicazione della direttiva. Ergo, c’è coscienza della tematica. Anche perché la totalità di chi “rientra” ha dichiarato «di avere un team dedicato all’adeguamento alle nuove norme». Nella maggior parte dei casi si tratta della funzione sostenibilità o Csr, in alcuni casi di team interfunzionali istituiti ad hoc o di team aziendali che racchiudono già più funzioni. Ciò che, però, manca pericolosamente, è il coinvolgimento del vertice aziendale: solo il 50% delle aziende rientranti nella direttiva, infatti, ha dichiarato che la questione è stata esaminata a livello di board nel corso del 2016.
In sostanza, la metà delle aziende che, a partire dai prossimi mesi (si attende il regolamento Consob) sarà sottoposta a una delle più rivoluzionarie leggi in merito alla governance e alla sostenibilità, non ha esaminato l’evento nel proprio consiglio di amministrazione.
Lo stesso problema emerge dalla ricerca “incrociata” condotta da Nedcommunity e Methodos sui consiglieri indipendenti (ricerca che sarà anch’essa presentata mercoledì). Da un lato, l’82% dei membri di Nedcommunity che ha partecipato al sondaggio ritiene di essere consapevole «della rilevanza di tutte le forme di valore e quindi anche delle componenti Esg (environmental, social, governance)». Dall’altro, solo il 51% rivela che il cda di cui fa parte è stato informato dell’introduzione della direttiva non financial. Sul dato può pesare il fatto che il 42% degli intervistati è parte del board di una non quotata. Ma la percentuale è comunque rilevante, anche in relazione alla dichiarata consapevolezza verso l’importanza del tema.

L’ABITUDINE A SOTTOVALUTARE

Insomma, è vero quando spiega Assonime nella sua recente circolare in merito alla non financial(circolare che sarà approfondita da ET. nei prossimi giorni): «È ampiamente diffusa nel mondo delle imprese una significativa sensibilità per l’impatto che la propria attività può avere rispetto a una pluralità di categorie di stakeholder nonché dei vantaggi competitivi che una visione ampia della propria attività consente».
Ma, a questa sensibilità, si contrappone l’abitudine a non farne un aspetto istituzionale, ossia manca una risposta che riveda formalmente e sostanzialmente l’ossatura dell’azienda. Risposta che deve necessariamente essere oggetto dell’esame del consiglio di amministrazione.
Anche (e se non altro) perché tutto questo genera notevoli responsabilità amministrative e pecuniarie (sia per l’azienda sia per le persone).

IL DÉJÀ VU DELLA 231

Per questo, si parla già di simmetria tra la non financial e il decreto legislativo 231 del 2001 sulla responsabilità amministrativa delle aziende. Quest’ultima norma, che ha rivoluzionato l’ordinamento italiano, rendendo di fatto la responsabilità penale anche aziendale (e non più solo “personale”), ha dovuto attendere un decennio prima di essere presa sul serio. Ovvero, ha dovuto attendere le prime pesanti sentenze di Tribunale.
L’auspicio è che la non financial ci metta meno di un decennio. Ma, comunque, se la simmetria funziona, arriverà poi il momento in cui le responsabilità generate in capo all’azienda dai temi di corporate social responsibility, avranno definitivamente il rango primario di argomento centrale per i consigli di amministrazione.