Il welfare secondo Ikea Italia

Codice di condotta, politiche di inclusione, requisiti per l’anticipo del Tfr: l’approccio del gruppo alla sostenibilità nell’ambito delle risorse umane anticipa le previsioni di leggeMeno sprechi e rifiuti, più energia e rispetto per l’ambiente e le persone. Sono gli obiettivi affidati a “People & Planet Positive” , la strategia per la sostenibilità di Ikea lanciata poco più di un anno fa e di cui sono stati resi noti i primi progressi sia nel bilancio di sostenibilità del Gruppo, sia in quello della filiale italiana.
Suddiviso in cinque sezioni (Ambiente, Food, Risorse Umane, Sociale e Progetti sociali condotti a livello locale), il report sintetizza i risultati raggiunti da Ikea in Italia nel periodo compreso tra settembre 2012 e agosto 2013.
Dal punto di vista dei numeri, la sezione dedicata all’ambiente ha riportato i risultati più importanti: nella gestione dei rifiuti i costi si sono ridotti di quasi il 70% nell’ultimo triennio mentre i consumi energetici sono diminuiti del 6% con un calo del 9,5% delle emissioni di Co2. Il 95% dell’energia utilizzata da Ikea Italia proviene da fonti rinnovabili e sette punti vendita sono dotati di impianti fotovoltaici che hanno prodotto oltre 6 milioni di Kwh di energia pulita. L’obiettivo è quello di arrivare a produrre entro il 2020 più energia di quanta ne venga consumata.
Sul fronte delle risorse umane, l’approccio sostenibile ai temi del lavoro si è tradotto nel 2013 nella definizione di un Codice di condotta. Definito come una sorta di contratto sociale, il codice punta a introdurre nelle relazioni tra le persone all’interno dell’azienda principi di correttezza, rispetto della privacy, sostegno delle pari opportunità e lotta alla corruzione. In caso di violazioni, è possibile inviare una segnalazione, anche in modo anonimo, ai propri responsabili all’interno dell’organizzazione.
Con la firma degli ultimi contratti integrativi sono state inoltre adottate nuove misure di welfare aziendale che estendono alle coppie di fatto, etero e omosessuali, i benefit previsti per i nuclei familiari tradizionali, come i congedi per matrimonio. Questo impegno ha permesso all’azienda di ottenere il primo posto nella classifica del Parks Glbt Diversity Index, l’indice che misura la capacità di inclusione aziendale realizzato da Parks – liberi e uguali, l’associazione di aziende che intendono valorizzare i collaboratori Glbt (gay, lesbiche, bisessuali e transessuali).
Per le famiglie con i figli sono stati introdotti permessi aggiuntivi per entrambi i genitori e rientri agevolati per le lavoratrici madri  a cui è stata fornita la possibilità di godere di un anno in più di aspettativa per maternità rispetto a quella già prevista dalla legge.
Sul fronte previdenziale, un tema già affrontato da Ikea a livello internazionale con un’iniziativa a favore della previdenza integrativa, sono state agevolate le modalità per ottnere anticipi sul Tfr, ampliando i motivi per le richieste, e dimezzando l’anzianità aziendale necessaria.


Riardo, nasce l'Oasi Ferrarelle Fai

I giorni 22 e 23 marzo, in occasione della ventiduesima edizione delle Giornate FAI di Primavera, Ferrarelle SpA ha inaugurato l’Oasi Ferrarelle FAI di Riardo. Dopo l’apertura pilota del 2013 e la conclusione degli ultimi lavori, l’azienda di imbottigliamento e il FAI – Fondo Ambiente Italiano celebrano quest’anno il battesimo dell’Oasi che porta i loro nomi, un’area di 145 ettari, che sovrasta le fonti delle acque minerali Ferrarelle, Natia e Santagata e impone sui comuni di Riardo, Teano, Rocchetta e Croce, nell’alta Campania, ai confini con Molise e Lazio. Un luogo dalla natura rigogliosa ed incontaminata nel quale il FAI ha patrocinato un’importante opera di valorizzazione realizzata da Ferrarelle SpA che ha consentito di mettere l’Oasi a disposizione della collettività attraverso visite guidate, passeggiate, attività ludico-didattiche e servizio di ristorazione di qualità.
Il progetto è stato avviato nel 2010 con un ampio piano di riconversione agricola, in cui sono state messe a dimora colture storicamente presenti nel compendio, come il nocciolo, il grano tenero e il grano duro. E’ stata arricchita la flora del parco con la piantumazione di nuovi alberi ed ulivi, che ad oggi sono più di 10000, e sono state collocate all’interno dell’area circa 100 arnie. E’ stata inoltre ristrutturata, secondo il profilo architettonico originale, la Masseria Mozzi, risalente alla fine del XVIII sec, che è oggi fulcro dell’intera Oasi ed anche punto di ristoro. Inoltre, attraverso l’azienda agricola biologica Masseria delle Sorgenti Ferrarelle, costituita in seguito all’avvio del progetto, si producono e commercializzano prodotti genuini frutto di queste terre: olio extravergine d’oliva, quattro varietà di miele biologico e pasta artigianale di grano duro. Sono stati inoltre portati a termine recentemente i lavori del punto informazioni e centro d’accoglienza FAI che sarà a breve aperto al pubblico con personale formato e gestito dalla Fondazione. Il centro FAI diventerà quindi il punto di partenza dello splendido percorso naturalistico all’interno dell’Oasi, in cui è inclusa la visita allo stabilimento di imbottigliamento e, per chi lo desiderasse, la sosta culinaria all’interno delle sale di Masseria Mozzi.
Una modalità inedita di fare CSR, frutto di una sinergia profonda tra l’azienda e il Fondo Ambiente Italiano, di cui Ferrarelle può anche fregiarsi del titolo di acqua ufficiale. Una collaborazione nata dalla volontà comune di custodire un pezzo di paesaggio italiano e che prosegue ancora oggi rafforzata e sempre più alimentata dallo stesso amore per il nostro paese e per le sue testimonianze naturali e paesaggistiche, di cui Ferrarelle considera espressione anche la propria acqua e il territorio incontaminato da cui essa ha origine e che il FAI contribuisce a proteggere e valorizzare.
Esiste un “modo Ferrarelle” di fare le cose che per noi è unico e distintivo, come lo è la nostra acqua, unica effervescente naturale certificata e pioniera, ormai ultracentenaria, della sua categoria ”, afferma Michele Pontecorvo, responsabile comunicazione e CSR in azienda. “Le iniziative di CSR sono per noi un’opportunità ogni giorno per dare alle nostre acque minerali, che la natura ci offre pure ed incontaminate, un valore aggiunto concreto, e il progetto di valorizzazione intrapreso nel nostro parco sorgenti di Riardo è un atto di riconoscenza dovuto a questo territorio che ci dona tanto”.  “Abbiamo iniziato a collaborare col FAI nel 2010” prosegue Michele Pontecorvo “ed abbiamo appena rinnovato questa proficua partnership per i prossimi tre anni, riconoscendo nel Fondo Ambiente Italiano il più autorevole partner in ambito di salvaguardia e rispetto della natura e dell’arte, della storia, delle tradizioni d’Italia.”
Marco Magnifico, Vice Presidente Esecutivo FAI afferma: “Fu del tutto inaspettato per me scoprire la prima volta la bellezza del paesaggio pressochè intatto di Riardo; una campagna che in taluni punti con le sue enormi querce e gli ampi coltivi assomiglia addirittura all’Inghilterra.”


Votazienda, il “tripadvisor” della Csr

RECENSIONI PER CHI CERCA LAVORO. E PER MIGLIORARE L’IMPRESA
Recensioni al servizio della responsabilità sociale di impresa. È l’idea di tre ragazzi di Padova,Roberto Del Longo, 29 anni, Michele Boato, 29 e Mattia Zanon, 34, che da poco più di sei mesi hanno aperto Votazienda.it , un sito dedicato alle persone che cercano lavoro e che funziona in modo simile alle piattaforme web di recensioni su locali, alberghi o b&b. Si entra nel sito, si valuta la propria esperienza in azienda e si aiuta, così, nella scelta chi è alla ricerca di un impiego e vuole concentrare tempo ed energie sulle offerte migliori.
«L’idea – spiega Del Longo – è nata da una mia esigenza: ho lavorato per due anni nel campo della consulenza aziendale e mi sono occupato di responsabilità sociale di impresa. Nel corso di questa esperienza ho notato che su internet gli spazi dove poter fare valutazioni sulle aziende scarseggiavano. Nel frattempo all’estero si stavano sviluppando dei siti che raccoglievano recensioni dal basso, cioè dal punto di vista dei lavoratori. Così, insieme a un ex collega e a un vecchio compagno di scuola, ho deciso di creare una piattaforma del genere anche in Italia».
Votazienda.it è innanzi tutto un sito che raccoglie recensioni. I lavoratori entrano nella pagina web, cercano l’azienda per cui lavorano o hanno lavorato e danno un voto da uno a dieci alla propria esperienza. Il giudizio passa attraverso tredici parametri, dal rapporto con i superiori e con i colleghi alle opportunità di carriera, alla formazione, agli stipendi. La media dei voti ricevuti viene tradotta in centesimi e forma il punteggio con cui l’impresa si presenta agli utenti alla ricerca di lavoro. Chi vuole può aggiungere un commento e raccontare nel dettaglio i motivi della valutazione.
Dall’altra parte, come dice Roberto Del Longo, c’è il «dialogo costruttivo». Le aziende possono rispondere alle recensioni confermando o disconoscendo quanto scritto dai lavoratori. Ma soprattutto, possono avanzare delle proposte per migliorare i punti deboli, dimostrando, così, di essere attente alle esigenze dei lavoratori: «Non vorremmo che Votazienda.it fosse solo un raccoglitore di recensioni né un luogo dove sfogare l’insofferenza nei confronti del datore di lavoro. L’obiettivo è creare una piattaforma di riferimento per le persone alla ricerca di un impiego, che possono decidere dove concentrare le candidature, ma anche per le aziende, che possono utilizzare il sito come una vetrina per ufficializzare il proprio approccio attento ai dipendenti e alla responsabilità sociale d’impresa».
Votazienda.it, inoltre, è anche un modo per spingere i lavoratori a collaborare tra loro. «Perché inviare mille curricula ad un’azienda che non paga? O dove l’ambiente è brutto? Scrivendo la tua esperienza sarai di aiuto a chi cerca lavoro dopo di te», spiega Del Longo. Finora sono state inserite circa 200 recensioni. L’elenco completo è sul sito e si può consultare filtrando le aziende per regione o per settore di appartenenza.
Il sito per ora è online in versione beta, una piattaforma sperimentale per testare le reazioni dei dipendenti e delle aziende prima del passo successivo. «Non siamo ancora una start-up, il sito è completamente gratuito. Più avanti ci saranno dei servizi a pagamento, ma vorremmo prima sondare un po’ il mercato e valutare». Del LongoBoatoZanonhanno diversi progetti per la versione definitiva. Vorrebberorendere obbligatoria la recensione scrittaaggiungere servizi come la revisione del curriculum per chi votail coaching online per chi è alla ricerca di lavoro. Per le aziende, invece, puntano ad intervenire sulla responsabilità sociale di impresa fornendo consulenza a chi, anche grazie alle recensioni, comprende di avere delle problematiche interne e decide di affrontarle.


CSR: le 100 aziende più sostenibili al mondo. Intesa Sanpaolo unica italiana

Quali sono le 100 grandi aziende più sostenibili del mondo? Torna la consueta classifica stilata daCorporate Knights, la società di consulenza canadese specializzata in capitalismo sostenibile, che dal 2005, anno della sua fondazione, compie una analisi a livello mondiale su 4.000 imprese valutate rispetto a dodici indicatori.
E’ il Global 100 Index, che, tra gli indicatori, dà particolare rilievo alle politiche di attenzione versol’ambiente, le risorse umane, la politica delle retribuzioni, l’impegno del management per la sostenibilità, l’innovazione e la trasparenza. I risultati, presentati al World Economic Forum di Davos, vedono svettare in cima al podio la banca australiana Westpac Banking Corporation, con sede a Sydney, un fatturato annuo di 38 miliardi di dollari e oltre 36.000 dipendenti.

La Westpac Banking ha una lunga storia di leadership e innovazione nel campo della sostenibilità d’impresa: è stata la prima banca ad aderire alla sfida del governo per ridurre l’effetto serra e il primo istituto finanziario in Australia a creare un programma di donazioni per questo.
Al secondo posto c’è la società biotech statunitense Biogen Idec, e al terzo lafilandese Outotec OYJ, che fornisce tecnologie e servizi per le industrie di trasformazione dii metalli e minerali..
Chiudono la top ten, nell’ordine: il gigante petrolifero Statoil, Norvegia, Dassault Systemes, azienda francese specializzata nella profgettazione in 3D, la Neste Oil OYJ, Finladia, la Novo Nordisk, Danimarca, l’Adidas, Germania, l’Umicore , Belgio, e la Schneider Electric SA, Francia. In generale, è da segnalare la buona performance delle imprese statunitensi, che ottengono ben 18 posizioni su 100.Segue il Canada con 13 aziende, e Regno Unito e Francia, tutte e due con otto piazzamenti.
E l’Italia? Prima di trovare il nome di un’azienda del nostro Paese, bisogna scorrere fino allaposizione numero 91. È qui che è stata inserita Intesa San Paolo, unica impresa italiana presente in questa speciale classifica che punta a distinguere le grandi imprese che hanno sviluppato le migliori strategie per gestire rischi e opportunità in campo ambientale, sociale e di governance.
Alla base di questo importante riconoscimento vi è l’impegno di Intesa Sanpaolo nel campo della sostenibilità, che nel 2013 ha visto ulteriori e rilevanti conferme con l’inserimento del suo titolo, per il secondo anno consecutivo, nel CDP’s Italy 100 Climate Disclosure Leadership Index(CDLI), oltre che nel Dow Jones Sustainability Index e nell’indice FTSE4Good.
“La presenza di Intesa Sanpaolo nella classifica “Global 100” realizzata dalla prestigiosa rivista Corporate Knights – ha affermato il Consigliere Delegato di Intesa Sanpaolo, Carlo Messina – rappresenta un importante attestato della serietà del nostro impegno nei confronti dell’ambiente, delle risorse umane del Gruppo, dell’innovazione e della trasparenza. Nel nostro Gruppo il concetto di sostenibilità si applica alla totalità delle attività’ svolte: sostenibilità economica e reddituale di lungo periodo e, allo stesso tempo, sociale e ambientale. Accogliamo questo importante riconoscimento come sprone a continuare sulla strada intrapresa e a migliorare costantemente le nostre performance nel campo dello sviluppo sostenibile”.
Per consultare le classifiche complete clicca qui


Quest’anno sotto l’albero di Natale? Un nuovo psicofarmaco per bambini

Natale è alle porte, e pare che anche quest’anno la tentazione di alcune aziende di inventare a tavolino nuove malattie, come se non ci bastassero quelle già esistenti, non riesca a venir meno. È il “disease mongering”.Il “disease mongering” è la “mercificazione delle malattie”. Rappresenta l’espressione più estrema del marketing farmaceutico, e consiste nella pubblicizzazione sistematica di un farmaco, anche attraverso il massiccio finanziamento di convegni scientifici atti a promuoverne l’uso, abbinata alla modifica surrettizia dei “confini” della diagnosi della patologia che il farmaco dovrebbe curare. In poche parole, per semplificare, se una casa farmaceutica riuscisse ad ottenere l’assenso di parte della comunità scientifica sul fatto che è possibile diagnosticare l’ipertensione a 135/85 invece che ha 140/90 com’è normale fare oggi, il giorno dopo a milioni e milioni di nuovi pazienti verranno prescritti farmaci ipertensivi, con forte incremento degli utili delle aziende produttrici.
È illegale tutto ciò? L’abuso di farmaci non necessari può causare effetti avversi e iatrogeni pericolosi per la salute, ma nessuna legge in grado di avere un serio impatto internazionale è mai stata approvata, e quindi di fatto non vi sono sanzioni: si continua a fare, per molte patologie, come dimostra l’illuminante documentario prodotto da Rai 3 “Inventori di Malattie”.
Quand’è promosso sulla testa dei più deboli tra noi, i bambini e gli adolescenti, questo comportamento orientato al profitto è particolarmente odioso. L’ADHD è un tipico caso di disease mongering: una discussa sindrome da iperattività e deficit di attenzione dell’infanzia, “curata” con psicofarmaci, utili per “fissare l’attenzione” di bambini troppo agitati e distratti. Sono derivati dell’anfetamina, somministrati ogni giorno a milioni di bambini nel mondo, Italia compresa, tra l’indifferenza generale, che non risolvono il problema di comportamento – smettendo di somministrarli tornano infatti dal primo all’ultimo tutti i sintomi precedenti alla cura! – ma risolvono benissimo la necessità di Novartis (produttrice del contestatissimo Ritalin®, la metanfetamina per bambini troppo agitati e distratti), Eli Lilly e altri giganti del big pharma di distribuire ricchi dividendi a fine anno.
Per inquadrare meglio il problema, è utile ricordare come un’altra multinazionale del settore farmaceutico, la Glaxo, venne inquisita quando emerse che non aveva pubblicato due ricerche scientifiche che dimo­­stravano che il Paxil, un loro psicofarmaco per la depressione a base di paroxetina, “poteva indurre al suicidio bimbi e adolescenti”, in quanto la pubblicazione dei risultati negativi “avrebbe nuociuto al profilo commerciale del farmaco”. La multa poi pagata dall’azienda fu però infinitamente inferiore agli incassi complessivi delle vendite, con buona pace per i danni eventualmente creati da quella molecola.
Sempre per restare in tema di antidepressivi, quando – grazie al Freedom Information Act – il professor Irving Kirsch ha potuto avere accesso a tutti i dati di ricerca, mettendo le mani sui report riservati delle aziende che producono queste molecole psicoattive, ha scoperto che esse non sono più efficaci di una pillola di zucchero. Kirsch ha costretto il Ministero della Salute USA a tirare fuori dai cassetti ciò che altrimenti non sarebbe mai diventato di dominio pubblico: 47 studi clinici controllati che hanno confermato che solo il 10-20% dei pazienti avverte un beneficio dovuto effettivamente all’azione farmacologica della molecola, mentre l’80-90% dei depressi si sente meglio, ma solo grazie all’effetto “placebo”. “Tutti lo sanno – ha dichiarato Kirsch – ma continuano a tacere per interesse”.
In un convegno organizzato dal Comitato indipendente per la farmacovigilanza “Giù le Mani dai Bambini”®, per il quale chi scrive fa volontariato, il dottor Bobbio diede una definizione estremamente accurata di “disease mongering”: “Il termine venne usato per la prima volta nel 1992 da Lynn Payer quando, nel suo articolo “Disease mongers: how doctors, drug companies, and insurers are making you feel sick”, denunciò come venisse aumentata la richiesta di servizi, prestazioni, prodotti, attraverso la ‘dilatazione’ dei criteri diagnostici di alcune malattie.Payer individuò, in particolare, tre meccanismi: trasformare comuni disturbi in problemi medici, farli apparire pericolosi, proporre terapie delle quali si esaltano i benefici e si sottostimano i rischi. “In inglese”, continuò Bobbio “to monger, corrisponde a un’accezione dispregiativa del termine vendere: il fishmonger è il pescivendolo, il warmonger il guerrafondaio”.
Giusto per dimostrare che queste pratiche riguardano moltissimi farmaci di uso quotidiano e comune, e non solo i più pericolosi psicofarmaci, un ulteriore esempio di disease mongering lo presenta sempre il Dott. Bobbio, e riguarda “la campagna informativo-propagandistica per sensibilizzare i medici sulla necessità di curare la stitichezza, in previsione della commercializzazione di un farmaco, il Tegaserod, che avrebbe permesso al 13% dei pazienti di avere un’evacuazione in più alla settimana. In Italia per tre anni è stata organizzata la “Settimana Nazionale per la Diagnosi e la Cura della Stitichezza” fino a quando il farmaco, per il rischio d’incidenti cerebrovascolari, è stato ritirato dal commercio. L’anno successivo, la “Settimana” non è stata più organizzata, dimostrando che il grande interesse “scientifico” per la stitichezza era in realtà mosso da meri interessi commerciali.
Come denunciava un collega giornalista in un articolo di commento a questo fenomeno, sulla rivista AboutPharma, “la manipolazione avviene attraverso un concerto ben combinato di convegni scientifici, editoriali, siti Internet e riviste divulgative che insistono in modo univoco sul medesimo tema. Inoltre, i leader d’opinione internazionali, i cosiddetti “influenti”, hanno spesso contratti milionari con i produttori e, di fatto, influenzano tutta la comunità scientifica, mentre le riviste di settore vivono grazie alle inserzioni pubblicitarie delle farmaceutiche, e i mass-media generalisti sono semplicemente a caccia di sensazionalismi, limitandosi a fare copia-incolla dei comunicati degli uffici stampa delle case farmaceutiche”.
Manipolare l’informazione è – purtroppo, aggiungo io – molto facile, anche perché i vari Ministeri della Salute e le agenzie di controllo sanitario come la nostra AIFA – Agenzia Italiana del Farmaco stanno a guardare e tollerano: in Italia, come in molti altri paesi occidentali, che io ricordi non è mai stata lanciata una campagna informativa contro il disease-mongering. Il perché – chiudendo il cerchio – lo spiega la professoressa Emilia Costa, psichiatra di chiara fama con un imponente curriculum scientifico: “Spesso la maggior parte degli esperti dei comitati tecnico-scientifici delle istituzioni sanitarie di controllo sono anche consulenti delle farmaceutiche. Se pensiamo all’FDA, che è l’agenzia che “detta la linea” da seguire anche al di fuori degli USA vediamo che incassa dai produttori 500.000 dollari per ogni autorizzazione al commercio di un nuovo farmaco che rilascia, ovvio che sia incentivata a rilasciarne il più possibile. Non sarebbe meglio – propone la Costa – un sistema che prevedesse un “fondo” sempre alimentato dalle farmaceutiche, ma non vincolato al ‘numero’ di autorizzazioni rilasciate”?
Ci sono anche altri modi per condizionare la ricerca scientifica, costantemente utilizzati dalle multinazionali farmaceutiche: non registrare correttamente uno studio in fase di avviso sulle bacche dati ufficiali, così da poter poi “adattare” meglio i risultati finali rispetto alle attese iniziali, oppure anche escludere dallo studio in corso d”opera i pazienti “refrattari”, cioè che non hanno risposto come si deve, così da distorcere i risultati in senso più favorevole al farmaco.
Per citare fatti più recenti, il 9 settembre 2014 un blog di analisti finanziari ha pubblicato un’entusiastica recensione di un nuovo psicofarmaco per bambini, la Metadoxina, prodotto dalla farmaceutica statunitense Alcobra, in grado di agire sulle modalità di funzionamento dei neurotrasmettitori migliorando l’attenzione dei bambini.Anche in questo caso, siamo dinnanzi all’ennesimo caso di “riciclo” di una molecola il cui brevetto è ormai scaduto: si tratta infatti di un farmaco utilizzato da oltre trent’anni per il trattamento dei postumi da sbronza, del quale – si dichiara candidamente – non si conosce il meccanismo che lo renderebbe efficace verso i sintomi della disattenzione infantile. Farebbe sorridere, se non fosse drammaticamente vera, la pretesa di utilizzare quindi questa molecola per trattamento sui bimbi basandosi su un solo studio, sponsorizzato dallo stesso produttore, della durata di appena 7 settimane su poco più di cento pazienti, peraltro adulti, che ha dimostrato un’efficacia nella riduzione dei sintomi di disattenzione pari a circa il 70%, laddove nello stesso studio il gruppo di controllo ha fatto registrare un miglioramento nel 50% dei casi utilizzando una semplice pastiglia di zucchero. Ma gli analisti finanziari non la finivano più di tessere elogi…
Intanto un’altra multinazionale farmaceutica ultimamente molto “aggressiva” nel marketing degli psicofarmaci per bambini, la Shire, sta testando in una struttura di ricerca di Pisa coordinata dal Prof. Masi, non certamente ostile alla somministrazione di molecole psicoattive ai bambini, un vecchio anti-ipertensivo mai autorizzato al commercio a causa dei troppi effetti collaterali: la guanfacina, questo il nome della “molecola apolide” in cerca di una patologia da “curare”, che dovrebbe aprire alla Shire il business sulla psichiatria dell’infanzia in Italia, a oggi sottosfruttato – l’Italia è il 5° mercato farmaceutico al mondo, ma di psicofarmaci per minori se ne vendono ancora pochi – al punto che, violando qualunque tipo di norma di carattere deontologico e di legge, questa azienda aveva commissionato a una nota agenzia di Pubbliche Relazioni azioni di promozione della patologia – e quindi del farmaco che deve curarla – nel nostro paese, ancor prima che il farmaco stesso venisse approvato, come dimostrano i contratti d’incarico rinvenuti durante un ispezione dei Carabinieri dei NAS presso la sede dell’agenzia di PR. Ecco quindi cosa troveranno alcuni bambini sotto l’albero di Natale, se la guanfacina verrà approvata per il commercio contro ogni possibile prudenza: un nuovo psicofarmaco che i bambini stessi potranno ingurgitare per “essere come i grandi vogliono”, soddisfare il desiderio di normalità di noi adulti, e ingrossare ancor più i bilanci miliardari dei produttori.
Tutto questo è realtà, dimostrata – sempre grazie alla scienza – da alcune coraggiose ricerche indipendenti, sempre più rare, nonché dall’attività di giornalisti d’inchiesta coraggiosi. Una realtà che condiziona quotidianamente la nostra vita e la nostra salute, ingrassando i portafogli delle case farmaceutiche e dei loro azionisti, tra i quali – è bene dirlo – anche i cittadini “disattenti” che raramente verificano dove vengono investiti i loro risparmi dalla banca di fiducia.
Scoccia citare i defunti, ma l’allora Direttore Generale di Merck, Henry Gadsen dichiarò: “Il nostro sogno è inventare farmaci per gente sana”. Questa frase è ben rappresentativa dell’avidità di certi individui e di certe aziende, che – quasi vittime di una coazione a ripetere – non riescono a uscire dal labirinto mentale che li porta invariabilmente al profitto a qualunque costo. Chissà se un giorno inventeranno qualcosa per curare la loro stessa bulimia da denaro…? Un farmaco, ad esempio, ma mi raccomando: redditizio.


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