"Il sex appeal dei corpi digitali": Luca Poma sul suo ultimo libro che indaga i vari aspetti del rapporto tra i corpi reali e digitali – Intervista a SBS Radio (Australia)
Ascolta l’audio dell’intervista:
1
Ascolta l’audio dell’intervista:
Le attività di Csr delle aziende spesso coincidono con eventi tragici come lo tsunami del 2011. Un progetto della Ricoh appena terminato ridà ai proprietary i propri ricordi. Le foto recuperate, ripulite e digitalizzate sono infatti state mostrate perché venissero riconosciute e ritirate.
IL PROGETTO – Si chiama “Save the Memory Project” ed è l’idea con cui Ricoh ha recuperato, restaurato e restituito 90.000 foto alle persone delle zone del Giappone colpite dallo tsunami nel 2011. In totale ha portato al recupero e al restauro di 400.000 foto andate disperse e danneggiate.
RICOH E LE COMUNITA’ COLPITE DALLO TSUNAMI – E’ però soltanto una delle iniziative con cui la società – che ha la sua sede principale a Tokyo ma è presente in oltre 200 Paesi – ha deciso di offrire un supporto alle popolazioni delle aree colpite dello tsunami.
Ha infatti pensato ad un programma di supporto per le scuole elementari ed eventi a Higashi Matsushima attraverso il Ricoh Science Caravan “Try to be a copier machine!”. Inoltre è stato dato un supporto nella ricostruzione dell’attività della pesca a Minamisanriku(prefettura di Miyagi) con il coinvolgimento ogni anno di circa 200 dipendenti.
Sono stati organizzati poi eventi per presentare i prodotti della regione Tohoku presso gli uffici aziendali del Gruppo. E l’azienda ha partecipato al progetto dell’Associazione giapponese dei dirigenti aziendali “Ippo Ippo Nippon”. Infine, le donazioni tramite il Ricoh Social Contribution Club “FreeWill”, un’iniziativa nata peraltro dal basso, dai dipendenti.
TSUNAMI E CSR – Naturalmente, già nei giorni seguenti all’evento, molte aziende hanno attivato raccolte fondi per le popolazioni asiatiche. Alcuni volontari, un centinaio, hanno subito iniziato a rovistare tra le macerie alla ricerca di fotografie, unico modo per far sopravvivere il passato della comunità, che deve anche vedersela con archivi e biblioteche distrutte.
Nella prefettura di Miyagi il progetto ha seguito le stesse linee guida di quello della Ricoh:raccolta, pulitura, digitalizzazione. C’è chi ha puntato, dunque, sulla raccolta fondi, c’è chi ancora oggi – come Ricoh – cerca di sostenere quelle popolazioni che il tempo spesso ci fa già dimenticare, c’è chi come la Fujitsu ha deciso di supportare la ricostruzione materiale dei luoghi devastati, nel suo caso supportando la rinascita e lo sviluppo della città di Tohoku, inserendo il progetto nel suo piano di sostenibilità.
Valore per gli shareholder, valore per le comunità locali, valore per gli stakeholder: è questo che deve contenere e creare un programma di Csr. Spesso invece il valore generato da certi programmi passa in secondo piano, mentre è la leva che dovrebbe spingere qualsiasi decisione di aziende, community e partners che interagiscono sul piano della sostenibilità. Non a caso, spesso i programmi di Csr nemmeno vengono letti. Ecco qualche strategia e consiglio utile, direttamente dalle parole di un esperto, Wayne Dunn, presidente del CSR Training Institute.
La Csr è una pratica costosa da portare avanti in solitaria. Le partnership possono essere un valido aiuto per allargare la rete, ma occorre un lavoro di pianificazione che può andare fuori dai binari se non maneggiato da esperti. In particolare sono 2 i punti chiave: occorre un allineamento di interessi verso un obiettivo comune e occorre dare ai partner un’idea misurabile dei vantaggi di una relazione a lungo termine.
Mai dare l’impressione di mettersi su un piedistallo da cui si urlano regole.Comunicare il giusto messaggio alla giusta audience e nel giusto momento è complicato, in più bisogna far sì che questo pubblico sia una spugna e lo assimili in fretta. Sbagliare strategia può distruggere quel valore. E mai dimenticare che parte del pubblico – che deve cogliere l’utilità del programma di Csr – è interno, è l’azienda stessa.
Le opportunità strategiche a volte sono a un metro dalla tua scrivania. I colleghi possono essere preziosi per identificare il valore da trasmettere. Spesso il trucco è integrare gli obiettivi di Csr nelle operazioni aziendali. Un esempio? Training per i dipendenti impegnati nelle comunità locali.
La familiarità e l’abitudine creano cecità. A volte uno sguardo diverso vede opportunità e sfide nuove che uno sguardo coinvolto non vede affatto. In più, chi vede le cose per la prima volta pone molte domande, che chi ha a che fare con lo stesso problema ogni giorno dà per scontate. Dove si genera valore? Un estraneo potrebbe notarlo al primo sguardo.
Non si fa Csr per salvare il mondo o per salvare villaggi. Non è filantropia. E’ piuttosto qualcosa che ha a che fare con il risk-management e, appunto, con la creazione di valore per le comunità, gli stakeholder o la società in senso lato.
La temperatura non si misura con un metro da sarto. Ogni azienda ha suoi parametri e suoi obiettivi. Non ha senso importare schemi esterni. In ogni caso, non si può gestire al meglio qualcosa che non si sa o non si può misurare, nella Csr c’è una frase che spesso si ripete: “Non puoi misurare ciò che non puoi misurare”. I tipi di misurazione utilizzati devono essere coerenti con il progetto e devono essere semplici, altrimenti costano tanto, generano frustrazione e non servono. Il riferimento lampante è a certi report o standard che alla fine tendono a misurare le cose sbagliate nel modo sbagliato. Inutili. Occorre piuttosto un’analisi preliminare sui motivi che spingono un’azienda ad investire in un certo progetto e, poi, analisi sistematiche per monitorarne l’andamento verso quei motivi. Sono metriche ad hoc, personalizzate, specifiche di ogni situazione. Non significa che i framework di Csr riconosciuti a livello globale vadano ignorati; significa che vanno associati ed integrati a schemi interni.
Alcuni programmi cercano di essere tutto e cercano di rivolgersi a tutti. Bisogna invecefocalizzarsi su obiettivi precisi, anche di budget, altrimenti saranno denaro e tempo sprecati.
Anche i programmi di Csr invecchiano, semplicemente perché cambiano le condizioni esterne. Vanno rivisti periodicamente e va considerato sempre quanto incidono sui budget. Perché il programma è stato avviato? Quali erano i propositi iniziali? Valgono ancora? Sono stati raggiunti risultati finora? E’ stato prodotto valore per qualcuno? Qualcosa potrebbe essere riorganizzato? I partner attuali sono effettivamente utili? Ce ne sarebbero di nuovi?
E’ una delle parole d’ordine. Gli interessi di shareholder e della società devono essere allineati in modo che si generi valori per entrambi. Tutto questo esplorando nuove opportunità, anche di partnership.
Il valore si genera con il tempo. Ma poi quanto dura la sua eco? Spesso si riesce a generare valore proprio pensando in termini di tempo. Cosa si può generare oltre il periodo attuale? Quali ricadute avrà il programma di Csr? A quel punto è chiaro che si possono compiere ragionamenti anche economici.
Le terribili immagini del pilota giordano, Muat al-Kaseasbeh, arso vivo nel video diffuso da Isis non hanno sconvolto solo gli occidentali. La decisione di giustiziare, in maniera così violenta e drammatica, un islamico e di mostrarne l’atroce morte tra le fiamme a tutto il mondo, non è piaciuta neanche ad alcuni simpatizzanti dello Stato Islamico.
Una reazione non del tutto imprevista dai comunicatori online di Isis, se è vero che appena 10 minuti dopo la prima diffusione del video, nei forum jihadisti circolavano delle vere e proprie “note di linguaggio” che i disseminatori più attivi nel web avrebbero dovuto utilizzare nelle discussioni che, sicuramente, sarebbero nate a seguito dell’evento.
Agendo come una qualsiasi organizzazione internazionale, lo Stato Islamico ha realizzato – presumibilmente nei giorni compresi tra il 3 gennaio, quando sarebbe stato giustiziato al-Kaseasbeh, e il 3 febbraio, giorno in cui è stato diffuso il video – un vero e proprio piano di comunicazione di crisi.
Un documento che ha persino un nome (terribile, quanto la vicenda che ne ha decretato l’origine): “Moaz è stato bruciato vivo, di seguito la giustificazione islamica per questa tipologia di atto”. Praticamente una guida – piuttosto dettagliata – da utilizzare in risposta tutte le proteste e alle obiezioni mosse da simpatizzanti islamici inorriditi da quanto successo.
Secondo il sito vocativ.com, che attua un costante monitoraggio del deepweb, l’autore sarebbe uno dei moderatori del forum Al-Platform che, stando a quanto si legge nel testo in arabo, deve aver faticato molto a trovare frasi adatta. Non vi sono infatti giustificazioni religiose provenienti dal Corano ma solo frasi generiche, che mostrano tutta la debolezza della motivazione in esse contenuta. In quella considerata centrale viene consigliato di dire, a chi dovesse lamentarsi dell’accaduto, che “molti studiosi oggi ritengono che sia una cosa positiva bruciare la vittima”. Ma, in realtà, il Corano vieta espressamente di bruciare le persone.
Le obiezioni nate in seguito alla terribile vicenda di Muat al-Kaseasbeh non sono le prime mosse all’operato di Isis nei confronti delle esecuzioni di islamici. La decapitazione di Peter Kassig, l’ostaggio statunitense che si era convertito all’Islam, aveva sollevato alcuni dubbi nelle comunità online facenti capo a Isis. Il caso di al-Kaseasbeh però ha creato maggiori problemi, sia in termini di giustificazione sia di impatto. Anche tra i più fedeli a Isis ardere vivo un islamico – per quanto traditore e “maiale” come era stato definito nel terribile hashtag lanciato a dicembre su twitter #SuggestAWayToKillTheJordanianPilotPig (suggerisci un modo per uccidere il pilota giordano maiale) – è qualcosa che va decisamente oltre la guerra in nome del Califfato.
Computer Bild, la rivista di informatica più venduta in Europa, si è vista ritirare l’accredito PR da parte di Apple dopo la pubblicazione di un video in cui un giornalista testava la resistenza dell’iPhone 6 Plus.
La redazione di Computer Bild ha scritto che l’ufficio stampa Apple in Germania sta reagendo in modo inquietante: “invece di rispondere alle domande sul perchè l’iPhone 6 Plus è così sensibile, un manager dell’azienda ci ha chiamati per dirci che la redazione di Computer Bild non riceverà più dispositivi Apple in prova e non sarà più invitata agli eventi ufficiali“.
Il video incriminato vede un giornalista di Computer Blind testare la resistenza dell’iPhone 6 Plus. Come già visto in tanti altri filmati, si fa forza al centro del dispositivo con i pollici e si prova a piegare la scocca dell’iPhone. Ormai è diventata una moda, ma come ha confermato Consumer Report la resistenza dell’iPhone 6 Plus è superiore a quella del 6 e a quella di altri smartphone in commercio, malgrado nessun dispositivo possa essere considerato indistruttibile. Per la cronaca, l’iPhone 6 Plus inizia a piegarsi sotto una forza di 45 chili.
Detto di quanto ormai siano ridicoli e inutili questi test fatti con le mani, il ritiro di un accredito stampa per un semplice test è forse eccessivo, soprattutto se si considera che Computer Bild è la rivista di informatica più venduta in Europa, disponibile in nove diversi paesi.
Computer Bild ha anche inviato una lettera aperta a Tim Cook, nella quale viene espresso un pensiero condivisibile:
Questo è davvero il modo con cui la vostra azienda vuole trattare i media che forniscono ai clienti dei test sui vostri prodotti? Pensate davvero che il ritiro di un accredito possa avere un effetto intimidatorio su di noi? Per fortuna non dobbiamo fare affidamento ai dispositivi che Apple ci fornisce. Per fortuna, un sacco di lettori sono disposti a pagare per la nostra rivista, e questo ci permette di rimanere indipendenti. Siamo quindi in grado di acquistare i dispositivi e di fare i test che preferiamo. Anche quei dispositivi di produttori che temono l’autonomia di giudizio di Computer Bild.