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SNAPCHAT E IL VALZER EFFIMERO DEI SOCIAL

Mettersi in gioco attraverso i video permette all’utente finale di percepire il brand come a portata di mano, reale, familiare e concreto, costruendo così in modo efficace reputazione. È il segreto di Snapchat, social da 8 miliardi di video al giorno che spaventa Facebook ma, per ora, non lo scalza.

Il “divo” di Snapchat – il Social network basato sullo scambio di messaggi, e soprattutto di brevi video, che si autodistruggono dopo 1 giorno dall’invio – è un obeso e grezzo DJ con la faccia poco sveglia. Come ci ricorda la giornalista americana Sarah Frier, prima di Snapchat, DJ Khaled urlava slogan idioti e insensati in un programma minore di una radio di Miami: “E non lo faceva neppure particolarmente bene”, ha scritto di lui il sito di musica Picth-fork. Ora Khaled ha milioni di follower su Snapchat e raggiunge 3 milioni di view per singolo video. Video basati sul nulla, o poco più: come sta andando la sua giornata, cosa sta mangiando a colazione, dove va a farsi aggiustare l’iPhone, le discoteche dove esce la sera, con qualche pillola di riflessione pseudo-esistenziale sparsa qua e là. “Questa è l’esatta essenza di Snapchat: come le sorelle Kardashian, che sono famose perché sono famose”, ha commentato Ben Winkler, dirigente di OMD, una società che investe denaro nei mezzi d’informazione. In ogni caso Khaled – che fino a poco più di un anno fa non aveva mai sentito parlare di Snapchat, e l’ha conosciuto grazie a un amico che gli ha suggerito di “dargli un’occhiata” – grazie a questo social network ora è diventato una vera celebrità in USA, con collaborazioni anche importanti con Apple Music. “Con Snapchat puoi mandare solo messaggi effimeri” – ha aggiunto Charlie McKittrick, responsabile commerciale dell’agenzia di pubblicità Mother New York, riferendosi alla brevità assoluta e al tono dei messaggi che vengono scambiati su quella piattaforma – “Sono briciole di vita, ma per il pubblico è molto divertente”. Oltre ai contributi pubblicati e scambiati dagli iscritti, Snapchat propone le Live Story: una redazione di oltre 100 addetti mixa ogni giorno le migliori “storie” degli utenti stessi, ricavandoci video ex novo, divertenti per il pubblico della App. Poi ci sono i canali Snapchat Discover, i cui contenuti sono prodotti da note testate giornalistiche come CNN, Wall Street Journal, Vice, etc., che gettano ognuno in pasto alla piattaforma decine di video ogni giorno. La differenza tra Snapchat e Youtube com’è ovvio è sostanziale, e va ben al di là della mera lunghezza dei filmati: quest’ultimo è una bacheca, tecnicamente molto performante, per pubblicare e far vedere dei video; Snapchat è una grande community dove al centro ci sono le persone, che interagiscono tra loro scambiandosi messaggi e video.
Per tutti gli americani tra i 14 e i 20 anni Snapchat è la App numero uno, e in genere è tra le prime 10 App scaricate al mondo. Gli utenti di Snapchat saranno inevitabilmente gli acquirenti di domani, tanto che molte grandi aziende come Coca Cola, Amazon, Pepsi, Marriot e Budweiser spendono milioni di dollari per la pubblicità sulla App. L’investitore Gary Vaynerchuk ha dichiarato in un bell’articolo pubblicato a inizio dell’anno scorso su Bloomberg Businessweek, tradotto in italiano daInternazionale: “La stragrande maggioranza delle persone che in questo momento stanno leggendo questo giornale, avrà un account Snapchat entro 36 mesi”.
Un amico cubano di 28 anni, Roberto Carlos, che vive a Londra e gira il mondo per lavoro, è invece attento al lato ludico della App. Mi ha detto: “I miei amici più giovani sono stanchi dei ritocchi di Photoshop, vedi delle ragazze o dei ragazzi splendidi e poi di persona sono una delusione. Su Snapchat questo non accade, perché non puoi alterare le foto migliorandole. Poi c’è la riservatezza: da un paio d’anni frequento spesso i paesi arabi, e negli Emirati tutto quello che succede – tutto, ma proprio tutto – va su Snapchat. Specie le cose più private: perché, a differenza di Facebook, su Snapchat tutto si cancella automaticamente dopo breve tempo, e così nessuno lascia traccia delle sue cose intime. Inoltre puoi salvare su iCloud i tuoi video e foto: non occupi la memoria del telefonino. E’ comodissimo, è la tendenza del momento, non puoi non esserci. Ed è gratis, ovviamente”.
Nonostante il numero a tratti incredibile di 8 miliardi di video scambiati ogni giorno sulla sua piattaforma – lo stesso numero di Facebook, che però ha un numero di iscritti 10 volte maggiore ed esiste da molto più tempo – Snapchat macina la ridicola cifra di 200 milioni di dollari all’anno di utili. Eppure Zuckerberg ha fatto un’offerta per acquistarla: 3 miliardi di dollari. Rifiutata, dal momento che la quotazione attuale – presunta – di Snapchat pare attestarsi intorno ai 16 miliardi di USD.
Ora Snapchat si sta aprendo di più, anche verso le aziende più piccole. Tastemade, una start-up che produce contenuti video a tema su cucina e viaggi, si dichiara entusiasta dei risultati: la loro video-serie Cookie the News, con filmati in fast-motion sul “biscotto del giorno” con la forma ispirata al più intrigante fatto di cronaca del momento, spopola su Snapchat. “E’ così che i ragazzi di questo millennio guardano i contenuti”, ha dichiarato Steven Kydd, uno dei fondatori dell’azienda.
L’altra faccia della medaglia di questo valzer, o meglio, di questo tango scatenato che spariglia le carte dell’accesso all’informazione cheap ed eccita pazzescamente gli investitori 2.0, è l’essenza intrinsecamente effimera di questi strumenti. Dire oggi che Snapchat potrebbe prima o poi “tramontare” potrebbe suonare come una bestemmia, eppure in altri casi è già successo. Un’altra azienda – Demand Media, che gestiva content-farm, ovvero siti che producevano bulimicamente ogni giorno molti contenuti appetibili per il web, dal “come indossare un costume da bagno Speedo” al “come fare una Apple Pie eccellente in poco tempo” – generava picchi di traffico interessanti per gli investitori: i contenuti erano di scarso valore, ma avevano la funzione né più né meno che di “esche” attira-polli, come certi programmi della TV commerciale, che costituiscono “l’intermezzo” tra uno stacco pubblicitario e l’altro, secondo il principio che più è alta l’audience in quella fascia oraria, più soldi si possono guadagnare dal vendere gli spot. Demand Media funzionava bene, e venne quotata in borsa dove arrivò a valere 2 miliardi di dollari, circa il 25% più del New York Times. Poi bastò un semplice “click” per distruggerla: Google aggiornò il suo algoritmo, modificandolo, e gli accessi di Demand Media crollarono improvvisamente; ora vale non più di 100 milioni di dollari. Che è probabilmente il prezzo corretto per un’azienda che non produce nulla di particolare valore.
Anche coloro i quali – per arroganza o ingenuità – rifiutarono le interessanti offerte fatte per cedere Yahoo! forse si sono pentiti della scelta, stante il crollo verticale delle quotazioni di quello che fino a pochi anni fa era il concorrente meglio piazzato di Google e dettava la linea nel settore dei motori di ricerca. Per i nativi digitali, navigare su Yahoo! ora è moltoretrò, una cosa strana, un pelo eccentrica e fondamentalmente inutile, come mettersi un vestito anni ’50. Una parte significativa degli under 20 neppure sa cos’è.
Vero è che gli inserzionisti pubblicitari non hanno molti modi oggi come oggi per raggiungere un target di under 25, quindi – finchè non nascerà qualcosa di nuovo – Snapchat continuerà a far furore. E molto probabilmente – aggiungo io – divorerà Twitter, che annaspa già tra mille difficoltà. A ben pochi ragazzi verrebbe in mente oggi come oggi di aprirsi un account Twitter: “Perché diamine devo leggere un contenuto testuale breve, se posso vedere un video breve?”, paiono domandarsi con aria stupita le giovani generazioni. Per quali motivi quindi Twitter dovrebbe sopravvivere a Snapchat, che “twitta” centinaia di milioni di contenuti ogni ora, sotto forma di video?
Che i video siano non un futuro, ma il futuro, a discapito dei post testuali, è evidente. Il video-marketing ha successo perché utilizza la dirompente forza delle immagini: se si pensa a quante immagini possono essere contenute in un video, accompagnate da musica e testi, e quanto un contenuto video possa emozionare infinite volte più di un testo scritto – o perlomeno con altrettanta forza, ma molto più velocemente – grazie al coinvolgimento nello stesso momento più sensi, si comprende quale sia l’ulteriore potenziale futuro dei video, e quanto possano essere utili quando sono utilizzati con intelligenza dai brand. Gli utenti internet sono ormai abituati a vedere video tramite smartphone e giudicano un video un contenuto più fruibile e più interessante rispetto alla norma: preferiscono fruire di un video di tre minuti, piuttosto che leggere un articolo per 15-20 minuti, e hanno una carica virale sul web davvero unica: sono condivisi sui social in media 12 volte più dei testi e – in base a statistiche recenti – ormai l’87% delle aziende che promuovono campagne pubblicitarie li utilizza con consuetudine per trasmettere con efficacia i propri messaggi, anche perché garantiscono una permanenza media dell’utente ben più elevata rispetto ai messaggi tradizionali. I video possono essere facilmente collegati a campagne a pagamento su Youtube o Facebook per raggiungere velocemente un target selezionato sia a livello locale che nazionale, e inoltre, in base alle tendenze dettate dagli algoritmi di Google, esistono maggiori possibilità che i video entrino nei risultati dei motori di ricerca. Mettersi in gioco attraverso i video “rende più caldo il marchio”, e permette all’utente finale di percepire il brand come a portata di mano, reale, familiare e concreto, costruendo così in modo efficace reputazione.
Tra 5 anni – secondo Nicola Mendelsohn, Vice Presidente di Facebook EMEA – i video su Facebook sostituiranno i post.  “Se dovessi fare una scommessa direi: video, video, video. Il miglior modo per raccontare una storia ai tempi d’oggi è il video, fornisce molte informazioni in pochissimo tempo. Agli utenti piace molto il ‘dietro le quinte’ che offre Facebook Live – la possibilità di registrare video “in diretta” su Facebook – un fenomeno in veloce espansione che nell’area EMEA conta 433 milioni di utenti attivi”. All’inizio, Facebook Live era riservata a personaggi famosi e grandi realtà editoriali, poi è stata estesa a tutti gli utenti. A sostenere la tesi della top manager vi sono sempre le statistiche: sembra che la condivisione di video su Facebook sia in costante crescita, in quanto gli iscritti al social network più famoso del mondo guardano cumulativamente 100 milioni di ore di video al giorno su smartphone e tablet, ed è Facebook Live a fare la parte del leone, dal momento che i contenuti di quest’applicazione ricevono molti commenti in più – fino a 10 volte! – rispetto a quelli registrati per i post normali. Anche lo stesso Mark Zuckerberg dà molta attenzione al fattore video sulla sua piattaforma: nel corso degli ultimi 2 anni ha perfezionato più volte Facebook Live, allungando in modo illimitato il tempo a disposizione per le dirette streaming, con l’aggiunta una mappa per cercare le dirette video sul telefonino in tempo reale. Inoltre, a conferma dell’investimento che le grandi piattaforme stanno facendo su formato video, è ora possibile inserire un filmato anche nei commenti che ogni utente può pubblicare in calce al post di un’azienda, cliccando sull’icona a forma di macchina fotografica: di fatto, è possibile quindi commentare un post testuale usando un video.
Facebook rincorre quindi Snapchat? Può essere, con un grande vantaggio però: il social di Zuckerberg ha molti più dati degli utenti rispetto al Social dei video che si autodistruggono, e – per ora – li profila infintamente meglio. Quanto sa veramente Snapchat degli orientamenti d’acquisto dei propri iscritti? Il fatto che io veda un video di un cantante hip-hop su Snapchat perché è divertente, non significa necessariamente che pagherei anche per scaricare da iTunes la sua musica; mentre Facebook sa tutto di noi, grazie all’analisi ossessiva che il suo algoritmo fa delle pagine che frequentiamo, click per click. E questo è il vero valore d’interesse per gli inserzionisti pubblicitari.
Facebook poi non è solo uno strumento per fare qualcosa di divertente: “Sei tu, è la Tua identità; è la Domenica In dei Social, il contenitore, c’è tutto dentro. Le mode arrivano e passano, possono essere un utile complemento, ma alla fine, la verità è che non hai bisogno d’altro che di Facebook, ed ogni volta che qualcuno ha un’idea innovativa, semplicemente Facebook la copia, e magari la rifà anche meglio dell’originale”, rifletteva ad alta voce Luca Yuri Toselli, collega e amico con il quale ho chiacchierato di queste questioni prima di decidermi a scriverci sopra. Facebook ha anche saputo diventare nel tempo – sapientemente, astutamente – una delle principali porte verso il resto del web: “Perché devo perdere tempo a loggarmi su un sito, inserendo tutto i miei dati anagrafici, se posso accedere istantaneamente a quel sito tramite il mio profilo Facebook?”, ha aggiunto Toselli. Così facendo, Facebook accresce esponenzialmente la propria base dati, e così facendo dopo essere sceso di appeal sugli under 20 per qualche anno, ora sta riguadagnando terreno, e dove non lo fa direttamente, si compra i competitor, come ha dimostrato il grasso assegno staccato per acquistare Instagram, per poi copiare i modelli altrui: ecco allora, alla rincorsa di Snapchat, le “Instagram Stories”.
In definitiva, bless up, “che tu sia benedetto”, ripete spesso DJ Khaled rivolto a tutto ciò che lo circonda e che gli piace, dai fiori del suo giardino al tramonto sul mare. Quindi Bless Up, Snapchat. Finchè dura, però.
Un’ultima riflessione ce la suggerisce il mondo LGBT – Lesbico, Gay, Bisex e Transgender – che in qualche modo ci da un’altra indicazione preziosa, oltre che dettare la linea delle tendenze – anche su web, se consideriamo, parlando di siti di incontri, che Grinder è nato ed è diventato una App di successo ben prima di Tinder – che è l’importanza del match dei dati: creo un mio Digital body appetibile, lo metto di Tinder o su Grinder, e cerco l’anima gemella, foss’anche solo per un l’incontro hot di una notte. Le aziende prendono nota e si adeguano. Creo un fantastico profilo sulle scarpe d’alta moda, lo pubblico su Tinder, e sono gli utenti a trovarmi: hai trovato il sesso giusto per stasera…? No? Ok, nell’attesa di un orgasmo, eccitati con le tue scarpe preferite, o le tue borse, o chissà cos’altro. Un millesimo dei contatti, forse, ma tutti pazzescamente in target. E a quel punto non ci sarà SIRI, la voce metallica dell’androide pre-programmato dell’iPhone, a parlarmi, bensì una persona in carne ed ossa, dall’altra parte della chat – o meglio, in un certo senso, nella mia camera da letto – a spiegarmi quanto sia magnifico quell’oggetto del desiderio e cosa potrai fare per acquistarlo esattamente ora.
Altro che i tanto declamati – e forse sopravvalutati – Big Data, tanto “big” da risultare anche molto, troppo generici: le relazioni, of course; l’importanza, assoluta e intramontabile, delle relazioni.




Csr: l’impegno reale e continuo fa crescere i profitti del 20%

Programmi di Csr ben strutturati possono far lievitare le entrate anche fino al 20% e fidelizzare i clienti fino al 60% in più. Lo svela uno studio di Verizon e Cambell Soup. IO Sustainability e Babson College, in aggiunta, hanno dimostrato che oltre ad avere un impatto positivo sulle vendite, i programmi di Csr riescono a far crescere il valore elle aziende per gli shareholder e a migliorare la produttività dei dipendenti.

L’IMPATTO DELLA CSR – “Project ROI”, condotto da IO Sustainability e Babson College, in particolare, ha analizzato una serie di ricerche e dati esistenti per capire quale valore e impatto abbia la Csr su società e business. Ha evidenziato poi alcune best practices per le aziende che vogliono migliorare in chiave più autentica ed efficiente il loro approccio.
L’evidenza è che pratiche di Csr ben confezionate influenzino positivamente la soddisfazione dei dipendenti, la produttività e danno spunti preziosi ai leader aziendali e agli investitori, che si trovano a dover scegliere se investire o no in un’azienda.

ALTRI RISULTATI – Tra gli altri risultati di questi studi:

– se le attività di Csr crescono, proteggono i brand e la reputazione delle aziende, potenzialmente facendoli crescere di un 11% rispetto al valore totale della società;
– considerando un arco di tempo di 15 anni, le aziende con programmi di Csr efficaci hanno una crescita media del valore per gli stakeholder di 1,28 mld di dollari, mentre la crescita dell’attaccamento di questi stakeholder all’azienda cresce potenzialmente di un valore quantificabile dal 40 all’80%;
– cresce anche la produttività di chi lavora in aziende con programmi di Csr maturi (+13%) e si riduce il turnover di circa il 50%, con dipendenti che accetterebbero una riduzione del salario del 5% a fronte di un ambiente di lavoro permeato da valori di questo tipo.
In sostanza, non basta avere un programma generico, occorre saperlo mettere in pratica e trasformare l’azienda. Clienti, investitori e lavoratori se ne rendono conto e le aziende non sincere, che mentono o cercano di mostrarsi più impegnate di quanto lo siano in realtà perdono terreno in termini di immagine, investimenti e reputazione.
I MIGLIORI – Secondo il CSR RepTrak che ogni anno viene pubblicato dal Reputation Institute,Google ha il primato in questo campo. Microsoft, Walt Disney e BMW seguono nella classifica della miglior reputazione sul fronte Csr. Apple, Lego, Volkswagen, Intel e Rolex sono fuori dalla top 10.




LA PASSIONE COSTRUISCE LA RILEVANZA DI UN BRAND

Sono quattro le parole chiave della costruzione di un brand solido: autenticità, coerenza, approccio olistico e “rigore flessibile”. Uniti saldamente dalla passione. A dirlo, Anna Adriani, per 17 anni a capo della comunicazione di illy.

Costruire la rilevanza e l’identità di una marca non può prescindere, a mio avviso, da quattro fondamentali linee guida: l’autenticità, la coerenza, un approccio olistico e quello che io chiamo “rigore flessibile”. Nei miei 17 anni come Global Public Relations Director e Chief Sustainability Officer di illycaffè ho delineato la teoria e la pratica di questo approccio che ho avuto la possibilità di sperimentare e perfezionare con i miei collaboratori. Il caso illy può aiutare a capire come questi quattro valori possano guidare il lavoro del comunicatore verso i risultati desiderati.
Cominciamo con l’autenticità. Illy ha scelto l’arte come piattaforma strategica per la sua comunicazione, sulla base del fatto che il caffè è stata la bevanda della cultura per secoli. Una buona tazza di caffè è stato e rimane il modo ideale per suggellare la creazione di molti movimenti artistici. Si tratta anche di una questione di radici: i molti caffè storici di Trieste hanno da sempre sempre ospitato creativi d’ogni sorta. Così, quando illy chiede ad artisti contemporanei – sia star di fama mondiale come Marina Abramovich, Michelangelo Pistoletto! Jet Koons e Yoko Ono o giovani talenti all’inizio della propria carriera – di dipingere sulla superficie bianca di una tazza di caffè, si crea un legame indissolubile tra la comunicazione e il prodotto stesso. In poche parole, l’autenticità della comunicazione è l’urgenza che nasce dal DNA di una azienda, di un prodotto o di un marchio.
Coerenza significa che una volta che si sceglie un determinato territorio per la propria strategia di comunicazione, si rimane legati ad esso. Se si ha a che fare con una brand globale, è necessario applicare la stessa strategia in ogni paese. Illy viene venduto in 140 paesi e l’approccio di comunicazione guidata dall’arte contemporanea è lo stesso ovunque. Ad esempio, è il caffè ufficiale delle maggiori fiere d’arte contemporanea non solo in Italia, ma anche negli Stati Uniti, Spagna, Regno Unito, Olanda, e così via. Tuttavia, coerenza non significa fare sempre le stesse cose altrimenti si rischia di diventare irrilevanti e noiosi. Ecco perché, quando l’azienda stabilisce relazioni a lungo termine con istituti d’arte, si fa in modo che ogni progetto o evento sia diverso, con sempre un tocco di innovazione e creatività. Ecco perché  in occasione della Biennale di Venezia, con la quale illy collabora dal 2003, la presenza della marca non è mai una mera sponsorizzazione. È sempre un vero e proprio progetto che aggiunge contenuti di valore e rilevanti per l’evento in sé. É stato così con l’installazione “Ascension” di Anish Kapoor   presso la chiesa di San Giorgio nel 2011 o con la mostra di fotografie dedicate ai Paesi coltivatori di caffè da Sebastiao Salgado alla Fondazione Bevilacqua La Masa nel 2015.
Al fine di ottimizzare gli investimenti e migliorare la propria strategia di comunicazione, poi,  è di fondamentale importanza di adottare un approccio olistico. Questo significa lasciare che ciò che si sceglie di comunicare influenzi e plasmi ciò che l’azienda è. Sempre a titolo di esempio, l’arte contemporanea di illy si può trovare non solo le collezioni di tazze, ma anche sul packaging, sugli accessori, sui libri e riviste aziendali, nonché all’interno della catena di bar che l’azienda ha in tutto il mondo. L’apertura ufficiale di un coffee shop Espressamente illy a Parigi si è tenuta non a caso in occasione del vernissage della mostra “Le Paradis sur Terre” di Michelangelo Pistoletto al Louvre nel 2013. Michelangelo ha realizzato una tazza speciale per l’evento che è stata lanciato nel nuovo bar alla presenza dell’artista che ha firmato copie per gli ospiti e per i rappresentanti dei media presenti all’evento.
Inoltre, particolare attenzione deve essere prestata ai dipendenti. Se si vuole avere successo con un approccio di comunicazione è necessario avere a bordo tutta l’organizzazione e non solo chi si occupa di comunicazione e marketing. Quindi bisogna lavorare anche sulla cultura interna al fine di diffondere gli stessi messaggi ovunque. Ad ogni Biennale, illy offre ai propri dipendenti la possibilità di partecipare a visite guidate, mentre molti artisti vengono spesso alla sede di Trieste a incontrare i collaboratori.
Ultimo punto, ma non meno importante, è il rigore flessibile. Per me rigore flessibile significa che, sì, è sempre necessario essere coerenti. Tuttavia, allo stesso tempo, è necessario mantenere sempre la mente, gli occhi e il cuore aperti. E se si capisce che c’è un’opportunità interessante, anche se non è esattamente nel territorio si è scelto, si può decidere di coglierla e di raccontare una storia un po’ diversa ai propri stakeholder, purché ​​coerente con la strategia di comunicazione. Dopo 12 anni di arte contemporanea in illy abbiamo deciso di diventare partner dell’evento letterario più importante d’Italia, Festivaletteratura, che raccoglie a Mantova 50.000 visitatori ogni anno. Di fatto la letteratura è un’altra forma di cultura molto vicina a caffè.
Vorrei concludere con aggiungendo un quinto punto, che in realtà è, a mio avviso, il più importante: la passione. Si ha davvero bisogno di essere guidati dalla passione – direi dal’ ossessione – quando si vuole costruire la rilevanza e l’identità di una marca attraverso una strategia ed un approccio di comunicazione. È solo grazie alla passione, infatti che si può essere sicuri di percorrere le altre quattro tappe con successo.




Social innovation, l’Ue annuncia i nuovi indicatori dello sviluppo urbano sostenibile

In un’Europa che soffre ancora la crisi economica, per misurare il benessere dei cittadini non basta più il PIL: dalla DG Regional and urban policy della Commissione europea via libera al nuovo indice della qualità della vita in città basato su inclusione sociale, progetti smart community e tutela ambientale

on è solo il prodotto interno lordo (PIL) a misurare la ricchezza e il benessere di uno Stato, una regione e una città. Sono anni che si avanza questa tesi e finalmente anche a livello istituzionale qualcosa sembra cambiare.
Il responsabile della Direzione generale per le Politiche regionali e urbane della Commissione europea, Walter Deffaa, riporta il quotidiano The Guardian, ha annunciato di essere d’accordo con l’utilizzo del Social progress index (SPI) al fianco del tradizionale PIL.
Un impegno verbale, per il momento, che potrebbe presto tradursi in un concreto processo di integrazione di questo indice del benessere, basato sull’innovazione sociale e la qualità della vita dei cittadini, con altri strumenti tecnicamente più finanziari ed economici.
Le politiche regionali dell’Unione europea possono contare su un fondo progetti pari a più di 63 miliardi di euro. Il Progress social index (SPI) potrebbe aiutare i decisori nella scelta della migliore ripartizione delle risorse finanziarie tra le regioni più virtuose d’Europa.
L’SPI è costituito da 52 indicatori, che vanno dalla sanità all’edilizia popolare, dall’inclusione sociale al social housing, dalle smart community alla tutela degli spazi verdi. “Al di là del PIL– ha spiegato al quotidiano britannico un portavoce della Commissione Ue – è necessario adottare nuovi indici per valutare il livello di qualità della vita dei cittadini in una città e in una metropoli. Il progresso sociale, la social innovation, possono aiutare in questo”.
Come ha ricordato Michael Porter, docente di Economia ad Harvard, sostenitore della teoria del ‘Valore condiviso’ per riconciliare business e progresso sociale (passaggio dalla Corporate Social Responsibility alla Corporate Social Innovation), “Non ha più senso utilizzare il PIL per misurare il benessere della popolazione quando la gran parte di essa subisce senza sosta i colpi della crisi da anni”.
Progetti a forte impatto sociale, politiche ambientali lungimiranti, lotta all’inquinamento, liberazione di crescenti spazi urbani dal traffico automobilistico, inclusione sociale, accesso alle risorse (idriche, energetiche, economiche, culturali, sociali, ambientali, pubbliche) e loro equa ridistribuzione, diritti individuali e democratici, opportunità di migliorare la propria condizione di vita, promozione di nuovi mezzi di trasporto ecosostenibili e puliti, ricorso alle fonti energetiche rinnovabili, sostegno alle comunità intelligenti e alle soluzioni smart ciy, sono solo alcuni dei fattori chiave per sviluppare un indice di SPI a livello di città e regioni d’Europa.
Dall’SPI nasce una classifica mondiale, che attualmente è guidata da Norvegia, Svizzera, Islanda, Nuova Zelanda, Canada, Finlandia, Danimarca, Olanda, Australia, Regno Unito. L’Italia occupa la posizione numero 31.
Un modello unico non esiste, spiegano da Bruxelles, ma dallo scambio di buone pratiche, esperienze e soluzioni efficaci si potrà presto arrivare ad uno standard applicabile in ogni Paese Ue.




L’amore ai tempi dell’intelligenza artificiale

Che rapporto abbiamo con l’intelligenza artificiale? Come sta evolvendo? Tendiamo a pensare che sia nelle fasi preliminari, invece è molto più presente nelle nostre vite di quanto possiamo immaginare.
Sono tantissime le applicazioni in uso e dovremo monitorarne lo sviluppo perché non sarà sempre prevedibile. Ne parliamo con Neil Jacobstein, che ha prestato la sua esperienza nel campo dell’intelligenza artificiale a governi e corporazioni.
Qui sotto potete leggere il trascritto del video che è stato tradotto:
CRISTINA: Quando crede che le intelligenze artificiali saranno effettivamente considerate “intelligenti”?
JACOBSTEIN: Beh, dipende dal compito che devono svolgere. Sono già perfettamente capaci di fare calcoli, di battere a scacchi un campione mondiale o di vincere ad un gioco a quiz. Sono da considerarsi già intelligenti se si tratta di disegnare nuove molecole per la ricerca farmaceutica. Insomma, dipende da qual è l’obiettivo.
C: Data la crescita esponenziale di queste macchine, non crede che la situazione ci possa sfuggire di mano, che arrivi presto un momento in cui diventeranno più intelligenti di noi?
J: Un paio di considerazioni… noi uomini, di questi tempi, siamo sempre più spesso potenziati dalla tecnologia. Per la gran parte del tempo siamo connessi ad intelligenze artificiali che risiedono al di fuori del nostro cervello. Siamo ormai pienamente integrati ad esse. Quindi l’idea che loro vadano fuori controllo non regge: credo che “noi” saremo in qualche modo parte di “loro”…
C: Pensa che il giudizio morale possa essere incorporato in queste macchine?
J: In alcuni casi sì, ma non credo che sarà la giusta strada, poiché questi sistemi ragionano in maniera diversa da noi. Penseranno anche in maniera diversa e questo significa che non potremo semplicemente inserire in un’AI una serie di regole e codici morali ed essere certi che andrà tutto bene. Dovremo invece prevenire eventuali problemi monitorandoli di continuo, alla ricerca di comportamenti sbagliati o malvagi per fermarli sul nascere, limitando le loro possibilità quando fanno cose a noi sgradite.
C: Pensa che sia verosimile lo scenario presentato nel film “Her”, in cui non solo un uomo si innamora di un’AI, ma avviene anche l’opposto?
J: Sono certo che la gente avrà rapporti sentimentali con le intelligenze artificiali! Credo che un’AI possa arrivare a conoscerti meglio di quanto potrà mai fare un coniuge. È anche verosimile che gli esseri umani avranno con loro relazioni importanti e profonde, non solo stupide e superficiali. Prendiamo in considerazione il genere maschile…pensi a quanto siamo superficiali noi uomini, a volte, nello scegliere coniugi o compagne! Spesso lo facciamo basandoci sui criteri più elementari. Può invece immaginarsi di come saranno sofisticate le AI nelle loro interazioni. La qualità delle relazioni è destinata ad elevarsi grazie a loro.
C: intravede una sorta di “balzo quantico” nel campo delle intelligenze artificiali?
J: La più grande rivoluzione avverrà quando riusciremo a comprendere il funzionamento del cervello allo stesso modo in cui comprendiamo quello di un rene, o del cuore, o del pancreas. Se srotolassimo la nostra neocorteccia scopriremmo che è grande quanto un tovagliolo, più o meno. Saremo invece in grado di costruire neocortecce artificiali grandi come una città, come una nazione, come un pianeta! Questo può sembrare esagerato, ma le assicuro che non lo è, perché vogliamo che la neocorteccia arificiale analizzi con precisione questa immensa onda di conoscenza che sta crescendo esponenzialmente e che ci aiuti a costruire sistemi di intelligenza straordinaria, non solo per tenerci al passo con questa conoscenza, ma anche per aggiungerne altra. Sono ottimista sulla nostra abilità a cogliere tutte le opportunità, gestendo i rischi.