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La corsa all’armamento tecnologico: affannosa, costosa e rischiosa

L’abuso delle tecnologie sanitarie, in particolare di quelle diagnostiche, rappresenta oggi la determinante principale di preoccupanti fenomeni in continua ascesa. Infatti, l’eccesso di medicalizzazione è riconosciuto come criticità rilevante dell’assistenza sanitaria (1-9), l’overdiagnosis e l’overtreatment sono fenomeni identificati per molte malattie (4,10) e la medicalizzazione di condizioni normali è al centro di pesanti critiche (11,12).

Dall’invenzione dello stetoscopio a Parigi nel 1816 al sequenziamento dell’intero genoma privo di cellule fetali nel sangue di una donna gravida, le tecnologie diagnostiche hanno trasformato in maniera determinante la medicina e l’assistenza sanitaria: infatti, dalle 2.400 malattie descritte nel 1793 nella Nosologica methodica di Sauvage oggi l’ICD-10 elenca oltre 40.000 voci. Inoltre, le tecnologie biomediche costituiscono la determinante principale dell’incremento della spesa sanitaria (13-16), di gran lunga superiore ad altri fattori, quali invecchiamento della popolazione, aumento della domanda, inflazione, innalzamento dei prezzi, ridotta efficienza organizzativa. La disponibilità di una nuova tecnologia aumenta il prestigio di ospedali e specialisti, scatena una vera e propria corsa all’armamento tecnologico (17) e qualunque innovazione viene utilizzata oltre i suoi reali benefici, talvolta anche quando presenta dei rischi (18).
Se è indubbio che le tecnologie sanitarie sono indispensabili per migliorare la salute, bisogna assolutamente evitare che il mezzo si trasformi in fine, rendendo malate tutte le persone.
Il circolo vizioso dell’innovazione tecnologica
La figura 1 mostra che viene solitamente innescato da un miglioramento tecnico — es. la maggiore risoluzione di una tomografia computerizzata (TC) — che non sempre corrisponde ad un aumento delle performance diagnostiche, perché spesso consente solo di vedere meglio quello che già conosciamo (19). Altre volte, invece, l’evoluzione tecnologica migliora l’accuratezza diagnostica (19): ad esempio, rispetto alla scintigrafia ventilatoria-perfusoria, l’angio-TC polmonare è molto più sensibile per la diagnosi di embolia polmonare e grazie a un’analisi più dettagliata delle immagini permette di identificare un numero maggiore di casi, in realtà meno gravi (20,21,22). Infatti, nel periodo 1998-2006 l’angio-TC polmonare ha permesso di aumentare dell’80% la probabilità di identificare una embolia polmonare (5). In altri termini, oggi l’evoluzione tecnologica permette di identificare lesioni in precedenza sotto-diagnosticate (1,5), aumentando la percezione di successo e l’interesse per l’innovazione. Parallelamente, l’aumento del numero di casi diagnosticati scatena l’interesse terapeutico e vengono trattate sia persone precedentemente non considerate malate (18), sia casi meno gravi e lesioni che non sarebbero mai state identificate. Ad esempio, TC, risonanza magnetica (RM) e aspirazione eco-guidata di noduli tiroidei hanno aumentato l’identificazione (e la rimozione) di piccoli carcinomi papillari (1). Ovviamente, trattare casi meno gravi migliora complessivamente i risultati, rafforzando la percezione di successo, che a sua volta incoraggia nuovi investimenti da destinare a ulteriori innovazioni della tecnologia (18). La tabella 1 riporta vari esempi dove l’evoluzione delle tecnologie diagnostiche ha modificato la prevalenza delle malattie, spesso senza migliorare gli esiti.

Figura 1. Il circolo vizioso della continua innovazione delle tecnologie diagnostiche (modificata da Hofman BM (68))
Figura 2. Conseguenze della continua innovazione delle tecnologie diagnostiche (modificata da Hofman BM (68))

Il potere seduttivo della tecnologia
L’uso indiscriminato delle tecnologie diagnostiche è favorito da numerosi stakeholder: industria, politici, management, professionisti sanitari, cittadini, pazienti e media. A livello di sistema sanitario l’offerta genera domanda (34,35): se vi è disponibilità di una RM ovviamente verrà utilizzata, così come i test di laboratorio e gli interventi chirurgici (35), anche in assenza di prove di efficacia, sicurezza ed efficienza (18,35-38) e talvolta anche in presenza di prove di inefficacia (es. pulsossimetria per il monitoraggio peri-operatorio, chirurgia robotica (39,40)). L’aumento della domanda, e il conseguente allungamento delle liste di attesa, vengono gestiti dalle organizzazioni sanitarie aumentando l’offerta, che incrementa ulteriormente la domanda. Inoltre, l’offerta tecnologica tende a essere sempre più ampia e variegata perchè esiste una maggiore propensione a investire in una nuova tecnologia supportata da evidenze limitate, piuttosto che dismettere una tecnologia di documentata inefficacia (41,42). Inoltre, il concetto di high tech viene spesso associato a quello di elevata importanza (43) e qualità (44): la tecnologia viene utilizzata in maniera strategica per attrarre specialisti e pazienti (44), scatenando la corsa all’armamento tecnologico (17) tra organizzazioni sanitarie pubbliche e private in continua competizione. La tecnologia, di conseguenza, da strumento per migliorare la salute si trasforma in mezzo di potere e prestigio, sino a diventare fine a sé stessa (45,46).
Queste convinzioni sono diffuse tra pazienti, cittadini e media, concordi nel richiedere all’unisono interventi high tech nei quali ripongono fiducia illimitata, convinti che sempre “nuovo è meglio di vecchio”, “complesso è meglio di semplice”, “molto è meglio di poco”, “sapere è meglio di non sapere” e che una diagnosi precoce è meglio di una tardiva. Se il medico non prescrive una TC o una RM il paziente lo accuserà di sottovalutare il problema, con la connivenza dei media, dove troneggiano storie di persone infuriate o deluse per un accesso negato alla tecnologia desiderata e dove le vittime dell’overdiagnosis e dell’overtreatment si dichiarano sempre felici di essere state “salvate”.
Ma soprattutto, uno dei driver principali è costituito dalla stessa tecnologia: l’imperativo tecnologico (47) spinge l’innovazione oltre le necessità di cura, fino al punto in cui è la tecnologia a definire le malattie e a fornire le cure (11,48), per compensare l’involuzione della relazione medico-paziente (49) che ha reso progressivamente autonoma la tecnologia quale elemento di cura (50). Di conseguenza, la tecnologia si è trasformata in un potente attore indipendente che guida la medicina e l’assistenza sanitaria oltre i suoi obiettivi reali, soggiogando professionisti e pazienti che finiscono per declinare le proprie responsabilità: paradossalmente le tecnologie ci hanno reso schiavi del progresso (51).
Il circolo vizioso e i driver identificati, seppure utili per comprendere e gestire il sovra-utilizzo delle tecnologie diagnostiche, non colgono tuttavia il ruolo della tecnologia nel costruire il concetto di malattia. La tecnologia, infatti, sta modificando il significato di malattia a tre livelli (52,53,54). Innanzitutto, fornisce le entità che definiscono la malattia: analizzatori biochimici, citometri e sequenziatori di DNA permettono di accedere a enzimi, cellule T o specifici strati di DNA con la conseguenza che i criteri diagnostici delle malattie sono sempre più frequentemente identificati da tecnologie diagnostiche. In secondo luogo, la tecnologia guida e struttura la nostra conoscenza della malattia: ieri le conoscenze sull’infarto del miocardio si basavano sull’attività elettrica del cuore misurata dall’elettrocardiogramma, oggi sul dosaggio della troponina. Infine, la malattia è definita dalla tecnologia attraverso la pratica clinica: tutto ciò che è misurabile o manipolabile tende inevitabilmente a diventare malattia (es. ipertensione e colesterolemia non sarebbero rilevanti da un punto di vista clinico se non fosse possibile misurarle o manipolarle). Di conseguenza, l’espansione della tecnologia estende enormemente, nel bene e nel male, la nostra idea di malattia.
Gli effetti collaterali dell’innovazione tecnologica
La figura 2 mostra alcune implicazioni del circolo vizioso alimentate dai numerosi driver della tecnologia e dalla costruzione tecnologica della malattia.

Tabella 1. Malattie in cui la tecnologia ha modificato i criteri diagnostici (10)
  • Aspettative irrealistiche. L’apparente successo legato all’aumento di diagnosi e trattamenti determina un entusiasmo ingiustificato di professionisti e decisori, un aumento della domanda di cittadini e pazienti, alimentata dai media spesso “sostenuti” dall’industria. I benefici dell’innovazione tecnologica vengono sempre evidenziati, mentre i rischi rimangono nascosti o vengono (volutamente) occultati.
  • Utilizzo di test accurati in popolazioni a bassa prevalenza. Un test diagnostico accurato può peggiorare gli esiti di salute se viene utilizzato in soggetti a bassa probabilità di malattia. Di conseguenza, l’evoluzione tecnologica non garantisce miglioramenti clinici.
  • Incertezza sul miglioramento degli esiti. La diagnosi di un numero maggiore di più casi non implica automaticamente che un maggior numero di pazienti verranno trattati con successo o che più vite verranno salvate (1,55,56). Sicuramente più soggetti saranno “etichettati” come malati, visto che le definizioni di malattia vengono continuamente ampliate e condizioni normali sono riclassificate come patologiche. Il progresso tecnologico permette di identificare casi che non avrebbero comunque causato sintomi o morte — overdiagnosis — con conseguente overtreatment (10,57,58). Pertanto, l’evoluzione delle tecnologie, in un ottica di sanità pubblica, può risultare inutile o addirittura dannosa.
  • Aumento delle prestazioni. L’incremento della domanda genera ulteriore offerta e l’aumento delle prestazioni genera diagnosi accidentali. Se è indubbio che, occasionalmente, un “incidentaloma” permette di salvare vite, nella maggior parte dei casi non è così: ad esempio l’identificazione accidentale di tumore alla tiroide nel corso di TAC o RM non riduce i sintomi né la mortalità (1). Inoltre, il follow-up di risultati positivi ai test diagnostici genera altri risultati accidentali, per cui vengono erogate più prestazioni diagnostiche senza misurare i reali effetti sulla salute.
  • Aumento dei costi. L’incremento di programmi di screening, di test diagnostici e di incidentalomi con relativo follow-up fanno lievitare in maniera sostanziale la spesa sanitaria (13,15), sottraendo risorse dalle aree in cui la tecnologia è realmente efficace e le innovazioni necessarie.
  • Riduzione del value. Quando il valore predittivo di un test diagnostico è basso, i casi di overdiagnosis e overtreatment aumentano, le persone con problemi sociali o altri problemi vengono etichettate come malate e il value degli interventi sanitari diminuisce.
  • Aumento dell’ansia. L’aumentata prevalenza delle malattie e l’accresciuta consapevolezza dei problemi di salute rendono le persone più preoccupate e ansiose rispetto alla propria salute, inducendole a richiedere ulteriori test diagnostici e trattamenti.
  • Perdita di fiducia. Con un’aumentata consapevolezza degli eccessi dell’assistenza (7,9,53), degli interventi dal low value (59,60) e dei servizi sanitari “da non erogare” (61), le persone possono perdere la fiducia nei medici e nel sistema sanitario.

Quali soluzioni?
L’utilizzo indiscriminato delle tecnologie diagnostiche contribuisce all’eccesso di medicalizzazione della società perché la tecnologia è profondamente radicata nel nostro concetto di malattia e nella nostra cultura, generando numerosi atti di fede. Per queste ragioni è assolutamente necessario:

  • Sbarazzarsi dei luoghi comuni, quali “fare di più è meglio di fare di meno”, “nuovo è meglio di vecchio”, “avanzato è più preciso di semplice”.
  • Acquisire maggiore consapevolezza delle responsabilità nello sviluppo, implementazione e utilizzo delle tecnologie sanitarie (51): nel prescrivere test ed esami il medico non può più appellarsi a vaghi imperativi tecnologici, al concetto generico di “progresso” o alle pressanti richieste di pazienti (volutamente?) non informati.
  • Moderare l’entusiasmo nei confronti delle nuove teconologie, al fine di cogliere la nostra ambivalenza verso di esse, ovvero il controllarle e l’esserne controllati. Infatti, considerato che la tecnologia estende le possibilità di agire, ma allo stesso tempo è una forza che inquadra e orienta (62), è necessario essere consapevoli che è diventata più di un mezzo neutro per un fine umano (45,63) e che noi interagiamo con essa al tempo stesso come un artefatto e come un attore (64).
  • Governare l’implementazione delle innovazioni tecnologiche, favorendo l’introduzione nella pratica clinica solo di quelle che, oltre a presentare chiare evidenze di reali benefici, hanno un elevato value (65).
  • Promuovere una valutazione trasparente delle tecnologie per proteggere la salute delle persone (42): i dispositivi devono essere valutati criticamente alla pari dei farmaci (66,67), i pazienti devono essere meglio informati sulle incertezze che riguardano rischi e benefici delle tecnologie, non solo sui vantaggi enfatizzati e ostentati. Inoltre, le loro preferenze e aspettative dovrebbero essere prese in considerazione nelle fasi di sviluppo, valutazione, implementazione e utilizzo di tutte le tecnologie sanitarie.

Considerato che oggi la capacità di ideare, produrre e utilizzare tecnologie sembra superare di gran lunga quella di riflettere sulla loro applicazione, affinché l’innovazione tecnologia si traduca in benefici reali limitando i rischi, è necessario acquisire un sano scetticismo, evitando le lusinghe e riconoscendo i limiti delle tecnologie. Ovvero, per evitare di diventare giganti da un punto di vista dell’innovazione e lillipuziani da un punto di vista etico occorre una implementazione più responsabile di tutte le tecnologie sanitarie (68).
Info complete sull’autore, bibliografia, etc: http://www.evidence.it/articolodettaglio/209/it/467/la-corsa-allarmamento-tecnologico-affannosa-costosa-e-risch/articolo




Levi’s riduce il consumo idrico dei jeans

L’azienda statunitense ha ridotto l’impatto ambientale dei propri jeans utilizzando cotone sostenibile, acqua riciclata ed educando i consumatori.

Nel mondo tutt’oggi milioni di persone non accesso all’acqua potabile, bene primario strettamente legato allo sviluppo umano. La Giornata mondiale dell’acqua che si è appena conclusa ha posto l’accento sull’importanza dell’acqua per lo sviluppo sostenibile.
Levi’s, il grande marchio di abbigliamento specializzato nel settore dei jeans, ha intrapreso una serie di misure per ridurre l’impronta idrica in tutta la catena di produzione compreso l’impiego di acqua riciclata e l’adesione alla Better Cotton Initiative (Bci), iniziativa che mira a migliorare l’impatto sociale e ambientale della coltivazione del cotone nel mondo, per renderla più sostenibile.
Secondo Stephen Leahy, autore del libro “Your Water Footprint”, occorrono mediamente 7.600 litri d’acqua per coltivare il cotone necessario per la produzione di un paio di jeans. Secondo il nuovo rapporto sul consumo idrico pubblicato da Levi’s per realizzare un paio di jeans 501 l’azienda utilizza 2.835 litri di acqua effettuando un notevole risparmio.
Secondo il rapporto di Levi’s il secondo aspetto più energivoro dopo la coltivazione di cotone è l’uso che i consumatori fanno dei jeans. Vengono infatti utilizzati circa 860 litri di acqua per lavare ogni paio di jeans dopo l’acquisto. Per provare a migliorare anche questo aspetto la società ha lanciato un’iniziativa per educare gli acquirenti ad adottare tecniche di lavaggio che impieghino meno acqua ed energia.
 
meno acqua
Levi’s vuole promuovere l’idea che un paio di pantaloni può essere indossato almeno dieci volte prima di essere lavato e aiutare le persone a capire megliol’impatto delle loro scelte di lavaggio. Dal rapporto emergono notevoli differenze per quanto riguarda le abitudini di lavaggio a seconda dei paesi. Negli Stati Uniti le persone tendono a indossare i jeans due volte prima di lavarli, in Francia e nel Regno Unito la media aumenta ed è di 2,5 volte, mentre in Cina i pantaloni vengono utilizzati quattro volte prima del lavaggio.



Sette amministratori delegati su dieci credono nell’importanza della sostenibilità

Secondo un’indagine della Ethical Corporation la sostenibilità ambientale è ormai ritenuta un aspetto decisivo nella pianificazione delle strategie aziendali.

La maggior parte degli amministratori delegati ritiene che responsabilità sociale e sostenibilità ambientale siano “aspetti fondamentali della pianificazione strategica”. Quasi il 70 per cento ha dichiarato di prendere molto seriamente questi aspetti.
 
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È quanto emerge da una ricerca realizzata per la Ethical Corporation, società indipendente con sede a Londra che si occupa di analisi e di assistenza alle aziende per quanto riguarda la responsabilità sociale di impresa. L’obiettivo del sondaggio era quello di valutare l’attuale stato della csr e della sostenibilità in tutto il mondo.
 
Sono state intervistate circa 1.500 persone, imprenditori e membri di consigli di amministrazione, alle quali è stato chiesto il ruolo della sostenibilità nelle rispettive società e come questa si evolverà nei prossimi cinque anni.
 
pannelli solari
 
Questo studio fornisce una nitida fotografia dell’attuale stato della sostenibilità aziendale – ha dichiarato Dave Stangis, vice presidente della responsabilità sociale della Campbell Soup Company – rappresenta inoltre un valido metro di giudizio per valutare i progressi compiuti dalla propria azienda nel corso degli anni”.
 
L’89 per cento degli intervistati ha dichiarato che la sostenibilità aziendale sta assumendo un ruolo sempre più importante nella loro strategia di business. La percentuale qui risulta superiore a quella degli intervistati che hanno dichiarato di prendere sul serio la sostenibilità, questo significa che altri fattori, come la domanda dei consumatori, i problemi della catena di fornitura o le normative vigenti, concorrono ad aumentare l’importanza e l’urgenza di questo tema.
 
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Per capire effettivamente quanto le società puntino sulla sostenibilità, afferma il rapporto, è necessario capire quanto spendono per essa. Oltre due terzi degli intervistati hanno dichiarato che è possibile collegare l’aumento del fatturato o l’ampliamento del volume di affari con le iniziative legate alla sostenibilità, questo significa che aumentare gli investimenti destinati alle iniziative per ridurre il proprio impatto ambientale può garantire evidenti benefici economici.



Csr 2.0: 'Legendary Seven' di Heineken, agricoltori pionieri per comunicare la sostenibilita'

Heineken ha deciso di impegnarsi per assicurare che il 50% di orzo e luppolo utilizzati nella produzione di birra entro il 2020 proverranno esclusivamente da filiere sostenibili. E ha deciso di comunicarlo con Blippar, un’app, divulgando la storia degli agricoltori che fonriscono gli ingredienti principali.
LA STORIA – Il filo conduttore della campagna di comunicazione è la storia degli agricoltori che coltivano gli ingredienti principali della birra. Non è certo un tema nuovo o imprevedibile, ma il canale scelto è un’app che si chiama Blippar. Un’animazione di 60 secondi presenta i “Legendary 7”, 7 agricoltori di Regno Unito, Paesi Bassi, Francia Germania e Grecia che producono appunto orzo e luppolo di alta qualità.
Altri contenuti entrano nel dettaglio delle loro storie, ad esempio spiegano come Jacky Brosse si prende cura degli alveari nel suo grande campo di orzo in Francia. I personaggi sono ritratti in uno stile noto agli occhi dell’utente, il classico stile “Wild West” con i famigerati poster Wanted. E queste sembianze note probabilmente hanno contribuito ad imprimere la campagna nella loro mente, come dimostrano i selfie postati sui social network dai follower.

CSR 2.0 – Al di là dell’app particolare, emerge la volontà di svecchiare la Csr:basta con i report, che nessuno spesso legge, è tempo di una Csr 2.0. “Spesso la sostenibilità è vista come qualcosa di complesso ed inaccessibile per i consumatori. Ma spesso è al centro di ciò che siamo abituati a fare e a vedere, e noi volevamo offrire un modo per incoraggiare i consumatori e gli stakeholder ad interagire con il brand e con il nostro programma ‘Brew a Better World’”, ha spiegato Mark van Iterson, capo del reparto design per Heineken.
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van Iterson descrive il ruolo dei Legendary 7 come quello di personaggi che sfidano lo status quo della sostenibilità aiutando i consumatori a calarsi in questa sfera riflettendo sui prodotti che consumano, sugli ingredienti da cui sono composti.
 




10 consigli per una petizione online di successo

Abbiamo chiesto ai ragazzi di Change.org, la più grande piattaforma al mondo di petizioni, qualche consiglio per costruire una campagna coi fiocchi

Quante volte vi è capitato di aderire con un clic a una campagna online? Sono tante le rischieste di adesione (più o meno serie) che ogni giorno girano per la rete. Non tutte, però, riescono a araggiungere l’obiettivo prefissato. Se vi siete mai chiesti come funziona e quali sono le regole per creare una campagna online di «successo», continuate a leggere questo articolo, perché abbiamo chiesto ai ragazzi di Change.org – la più grande piattaforma al mondo di petizioni – qualche consiglio per costruire una petizione coi fiocchi.
Ecco dieci buone pratiche da cui partire.
1. Il numero di firme non è la priorità

«Quante firme ci vogliono per vincere una campagna?». Quando ce lo domandano – spesso – consigliamo di concentrarsi su altro. Non è infatti il numero di firme della petizione che conta, ma la campagna costruita attorno ad essa, che si avvale di una miriade di altre iniziative e che esercitano sul destinatario della petizione la pressione costante di un martello pneumatico. Una bella campagna crea il cambiamento indipendentemente dal numero di firme. Una bella campagna torna a far parlare di qualcosa di cui non si parlava più, e la storia dietro alla campagna arriva anche a chi non ne aveva mai sentito parlare, come nel caso del disastro della Moby Prince, raccontato da Luchino Chessa che quel giorno, nel 1991, perse entrambi i genitori. Figlio del capitano del traghetto che entrò in collisione con una petroliera Agip causando la morte di 140 persone, Luchino chiede con quasi 25.000 firme di togliere il segreto dai documenti che riguardano l’incidente ed una Commissione parlamentare che fornisca risposte definitive al triste accaduto.
2. Racconta la tua storia

Cristian
, un ragazzo con sindrome di Down, pur essendo nato in Italia, era senza cittadinanza italiana essendo figlio di Gloria Ramos, colombiana, e di un uomo italiano che non lo aveva riconosciuto. Raggiunta la maggiore età, Cristian aveva inoltrato la richiesta di cittadinanza, ma la Prefettura non lo aveva ritenuto idoneo, in quanto affetto da sindrome di down, a prestare il giuramento di fedeltà alla Repubblica necessario a diventare italiano. Gloria ha raccontato la storia di suo figlio su Change.org scatenando i mezzi d’informazione e la politica. Il Ministero degli Interni si è interessato al caso e oggi Cristian è italiano. Chiunque ama conoscere una storia e sentirne le ragioni “di pancia”.
3. Il problema di uno è il problema di tutti

Nel Natale dello scorso anno un uomo ubriaco, sotto l’effetto di cocaina e senza patente, ha rubato una macchina, ha guidato come un pazzo e ha ucciso una bambina di otto anni, Stella. In caso di incidenti mortali, anche causati da qualcuno sotto l’effetto di alcool o sostanze stupefacenti, scontare una pena è davvero improbabile in Italia. Di solito i casi vengono archiviati come omicidi colposi e, di conseguenza, le sanzioni sono molto lievi.
L’uomo che ha causato la morte di Stella è ora libero e il Giudice ne avrebbe potuto accettare l’avvenuta richiesta di patteggiamento a 4 anni, qualcosa che si tradurrebbe in pochi mesi di arresti domiciliari. Poi però è arrivata la petizione con le sue oltre 100.000 firme e il Giudice ha rinviato la decisione al 20 novembre 2014, sostenendo per la prima volta che il calcolo della pena non avesse tenuto conto delle aggravanti e che si sarebbe dovuto riesaminare tutto. La madre di Stella, chiede che al colpevole della morte di sua figlia non venga concesso il patteggiamento a quattro anni, e chiede inoltre – andando oltre al proprio problema – qualcosa che secondo lei potrebbe fare il bene di tutti: l’introduzione del reato di omicidio stradale come deterrente.
4. Trova il giusto destinatario della petizione

Il Presidente della Repubblica ha molti impegni e con tutta probabilità non ha il tempo di occuparsi del parco che vogliono distruggere dietro casa tua. Pensa bene a chi sia la persona che ha veramente il potere di risolvere il prima possibile il problema che ti sta a cuore. Il 17 febbraio 2014 un giovane ragazzo è stato ucciso a Roma. Carlo Macro stava tornando a casa, scese dalla macchina per fare pipì e un uomo che viveva in un caravan parcheggiato sulla strada lo aggredì uccidendolo con un cacciavite. La mamma di Carlo ha usato Change.org per rivolgersi al Sindaco e chiedere un albero in memoria di Carlo e in segno di pace, solidarietà ed equità per la città, evitando che la morte di Carlo venisse strumentalizzata per campagne discriminatorie. Due giorni dopo il lancio della petizione, il Sindaco di Roma ha chiamato la madre di Carlo e le ha fatto visita il giorno seguente. In quell’occasione il Sindaco Marino ha annunciato ufficialmente non solo che avrebbe piantato l’albero e deposto una targa, ma che avrebbe anche aiutato la famiglia di Carlo durante il processo e che si sarebbe impegnato a risolvere l’emergenza abitativa a Roma.
5. Chi ha un ruolo pubblico tiene al proprio buon nome: sfrutta questa dinamica

Deciso chi è il destinatario della tua petizione, devi spendere un po’ di tempo per provare a pensare con la sua testa. Cosa gli interessa veramente? Il brand della sua azienda, i voti alle prossime elezioni, la soddisfazione dei propri consumatori…Stefano Manzi, un ragazzo non vedente, aveva chiesto alla banca ING Direct Italia, di rendere il sito accessibile ai non vedenti. Qualche tempo dopo ha ricevuto una lettera dal Dott. Damiano Castelli, CEO di ING Direct Italia, nella quale la sua richiesta sottoscritta da oltre 11.000 persone su Change.org, veniva accolta positivamente. La Banca ha garantito un accesso dedicato tramite sito web che ha reso possibile la completa autonomia grazie ad un accesso studiato ad hoc per i non vedenti.
6. La vittoria è un traguardo verso il quale si marcia insieme

Ogni volta che si ottiene un risultato, anche se piccolo, è importante comunicarlo ai firmatari e celebrarlo con loro.Elham Sadaat Asghari, iraniana, nel Giugno 2013 ha battuto il record di stile libero nel Mar Caspio, ma quando è andata a registrare il suo importante risultato, si è sentita dire dai funzionari del Ministero dello Sport che il suo record non poteva essere registrato in quanto non esisteva alcuno standard circa il costume che avrebbe dovuto indossare durante la sua performance. Nonostante Elham avesse nuotato indossando il completo islamico – pesante secondo Elham in acqua “come l’uniforme di un astronauta” -, la registrazione del suo record “sarebbe stata contraria alla sharia”. Sabri Najafi, una donna iraniana che vive in Italia da tanti anni, ha lanciato quindi una petizione affinché ad Elham fosse riconosciuto il record. La petizione e le sue 150.000 firme hanno dato ad Elham la sensazione di non essere sola e hanno generato uno scambio di messaggi tra Elham, Sabri e i firmatari. A un anno di distanza è stata la stessa Federazione Iraniana del Nuoto ad accogliere quello che Sabri aveva chiesto con la petizione. Elham ha ringraziato così i firmatari dopo la vittoria: “(…) Vorrei ringraziare tutti voi che mi avete sostenuto ripetutamente e che avete allontanato le bugie, le offese, le accuse. 
Dedico questa mia vittoria al mio popolo e soprattutto alle donne iraniane, che meritano di più.”
7. La tua creatività è invincibile

I ragazzi sordi di Radio Kaos Italis hanno creato la prima radio gestita da sordi e lanciato una petizione per chiedere il riconoscimento della lingua dei segni italiana (LIS) che ha raccolto 118.000 firme e che li ha portati ad incontrare Laura Boldrini e Pietro Grasso. Questi ultimi si sono impegnati a portare la richiesta dei ragazzi in aula, cosa che tuttavia non è ancora avvenuta. Per dare forza alla loro campagna, i ragazzi sordi hanno prodotto un breve video nella lingua dei segni, un video che mostra quanto sia bella la loro lingua. Ma non si sono fermati lì, hanno realizzato anche un video tutorial per chiedere a tutti i firmatari di sostenerli creando un video fatto di 3 semplici parole in LIS: io – sostengo – la lis. Il risultato? Tante persone hanno provato per la prima volta a segnare in LIS.
8. Unire le forze

Coinvolgere vuol dire usare un linguaggio semplice ed immediato: non solo i tuoi sostenitori capiranno meglio la questione, ma sarà anche più facile convincere il destinatario della tua richiesta. A ognuno il suo ruolo. Se non sei un tecnico non impelagarti in questioni tecniche, mentre puoi raccontare la tua storia; chiunque può farlo. Cerca l’appoggio di chi ha una professionalità che può supportare la tua istanza e sii in sintonia con chi da sempre si occupa dei temi di cui vuoi occuparti tu. Ilaria, ad esempio, 27enne a cui hanno diagnosticato il Linfoma di Hodgkin, ha fatto esattamente questo: ha unito le sue forze a quelle della ONG Greenpeace nel chiedere che venisse accantonato il progetto di una nuova centrale a carbone a Porto Tolle. Lei è cresciuta a Savona dove per via dell’impianto a carbone di Vado Ligure, secondo uno studio compiuto da consulenti della Procura, ci sarebbero mille morti in più per cancro rispetto ai parametri scientifici di riferimento. All’indomani della battaglia di Ilaria e della lunga battaglia di Greenpeace con una coalizione di associazioni ambientaliste, il Ministero dell’Ambiente ha bocciato il progetto di conversione a carbone della centrale di Porto Tolle.
9. La strada verso la vittoria è un percorso costellato di opportunità

Una petizione può avere un impatto in diversi modi anche prima di raggiungere la vera e propria vittoria. E di quei progressi bisogna fare tesoro, comunicandoli ai sostenitori e utilizzandoli come stratagemmi che tengono viva la campagna. La battaglia di Mina Welby per l’eutanasia è una lunga strada, ma lungo il cammino lei ha già ottenuto l’appoggio formale di Laura Boldrini. Può inoltre utilizzare la piattaforma Change.org per chiedere ai suoi 156.000 sostenitori di partecipare alle molteplici azioni offline che organizza.
10. Crea e “nutri” la tua comunità – da soli è più difficile farcela!

Ogni persona che firma la tua petizione è qualcuno che dice “sono d’accordo con te e voglio aiutarti”. L’entusiasmo dei sostenitori a volte è sorprendente. Roberto ha ricevuto prima di morire il calore di migliaia e migliaia di persone, sul web ma anche fisicamente. La petizione era infatti stata lanciata quando ancora del suo caso non ne parlava nessuno e quando Roberto era ancora tra noi. Poi purtroppo ci ha lasciati, ma la comunità in suo sostegno e in sostegno di quel che lui ancora rappresenta, ha continuato a crescere e ad avere voce, in barba alle ondate mediatiche per le quali si parla di qualcuno quando muore e poi si dimentica. Roberto Mancini era un poliziotto affetto da cancro, ammalatosi dopo avere indagato per anni e anni sul traffico di rifiuti tossici in Italia. Fiore, un amico di Roberto, aveva denunciato con una petizione il fatto che Roberto avesse ricevuto solo 5,000 € di risarcimento, nonostante fosse stato riconosciuto dai medici il nesso causale tra la malattia di Roberto e il suo lavoro contro il traffico illegale di rifiuti tossici. La petizione ha prodotto un’interrogazione parlamentare, una consegna di firme al Vice Presidente della Camera – con conseguente invio di tutta la documentazione relativa alle indagini svolte da Roberto da parte della Camera al Ministero dell’Interno-, una manifestazione per Roberto di fronte al Parlamento, uscite su TG nazionali, e la partecipazione di migliaia di persone ad eventi in sua memoria.