Dare è la miglior comunicazione

Ha fatto il giro del mondo, è stato condiviso su decine di diverse piattaforme “social” e ha totalizzato milioni di visualizzaizoni, oltre che vincere premi internazionali.
Un video breve ed intenso, che ci insegna il vero valore del “dono”… e dire che tutto nasce da uno spot per la compagnia telefonica thailandese True Move H!
http://youtu.be/nKWnhYxyIPE


La protesta di Greenpeace contro la Shell e la Lego

La nuova campagna di Greenpeace si basa su un video di straordinario impatto emotivo (ndr). Il corto animato Everything is NOT awesome è stato realizzato dall’agenzia Don’t Panic e fa parte della nuova campagna di Greenpeace per la tutela dell’Artico.
Nei mesi scorsi la Lego, attraverso le parole del presidente Jørgen Vig Knudstorp, aveva promesso un rinnovato impegno nella tutela dell’ambiente. Ma per Greenpeace l’accordo tra la Lego e la Shell, che prevede la vendita dei giocattoli della fabbrica danese nelle stazioni di servizio della Shell, è in contrasto con queste dichiarazioni. Inoltre la compagnia petrolifera sta mettendo a rischio l’habitat marino dell’Artico, aggravando il riscaldamento globale con le sue trivellazioni.
Ian Duff, responsabile della campagna a favore dell’Artico, ha dichiarato al Guardian: “Il cambiamento climatico è un’enorme minaccia per tutti i bambini del mondo, ma Shell tenta di rubare la magia della Lego per nascondere il proprio ruolo. (…) È il momento per la Lego di rompere questo accordo”.


Le crisi aziendali si confermano la minaccia più temuta da manager e imprenditori

Come si legge nel comunicato stampa dell’ultimo studio realizzato da Burson-Marsteller, società di consulenza per la comunicazione, la minaccia di vivere una crisi aziendale rimane uno dei più grandi timori di top manager e imprenditori. Nonostante tre quarti dei responsabili aziendali ritenga fondamentale avere un piano specifico per la gestione delle crisi, solo il 51% ne ha predisposto uno. I risultati dell’indagine sono stati presentati a Milano lo scorso venerdì 29 novembre in occasione del quinto Burson-Marsteller Crisis Club, occasione di dibattito tra esperti della comunicazione di crisi.
Pur avendo dichiarato di temere i rischi legati a situazioni critiche, circa un quarto degli intervistati ha affermato che la propria azienda non ha necessità di predisporre alcun piano, oppure lo ritiene troppo costoso e lungo da predisporre. “E’ singolare che la metà dei manager e degli imprenditori intervistati non sia disposta a investire tempo e risorse nello sviluppo di un adeguato piano di gestione delle crisi, nonostante le aziende che hanno vissuto situazioni critiche e erano dotate di adeguati piani, nella nostra esperienza, hanno recuperato più velocemente di quelle che ne erano invece prive”, ha commentato Fabio Caporizzi, ceo Burson-Marsteller Italia. “Inoltre, la ricerca evidenzia che le aziende italiane, al contrario dei concorrenti europei, pur essendo assolutamente consapevoli dei notevoli cambiamenti che hanno interessato la comunicazione, non hanno gli strumenti e le competenze per gestirla e si affidano ancora a vecchi metodi che, in molti casi, risultano ormai inefficaci” ha concluso.
L’indagine, che amplia e sviluppa i precedenti studi condotti da Burson-Marsteller tra il 2009 e il 2011, evidenzia infatti come la comunicazione digitale non venga più percepita da manager e imprenditori europei come un elemento di vulnerabilità (37% nel 2013 contro il 55% del 2011), pur essendo consapevoli delle sfide che esso pone in termini di capacità di condivisione e risposta istantanea. “Il nuovo scenario ha reso ancora più chiaro alle aziende l’importanza della preparazione e di avere un approccio più strutturato alla crisi, fondamentale non solo per rispondere efficacemente durante le prime fasi di gestione dell’emergenza, ma anche nella successiva fase di recovery. Abbiamo visto infatti che chi ha un piano di comunicazione di crisi, non solo ne esce prima, ma riesce anche a vedere un esito positivo. Inoltre è emerso che le aziende hanno paura di rivivere le crisi che hanno già vissuto dimostrando di non aver risolto le loro vulnerabilità e che il livello di preparazione non è adeguato” ha concluso Gabriele Baroni, director corporate and crisis communication Burson-Marsteller Italia.
Per la prima volta, l’indagine sonda i pareri dei responsabili gestionali sull’importanza della leadership in tempi di crisi. Le opinioni sullo stile di leadership più efficace durante una crisi si dividono a metà fra “comando e controllo” e “collaborazione”. Tuttavia, quando è stata posta la domanda sulle specifiche qualità che un leader deve possedere per ottenere i migliori risultati da un team di gestione della crisi, gli interpellati hanno dimostrato di privilegiare quelle relative allo stile di comando e controllo, affermando che i leader dovrebbero essere dei validi decisionisti, affidabili e con una chiara visione. Secondo l’esperienza di Burson-Marsteller, l’adozione di una leadership basata sul “comando e controllo” rende più efficace e più veloce la risposta aziendale, in un contesto in cui la velocità di comunicazione può segnare la differenza fra successo e fallimento nella gestione di una crisi.


Csr: le aziende italiane investono male e comunicano poco il “green”

Se da una parte la crisi economica ha costretto le aziende di mezzo mondo a ridurre i budget destinati alla sostenibilità ambientale, dall’altra manager e vertici sono sempre più consapevoli della necessità di occuparsi di Csr. Gli investimenti a sostegno delle politiche verdi sono crollati del 25% ma sono cresciute del 22% le azioni rivolte all’efficienza energetica e alla sostenibilità ambientale. Secondo la Borsa italiana, gli investitori internazionali sono più propensi ad capitalizzare nelle aziende con una buona Csr perché garantisce una buona “corporate image” nel lungo termine.
A rivelare i dati sulla Csr e sulle green performance nel mondo e in Italia è il CDP Climate Change Report 2013, il rapporto che dal 2008 analizza l’impegno, in termini di sostenibilità ed efficienza energetica, delle aziende più importanti di 70 Paesi nel mondo. In Italia il CDP è stato condotto da Accenture insieme all’Imq (all’Ente italiano del marchio di qualità) su 46 aziende che volontariamente hanno fornito i dati richiesti: il report ha evidenziato che le aziende italiane hanno aumentato le azioni verso la sostenibilità ma con effetti deludenti (solo -0,8% di emissioni) derivanti da azioni e investimenti con effetti solo nel breve periodo.
La FIAT è leader nella CDP Italy 100 sia per l’indice “Climate Disclosure Leadership Index” (CDLI) che per il “Climate Performance Leadership Index” (CPLI), distinguendosi quindi per le basse emissioni di CO2 delle proprie autovetture (- 6,5% in due anni) e per una buona comunicazione e trasparenza della propria Csr.  Seguono la YOOX e Assicurazioni Generali che si posizionano subito dopo la casa automobilistica nella classifica dei green performer (CPLI). Nella classifica dei CDLI seguono invece Pirelli, Intesa San paolo, CNH Industrial, ST Microeletronics, Buzzi Unicem, e aziende solitamente categorizzate come energivore come ENI, Italcementi, Snam (che passa da uno score di 50 a 95) e Terna.
“Lo spazio per il miglioramento, – precisa Danilo Troncarelli, responsabile Practice Sustainability di Accenture, – è ancora ampio. Infatti, anche se le iniziative aziendali per la riduzione della CO2 sono aumentate del 22%, il totale delle emissioni si è ridotto soltanto di un magro 0,8%”. Inoltre la pecca delle aziende italiane è che l’80% di esse ha una visione a breve termine nella pianificazione degli investimenti green “mentre, per stimolare un vero cambiamento occorrono operazioni che affrontino il problema dell’impatto ambientale anche oltre i due anni”. Insomma, in Italia le aziende potrebbero fare di più in termini di azioni, investire di più nella comunicazione e nel risparmio energetico ma, soprattutto pensare più in grande.
Sara Lovisolo, Group Corporate Responsability Manager di London Stock Exchange Group, conferma l’importanza di una comunicazione trasparente e di una visione di lungo termine anche per attirare gli investitori esteri che sono interessati alle aziende più lungimiranti.
Scarica il Report qui: www.cdp.net/CDPResults/CDP-Italy-100-Climate-Change-Report-2013.pdf


Un codice etico per industria italiana dei congressi e degli eventi

L’industria italiana dei congressi e degli eventi ha lanciato per la prima volta e in un contesto internazionale (la decima edizione di EIBTM – The Global Meetings & Events Exhibition Barcellona) la proposta di redigere un codice etico interassociativo per il settore.
Già nel 2012, in occasione della Convention di MPI Italia tenutasi a Porto Cervo, le tre rappresentanze italiane di MPI (Meeting Professionals International), SITE (Society of Incentive Travel Executives) e GMIC (Green Meeting Industry Council) avevano iniziato uno scambio di idee e opinioni sull’affermazione secondo cui, improntando la professione sull’etica e sulla responsabilità sociale, si ottengono risultati migliori e si guadagna di più.
A distanza di un anno il dialogo interassociativo si è concretizzato in un progetto interamente made in Italy, a cura del Comitato Etico Nazionale recentemente costituito da due rappresentanti per ciascuna delle tre sigle, e che è stato ufficializzato in occasione del seminario Introduction to a new practical model to manage Code of Ethics and the role of the Corporate Social Responsibility Leader: How to stimulate/encourage ethical business behaviour? tenutosi lo scorso 20 novembre a Barcellona.
Sul tema sono intervenuti e hanno avanzato proposte alcuni esperti ed esponenti del settore dell’industria dei congressi e degli eventi: Guy Bigwood, MCI Group Sustainability Director (Regno Unito); Kim Breed, Contracter Program Manager CSL of Big Player in IT (Paesi Bassi); Antonio Ducceschi, Area Director of Sales & Marketing Fairmont Hotels and Resorts (Principato di Monaco); Olimpia Ponno, Presidente MPI Italia, planner; Tobia Salvadori, Presidente Site Italy, supplier.
Il progetto delineato da MPI, SITE e GMIC mette al centro l’etica come esigenza prioritaria per fare business e per incidere sulla performance dei professionisti e sull’impatto economico del settore. La proposta si caratterizza una serie di elementi innovativi e meritevoli di approfondimento:

  1. il metodo di ricerca, che parte dall’analisi dei vari codici etici esistenti in Italia e all’estero e dalla raccolta di segnalazioni fatte dai soci su comportamenti non etici rilevati nello svolgimento del loro lavoro quotidiano;
  2. l’approccio trasversale a tutte le figure della filiera (planner, supplier, corporate), a ciascuna delle quali sono riconosciute delle responsabilità specifiche;
  3. il riconoscimento del valore aggiunto della persona che si mostra eticamente corretta all’interno dell’associazione e all’interno della propria azienda;
  4. la volontà di rendere il codice etico non un documento basato su principi teorici, fine a se stesso, ma una guida pratica a disposizione dei soci per migliorare il loro business, oltre che uno strumento di comunicazione e di lavoro indispensabile;
  5. l’introduzione di un meccanismo premiante per i più virtuosi;
  6. la possibilità di mettere a punto un meccanismo di monitoraggio in grado di registrare i comportamenti scorretti e di limitarne i danni.

Al termine del seminario e del dibattito i relatori e i partecipanti al seminario hanno lanciato l’idea di creare un ponte culturale tra le diverse realtà geografiche, una possibile collaborazione oltre frontiera per dare continuità e sviluppo a questa prima iniziativa, dandosi appuntamento a Copenhagen dal 28 al 30 giugno 2014 in occasione di Building Bridges, nell’ambito della European Sustainable Events Conference.


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