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Il pensiero di Zygmunt Bauman in 5 punti

Dal concetto di modernità liquida a quello di indignazione passando per l’etica del lavoro e l’estetica del consumo, le lezioni che ci lascia il sociologo polacco

Il pensiero di Zygmunt Bauman in 5 punti

Dal concetto di modernità liquida a quello di indignazione passando per l’etica del lavoro e l’estetica del consumo, le lezioni che ci lascia il sociologo polacco

baumanÈ stato forse il pensatore – filosofo o sociologo, poco importa in questo senso – che ha meglio interpretato il caos che ci circonda e il disorientamento che viviamo. La temperie di passaggio, lunga e inquietante, in cui siamo immersi. Specialmente con la fortunata serie di saggi, da Modernità liquida del 2000 in poi, che lo hanno trasformato in una superstar del pensiero sulla postmodernità, considerata un territorio incerto costellato da un esercito di consumatori che fanno di tutto per assomigliarsi l’uno con l’altro. Zygmunt Bauman è morto il 9 gennaio a Leeds a 91 anni. Le sue lezioni, in particolare quelle successiva alla sua fase accademica concentrata sulla sociologia del lavoro, rimarranno strumenti solidi – più che liquidi – per capire la strada che abbiamo di fronte. E come sta cambiando pelle la società che dovrà percorrerla.

1. La modernità liquida

Concetto fra i più noti del sociologo nato a Poznan da genitori ebrei. Semplice da comprendere, nei suoi confini di massima: con la fine delle grandi narrazioni del secolo scorso abbiamo attraversato una fase che quelle certezze del passato in ogni ambito, dal welfare alla politica, le ha smontate e in qualche modo dissacrate mescolandole a pulsioni nichilistiche. Il risultato, che iniziamo a intravedere sull’onda lunga di quel periodo, è appunto un presente senza nome caratterizzato da diversi elementi: la crisi dello Stato di fronte alle spinte della globalizzazione, quella conseguente delle ideologie e dei partiti, la lontananza del singolo da una comunità che lo rassicuri. La sua comunità è diventata il consumo, la sua unità di misura l’individualismo antagonista ed edonista in cui nuotiamo senza una missione comune. Concetti ripresi e approfonditi in testi come Amore liquido (2003) o Vita liquida (2005).

2. L’indignazione

La fase che viviamo è propizia ai populismi e in particolare all’indignazione. In generale, a spinte contrastanti che viaggiano in direzioni complesse ma senza progetti, con la sola consapevolezza di ciò che non vogliono. Per Bauman, dopo la modernità fondata sul meccanismo del ritardo della gratificazione, stiamo insomma vivendo una sorta di interregno gramsciano. Una categoria da molti recuperata per descrivere i tempi che stiamo affrontando, quando “il vecchio muore e il nuovo non può nascere”. Un interregno oltre tutto ricco e affogato nell’informazione nel quale mancano non solo soluzioni univoche ma anche gli agenti sociali in grado di metterle in atto. Dagli Indignados a Occupy Wall Street fino ai movimenti populisti europei, l’ordine costituito viene contestato e diroccato ma allo stesso tempo fatica a difendersi. Potrebbe farlo solo accogliendo risposte che sposino in parte le istanze di queste spinte, a loro volta poco chiare.

3. L’etica del lavoro ed estetica del consumo

Frutto di quella procrastinazione – investire anziché distribuire, risparmiare o spendere;  lavorare anziché consumare – è in fondo lo stesso sviluppo della società moderna. Basato su un’attesa – quel ritardo della gratificazione – che ha finito per produrre due tendenze in radicale opposizione: da una parte una società basata sull’etica del lavoro. Quella in cui mezzi e fini si invertirono finendo per premiare il lavoro fine a se stesso, estendendo il ritardo all’infinito e tuttavia mantenendo una volontà di ricercare modelli e regole al vivere comune.
Dall’altra l’estetica del consumo, che per converso vedeva il lavoro come mero strumento utile a preparare il terreno per altro. Quest’ultimo concetto ha subìto oggi un’estremizzazione che ha condotto alla sua negazione: ritardo non c’è e non può esserci, attesa neanche. Questo secondo modello, quello che viviamo – d’impostazione aristotelica per opposizione al platonismo dell’altro – trasforma infatti il mondo in un “immenso campo di possibilità, di sensazioni sempre più intense” in cui ci muoviamo, spesso imboniti dal venditore di turno, alla sola ricerca di Erlebnisse, esperienze vissute. L’esasperazione della soggettività, che trova per giunta incredibili attuazioni nelle tecnologie in cantiere come la realtà virtuale, si piega alla tirannia dell’effimero.

4. L’analisi dell’Olocausto

La svolta delle ricerche di Bauman avviene tuttavia prima di questi celebri lavori, nel 1989, con Modernità e Olocausto. Un tema evidentemente enorme per chiunque, pachidermico per un sociologo ebreo che grazie alla fuga della famiglia in Russia nel 1939 aveva evitato le conseguenze dirette della Shoah. Magistrale il ponte che costruisce fra la persecuzione degli ebrei le dinamiche della modernità, individuandoli come elementi di destabilizzazione dell’ordine, finanza contro terra. In questo senso Bauman fa dello sterminio un fatto ripetibile, lo toglie dall’isolamento trasformandolo in frutto della civiltà moderna, delle sue regole economiche ed efficientiste a cui subordinare pensiero e azione. La Shoah come parto della tecnologia e della burocrazia, per la quale l’antisemitismo è stata ragione necessaria ma non sufficiente. Uno sviluppo della lunga storia della società, quasi un orribile test che ne ha rivelato le possibilità occulte difficilmente verificabili nell’ordinarietà.

5. Post-panopticismo

In una prospettiva futura, per capire cioè cosa arriverà dopo la post-modernità, Bauman – in particolare nel libro Sesto potere. La sorveglianza nella modernità liquida uscito un paio di anni fa e scritto con David Lyon – ci apre gli occhi verso un approccio del tutto diverso alle strutture di potere, che sorpassa i classici modelli di controllo teorizzati da Jeremy Bentham e Michel Foucault. Cioè un modello di società in cui le forme di controllo assumono le fattezze dell’intrattenimento e dunque del consumo. In cui sotto l’attenzione delle organizzazioni transnazionali finiscono i dati e non le persone, o meglio le loro emanazioni digitali. E in cui i rischi più elevati – più che per la privacy – sono per la libertà di azione e di scelta.
La novità è che questo spazio del controllo ha perso i muri. E a dire il vero non occorrono neanche più i sorveglianti, visto che le “vittime” contribuiscono e collaborano al loro stesso controllo. Sono impegnati nell’autopromozione e non hanno gli strumenti per individuare l’aspetto poliziesco nascosto sotto a quello seduttivo. Non c’è più un luogo – che sia la scuola, il carcere o la fabbrica – dove concentrarci per controllarci, se non quelli residuali come il carcere o il campo profughi.




L'analisi di Buzzfeed sulla propaganda M5S: "I leader hanno creato siti e account legati al Movimento per diffondere false notizie"

L'analisi di Buzzfeed sulla propaganda M5S: "I leader hanno creato siti e account legati al Movimento per diffondere false notizie"

Siti legati direttamente al M5S diffondono notizie false, disinformazione e propaganda raggiungendo milioni di persone. E’ quanto scrive in un articolo Buzzfeed, nel quale si legge che “i leader del partito politico più popolare d’Italia e anti-establishment, il Movimento 5 Stelle, hanno costruito una rete tentacolare di siti web e account sui social network che diffondono notizie false, teorie del complotto, storie a favore del Cremlino arrivando a milioni di persone, come ha stabilito un’analisi di BuzzFeed”.
Buzzfeed parla di una macchina della propaganda che:

include non solo i blog del partito e i profili social ufficiali che hanno milioni di seguaci, ma anche una serie di siti redditizi che si descrivono come fonti di “notizie indipendenti”, ma in realtà sono controllate dalla direzione del partito. Questi siti inesorabilmente rilanciano la campagna M5S, disinformazione e gli attacchi ai rivali politici – in particolare, il premier di centrosinistra Matteo Renzi. Uno di questi, Tzetze, ha 1,2 milioni di seguaci su Facebook

Secondo Buzzfeed al centro di questi siti interconnessi c’è la Casaleggio Associati, “oggi guidata dal figlio del fondatore” Gianroberto Casaleggio, Davide. L’azienda “possiede e gestisce sia Tze Tze sia La Cosa, sito di salute, e la Fucina, un altro sito che riporta post su cure miracolose alimentando anche cospirazioni anti-vaccini”.
Al centro di questa rete di blog interconnessi e siti è Casaleggio Associati, la società di tecnologia istituito dal co-fondatore del partito, che è morto nel mese di aprile. L’azienda, che ora è presieduta dal figlio di Casaleggio Davide, possiede e gestisce sia tzetze e La Cosa, così come un luogo di salute, La Fucina, che spesso porta messaggi su cure miracolose e ha alimentato cospirazioni anti-vaccino.




CSR: Bombas, l'azienda americana che dona calzini ai senzatetto

Probabilmente, non tutti sapranno che i calzini sono gli articoli più richiesti nei rifugi per i senzatetto: un dato di fatto che ha spinto due americani, David Heath e Randy Goldberg, a fondare Bombas, una società che produce proprio questo basilare indumento e che ha sviluppato un innovativo modello di solidarietà.
L’ampia collezione di calze, lanciata nel 2013 dopo una campagna di crowfunding su Indiegogo, è stata pensata sia per garantire elevate prestazioni atletiche, sia per perseguire il modello uno-contro-uno, per cui ad ogni acquisto realizzato corrisponde un immediato gesto di solidarietà.
All’inizio della storia dell’azienda, David Heath aveva fatto alcune ricerche su internet, individuando una no-profit dell’Ohio, Hannah’s Socks, che procurava calzini ai rifugi per senzatetto, e proponendosi per una partnership. Da quel giorno, Bombas ha inviato camion carichi di calzini – pari a 390.000 paia in meno di due anni – ad Hannah’s Sockse ad altre organizzazioni analoghe, comeBack on My Feet e Covenant House. Mano a mano, le donazioni si sono estese fino a comprendere anche scuole in difficoltà e vittime di disastri ambientali.
Quando abbiamo iniziato, donavamo lo stesso identico prodotto che vendiamo.” – ha raccontato Heath – “Tutti i nostri nuovi dipendenti uscivano in strada a donare 10 paia di calzini e tornavano sempre indietro riportando i calzini di colore grigio: alle persone non piacciono i calzini grigi. Apprezzavano, invece, i calzini neri, perché non mostrano lo sporco. È stato allora che abbiamo deciso di sviluppare un calzino Bombas apposito per la donazione.”
E così, Bombas ha creato un calzino ad hoc, che cerca di venire incontro alle necessità di quelle persone che non hanno la possibilità di indossare un paio di calzini puliti ogni giorno. Il calzino utilizzato per le donazioni ha ricevuto dei trattamenti speciali che ostacolano la crescita di funghi, è di colore nero con parti in grigio scuro per rendere l’usura il meno evidente possibile ed è dotato di cuciture rinforzate, in modo da avere una durata maggiore.
E, anche se la produzione di un calzino ad hoc per la donazione rappresenta una spesa aggiuntiva per l’azienda, grazie a questa pratica benefica il valore del marchio Bombas è notevolmente aumentato, attraendo nuovi clienti: non a caso, l’80% dei consumatori dichiara di essere disposto ad acquistare anche un prodotto di marca sconosciuta se questa dimostra un forte e consolidato impegno sociale e ambientale.




La Carta dei Valori del Marketing Umanistico

Carta dei valori del Marketing Umanistico: gli elementi


Dalla customer alla human satisfaction

Nell’impresa, il marketing e la sua comunicazione devono essere completi, chiari, semplici e onesti, basandosi su di una profonda conoscenza degli stakeholder interni ed esterni, ponendo in prima linea l’”ascolto” delle loro necessità. Questa conoscenza dovrà essere antropologica e quindi psicologica, oltre che socio-economica, per essere finalizzata alla soddisfazione dell’essere umano integrale, nella prospettiva della human satisfaction, evolutiva del modello “consumatore” e della “customer satisfaction”.

Necessità emotive, razionali, etiche

Per l’impresa e per il suo marketing, é essenziale la conoscenza dell’essere umano-cliente, analizzando e misurando tutte le sue necessità emotive, razionali, etiche che sono nella psiche, e che presiedono e determinano l’opinione e di conseguenza il desiderio di acquisto e di utilizzo di un bene economico, prodotto o servizio che sia. Con la possibilità di misurare i possibili gap tra offerta e necessità. Il marketing sarà così sempre più espressione della vita reale, evitando scollamenti e frammentazioni che possono crearsi quando della persona/cliente si consideri esclusivamente il momento del “consumo” di prodotti e servizi.

Il potere del dialogo. Creare comunità

Nel processo di marketing e comunicazione, e nel momento stesso in cui un messaggio e un mezzo attirano l’attenzione del cliente-persona, è necessario offrire non solo posizionamento e informazioni, ma anche dialogo, esigenza umana naturale e primaria, da soddisfare con informazioni utili, per far liberamente esprimere il proprio pensiero verso l’impresa e i suoi prodotti, in forme mediatiche il più possibile aperte all’utilizzo di chi desideri partecipare. Il marketing umanistico considera quindi essenziale il parlare a tutto il pubblico potenziale e attuale interno ed esterno all’impresa, ma con l’intenzione di dialogare con ogni singola persona, per tendere a risolvere le sue necessità. Inoltre il marketing umanistico considera come il comunicare significhi anche “creare comunità e comunione”. L’impresa che crea comunità e comunica in modo completo, si riconosce quindi come risolutrice di necessità emotive, razionali ed etiche, contemporaneamente presenti nell’essere umano, e tra di loro in sinergia.

Multidisciplinarietà e fattore sinergico

L’essere umano integrale é al centro degli obiettivi del marketing umanistico, che pertanto considera essenziali le potenzialità offerte dalle discipline umanistiche, oltre che dalle discipline economiche e di marketing, al fine di ottenere strategie realizzate quale “prodotto” di una effettiva partecipazione multidisciplinare. Ne consegue un fattore sinergico – S – amplificatore dell’efficacia delle singole discipline.

Edificio di marketing, comunicazione e sviluppo

Il marketing umanistico considera necessaria per l’efficacia ottimale di una strategia di marketing,
la realizzazione, lo sviluppo e l’evoluzione costante di un olistico “edificio di marketing, comunicazione e sviluppo”, con alle fondamenta l’analisi delle necessità emotive-razionali-etiche dei vari stakeholder, con l’analisi e le motivazioni dei possibili gap da colmare tra le necessità e le soluzioni offerte dall’impresa e dai suoi brand, fino alla costruzione della strategia di sviluppo.
Al primo, e al secondo piano dell’edificio, vi saranno i programmi per obiettivi interni ed esterni, e al terzo piano i programmi per gli obiettivi di costruzione e sviluppo della “comunità di marca” quale parte “alta” della piramide di mercato, dalla quale dipende la massima quota di fatturato.

Profitto come “premio”

Il marketing umanistico contribuisce all’ottenimento del necessario e fondamentale profitto, da considerare come la logica conseguenza della capacità, per l’impresa e per i suoi brand, di soddisfare le necessità integrali emotive, razionali, etiche dell’essere umano-cliente, che offre così il proprio “premio”, acquistandoli con fedeltà. Obiettivo prioritario del marketing umanistico è dunque da considerare l’offerta di valore ai propri clienti e ai propri stakeholder, ovvero soluzioni concrete e documentabili, materiali e immateriali, che determinano la scelta di un prodotto o di un servizio, considerato come investimento sia economico sia esistenziale, per risolvere le necessità e migliorare la qualità della vita.

Informazione

Il marketing umanistico dedica grande importanza, oltre alle necessità emotive ed etiche, ai flussi costanti d’informazione razionale utile per gli stakeholder, basata su fatti e notizie documentabili. Questo non soltanto con l’intenzione di ottenere consenso dai propri pubblici, ma anche di mantenere e sviluppare con essi un dialogo e una relazione stabile e fiduciaria. I flussi informativi verranno adattati ai mezzi interni ed esterni nei tre piani dell’edificio di comunicazione e sviluppo, al fine di ottenere un valore riconosciuto.

Etica e responsabilità

Il marketing umanistico considera fondamentale il principio di responsabilità etica umana e sociale.
Eviterà quindi di creare strategie che non rispettino, ledano e offendano la dignità dell’essere
umano interno ed esterno all’impresa, e in particolare il più condizionabile pubblico dei minori.

Partecipazione

Per il marketing umanistico é determinante il rispetto dell’intelligenza e della “capacità attiva” di ogni singolo essere umano, considerandolo non un’entità da condizionare per un acquisto passivo come “consumatore”, ma come persona da stimolare per una reale e condivisa partecipazione alla missione dell’impresa, e a quanto questa propone per migliorare la qualità della vita.

Il bilancio sociale

Il marketing umanistico si inserisce nella prospettiva della funzione sociale dell’impresa e del bilancio sociale che l’impresa stessa offre ai propri pubblici. Considerando che le necessità delle persone-clienti sono emozionali, razionali ed etiche, per il marketing umanistico é sempre più determinante calarsi nella realtà dei propri clienti e stakeholder per rispondere a queste loro semplici domande:
• Questo marketing e questa comunicazione a cosa mi servono ?
• Come possono migliorare la qualità della mia vita?
Manifesto completo a questo link.




Il manifesto di Digidig

L’ALGORITMO COME TECNOLOGIA DI LIBERTÀ?

La pervasività della rete digitale, mentre ha accelerato l’esaurimento della  rivoluzione fordista, ha anche raccolto una irrefrenabile domanda di autonomia individuale che già (alla fine degli anni ’50) Adriano Olivetti intercettava quando definiva l’informatica come “tecnologia di libertà destinata a liberare l’uomo dalla fatica e dall’umiliazione del lavoro materiale”.
Una domanda di libertà che ha squassato codici professionali, gerarchie sociali ed economiche creando grande disorientamento, ma anche aprendo straordinari spazi di evoluzione per ogni progettualità individuale. Dal giornalismo alla finanza e alla medicina, dalla ricerca scientifica al governo della cosa pubblica e alle scelte di consumo individuali, la variabile che rompe equilibri e modifica comportamenti è un’inedita  possibilità di concorrere, condividere, controllare e partecipare ai processi decisionali – anche se a determinate condizioni di consapevolezza.
Le grandi corporation che oggi guidano i listini su tutti i principali mercati  del mondo quasi non esistevano solo 20 anni fa. Eppure oggi, nello zainetto di ogni giovane si trova un “bastone da maresciallo”: questa la grande differenza rispetto  al modello economico del ‘900. Ma quei gruppi, impugnando la bandiera della condivisione e del libero accesso alle risorse intellettuali, hanno paradossalmente costituito nuovi monopoli, che oltre a ridurre le opzioni e le alternative per ognuno di noi, concentrano con inusitata opacità ’tecnica’ la produzione di intelligenza.
Il tema che oggi ci sembra centrale riguarda la natura stessa del processo di riorganizzazione della vita sociale ed economica che prevalentemente ormai ruota attorno allo sviluppo e all’interscambio di prodotti cognitivi dell’intelligenza artificiale.
Nell’attuale fase che ci porta, grazie agli algoritmi, alla semplificazione delle procedure  digitali e all’automazione delle più delicate attività discrezionali, non crediamo accettabile che questo processo si realizzi senza trasparenza, informazione e partecipazione ai suoi dispositivi di funzionamento.
Se davvero, come affermano i loro creatori, dirigenti e proprietari, questi grandi gruppi sono ‘uno spazio pubblico’ – e noi crediamo che sia così – riteniamo che anche i loro meccanismi che producono linguaggi, strutturazioni sociali e influenze determinanti sulle scelte individuali, debbano essere intellegibili, condivisi, socialmente negoziabili ed integrabili.
Così come nella fase storica precedente, l’asimmetria nell’accesso e nell’organizzazione delle informazioni determinava uno squilibrio di poteri e di ricchezze, oggi la differenza nella capacità di riconoscere, modificare e integrare i sistemi intelligenti che formattano la nostra vita áltera, ma in proporzione infinitamente superiore, le condizioni di competizione economica e sociale.
Chiediamo con forza e determinazione che le imprese, le associazioni, le professioni e le istituzioni alle quali ciascuno di noi appartiene si rendano non soltanto pienamente consapevoli dell’impatto di questi soggetti digitali, ma agiscano per ridurre – anche e perché no? – insieme a loro, le distorsioni sui nuovi meccanismi e le nuove regole economiche, formative e relazionali.
Se la matematica è il linguaggio con il quale è possibile scrivere il libro della vita (Galileo Galilei), l’algoritmo (la formula che organizza azioni e processi che risolvano automaticamente un problema) ne è la sintassi contemporanea. Un ordine mentale ed espressivo che non può rimanere dominio esclusivo di poche e riservate élites o di organizzazioni chiuse.
DigiDig vi propone di condividere lo sforzo per aumentare consapevolezze e  competenze comuni per rendere più trasparenti, condivisi e adattabili forme e contenuti delle nuove potenze tecnologiche che ci circondano.
 
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