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Social innovation, l’Ue annuncia i nuovi indicatori dello sviluppo urbano sostenibile

In un’Europa che soffre ancora la crisi economica, per misurare il benessere dei cittadini non basta più il PIL: dalla DG Regional and urban policy della Commissione europea via libera al nuovo indice della qualità della vita in città basato su inclusione sociale, progetti smart community e tutela ambientale

on è solo il prodotto interno lordo (PIL) a misurare la ricchezza e il benessere di uno Stato, una regione e una città. Sono anni che si avanza questa tesi e finalmente anche a livello istituzionale qualcosa sembra cambiare.
Il responsabile della Direzione generale per le Politiche regionali e urbane della Commissione europea, Walter Deffaa, riporta il quotidiano The Guardian, ha annunciato di essere d’accordo con l’utilizzo del Social progress index (SPI) al fianco del tradizionale PIL.
Un impegno verbale, per il momento, che potrebbe presto tradursi in un concreto processo di integrazione di questo indice del benessere, basato sull’innovazione sociale e la qualità della vita dei cittadini, con altri strumenti tecnicamente più finanziari ed economici.
Le politiche regionali dell’Unione europea possono contare su un fondo progetti pari a più di 63 miliardi di euro. Il Progress social index (SPI) potrebbe aiutare i decisori nella scelta della migliore ripartizione delle risorse finanziarie tra le regioni più virtuose d’Europa.
L’SPI è costituito da 52 indicatori, che vanno dalla sanità all’edilizia popolare, dall’inclusione sociale al social housing, dalle smart community alla tutela degli spazi verdi. “Al di là del PIL– ha spiegato al quotidiano britannico un portavoce della Commissione Ue – è necessario adottare nuovi indici per valutare il livello di qualità della vita dei cittadini in una città e in una metropoli. Il progresso sociale, la social innovation, possono aiutare in questo”.
Come ha ricordato Michael Porter, docente di Economia ad Harvard, sostenitore della teoria del ‘Valore condiviso’ per riconciliare business e progresso sociale (passaggio dalla Corporate Social Responsibility alla Corporate Social Innovation), “Non ha più senso utilizzare il PIL per misurare il benessere della popolazione quando la gran parte di essa subisce senza sosta i colpi della crisi da anni”.
Progetti a forte impatto sociale, politiche ambientali lungimiranti, lotta all’inquinamento, liberazione di crescenti spazi urbani dal traffico automobilistico, inclusione sociale, accesso alle risorse (idriche, energetiche, economiche, culturali, sociali, ambientali, pubbliche) e loro equa ridistribuzione, diritti individuali e democratici, opportunità di migliorare la propria condizione di vita, promozione di nuovi mezzi di trasporto ecosostenibili e puliti, ricorso alle fonti energetiche rinnovabili, sostegno alle comunità intelligenti e alle soluzioni smart ciy, sono solo alcuni dei fattori chiave per sviluppare un indice di SPI a livello di città e regioni d’Europa.
Dall’SPI nasce una classifica mondiale, che attualmente è guidata da Norvegia, Svizzera, Islanda, Nuova Zelanda, Canada, Finlandia, Danimarca, Olanda, Australia, Regno Unito. L’Italia occupa la posizione numero 31.
Un modello unico non esiste, spiegano da Bruxelles, ma dallo scambio di buone pratiche, esperienze e soluzioni efficaci si potrà presto arrivare ad uno standard applicabile in ogni Paese Ue.




L’amore ai tempi dell’intelligenza artificiale

Che rapporto abbiamo con l’intelligenza artificiale? Come sta evolvendo? Tendiamo a pensare che sia nelle fasi preliminari, invece è molto più presente nelle nostre vite di quanto possiamo immaginare.
Sono tantissime le applicazioni in uso e dovremo monitorarne lo sviluppo perché non sarà sempre prevedibile. Ne parliamo con Neil Jacobstein, che ha prestato la sua esperienza nel campo dell’intelligenza artificiale a governi e corporazioni.
Qui sotto potete leggere il trascritto del video che è stato tradotto:
CRISTINA: Quando crede che le intelligenze artificiali saranno effettivamente considerate “intelligenti”?
JACOBSTEIN: Beh, dipende dal compito che devono svolgere. Sono già perfettamente capaci di fare calcoli, di battere a scacchi un campione mondiale o di vincere ad un gioco a quiz. Sono da considerarsi già intelligenti se si tratta di disegnare nuove molecole per la ricerca farmaceutica. Insomma, dipende da qual è l’obiettivo.
C: Data la crescita esponenziale di queste macchine, non crede che la situazione ci possa sfuggire di mano, che arrivi presto un momento in cui diventeranno più intelligenti di noi?
J: Un paio di considerazioni… noi uomini, di questi tempi, siamo sempre più spesso potenziati dalla tecnologia. Per la gran parte del tempo siamo connessi ad intelligenze artificiali che risiedono al di fuori del nostro cervello. Siamo ormai pienamente integrati ad esse. Quindi l’idea che loro vadano fuori controllo non regge: credo che “noi” saremo in qualche modo parte di “loro”…
C: Pensa che il giudizio morale possa essere incorporato in queste macchine?
J: In alcuni casi sì, ma non credo che sarà la giusta strada, poiché questi sistemi ragionano in maniera diversa da noi. Penseranno anche in maniera diversa e questo significa che non potremo semplicemente inserire in un’AI una serie di regole e codici morali ed essere certi che andrà tutto bene. Dovremo invece prevenire eventuali problemi monitorandoli di continuo, alla ricerca di comportamenti sbagliati o malvagi per fermarli sul nascere, limitando le loro possibilità quando fanno cose a noi sgradite.
C: Pensa che sia verosimile lo scenario presentato nel film “Her”, in cui non solo un uomo si innamora di un’AI, ma avviene anche l’opposto?
J: Sono certo che la gente avrà rapporti sentimentali con le intelligenze artificiali! Credo che un’AI possa arrivare a conoscerti meglio di quanto potrà mai fare un coniuge. È anche verosimile che gli esseri umani avranno con loro relazioni importanti e profonde, non solo stupide e superficiali. Prendiamo in considerazione il genere maschile…pensi a quanto siamo superficiali noi uomini, a volte, nello scegliere coniugi o compagne! Spesso lo facciamo basandoci sui criteri più elementari. Può invece immaginarsi di come saranno sofisticate le AI nelle loro interazioni. La qualità delle relazioni è destinata ad elevarsi grazie a loro.
C: intravede una sorta di “balzo quantico” nel campo delle intelligenze artificiali?
J: La più grande rivoluzione avverrà quando riusciremo a comprendere il funzionamento del cervello allo stesso modo in cui comprendiamo quello di un rene, o del cuore, o del pancreas. Se srotolassimo la nostra neocorteccia scopriremmo che è grande quanto un tovagliolo, più o meno. Saremo invece in grado di costruire neocortecce artificiali grandi come una città, come una nazione, come un pianeta! Questo può sembrare esagerato, ma le assicuro che non lo è, perché vogliamo che la neocorteccia arificiale analizzi con precisione questa immensa onda di conoscenza che sta crescendo esponenzialmente e che ci aiuti a costruire sistemi di intelligenza straordinaria, non solo per tenerci al passo con questa conoscenza, ma anche per aggiungerne altra. Sono ottimista sulla nostra abilità a cogliere tutte le opportunità, gestendo i rischi.




Il pensiero di Zygmunt Bauman in 5 punti

Dal concetto di modernità liquida a quello di indignazione passando per l’etica del lavoro e l’estetica del consumo, le lezioni che ci lascia il sociologo polacco

Il pensiero di Zygmunt Bauman in 5 punti

Dal concetto di modernità liquida a quello di indignazione passando per l’etica del lavoro e l’estetica del consumo, le lezioni che ci lascia il sociologo polacco

baumanÈ stato forse il pensatore – filosofo o sociologo, poco importa in questo senso – che ha meglio interpretato il caos che ci circonda e il disorientamento che viviamo. La temperie di passaggio, lunga e inquietante, in cui siamo immersi. Specialmente con la fortunata serie di saggi, da Modernità liquida del 2000 in poi, che lo hanno trasformato in una superstar del pensiero sulla postmodernità, considerata un territorio incerto costellato da un esercito di consumatori che fanno di tutto per assomigliarsi l’uno con l’altro. Zygmunt Bauman è morto il 9 gennaio a Leeds a 91 anni. Le sue lezioni, in particolare quelle successiva alla sua fase accademica concentrata sulla sociologia del lavoro, rimarranno strumenti solidi – più che liquidi – per capire la strada che abbiamo di fronte. E come sta cambiando pelle la società che dovrà percorrerla.

1. La modernità liquida

Concetto fra i più noti del sociologo nato a Poznan da genitori ebrei. Semplice da comprendere, nei suoi confini di massima: con la fine delle grandi narrazioni del secolo scorso abbiamo attraversato una fase che quelle certezze del passato in ogni ambito, dal welfare alla politica, le ha smontate e in qualche modo dissacrate mescolandole a pulsioni nichilistiche. Il risultato, che iniziamo a intravedere sull’onda lunga di quel periodo, è appunto un presente senza nome caratterizzato da diversi elementi: la crisi dello Stato di fronte alle spinte della globalizzazione, quella conseguente delle ideologie e dei partiti, la lontananza del singolo da una comunità che lo rassicuri. La sua comunità è diventata il consumo, la sua unità di misura l’individualismo antagonista ed edonista in cui nuotiamo senza una missione comune. Concetti ripresi e approfonditi in testi come Amore liquido (2003) o Vita liquida (2005).

2. L’indignazione

La fase che viviamo è propizia ai populismi e in particolare all’indignazione. In generale, a spinte contrastanti che viaggiano in direzioni complesse ma senza progetti, con la sola consapevolezza di ciò che non vogliono. Per Bauman, dopo la modernità fondata sul meccanismo del ritardo della gratificazione, stiamo insomma vivendo una sorta di interregno gramsciano. Una categoria da molti recuperata per descrivere i tempi che stiamo affrontando, quando “il vecchio muore e il nuovo non può nascere”. Un interregno oltre tutto ricco e affogato nell’informazione nel quale mancano non solo soluzioni univoche ma anche gli agenti sociali in grado di metterle in atto. Dagli Indignados a Occupy Wall Street fino ai movimenti populisti europei, l’ordine costituito viene contestato e diroccato ma allo stesso tempo fatica a difendersi. Potrebbe farlo solo accogliendo risposte che sposino in parte le istanze di queste spinte, a loro volta poco chiare.

3. L’etica del lavoro ed estetica del consumo

Frutto di quella procrastinazione – investire anziché distribuire, risparmiare o spendere;  lavorare anziché consumare – è in fondo lo stesso sviluppo della società moderna. Basato su un’attesa – quel ritardo della gratificazione – che ha finito per produrre due tendenze in radicale opposizione: da una parte una società basata sull’etica del lavoro. Quella in cui mezzi e fini si invertirono finendo per premiare il lavoro fine a se stesso, estendendo il ritardo all’infinito e tuttavia mantenendo una volontà di ricercare modelli e regole al vivere comune.
Dall’altra l’estetica del consumo, che per converso vedeva il lavoro come mero strumento utile a preparare il terreno per altro. Quest’ultimo concetto ha subìto oggi un’estremizzazione che ha condotto alla sua negazione: ritardo non c’è e non può esserci, attesa neanche. Questo secondo modello, quello che viviamo – d’impostazione aristotelica per opposizione al platonismo dell’altro – trasforma infatti il mondo in un “immenso campo di possibilità, di sensazioni sempre più intense” in cui ci muoviamo, spesso imboniti dal venditore di turno, alla sola ricerca di Erlebnisse, esperienze vissute. L’esasperazione della soggettività, che trova per giunta incredibili attuazioni nelle tecnologie in cantiere come la realtà virtuale, si piega alla tirannia dell’effimero.

4. L’analisi dell’Olocausto

La svolta delle ricerche di Bauman avviene tuttavia prima di questi celebri lavori, nel 1989, con Modernità e Olocausto. Un tema evidentemente enorme per chiunque, pachidermico per un sociologo ebreo che grazie alla fuga della famiglia in Russia nel 1939 aveva evitato le conseguenze dirette della Shoah. Magistrale il ponte che costruisce fra la persecuzione degli ebrei le dinamiche della modernità, individuandoli come elementi di destabilizzazione dell’ordine, finanza contro terra. In questo senso Bauman fa dello sterminio un fatto ripetibile, lo toglie dall’isolamento trasformandolo in frutto della civiltà moderna, delle sue regole economiche ed efficientiste a cui subordinare pensiero e azione. La Shoah come parto della tecnologia e della burocrazia, per la quale l’antisemitismo è stata ragione necessaria ma non sufficiente. Uno sviluppo della lunga storia della società, quasi un orribile test che ne ha rivelato le possibilità occulte difficilmente verificabili nell’ordinarietà.

5. Post-panopticismo

In una prospettiva futura, per capire cioè cosa arriverà dopo la post-modernità, Bauman – in particolare nel libro Sesto potere. La sorveglianza nella modernità liquida uscito un paio di anni fa e scritto con David Lyon – ci apre gli occhi verso un approccio del tutto diverso alle strutture di potere, che sorpassa i classici modelli di controllo teorizzati da Jeremy Bentham e Michel Foucault. Cioè un modello di società in cui le forme di controllo assumono le fattezze dell’intrattenimento e dunque del consumo. In cui sotto l’attenzione delle organizzazioni transnazionali finiscono i dati e non le persone, o meglio le loro emanazioni digitali. E in cui i rischi più elevati – più che per la privacy – sono per la libertà di azione e di scelta.
La novità è che questo spazio del controllo ha perso i muri. E a dire il vero non occorrono neanche più i sorveglianti, visto che le “vittime” contribuiscono e collaborano al loro stesso controllo. Sono impegnati nell’autopromozione e non hanno gli strumenti per individuare l’aspetto poliziesco nascosto sotto a quello seduttivo. Non c’è più un luogo – che sia la scuola, il carcere o la fabbrica – dove concentrarci per controllarci, se non quelli residuali come il carcere o il campo profughi.




L'analisi di Buzzfeed sulla propaganda M5S: "I leader hanno creato siti e account legati al Movimento per diffondere false notizie"

L'analisi di Buzzfeed sulla propaganda M5S: "I leader hanno creato siti e account legati al Movimento per diffondere false notizie"

Siti legati direttamente al M5S diffondono notizie false, disinformazione e propaganda raggiungendo milioni di persone. E’ quanto scrive in un articolo Buzzfeed, nel quale si legge che “i leader del partito politico più popolare d’Italia e anti-establishment, il Movimento 5 Stelle, hanno costruito una rete tentacolare di siti web e account sui social network che diffondono notizie false, teorie del complotto, storie a favore del Cremlino arrivando a milioni di persone, come ha stabilito un’analisi di BuzzFeed”.
Buzzfeed parla di una macchina della propaganda che:

include non solo i blog del partito e i profili social ufficiali che hanno milioni di seguaci, ma anche una serie di siti redditizi che si descrivono come fonti di “notizie indipendenti”, ma in realtà sono controllate dalla direzione del partito. Questi siti inesorabilmente rilanciano la campagna M5S, disinformazione e gli attacchi ai rivali politici – in particolare, il premier di centrosinistra Matteo Renzi. Uno di questi, Tzetze, ha 1,2 milioni di seguaci su Facebook

Secondo Buzzfeed al centro di questi siti interconnessi c’è la Casaleggio Associati, “oggi guidata dal figlio del fondatore” Gianroberto Casaleggio, Davide. L’azienda “possiede e gestisce sia Tze Tze sia La Cosa, sito di salute, e la Fucina, un altro sito che riporta post su cure miracolose alimentando anche cospirazioni anti-vaccini”.
Al centro di questa rete di blog interconnessi e siti è Casaleggio Associati, la società di tecnologia istituito dal co-fondatore del partito, che è morto nel mese di aprile. L’azienda, che ora è presieduta dal figlio di Casaleggio Davide, possiede e gestisce sia tzetze e La Cosa, così come un luogo di salute, La Fucina, che spesso porta messaggi su cure miracolose e ha alimentato cospirazioni anti-vaccino.




CSR: Bombas, l'azienda americana che dona calzini ai senzatetto

Probabilmente, non tutti sapranno che i calzini sono gli articoli più richiesti nei rifugi per i senzatetto: un dato di fatto che ha spinto due americani, David Heath e Randy Goldberg, a fondare Bombas, una società che produce proprio questo basilare indumento e che ha sviluppato un innovativo modello di solidarietà.
L’ampia collezione di calze, lanciata nel 2013 dopo una campagna di crowfunding su Indiegogo, è stata pensata sia per garantire elevate prestazioni atletiche, sia per perseguire il modello uno-contro-uno, per cui ad ogni acquisto realizzato corrisponde un immediato gesto di solidarietà.
All’inizio della storia dell’azienda, David Heath aveva fatto alcune ricerche su internet, individuando una no-profit dell’Ohio, Hannah’s Socks, che procurava calzini ai rifugi per senzatetto, e proponendosi per una partnership. Da quel giorno, Bombas ha inviato camion carichi di calzini – pari a 390.000 paia in meno di due anni – ad Hannah’s Sockse ad altre organizzazioni analoghe, comeBack on My Feet e Covenant House. Mano a mano, le donazioni si sono estese fino a comprendere anche scuole in difficoltà e vittime di disastri ambientali.
Quando abbiamo iniziato, donavamo lo stesso identico prodotto che vendiamo.” – ha raccontato Heath – “Tutti i nostri nuovi dipendenti uscivano in strada a donare 10 paia di calzini e tornavano sempre indietro riportando i calzini di colore grigio: alle persone non piacciono i calzini grigi. Apprezzavano, invece, i calzini neri, perché non mostrano lo sporco. È stato allora che abbiamo deciso di sviluppare un calzino Bombas apposito per la donazione.”
E così, Bombas ha creato un calzino ad hoc, che cerca di venire incontro alle necessità di quelle persone che non hanno la possibilità di indossare un paio di calzini puliti ogni giorno. Il calzino utilizzato per le donazioni ha ricevuto dei trattamenti speciali che ostacolano la crescita di funghi, è di colore nero con parti in grigio scuro per rendere l’usura il meno evidente possibile ed è dotato di cuciture rinforzate, in modo da avere una durata maggiore.
E, anche se la produzione di un calzino ad hoc per la donazione rappresenta una spesa aggiuntiva per l’azienda, grazie a questa pratica benefica il valore del marchio Bombas è notevolmente aumentato, attraendo nuovi clienti: non a caso, l’80% dei consumatori dichiara di essere disposto ad acquistare anche un prodotto di marca sconosciuta se questa dimostra un forte e consolidato impegno sociale e ambientale.