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Disastri naturali: una comunicazione responsabile?

Disastri naturali: una comunicazione responsabile? Modelli, casi reali e opportunità nella comunicazione di crisi. Scheda del libro

Il volume propone una riflessione sul tema della comunicazione di crisi offrendo al Lettore una consultazione articolata in merito alle nuove sfide, alle criticità ancora presenti, ai modelli applicabili e alle opportunità potenziali che ogni crisi – in qualunque ambito – genera.
Sorretto ed aiutato da un timbro narrativo immediatamente comprensibile e focalizzato sui due terremoti che hanno colpito L’Aquila e l’Emilia, il testo propone chiavi di lettura dei principali passaggi che riguardano l’accadimento di una calamità naturale: dalla gestione dei pubblici (con particolare attenzione alle dinamiche interne) all’attuale modello di comunicazione ambientale; dagli strumenti e dai modelli comunicativi fino al ruolo della comunicazione e del comunicatore. Un testo utile ed attuale, per affrontare i cambiamenti organizzativi e relazionali che ogni situazione di crisi comporta, con la giusta dose di consapevolezza e attenzione.

Indice

1. Un punto d’inizio nella definizione e gestione delle relazioni con i pubblici in caso di calamità naturali
Stefano Martello, Biagio Oppi
2. La comunicazione di crisi. Il crisis management
Luca Poma
3. Il ruolo della comunicazione interna durante una crisi
Stefano Martello, Biagio Oppi
4. La comunicazione ambientale
Sergio Vazzoler
5. I terremoti dell’Aquila e dell’Emilia: due crisi a confronto
Massimo Alesii
6. I social nella gestione della crisi
Massimo Alesii
7. Il ruolo del comunicatore pubblico
Fabio Montella
8. Multiutility, Multistakeholder. La gestione dell’emergenza
Monica Argilli
9. Innovazioni e sviluppo dopo il sisma in Emilia
A cura di Giovanni Bonifati, Elisabetta Gualandri, Francesco Pagliacci, Anna Francesca Pattaro, Alessia Pedrazzoli,
Silvia Pergetti, Marco Ranuzzini, Manuel Reverberi, Giovanni Solinas, Paola Vezzani del gruppo di ricerca Energie
Sisma Emilia, coordinato da Margherita Russo e Paolo Silvestri
10. Disastro naturale: tra crisi e opportunità
Stefano Martello, Biagio Oppi
Bibliografia
Sitografia
Parole chiave

Autori

Massimo Alesii, Monica Argilli, Gruppo di ricerca Energie Sisma Emilia (coordinato da Margherita Russo e Paolo Silvestri), Stefano Martello, Fabio Montella, Biagio Oppi, Luca Poma, Sergio Vazzoler.

Curatori

Stefano Martello, consulente in comunicazione e componente del Gruppo Comunicare le professioni intellettuali di Ferpi (Federazione Relazioni Pubbliche Italiana). s_martello(at)hotmail.com
Biagio Oppi, responsabile comunicazione di una multinazionale biofarmaceutica, svolge ruoli di advocacy per la professione in seno a Ferpi (Federazione Relazioni Pubbliche Italiana). biagio.oppi(at)gmail.com

Editore

Bononia University Press, Bologna, 2016 – pag. 160 – euro 15,00 – ISBN 978-88-6923-152-0 www.buponline.com

Blog

http://disastrinaturalicomunicazione.blogspot.com
Per acquistare il libro: Bononia University Press a 15.00 euro spese di spedizione incluse.




Intervista ad Andrea Stanich

Luca Poma intervista Andrea Stanich, Direttore creativo dell’agenzia di pubblicità che promuove il marchio Ceres on-line.
 Ceres ha uno stile di comunicazione tutto suo. Qual è la cifra del vostro lavoro, che vi distingue dagli altri?
Quello che ha funzionato molto bene – e che sta tuttora funzionando sui canali social di Ceres – è stato il mettersi a tavolino e studiare un “personaggio”, trasformare quelli che sono i valori, le caratteristiche del brand, in qualcosa di diverso, cioè quasi nelle caratteristiche di una “persona”, un personaggio narrativo. Questo personaggio noi lo definiamo “un eroe senza gloria”, quindi è un personaggio che ha una certa spregiudicatezza, un po’ di irriverenza, è sicuramente audace, e ha anche un occhio al divertirsi. Insomma: c’è una vera e propria “carta d’identità”, declinata su diverse caratteristiche, che rende questo personaggio per noi abbastanza tangibile, esattamente come nella narrativa, quando il personaggio vive di vita propria. Il tutto concordato con Ceres – ovviamente – che è un Cliente molto aperto e per certi versi illuminato, e ci ha dato modo di non porre limiti preordinati su ciò che il personaggio potesse andare a dire o a raccontare. Un altro elemento di successo è stato l’aver presidiato per la prima volta alcuni territori che appartengono agli interessi delle persone, ma che altri brand non avevano mai cavalcato; un esempio su tutti è la politica – area assai delicata – sulla quale Ceres è però entrata più volte, in modo credibile, grazie appunto a questo progetto articolato di narrazione.
Non avete quindi avuto paura di affrontare temi “delicati” …
Ci rivolgiamo a un target molto specifico di persone, lavorare sui social sicuramente ti dà la possibilità di parlare con un pubblico abbastanza evoluto. Nella comunicazione pubblicitaria tradizionale ci sono tante paure, vincoli, scrupoli, anche legati ai grandi investimenti, per cui a fronte di un grande investimento hai paura di dire una cosa che sia anche soltanto leggermente criticabile. Fai in fretta a sbagliare, e se sbagli paghi un prezzo alto: una campagna che naufraga, nella comunicazione convenzionale sono tanti soldi gettati via. Sul digital, ovviamente, non hai questi vincoli, e inoltre c’è un dialogo quotidiano con le persone, che ti porta a capire sempre meglio quello che “ti puoi permettere” di dire, e quello che invece dovresti evitare, e soprattutto quello che è rilevante e quello che interessa alle persone. Ma non finisce qui: dirò una cosa banale, ma una volta che hai pubblicato un post divertente, furbo, intelligente, che fa parlare e che stimola, devi continuare a coltivare la conversazione e costruire un dialogo quotidiano con gli utenti, personalizzandolo di continuo…
Voi siete in presa diretta su tantissimi fatti quotidiani, avete una rapidità di risposta incredibile. Che modello adottate internamente?
Abbiamo un modello abbastanza flessibile, in Agenzia tutti conoscono bene Ceres e quel personaggio, per cui anche le persone che magari non lavorano direttamente sul brand contribuiscono in qualche modo a dare degli stimoli. Uno che magari non lavora specificamente sul brand, dice: “ragazzi, è successa questa cosa, e questa cosa la potrebbe dire Ceres…”. C’è un nucleo di persone che lavorano direttamente sul brand, ma la nostra modalità di lavoro, come Agenzia medio-piccola, ci dà la possibilità di essere davvero flessibili. La tempestività è anche facilitata da un rapporto con un tipo di Cliente che io francamente in tanti anni di lavoro ho incontrato poche volte, sia in termini di fiducia sia in termini di rapidità del feedback, cosa che si rivela davvero cruciale.
Voi vi distinguete da Heineken e da altri players per un modo di fare che è diventato come abbiamo detto “la cifra” di Ceres sui digital. Questo modello di lavoro e questo imprinting non sarebbe replicabile automaticamente in altri casi? O è il brand Ceres che ha connotazioni un po’ specifiche e particolari?
E’ un punto di domanda per certi versi anche per noi, però credo che Ceres si trovi in una situazione particolarmente fortunata: è un brand danese, che però ha una fortissima autonomia sul mercato italiano, quindi diciamo che prende un po’ il meglio dell’apertura di una multinazionale e il meglio del fatto di poter avere la libertà di essere molto “local”, che è una cosa che ad esempio Heineken non ha e che non avrà mai, perché i brand che sono molto legati ad una comunicazione “global” difficilmente possono essere così reattivi sul locale. Oggi Ceres vanta molti tentativi d’imitazione, alcuni anche piuttosto ben riusciti. Sono convinto che tutti i brand possono diventare degli interlocutori social credibili: certo, una birra ha più appeal di una fabbrica di bulloni o di una scopa per pulire i pavimenti, ma tutti i brand hanno questa potenzialità. Devono però cercare di costruire un personaggio coerente con quello che fanno, con se stessi e con il proprio pubblico. Quale che sia il “loro” personaggio, non è detto che debba essere per forza super audace o super provocatorio… La sfida vera non è essere particolarmente dissacrante o graffiante a tutti costi, bensì è quello di cercare di essere “rilevante” perlomeno quanto tutti gli altri messaggi che si trovano sulla wall di una persona, e per farlo bisogna avere delle idee che interessino realmente le persone.
Tre post che ti vengono in mente, che ti sembrano particolarmente riusciti, o che hanno ottenuto più attenzione…
Io sono molto legato al primo post veramente di rottura che abbiamo fatto, quello che ci ha lasciato a bocca aperta per i risultati che ha dato. Mi sembra fosse del 12 febbraio 2015, occasione in cui i tifosi del Feyenoord hanno devastato piazza di Spagna e hanno fatto danni alla Barcaccia, lasciando centinaia di bottiglie di birra galleggianti. Noi, il giorno dopo, uscimmo con quella foto, e un titolo che diceva: “Se non sapete bere statevene a casa”, il che per chi vende birra non è proprio così scontato. In quel caso ci stupimmo anche noi, perché il counter dei like cominciò veramente a impazzire, e quel post a tutt’oggi è uno di quelli che ricordiamo con più divertimento. Poi il Festival di Sanremo, è stato un evento che ci ha davvero regalato moltissime soddisfazioni quest’anno, perché è stato il primo vero evento che noi abbiamo fatto su Twitter, canale che avevamo aperto da pochi mesi. E #SanremoCeres” è stato il quinto hashtag più utilizzato delle serate di Sanremo. E’ stata anche una grandissima fatica, perché in quei giorni siamo stati attaccati ai computer a Sanremo veramente dalla mattina presto fino alle tre di notte, senza sosta, facendosi venire in mente storie, battute… però è stata un’esperienza davvero fantastica: un balcone accanto all’Ariston sulla cui ringhiera – diventata la nostra bacheca social! – appendevamo i tweet più intriganti che circolavano in quel momento in rete, con il risultato di un cortocircuito on-line/off-line, perché poi le persone da sotto fotografavano e rimettevano in rete… Infine, la terza cosa a cui siamo molto legati, è quella per il Gay Pride dell’anno scorso, dove Ceres ha accettato di distribuire alla parata del Pride romano una bottiglia completamente senza brand, unbranded, soltanto con un collarino che diceva: “No alle etichette”. È stato un messaggio forte, che ci è piaciuto dare, ed è stata di nuovo un’operazione che ci ha regalato delle grandi soddisfazioni, perché abbiamo visto un nostro gesto ripreso, fotografato e rilanciato sui social. Noi poi crediamo molto che a un certo punto che tutto quello che fai sul digital debba avere degli appuntamenti diciamo “off-line”, calati nella vita delle persone, sulla strada, sul territorio, dove le cose succedono realmente. Perché quando i pixel si trasformano in qualcosa di più concreto, dai testimonianza di quello che stai facendo sulla rete. E mantenere il contatto con la realtà è veramente fondamentale per chi fa il nostro lavoro.




"Il sex appeal dei corpi digitali": Luca Poma sul suo ultimo libro che indaga i vari aspetti del rapporto tra i corpi reali e digitali – Intervista a SBS Radio (Australia)

Ascolta l’audio dell’intervista:




Csr e' anche sostegno alle comunita'. Ricoh restituisce i ricordi portati via dallo tsunami

Le attività di Csr delle aziende spesso coincidono con eventi tragici come lo tsunami del 2011. Un progetto della Ricoh appena terminato ridà ai proprietary i propri ricordi. Le foto recuperate, ripulite e digitalizzate sono infatti state mostrate perché venissero riconosciute e ritirate. 
IL PROGETTO – Si chiama “Save the Memory Project” ed è l’idea con cui Ricoh ha recuperato, restaurato e restituito 90.000 foto alle persone delle zone del Giappone colpite dallo tsunami nel 2011. In totale ha portato al recupero e al restauro di 400.000 foto andate disperse e danneggiate.

Con l’aiuto di organizzazioni locali e di numerosissimi volontari, le foto sepolte dal fango e dai detriti sono state lavate, asciugate, digitalizzate e archiviate in un database sul cloud. Ad ognuna è stato assegnato un codice univoco e le foto sono state organizzate in categorie. Le ricerche possono essere effettuate presso uno dei 5 photo center locali. Quando una persona ritrova una foto che le appartiene, l’originale e tutti i dati associati le vengono restituiti.

RICOH E LE COMUNITA’ COLPITE DALLO TSUNAMI – E’ però soltanto una delle iniziative con cui la società – che ha la sua sede principale a Tokyo ma è presente in oltre 200 Paesi – ha deciso di offrire un supporto alle popolazioni delle aree colpite dello tsunami.
Ha infatti pensato ad un programma di supporto per le scuole elementari ed eventi a Higashi Matsushima attraverso il Ricoh Science Caravan “Try to be a copier machine!”. Inoltre è stato dato un supporto nella ricostruzione dell’attività della pesca a Minamisanriku(prefettura di Miyagi) con il coinvolgimento ogni anno di circa 200 dipendenti.
Sono stati organizzati poi eventi per presentare i prodotti della regione Tohoku presso gli uffici aziendali del Gruppo. E l’azienda ha partecipato al progetto dell’Associazione giapponese dei dirigenti aziendali “Ippo Ippo Nippon”. Infine, le donazioni tramite il Ricoh Social Contribution Club “FreeWill”, un’iniziativa nata peraltro dal basso, dai dipendenti.
TSUNAMI E CSR – Naturalmente, già nei giorni seguenti all’evento, molte aziende hanno attivato raccolte fondi per le popolazioni asiatiche. Alcuni volontari, un centinaio, hanno subito iniziato a rovistare tra le macerie alla ricerca di fotografie, unico modo per far sopravvivere il passato della comunità, che deve anche vedersela con archivi e biblioteche distrutte.
Nella prefettura di Miyagi il progetto ha seguito le stesse linee guida di quello della Ricoh:raccolta, pulitura, digitalizzazione. C’è chi ha puntato, dunque, sulla raccolta fondi, c’è chi ancora oggi – come Ricoh – cerca di sostenere quelle popolazioni che il tempo spesso ci fa già dimenticare, c’è chi come la Fujitsu ha deciso di supportare la ricostruzione materiale dei luoghi devastati, nel suo caso supportando la rinascita e lo sviluppo della città di Tohoku, inserendo il progetto nel suo piano di sostenibilità.
 




10 consigli per generare davvero valore con la CSR

Valore per gli shareholder, valore per le comunità locali, valore per gli stakeholder: è questo che deve contenere e creare un programma di Csr. Spesso invece il valore generato da certi programmi passa in secondo piano, mentre è la leva che dovrebbe spingere qualsiasi decisione di aziende, community e partners che interagiscono sul piano della sostenibilità. Non a caso, spesso i programmi di Csr nemmeno vengono letti. Ecco qualche strategia e consiglio utile, direttamente dalle parole di un esperto, Wayne Dunn, presidente del CSR Training Institute.

1 – TROVA PARTNER STRATEGICI

La Csr è una pratica costosa da portare avanti in solitaria. Le partnership possono essere un valido aiuto per allargare la rete, ma occorre un lavoro di pianificazione che può andare fuori dai binari se non maneggiato da esperti. In particolare sono 2 i punti chiave: occorre un allineamento di interessi verso un obiettivo comune e occorre dare ai partner un’idea misurabile dei vantaggi di una relazione a lungo termine.

2 – COMUNICA, MA ATTENZIONE ALLA STRATEGIA

Mai dare l’impressione di mettersi su un piedistallo da cui si urlano regole.Comunicare il giusto messaggio alla giusta audience e nel giusto momento è complicato, in più bisogna far sì che questo pubblico sia una spugna e lo assimili in fretta. Sbagliare strategia può distruggere quel valore. E mai dimenticare che parte del pubblico – che deve cogliere l’utilità del programma di Csr – è interno, è l’azienda stessa.

3 – SBLOCCA IL POTENZIALE INTERNO

Le opportunità strategiche a volte sono a un metro dalla tua scrivania. I colleghi possono essere preziosi per identificare il valore da trasmettere. Spesso il trucco è integrare gli obiettivi di Csr nelle operazioni aziendali. Un esempio? Training per i dipendenti impegnati nelle comunità locali.

4 – SERVONO OCCHI NUOVI

La familiarità e l’abitudine creano cecità. A volte uno sguardo diverso vede opportunità e sfide nuove che uno sguardo coinvolto non vede affatto. In più, chi vede le cose per la prima volta pone molte domande, che chi ha a che fare con lo stesso problema ogni giorno dà per scontate. Dove si genera valore? Un estraneo potrebbe notarlo al primo sguardo.

5 – BASTA BUONISMO E FRASI FATTE

Non si fa Csr per salvare il mondo o per salvare villaggi. Non è filantropia. E’ piuttosto qualcosa che ha a che fare con il risk-management e, appunto, con la creazione di valore per le comunità, gli stakeholder o la società in senso lato.

6 – I TUOI PARAMETRI DI MISURAZIONE SONO CORRETTI?

La temperatura non si misura con un metro da sarto. Ogni azienda ha suoi parametri e suoi obiettivi. Non ha senso importare schemi esterni. In ogni caso, non si può gestire al meglio qualcosa che non si sa o non si può misurare, nella Csr c’è una frase che spesso si ripete: “Non puoi misurare ciò che non puoi misurare”. I tipi di misurazione utilizzati devono essere coerenti con il progetto e devono essere semplici, altrimenti costano tanto, generano frustrazione e non servono. Il riferimento lampante è a certi report o standard che alla fine tendono a misurare le cose sbagliate nel modo sbagliato. Inutili. Occorre piuttosto un’analisi preliminare sui motivi che spingono un’azienda ad investire in un certo progetto e, poi, analisi sistematiche per monitorarne l’andamento verso quei motivi. Sono metriche ad hoc, personalizzate, specifiche di ogni situazione. Non significa che i framework di Csr riconosciuti a livello globale vadano ignorati; significa che vanno associati ed integrati a schemi interni.

7 – FOCUS

Alcuni programmi cercano di essere tutto e cercano di rivolgersi a tutti. Bisogna invecefocalizzarsi su obiettivi precisi, anche di budget, altrimenti saranno denaro e tempo sprecati.

8 – RIVEDERE SISTEMATICAMENTE LO STATUS QUO

Anche i programmi di Csr invecchiano, semplicemente perché cambiano le condizioni esterne. Vanno rivisti periodicamente e va considerato sempre quanto incidono sui budget. Perché il programma è stato avviato? Quali erano i propositi iniziali? Valgono ancora? Sono stati raggiunti risultati finora? E’ stato prodotto valore per qualcuno? Qualcosa potrebbe essere riorganizzato? I partner attuali sono effettivamente utili? Ce ne sarebbero di nuovi?

9 – ALLINEARE

E’ una delle parole d’ordine. Gli interessi di shareholder e della società devono essere allineati in modo che si generi valori per entrambi. Tutto questo esplorando nuove opportunità, anche di partnership.

10 – QUESTIONE DI TEMPO

Il valore si genera con il tempo. Ma poi quanto dura la sua eco? Spesso si riesce a generare valore proprio pensando in termini di tempo. Cosa si può generare oltre il periodo attuale? Quali ricadute avrà il programma di Csr? A quel punto è chiaro che si possono compiere ragionamenti anche economici.