Sostenibilita': 'popolo della rete' influenza attivita' Csr aziende

Le imprese sotto la lente di ingradimento del web. Il popolo della rete, infatti, commenta e giudica ed e’ in grado di influenzare le scelte dei consumatori e le attivita’ aziendali. A descrivere all’Adnkronos i nuovi influencer della sostenibilita’ aziendale, e’ Ilaria Catastini, presidente Roma di Hill+Knowlton Strategies e consigliere Anima, intervenuta al Csr Italian Summit 2013 organizzato da di Business International e Amref. Nel campo della sostenibilita’ aziendale la rete, spiega la Catastini, “sta giocando un ruolo fondamentale” e le aziende devono farne i conti”. Le opinioni che si formano in rete, a volte si trasformano”in dei veri e propri movimenti che riguardano centinaia di migliaia, addirittura milioni di persone che hanno la capacita’ di influenzare le opinioni dei consumatori, dei cittadini e quindi di creare una pressione molto forte nei confronti delle imprese su determinate mission”.
Un esempio, “e’ quello che riguarda l’industria del tessile”. All’indomani del crollo di una fabbrica in Bangladesh che ha visto la morte di oltre 1200 persone sotto le macerie, il settore dell’abbigliamento si e’ trovato a dover affrontare una sorta di mobilitazione internazionale che chiedeva che venissero effettuati maggiori controlli sulla catena di fornitura per mettere in sicurezza le fabbriche che nei paesi del terzo mondo sono ancora gestite senza il rispetto delle regole basilari sulla sicurezza e senza tutta una serie di elementi di responsabilita’ sociale”.
 


Le 5 metriche più importanti per migliorare le performance della propria azienda su Facebook

Facebook con i suoi 23 milioni di italiani attivi al mese, di cui 15 milioni giornalieri, è diventato il luogo della rete nel quale le aziende non possono non essere.
Aprire una pagina ufficiale, però, è solo il primo passo di una strategia di comunicazione che punti a coinvolgere i lettori (clienti attuali o potenziali). Questa non può non essere accompagnata da una lettura costante dell’efficacia del proprio piano editoriale.
A differenza di Twitter, il network di Zuckerberg offre Insights, un pannello gratuito di analisi delle performance della propria pagina molto ricco, tanto che potrebbe risultare difficile capire quali siano le metriche più importanti.

Senza pretesa di esaustività (per una disamina dettagliata vi rimando al mio libro “Social media ROI“) condivido con voi quelle che mi sembrano le spie più interessanti da considerare per valutare le proprie performance su Facebook.
– Likers o Fan: è la metrica più pubblicizzata dalla piattaforma, ma non la più interessante. Indica il bacino potenziale di lettori, ma è noto che solo una minima parte dei contenuti di una pagina viene resa visibile nel news feed dei fan (nell’intorno del 10% secondo alcuni studi).
L’Edge Rank, l’oscuro algoritmo di indicizzazione di Facebook, li seleziona sulla base di molteplici parametri che tengono conto dell’interesse manifestato da ogni utente e dei comportamenti dei suoi amici. In estrema sintesi più sono stimolanti i contenuti prodotti e maggiore distribuzione avranno. Ecco perché l’obiettivo dovrebbe essere l’engagement più che l’aumento smisurato dei fan;
– Total Engagement rappresenta la quantità di tutte le interazioni che le attività sulla pagina sono riuscite a produrre. Si ottiene dalla somma algebrica di like, commenti, condivisioni e post spontanei dei lettori in bacheca. Un valore alto indica una pagina stimolante.
Un approfondimento ulteriore permette di capire il peso dei singoli addendi e quindi le attività maggiormente svolte dai lettori (ad esempio: la community tende più a commentare o a postare autonomamente?);
– Page Engagement: è un indice dato dal rapporto tra Total Engagement e Fan. Il valore risultante indica il numero di interazioni prodotte, mediamente, da ogni fan.
Quindi è un buon elemento per misurare la “capacità produttiva” dei fan e il loro grado di coinvolgimento;
– Engagement per post: è un indicatore del livello di apprezzamento dei contenuti della pagina. È dato dal rapporto tra l’engagement generato dai post pubblicati dall’amministratore (ossia la somma di like, commenti e condivisioni generati) e il numero di post scritti nel periodo considerato;
– Total Reach o Portata: evidenzia il numero delle persone, uniche, che hanno visto effettivamente i contenuti della pagina.
Si tratta di un’informazione cui solo l’amministratore della pagina può accedere, ma che è fondamentale per capire quanto lontano sono arrivati i post pubblicati.
Insights permette di capire quali sono stati i canali della portata: se organica (cioè gli utenti hanno letto la notizia sulla pagina), virale (se l’hanno appresa grazie ai propri amici) o a pagamento (frutto di un’attività promozionale).
Come nel caso delle 5 metriche più importanti di Twitter, che ho esplorato la volta scorsa, gli indicatori sopra analizzati acquistano maggiore significatività se letti considerando la variabile temporale. In questo modo si potrà capire se le performance stanno progredendo.

L’altra dimensione fondamentale per valutare strategicamente i propri risultati è quella della comparazione con il proprio mercato o pagine similari per numero di fan. Consci che Insights non permette di dare uno sguardo alle pagine dei competitor, in Blogmeter abbiamo sviluppato un tool ad hoc chiamato Social Analytics. Strumenti del genere sono utili a chi si occupa professionalmente dei social media per ottenere evidenze proprio dal confronto tra pagine diverse e dalla combinazione delle metriche di base.
Ad esempio è possible ottenere una “Engagement Map”, come quella in alto, che metta in relazione il numero di Fan (asse delle ascisse) con quello del Total Engagement (asse delle ordinate). L’ampiezza delle bolle rappresenta i post scritti dalla pagina. Niente di più immediato per capire il posizionamento rispetto ai concorrenti.
E voi quali delle tante metriche utilizzate per misurare le performance della vostra azienda su Facebook?
 


Le 5 metriche più importanti per migliorare le performance su Twitter

Twitter In Italia conta circa 3,8 milioni di visitatori mensili (dati Audiweb/Nielsen di gennaio 2013). La sua crescita è lenta, ma il clamore mediatico sta spingendo molte aziende a sperimentarne l’utilizzo.
Il problema è che il social network non offre automaticamente uno strumento nativo per analizzare le performance ottenute, a meno di non comprare della pubblicità. In questo caso, disponendo di almeno 15.000 euro per tre mesi, si riceve anche l’accesso ad un pannello di controllo dei soli risultati della specifica campagna acquistata.
Per fortuna esistono sul mercato strumenti di analisi che ad un costo minore permettono di verificare le proprie performance su Twitter e migliorare le attività di coinvolgimento degli utenti (da TweetReach a TwentyFeet, passando per Social Analytics di Blogmeter, che ho contribuito a creare).
Ma scegliere lo strumento è l’ultimo passo, non il primo, di un percorso teso a comprendere quali siano le metriche più importanti da tenere sott’occhio, evitando di farsi abbagliare da cruscotti scintillanti e carichi di indici spesso fuorvianti.
Senza pretesa di esaustività condivido con voi quelle che mi sembrano le spie più interessanti da considerare per valutare le proprie performance su Twitter.
– Follower: il numero dei “seguaci” è la metrica principale che Twitter espone, ma non la più illuminante. Per un social network che basa tutto sull’attimo e sul flusso, il bacino dei follower conta relativamente. Indica un bacino potenziale di lettori e nulla più. Su Twitter le possibilità che i tweet non vengano visti sono elevate, semplicemente perché all’atto della pubblicazione molti non erano online;
– Mentions: con questo termine Twitter intende tutte le citazioni ricevute dal nostro account, siano esse spontanee o derivanti da retweet e reply. Misurarle vuol dire avere idea del cosiddetto “engagement” o coinvolgimento generato. In sintesi quante reazioni ha generato un certo account.
Ancora meglio sarebbe avere strumenti di analisi semantica che indichino quali di quelle menzioni sono positive o negative. Non avendoli si può assumere ragionevolmente che almeno il numero di retweet rappresenti un segnale di adesione al proprio messaggio. Quindi avere uno strumento che indichi separatamente il dettaglio del numero di retweet e reply aiuterebbe;
– Impressions: misurano l’esposizione raggiunta dall’account ossia il numero di volte che i tweet provienienti dall’account o citanti lo stesso possono essere stati visti. Si tratta di un potenziale teorico dato dalla semplice moltiplicazione del numero di tweet per i follower cui sono destinati.
Ancora più interessante è capire lo scarto che c’è tra le impressioni determinate dai cinguettii prodotti dal profilo e quelle guadagnate grazie alle menzioni dell’account da parte di altri soggetti. In questo modo si potrà capire il grado di amplificazione dei messaggi creato dalla rete di follower;
– Unique Authors o Reach: se le mention offrono un’idea del volume di discussioni, il numero degli autori unici ci dice quante persone citano l’account. Questi due valori non coincidono quasi mai perché soprattutto quando si considerano periodi lunghi di analisi, uno stesso individuo può citare più volte un certo account. Si tratta di un fenomeno molto frequente durante gli eventi (si pensi ai commenti alle trasmissioni televisive) o durante esperienze ricorrenti (ad esempio i viaggi);
– Engagement per tweet: a differenza delle altre metriche questo è un indice composto dal rapporto tra engagement e numero di tweet prodotti. Il primo valore, generalmente, si fa coincidere con il numero totale di mention ricevute. Ma non è sbagliato aggiungere ad esso la quantità di “Favourites” ricevute dai tweet. Ultimamente è proprio Twitter che sta spingendo gli utenti, rendendo pubblica l’azione relativa, a prendere l’abitudine di premere la stellina dei preferiti per mostrare il proprio gradimento. Una sorta di like che può essere considerata una reazione positiva all’attività editoriale.
Un valore alto di Engagement per tweet indica tendenzialmente che i cinguettii dell’account raccolgono i favori del proprio pubblico di riferimento.
 

I cinque indicatori sopra analizzati acquistano maggiore significatività se letti in prospettiva, ovvero se vi si aggiunge la dimensione temporale. Il fattore tempo permette di comprendere se si stanno compiendo dei progressi o se le performance sono stagnanti. Inoltre lo storico dei dati dà anche modo di proiettare i risultati futuri e decidere i prossimi obiettivi da assegnare al team di lavoro (interno o esterno all’azienda).
Un’altra dimensione utilissima per valutare le proprie performance è quella del mercato. In definitiva risulta molto utile avere uno strumento che permette di confrontare le metriche di cui sopra rispetto ai risultati dei concorrenti. Questi possono essere diretti, quelli che offrono prodotti o servizi simili, o indiretti, che tendono a soddisfare lo stesso bisogno. Per i monopolisti potrebbe essere interessante studiare account che hanno le stesse dimensioni di follower, anche se operanti in mercati diversi.
Vi invito, dopo aver compreso a fondo il significato di ognuna di queste metriche di base, a metterle in relazione. Ad esempio creando una “Engagement Map”, come quella in alto, che metta in relazione il numero di follower (asse delle ascisse) con quello delle mentions (asse delle ordinate). Arricchendo il tutto con la quantità dei tweet scritti, rappresentato dall’ampiezza delle bolle. In questo modo sarà possibile visualizzare immediatamente il posizionamento rispetto ai competitor e monitorare l’evolvere della situazione nel tempo.
Quali sono gli indicatori che usate per misurare le performance della vostra azienda su Twitter?
 


Intervista a Alberto Barbera

Intervista a Alberto Barbera, Direttore della Mostra del Cinema di Venezia e del Museo Nazionale del Cinema: la vittoria dell’Oscar di “la Grande Bellezza”, di Paolo Sorrentino è l’occasione per una “chiacchierata” a 360 gradi sullo stato di salute del Cinema italiano.
Ascolta l’audio dell’intervista:


I disegni dei bambini per i genitori licenziati

L’appello dei figli degli operai ai vertici della Fivit Colombotto, fabbrica metalmecccanica di Collegno, alle porte di Torino, che vuole chiudere


Tutta la famiglia ha la bocca all’ingiù, così fanno i bambini quando devono disegnare la tristezza, così ha fatto anche Laura con la sua matita. Ed è triste pure il sole, là nel cielo spento. Sono tristi i papà che hanno perso il lavoro, sono tristi le mamme, i fratelli, le sorelle, la città, tutti.
Questa è la storia di una fabbrica che ha appena chiuso, una storia in fondo comune, dentro la maledetta crisi che fa sanguinare non solo l’economia ma le persone, soprattutto le più fragili. E c’è qualcosa di più fragile di un bambino? “Non licenziate i nostri papà”, scrivono i figli col pennarello, ingenui e perfetti, sui loro fogli bianchi.
Era una fabbrica di viti e bulloni per automobili ed elettrodomestici, la Fivit Colombotto di Collegno, alle porte di Torino, il paese famoso per il manicomio. Forse, ci sono luoghi dove il dolore preferisce fermarsi e rimanere. Bulloni, viti: oggetti di una quotidianità materiale e disarmante, oggetti antichi che l’uomo usa da sempre. Ma da qualche settimana, l’azienda ha abbassato le saracinesche.
Nel 2003 era stata assorbita dal gruppo lombardo Agrati, però le cose sono andate sempre peggio. La perdita del lavoro riguarda 82 operai, anzi 82 famiglie: e i bambini hanno deciso di prendere matite e colori per dire no, per chiedere che non finisca così.
C’è un video su YouTube, ci sono pagine su Facebook, perché almeno questo ha di bello il presente: anche se ha messo in crisi i bulloni e i papà, ha inventato nuovi modi per parlare con gli altri, subito, adesso, e per farsi sentire. “Fai tornare il sorriso alla mia famiglia”. I disegni dei bimbi di Collegno spiegano più di tanti trattati di sociologia ed economia il disagio di questo sventurato presente. Lì dentro urla un dolore quotidiano, chissà quante sere passate a parlare della crisi attorno a un tavolo, con i piccoli zitti ma attenti, spugne pronte ad assorbire ogni cosa, perché loro sono così. E poi, quel tutto è rotolato sulla carta, si è rovesciato sui fogli.
“Mio papino, non c’è bisogno che piangi di nascosto”, scrive una bambina che si firma solo “figlia di un dipendente”. “Anche se davanti a noi sorridi, io ho capito tutto, non lascerò mai la mano che stringi da 11 anni”. Nel disegno, il papà e la bimba si tengono, appunto, per mano, su un prato di fiori rossi, c’è anche un cuore appoggiato a terra. “Cattivi, papà perde il lavoro”, qui invece la famiglia è come chiusa dentro una casaprigione,
il segno è nero, la desolazione è un tratto semplice e netto.
I bambini ne avranno parlato tanto tra loro, forse con le maestre, con i nonni. E il racconto dà il senso di una comunità, è corale e dolente. Lorenzo ha disegnato un paio di mani e vorrebbe regalarle al papà, perché lui con quelle mani possa continuare a lavorare. C’è la fabbrica dentro una palla di vetro, è l’idea di Mauro e Michele, ed è un futuro che si legge anche troppo bene. C’è una cassetta degli attrezzi che non serve più, ci sono le viti disegnate con attenzione e perizia, non manca neppure una zigrinatura, si vede che questi piccoli le hanno viste, toccate.
“State rovinando i nostri sogni”, dice un cuore triste firmato da Giulia, 6 anni, e Francesco, 3 anni. “Non lasciate il mio papà senza lavoro”. C’è un mantello di stelle colorate, quasi assurdo nel buio. I bambini disegnano la fabbrica con precisione, non è il nemico ma una specie di casa, è lì che papà e mamma guadagnavano i soldi per mantenere la famiglia. E graffia il cuore il disegno con le croci sopra i vestiti, il cibo, l’automobile, i libri, cioè le cose che bisogna cancellare a una a una. Nell’uovo di Pasqua, uno di questi bimbi chiede di trovare il regalo del lavoro, anche lui è un figlio di qualche papà che piange da solo, anche se ci sono situazioni impossibili da nascondere, i bambini vedono tutto, sentono tutto, captano con le antenne sempre dritte.
Stasera i loro genitori, i dipendenti della Fivit Colombotto, parteciperanno a un consiglio comunale aperto, a Collegno, e poi andranno in strada con le fiaccole. “La nostra azienda da cinque anni non è più in cassa integrazione, ha ricevuto molte commesse, non c’era nessun bisogno di chiuderla “, dicono gli operai. L’attività è stata interrotta da un giorno all’altro, nessuno era davvero preparato, meno che mai i bambini. “I nostri genitori non sono numeri”. “Il lavoro è un diritto di tutti”. Laura, Sara, Gianluca, ognuno ha una domanda, una frase. Giulia ha disegnato il suo papà che torna a casa con la cassetta degli attrezzi in mano, invece Lara scrive: “Senza lavoro non si va da nessunaparte”.
Ci sono lacrimoni che scivolano dagli occhi, e facce che gridano. Pupille spalancate, il fumo si alza dai comignoli e dalle ciminiere, sopra i tetti di Collegno che non capisce e non lo merita. E c’è anche la realtà disegnata come finalmente dovrebbe essere: un papà che spinge sorridendo una carriola rossa, tra file di bulloni bene avvitati, tutto in ordine, tutto funzionante, un piccolo cuore che vola come una farfalla e la frase dentro un fumetto: “Io amo il mio lavoro”, ogni parola scritta con un colore diverso, “lavoro” in verde, “io amo” in rosso, non potrebbe essere altrimenti. Anche se

il disegno che fa più male, dopo quello del padre che piange da solo e quello delle bocche all’ingiù, è un cubitale e semplice “Perché?”, appoggiato nel vuoto. Il bambino che l’ha scritto forse avrà già imparato che cisono domande senza risposta.


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