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Ora i marchi si fanno il loro tiggì

Airbnb inaugura il bollettino delle buone notizie. Bormioli Rocco si racconta con le ricette.
News senza brand, il consumatore è immerso nelle loro storie

Non è solo sulle iniziative social che si gioca la partita della creatività e dell’audience tra i grandi marchi. Perché c’è chi, come il colosso online degli affitti tra privati AIRBNB, è arrivato a confezionarsi addirittura un telegiornale di buone notizie e diffonderlo su YouTube per creare intrattenimento intorno al brand.
La società dell’ospitalità in casa d’altri, che ha anche un magazine cartaceo, “Pineapple”, ha arruolato un ex mezzobusto della BBC, il giornalista Peter Sissons, organizzando uno studio simile a quello dei grandi notiziari, con il brand Airbnb visibile a inizio trasmissione, e poi ha lanciato una serie di programmi brevi  di 6 minuti e 30 secondi in tutto, dedicati a tre buone notizie raccontate con lo stile da tg di prima serata.
A orchestrare quello che – tradotto in italiano – è il “bollettino quotidiano della gentilezza”, è stata TBWA/Chiat/Day, l’agenzia online che si definisce una “disruption company”, di rottura, insomma. E la trasmissione, che viaggia nel solco della campagna di Airbnb “Is mankind” (“è l’umanità”), apre un canale di comunicazione alternativo per il sito che vuole sottolineare la normalità di viaggiare ni casa altrui e la gentilezza del mondo. “L’idea della news è molto nuova, qui il consumatore è immerso nel contenuto”, spiega Margherita Pagani, professore associato di digital marketing alla Emilton Business School (Francia) e alla Bocconi di Milano. “Penso alla differenza con il classico engagement, di tipo social: questo è un coinvolgimento di tipo ‘personale’ che va dritto al punto non per fare pubblicità ma incollare lo spettatore al racconto”:
Il Daily kindness bulettin”vuole raccontare argomenti felici, che non fanno notizia”, dice il conduttore a inizio trasmissione. E la frase non potrebbe essere più azzeccata viste le poche migliaia di like contro gli oltre 2 milioni di contatti della campagna del marchio Is Mankind. Ma la novità è che tra le storie a lieto fine del tiggì, il marchio Airbnb resta in disparte, un po’ come gli sponsor dei telefilm o delle partite di calcio a inizio trasmissione: “in questo modo diventa ancora più parte del racconto, diventa ancora più familiare”, aggiunge Pagani. “Gli studi effettuati fino ad oggi nel progetto di ricerca sulla Brand Love di Bocconi mostrano la tendenza delle aziende ad essere social, ma anche a definire contatti diretti. Qui l’azienda fa leva sulle notizie felici anche se poi l’ambito è molto più ampio, perché il business riguarda l’ospitalità. Il massimo è combinare i due aspetti: social e personal”.
Che per i marchi sia fondamentale lavorare intorno ai “pilastri” valoriali oltre che sul prodotto lo sottolinea anche Alberto Guglianda, ceo di TG Adv che per l’italiana Bormioli Rocco ha chiamato, fra gli altri, un’ex comparsa di un tiggì, seppure satirico, come Maddalena Corvaglia. L’idea è di raccontare ricette e promuovere esperienze intorno al best seller, ovvero i vasetti per le conserve. Quattro stagioni, protagonisti di un progetto di riposizionamento che coinvolge 11 testate digitali, celebrità e blogger, in collaborazione con l’agenzia Personal Media.
“Per noi si tratta di un evento  nell’evento, visti anche i touch point a Expo Milano”, spiega il capo di Tg Adv. “Quello digitale è un ambiente che permette di lavorare sulla quotidianità. In questo progetto le caratteristiche intrinseche del brand si sposano con quelle del personaggio. Nel caso della Corvaglia, ad esempio, trattasi di una donna che ha poco tempo, mamma, e che non è una cuoca esperta”. Su ButtaLaPasta.it e Youtube i video raccontano tutto questo insieme ai prodotti e alle ricette: dalla marmellata artigianale, all’aperitivo in casa, fino alla colazione della domenica in famiglia.
L’iniziativa di Airbnb? “Anche qui si vuole sottolineare un topic principale, la felicità”, commenta Gugliada. “In se non è un vero Tg, ma si raccontano le notizie attraverso un pilastro del brand. Più che un format per un nuovo posizionamento, l’obiettivo è di far parlare di se. Nel mondo dell’ospitalità stanno arrivando tanti competitor. Il marchio esce dal concetto funzionale per entrare in quello relazionale”:
Se il tg Airbnb arriverà in Italia è presto per dirlo. La società, che ha nella Penisola il suo terzo mercato ed è celebre per l’immediatezza delle risposte alle prenotazioni, non ha rilasciato dichiarazioni in merito.




NEGOZIO LEGGERO: LA SPESA CHE NON PESA

Si arriva muniti del proprio barattolo del caffè o del vuoto del detersivo per i piatti da Negozio Leggero. Se ve lo siete dimenticati però, c’è sempre la possibilità di acquistare a pochi centesimi un contenitore, che poi ovviamente riutilizzerete le volte successive. Da Negozio Leggero non troverete né scatole di cartone né involucri di plastica dai colori ammalianti e dalla forma accattivante.

Come dice il nome, Negozio Leggero, prevede di farvi tornare a casa con tutto ciò di cui avete bisogno per preparare ottime cene, per pulire la casa e per curare il corpo, senza appesantirvi dell’inutile imballaggio che, appena finito di consumare il prodotto, rimane lì, inerte, ad accumularsi insieme al resto della spazzatura.

Da Negozio Leggero la pasta, così come i legumi, è sfusa, contenuta all’interno di profonde vaschette circolari e acquistabile a peso. Il caffè viene macinato sul posto. I detersivi per la casa vengono erogati alla spina da piccole taniche, mentre i cosmetici sono ridotti a capsule da reinserire dentro le proprie mini trousse. Tutto è a vista, ogni prodotto con i propri colori e forme.

Qualche nonna – la mia è tra quelle! – non ci troverà nulla di strano in questa modalità di vendita e di consumo: fino a cinquant’anni fa così si acquistava in qualsivoglia drogheria. Molte di quelle nonne tornano ora entusiaste, ma insieme con loro non mancano le giovani madri, piuttosto che gli universitari che abitano nel quartiere.
Siamo a Torino, in una zona popolare del centro. Sono pochi i mini-market ancora attivi. Apre i battenti qui Negozio Leggero, in via Napione 37. Non soltanto una nuova attività commerciale, ma un modo per riattivare il concetto di negozio di prossimità, attraverso la diffusione di una nuova (specie per i più giovani) filosofia di consumo.
L’idea nasce circa un anno fa all’interno dell’ente di ricerca scientifica e ambientale Ecologos, impegnato da tempo a promuovere progetti in grado di sostenere comportamenti responsabili, il cui approccio può essere sintetizzato nel tentativo di non cercare di trovare soluzioni in coda al problema ma analizzare il processo che lo genera e risolverlo alla fonte. Quando il problema da affrontare è la riduzione dei rifiuti da imballaggio, la vendita sfusa può essere un’ottima soluzione, perché eliminando l’inutile confezione con cui si porta a casa il contenuto, possiamo risparmiare l’energia, l’acqua e le emissioni di CO2 che servono per produrlo.
Su queste basi, sono nati il progetto “Detersivi self-service” – al momento presente in Piemonte, Lazio e Umbria in alcuni supermercati della grande distribuzione – “Fontana leggera” – che prevede un’erogazione di acqua frizzante dalle fontanelle comunali – e, infine, Negozio Leggero, per la cui realizzazione Ecologos collabora con la cooperativa Rinova.
Negozio Leggero rappresenta un momento di verifica dell’effettivo cambiamento di mentalità da parte della gente. Il supermercato, luogo di passaggio e di grande affluenza, è un ambiente difficile dove capire l’incidenza di un progetto su un dato comportamento, mentre il negozio di prossimità, dedicato a promuovere esclusivamente un dato tipo di acquisto è maggiormente esposto al giudizio e alla sensibilità delle persone”. A raccontarci i retroscena del progetto è Lidia Signori, ricercatrice presso Ecologos. Ci conferma il successo dell’iniziativa e senza celare una meritata soddisfazione ci parla anche dell’idea di trasformare questo primo negozio sperimentale in un franchising da diffondere in tutta Italia. Un business che porta con sé una visione: “Per noi Negozio leggero è innanzitutto un progetto culturale che intende promuovere un modo di consumare diverso, più consapevole e responsabile. Qui i prodotti vengono selezionati sulla base di produzioni a km 0, senza prescindere da varietà e scelta, e desideriamo che le persone presenti in negozio siano preparate sui prodotti che vengono venduti, sappiano raccontarne la provenienza e le caratteristiche, stimolando anche la curiosità e l’attenzione di chi si ferma per comprare. Ci piace che il negozio non sia fai-da-te ma che il fatto di essere serviti sia anche occasione per saperne di più“.
Un negozio che oltre alla conoscenza del prodotto non dimentica neanche la questione prezzo. Dove la qualità dell’offerta infatti è pari, se non superiore, a qualsiasi altro mini-market o bio-shop, il salto dell’imballaggio nella filiera produttiva garantisce anche un risparmio economico non marginale per chiunque scelga Negozio leggero. Si va dal 30 al 50% di spesa in meno.
Negozio, leggero per le braccia ma anche per le tasche, dunque.




Il tuo piano marketing è inadeguato per 5 ragioni

Scopri le 5 ragioni per cui devi necessariamente cambiare Il tuo piano marketing

#1 Il paziente non è più quello di prima
Patient access: potenza del consumatore, quando il consumatore si informa su internet.
La trasformazione del paziente è in atto ed è strettamente correlata al nuovo stile del consumatore.
Come preconizzava Giampaolo Fabris, il consumatore – inteso come colui che consuma il bene acquisito – non esiste più. I beni materiali, oggi, non si comprano perché quelli precedenti sono finiti o consumati. Si compra, invece, per altri bisogni: dalla necessità di essere o sentirsi integrati in un gruppo, a quella di soddisfare bisogni più ingenui o profondi.
Soprattutto ad essere cambiato è il nostro modo di acquistare servizi. Nel corso di un paio di generazioni, infatti, si sono sviluppate modalità di scelta decisamente meno passive, dalla scelta di servizi assicurativi e bancaria, ma anche per la scelta di un viaggio.
Il benessere ha trasformato i bisogni, tanto da attestare la cultura dell’essere sempre nelle migliori condizioni.
Il paziente è informato, vuole partecipare alla diagnosi, vuole spiegazioni e pretende attenzioni in quanto persona.
In pratica, le compresse non bastano più, come puoi leggere nell’articolo: Radical changes needed in pharmaceutical industry to improve patient outcomes, says KPMG.
Il passaggio di market access che poco fa sembrava innovativo si è dimostrato in breve vecchio, orientato al prodotto. Non è l’accesso al mercato ad essere il focus principale della azienda, ma l’accesso al paziente. L’obiettivo principale è che il paziente abbia accesso alle informazioni che gli consentano di scegliere, oggettivamente, la proposta di cura dell’azienda.
Chiunque abbia scritto un marketing plan che includa progetti di accesso al mercato li deve rivedere.
Un piano di successo deve essere orientato al paziente. Il paziente non consuma farmaci, sceglie consapevolmente. Per questo un buon marketing plan deve prevedere la relazione.
#2 Il medico non è più quello di prima
L’azienda che parla di difficoltà a raggiungere il medico e di diminuzione della durata della visita media perde di vista le cause più profonde che hanno portato le aziende ad uno iato nei confronti del medico.
Le aziende hanno sempre parlato al medico e non parlato con il medico, hanno richiesto ed imposto agli ISF di presentare i prodotti in base alle caratteristiche in termini di vantaggi-benefici. Un po’ come a dire: “Il mio prodotto è più efficace e più tollerabile”. Una traduzione di “lava più bianco”.
Mantenendo la metafora del bucato, il medico penserebbe: “Se tutti lavano meglio e nessuno lava meglio a basse temperature o con meno acqua, a chi dovrei dare retta?”.
Meglio informarsi altrove. Il medico ascolta l’ISF, ci discute, ma magari pensa ad altro o – nella migliore delle ipotesi – ritiene chel’ISF stia esagerando.
Per convincerlo non bastano più gli studi clinici. Secondo le più recenti ricerche, il medico è influenzato da internet e dai colleghi.
In un piccolo esperimento, senza basi scientifiche condotto nella nostra rete, abbiamo riscontrato che solo adoperando mezzi ben noti e non certo nuovi del “paziente al centro” i risultati sono stati eccellenti.
Insegnare agli ISF a parlare con il medico e non al medico, però, richiede che i progetti di comunicazioni inseriti nei piani marketing siano rivisti. I visual di 16 pagine non lo permettono, e forse non lo permettono nemmeno visual di 8 pagine. La comunicazione deve passare da esperienze, che vanno presentate al medico come proposte vantaggiose per il paziente.
Qualunque piano marketing attuale che usi mezzi che non prevedano una modalità relazionale con il medico o che non includa servizi utili al paziente è destinato ad avere costi non proporzionali ai benefici.
Il piano marketing e quello vendite devono concentrarsi su una nuova leva, la più vecchia di tutti: il benessere del paziente. Probabilmente, oggi, il canale più semplice è l’insieme dei servizi che il medico può offrire al suo cliente.
#3 Le farmacie non sono più quelle di prima
La maggior parte dei progetti di marketing che ho modo di vedere sono incredibilmente privi di un riferimento reale alle farmacie.
Se è vero che queste sono in crisi e che hanno perso il 20% della marginalità, secondo un recente studio pubblicato in occasione di Cosmofarma, è anche vero che sono sempre più integrate nella filiera. Aiutarle a svolgere il proprio lavoro al banco di supporto, contatto, promozione e comunicazione è prezioso.
Qualunque patologia stiamo trattando – dal diabete alla aftosi secondaria, alla chemioterapia – il farmacista può offrire un contributo di valore.
Basta uscire dalla logica della logistica, della distribuzione e dello sconto. Non è facile, ma si può fare.
Quale ruolo attribuire alla farmacia non è facile da dire, le condizioni dei prodotti sono completamente diverse, ma noi in Merqurio abbiamo verificato – sulla base di esperienze concrete – l’importanza della formazione diretta in farmacia.
Il piano marketing che non includa le farmacie – ed i farmacisti stessi – nella comunicazione e promozione è carente e destinato a non ottenere il successo sperato.
Si può parlare agli operatori professionali ed al consumatore, senza passare dal farmacista, che di fatto è la cerniera tra le parti?
#4 il mercato non è più quello di prima
Il mercato del Merger and Acquisition (M&A) sta cambiamo completamente il perimetro delle aziende.
Questo mi sembra così evidente che penso si possa esemplificare con il caso Meda. Questa, comprando il gruppo Rottapharm|Madaus si trova ad avere un listino etico in parte raddoppiato o triplicato, con una linea solo farmacie e GDO che prima non aveva ed un baricentro spostato in Italia. Quindi Meda si trova davanti ad almeno tre sfide: massimizzazione dei risultati del listino ed eventuale cessione dei marchi sovrapposti; una nuova dinamica promozionale che passa per la TV, la carta stampata la vendita in farmacia con rete agenziale e prodotti da consumo per la GDO; infine ilbaricentro in un nuovo Paese, che comporta un sicuro spostamento del metacentro decisionale.
Tale esempio deve, però, interessare tutti i player degli stessi mercati, in quanto sono tutti influenzati dal cambiamento. Tutti i concorrenti – e tutti coloro che operano singolarmente o per linee di prodotti – saranno influenzati da questa acquisizione. In considerazione del fatto che il 2014 risulta l’anno con maggiori M&A nel settore farmaceutico e considerando l’impatto che ciò avrà nel settore,ogni piano marketing sarà assolutamente da rivedere. Per tutti e senza eccezioni.
Promuovere nel momento in cui gli altri disinvestono ha enormi vantaggi. Ma va fatto subito. Occorre trovare modelli di promozione che partano già dal mese prossimo ed al massimo della velocità. Solo così si possono conquistare nuove quote. Se il piano risulta vecchio e sarà adattato in ritardo sarà inutile.
Agire presto è meglio che agire bene. Rivedere i piani con chi è in grado di supportarti in azioni efficaci e tempestive – ab jetzt – farà la differenza.
#5 Gli strumenti di un piano marketing non sono più quelli di prima
Sono tutti d’accordo, almeno nel proprio animo, anche se nelle riunioni qualcuno prova a cantare fuori dal coro che le attività promozionali più efficaci siano gli ISF ed i congressi.
Ma, senza considerare se questa opinione sia vera o meno, in mancanza di questi mezzi/strumenti, cosa faccio? Per qualcuno esiste il nulla oltre l’informazione diretta degli ISF, quindi ci si può spingere addirittura fino al marketing diretto postale ed alle DEM online che puntano alla scheda tecnica.
Purtroppo non è così: la cassetta degli attrezzi del marketing si è espansa, si è evoluta, è cresciuta in quantità e modelli. Se non li conosci e non li sai adoperare sono problemi tuoi, in quanto i tuoi colleghi e soprattutto i tuoi competitor iniziano a saperlo fare ed a maneggiarli abbastanza bene.
Nell’ultimo anno abbiamo organizzato, con grande successo, diversi corsi di formazione per il management delle aziende farmaceutiche. Un grande successo “di pubblico e di critica”, poiché sono stati corsi pratici, improntati al cosa fare oggi.
Sono a volte amareggiato, sinceramente, nel sentire i manager delle aziende farmaceutiche che vengono da noi e che andando via dicono “non mi aspettavo di trovare tutto questo” oppure “non pensavo fosse possibile fare tutto questo”. Penso a quanto perdiamo in termini di efficacia solo per il fatto che manca la conoscenza dei mezzi.
Che solo l’8% dell’intero budget della comunicazione sia dedicato al digitale significa che il management non ha ancora un’idea chiara di quanto esso contenga. È digitale un sito internet di prodotto chiuso al pubblico, ma risulta inutile perché non visitato o non è aggiornato. È digitale una DEM che punta al PDF della scheda tecnica.
Il piano marketing va aggiornato con l’aiuto della nuova figura del Digital Manager,con l’aiuto di agenzie e società che innovano, propongono soluzioni e – soprattutto – che risolvono. Non chiedete solo case history, chiedete anche competenze singole e del team, chiedete esperienza, capacità, assett. Solo poche aziende hanno investito in assett e solo poche, quindi, hanno nel proprio interno il patrimonio necessario da condividere con il marketing farmaceutico dell’azienda farmaceutica.
Ora dovresti capire che il tuo piano marketing è vecchio anche se lo hai scritto sei mesi fa. Allora va riscritto. Ma ti do un consiglio. Non lo riscrivere ancora, continuerebbe a risultare vecchio. Prima parti dalle nuove basi e poi verifica se si possono adoperare modelli diversi, alternativi ed innovativi.
Con la giusta conoscenza il piano marketing verrà facilmente fuori e sarà nuovo ed efficace.




Csr: il 90% dei Ceo vuole integrare la sostenibilita'

Un’indagine condotta dal Coca Cola Enterprisesmostra che 9 Ceo su 10 ritengono che le aziende dovrebbero integrare obiettivi di sostenibilità nel loro business e che i leader del futuro sono molto determinati nel mettere in pratica obiettivi di Csr ben definiti.

L’INDAGINE – Si tratta di un sondaggio che ha coinvolto in tutto 150 Ceo, 150 studenti MBA o neolaureati europei. I risultati sono stati presentati al“Future for Sustainability Summit: Enhancing the Value of Business” di Londra. I DATI – Ebbene, il 90% dei leader di oggi e di domani sono convinti che un business di successo dovrebbe combinare obiettivi di profitto e obiettivi sociali, un mix che determina di fatto la sopravvivenza stessa del business, data la sua importanza per impiegati e clienti.
Il Ceo di Coca Cola, John F. Brock, ha commentato: “Le aziende che guardano in avanti si stanno già focalizzando su come bilanciare profitti e buoni propositi e c’è una crescente aspettativa nei confronti di queste azioni. I leader di oggi giocano un ruolo fondamentale nell’integrare questioni ambientali e sociali nelle decisioni strategiche, ma le generazioni future hanno persino ambizioni maggiori. E’ chiaro che tali questioni avranno un’importanza sempre crescente negli anni a venire”.

A CHE PUNTO SIAMO? – Secondo l’indagine, comunque, la maggior parte dei Ceo di oggi ritengono che la loro azienda è a buon punto nella costruzione della sua leadership ambientale. Peccato però che solo il 19% dei leader di domani invece creda sia così.

Se ci concentrassimo sul caso della Coca Cola poi avremmo parecchio da discutere. L’azienda sta tentando in tutti i modi – soprattutto attraverso il marketing – di porsi come azienda attenta alla salute del consumatore e all’ambiente.
Basti pensare alla presa di posizione contro l’obesità, al lancio di una bevanda con meno zuccheri e all’adozione del semaforo che ne segnala la presenza massiccia. Peccato che di salutare la Coca Cola abbia poco e che certe mosse profumino troppo di greenwashing. E’ il momento della svolta?




Csr: Virgin dice no ai delfini in cattivita', ma collabora coi delfinari

Nessun cetaceo libero va ridotto in cattività, parola di Virgin Holidays. Richard Brenson, l’illuminato Ceo di Virgin, quello delle ferie illimitate per i dipendenti, annuncia che da ora in poi esigerà che i suoi partner e fornitori non catturino cetacei selvatici per l’industria dell’intrattenimento di acquari e delfinari.
E sono molte le aziende che lavorano con Virgin ad aver sottoscritto l’impegno, promettendo di interrompere la fornitura di cetacei selvatici al settore dell’intrattenimento. In questo modo, l’azienda spera di eliminare la domanda di balene e delfini allo stato selvatico.
La notizia arriva a ridosso dell’annuale massacro dei delfini di Taiji, la baia giapponese in cui i cetacei vengono catturati per essere venduti a caro prezzo. Gli individui non selezionati, i meno promettenti e ‘carini’, vengono uccisi per il mercato della carne.

In un post sul suo blog personale, Branson spiega:

“Sento che si tratta davvero di uno sviluppo molto positivo per l’industria. Anche se molti dei nostri fornitori non hanno preso balene e delfini in natura per anni, Virgin Pledge cerca di innescare un cambiamento così tanto necessario per porre fine in modo efficace a una pratica brutale che continua ancora oggi. Continueremo anche a sostenere altre cause che promuovono la conservazione degli oceani, come la fine della caccia e della pesca non regolamentata, o la creazione di più aree marine protette”.

Virgin vorrebbe anche che i cetacei nati e cresciuti in cattività possano essere rimessi in libertà. Per arrivare a questo risultato, lontano a venire almeno per ora, sta collaborando con enti non-profit, attivisti, scienziati, operatori turistici, e, naturalmente, proprio con coloro che gestiscono parchi marini e acquari.
Questo sforzo, però, è stato ampiamente criticato dalle associazioni, convinte che Vergin avrebbe dovuto fare di più terminando del tutto la collaborazione con acquari e parchi marini che confinano gli animali in cattività.
Whale and Dolphin Conservation, Born Free Foundation, Animal Welfare Institute, Orca Research Trust e World Cetacean Alliance hanno rilasciato un comunicato congiunto per esprimere la propria delusione:

“Siamo delusi che Vergin, dopo aver mosso i primi passi per affrontare l’importante questione dei cetacei in cattività, non abbia dimostrato la leadership necessaria per contribuire a porre fine a questa forma di sfruttamento degli animali in cattività e alla loro sofferenza. L’atteggiamento delle persone nei confronti di balene e delfini in cattività per l’intrattenimento sta cambiando rapidamente. Noi crediamo che per Vergin, e per l’industria dei viaggi più in generale, sarà sempre più difficile sostenere SeaWorld e altri delfinari”.

Insomma, ci si aspettava di più. Anche se Brenson ha tenuto fedele alla sua promessa dello scorso Febbraio, cioè quella di annunciare questo impegno entro Settembre, in molti speravano che i risultati di questo processo lungo sei mesi sarebbero stati di più vasta portata.
La maggior parte delle balene e dei delfini attualmente detenuti nelle strutture di intrattenimento, infatti, sono già allevati in cattività. E, soprattutto, Virgin continuerà a collaborare con attrazioni che utilizzano i mammiferi marini, come SeaWorld. In pratica perpetuando questa industria della prigionia, nonostante gli annunci.