Sostenibilità: 8 grandi sfide di Csr per le Pmi

Quali sono le sfide specifiche per le PMI in tema di sostenbilità? A fare il punto della situazione è un report del Network for Business Sustainability, un’organizzazione no-profit canadese impegnata nella creazione di una rete di esperti accademici internazionali e dirigenti d’azienda impegnati nella Csr.

Quest’anno, il suo Consiglio per le PMI si è focalizzato, con il suo report “SME Sustainability Challenges 2013”, sull’importanza delle interazioni con la società, che coinvolgono i rapporti di un’azienda con gli attori della sua catena del valore, i politici, i ricercatori, le ONG e i clienti. Per le PMI, il successo nella sostenibilità dipende dal grado di collaborazione e dalla qualità di queste interazioni.
Per questo la relazione illustra le otto principali sfide di sostenibilità delle PMI nel 2013. Queste sfide riflettono due preoccupazioni principali: migliorare le performance organizzative e migliorare l’integrazione nella società. Per questo devono trovare un equilibrio tra i pilastri dello sviluppo sostenibile, l’innovazione, e la business continuity. Inoltre, il loro obiettivo deve essere quello di costruire ponti tra le PMI e i Governi per coordinare gli sforzi di sostenibilità, migliorare la comunicazione e coinvolgere il pubblico, cioè i loro clienti.
Le sfide individuate nel report sono state definite da un consiglio composto da amministratori di piccole e medie imprese, nonché da rappresentanti di organizzazioni pubbliche e governative. Ogni partecipante rappresenta un settore diverso ed è riconosciuto per il suo impegno nella sostenibilità. Le seguenti otto domande, in ordine di importanza, definiscono le grandi sfide di sostenibilità per le PMI nel 2013:
1) Come possono gli investimenti delle PMI in materia di sostenibilità portare concreti risultati finanziari?
2) Come promuovere la creazione di regole di sostenibilità coerenti ed efficaci?
3) Come innovare per mantenere la competitività e contribuire alla sostenibilità?
4) Come sensibilizzare l’opinione pubblica sui tre pilastri della sostenibilità?
5) Come incorporare le azioni di sostenibilità nella loro cultura organizzativa?
6) Come preparare la successione d’impresa e garantire continuità?
7) Come possono le PMI manifatturiere coinvolgere i rivenditori nella promozione dei loro prodotti sostenibili?
8) Come aumentare la competitività contro i chi pratica greenwashing?
Per leggere il report clicca qui


Oltre la CSR: l’impresa come laboratorio di social innovation

Tra le imprese che hanno già sviluppato azioni e processi maturi nel proprio percorso di responsabilità sociale si affaccia una nuova sfida, una sfida in grado di ridefinire il modello di creazione di valore mediante un’applicazione efficace e sostenibile di una nuova idea di prodotto, servizio, modello: trasformarsi in promotori, attori e protagonisti di pratiche di Social Innovation. La domanda è semplice: come può un’impresa dare risposta a bisogni sociali emergenti in modo innovativo, creando al contempo valore (non necessariamente economico) anche per se stessa? Come può un’impresa collocarsi come attore di sviluppo del contesto sociale in cui opera utilizzando il proprio business come leva per la creazione di nuove relazioni, collaborazioni e partnership e per proporre una risposta efficace (e redditiva) a istanze della collettività? Ovvero, l’impresa può, attraverso la propria value proposition, essere promotrice di un’offerta innovativa che soddisfi una domanda proveniente dalla collettività?
Due premesse, due dati di fatto liberi da ogni interpretazione morale (e moralistica). La prima: lo stato sociale è in fase di contrazione, e anche il terzo settore, che in Italia è stato per anni efficace supplente di alcune carenze del welfare, non vive la sua epoca migliore. La seconda: la crisi (chiamiamola così, per brevità) sta sollevando nuovi bisogni sociali e rafforzando, consolidandoli, i vecchi.
Questo periodo storico ha le credenziali per collocarsi come fertile laboratorio di innovazione sociale. E le imprese responsabili non possono permettersi di non sedersi a questo tavolo, non possono permettersi che il know how di cui sono portatrici sia tagliato fuori. Anche perché proprio da questo tema passano le future sfide di un vantaggio competitivo (o meglio, di un vantaggio collaborativo) per le imprese stesse. Forse è giunto il momento di avviare, per le imprese, un tentativo di riduzione delle dicotomie che da sempre le caratterizzano (capitale e lavoro, ambiente e salute, economia ed ecologia) per abbattere un capitalismo che cade a pezzi e ricostruire un nuovo modello economico, sostenibile, ad un tempo economico e sociale.
E proprio in questa ultima affermazione passa operativamente il tentativo per le imprese di inserirsi in tale processo di innovazione: attraverso azioni ad un tempo economiche e sociali.
Passare da un’ottica di giving tipica di un certo modo di concepire la CSR, ad un’ottica di co progettazione, di condivisione delle azioni e dei fini tra mondo profit e rappresentanti dei bisogni sociali, in grado di conciliare le esigenze di attori estremamente diversi tra loro in quanto a profilo culturale, metodologico e valoriale. La complementarietà delle risorse dei partner offre l’opportunità di generare soluzioni win win, in cui entrambe le parti perseguono i propri obiettivi sfruttando i vantaggi della collaborazione e ragionando in termini di innovazione.
Come può un’impresa trasformare operativamente la propria strategia di CSR in una strategia di innovazione sociale? Gli approcci possono essere due: il primo è legato alla domanda.
L’impresa può farsi veicolo e amplificatore di idee imprenditoriali sostenibili coerenti con la propria catena del valore, per rafforzarla e arricchirla. Una nuova strategia di valore di un’impresa deve essere aperta all’ascolto e in grado di intercettare i promotori di un’innovazione sociale coerente con il business. La completa e reale integrazione di processi e modelli sostenibili nell’attività dell’impresa ha un approccio sartoriale, naturalmente personalizzato alle peculiarità della missione. Si tratta di un rovesciamento dell’approccio di CSR che richiede un ripensamento del modo di lavorare delle direzioni aziendali, d’ora in avanti aperte a un’osmosi collaborativa con l’ambiente esterno. “This framework has the potential to reverse the typical role of CSR, currently viewed as a way to “give back” to communities that a business operates in. What happens when you reverse that model and place these investments at the front-end of your corporate innovation strategy? Can you drive both new opportunities and new behavior within your organization while achieving social impact?”, ha scritto recentemente Robert Fabricant sull’Harvard Business Review.
Alcuni esempi: Pepsi ha innovato il proprio modello di corporate giving, invitando innovatori a sottoporre idee in 6 categorie e finanziando fino a 32 idee al mese, anche rinunciando agli spazi pubblicitari acquistati in occasione del Super Bowl, Marks and Spencer ha strutturato un fondo di investimento (del valore di 50 milioni di sterline in 5 anni, destinati a 200 fornitori e 10.000 agricoltori) per promuovere innovazione sostenibile lungo tutta la catena di fornitura.
Il secondo approccio è legato all’offerta. Come e cosa può essere messo a disposizione dall’impresa, a costi marginali ridotti, per soddisfare un bisogno sociale in modo più efficace rispetto alle alternative esistenti? Il presupposto è semplice: l’azienda prospera se il territorio in cui opera prospera (e viceversa). L’intuizione dello Shared Value può essere d’aiuto: mappando la catena del valore di un’impresa (asset, processi, attività già in essere presso l’impresa) è possibile identificare le aree ad alta potenzialità di generazione di valore condiviso, utile all’azienda e al contesto in cui opera. Si tratta di lasciarsi guidare dall’efficienza (utilizzando quindi tutti gli asset al massimo delle possibilità), di aprirsi ad una nuova cultura d’impresa, trasparente e collaborativa, in grado di trasformare l’impresa in interlocutore credibile in tema di innovazione sociale. Identificare e mettere a disposizione le proprie leve di valore (come il know how, l’infrastruttura, i sistemi di gestione) a partner in grado di soddisfare bisogni sociali, uscendo dalla logica bidirezionale della CSR (impresa vs. stakeholder) ed entrando in una logica multidirezionale (impresa, partner, stakeholder, società), reticolare. Il processo di ricerca e sviluppo di un’impresa è un utile esempio, per quanto semplificato: abbracciare nell’azienda una strategia di innovazione sociale, significa trasformare le attività R&D da attività tipicamente interne a processi aperti e informali, che attivano intelligenza collettiva ed economie collaborative. Nike ha trasformato la propria Direzione CSR in “Nike Sustainable Business and Innovation”, predisponendo un Innovation Lab che investe in tecnologie sostenibili di rottura, con un approccio open, per i settori in cui Nike stessa opera. Un’ulteriore esempio ad alto potenziale è offerta dall’interazione strutturata e innovativa con i fornitori che compongono la supply chain, per rafforzare ad un tempo le attività di impresa, permettendo una crescita organica dei fornitori stessi, che a loro volta, incrementando la propria competitività e rilevanza sociale, possono farsi portatori di soluzioni innovative nei contesti di riferimento.
Si tratta di un cambiamento culturale forte, che poggia sulle spalle della responsabilità sociale, per uscire da una logica di protezione degli asset (operativi, reputazionali, etc.) ed entrare in un nuovo modello di vera creazione di valore. Si tratta di un cambiamento forse ineluttabile per le imprese che aspirano a mantenere una leadership nelle pratiche di sostenibilità come strumento di competitività: un nuovo punto di vista, un nuovo modo di osservare i bisogni, sociali ed economici, e di interpretare il ruolo dell’impresa, rileggendo la propria identità (ottimizzando tutti gli strumenti già a disposizione), per offrire risposte condivise e sostenibili.


CSR: quali azioni intraprendere per integrarla davvero nelle strategie aziendali?

Le aziende avvertono oggi una responsabilità ancora più forte verso il territorio, la comunità e le persone e sono proiettate verso l’obiettivo di uno sviluppo economico e sociale che sia duraturo e generi benefici diffusi. Per questo è nato il Sodalitas Stakeholder Forum: per promuovere l’incontro e il dialogo tra le imprese e gli stakeholder che avvertono la responsabilità di ricostruire la coesione sociale nel nostro Paese.
Come spiega infatti Jan Noterdaeme, del Csr Europe, il Network promosso dalla Commissione Europea di cui Fondazione Sodalitas è rappresentante per l’Italia, “impresa e società devono collaborare per trovare soluzioni innovative a favore della coesione sociale. In particolare le imprese devono cooperare in modo più efficace con gli stakeholder per integrare davvero la Responsabilità Sociale nelle operazioni e nelle strategie”. Questo è anche l’obiettivo di fondo della nuova Strategia Europea sulla Csr.
Ma quali sono le azioni che le aziende dovrebbero intraprendere per integrare in modo più efficace la Responsabilità Sociale nelle loro strategie? Lo abbiamo chieste ad alcune delle aziende che più investano in CSR.
Alessandra Viscovi, Direttore Generale di Etica Sgr. “Come investitori responsabili cerchiamo di stimolare le aziende attraverso il dialogo, la partecipazione alle assemblee e la votazione di mozioni con l’obiettivo di indirizzare le società verso pratiche più attente alla sostenibilità e al rispetto di tutti gli stakeholder. Siamo infatti convinti che le aziende che valutano gli impatti delle proprie azioni nei confronti di tutti i portatori di interesse siano quelle che puntano realmente al futuro e non solo a massimizzare gli utili nel brevissimo periodo. Penso che un passo importante per comprendere il valore strategico di questo approccio possa essere quello della rendicontazione. Etica Sgr ha scelto da ormai tre anni di rendicontare attraverso un Bilancio Integrato, che unisce la parte civilistica con i principali risultati economici della società e il report di sostenibilità redatto secondo le linee guida del “GRI – Global Reporting Initiative” (versione GRI- G3). Una soluzione che l’anno scorso ha portato la Sgr a ottenere l’importante riconoscimento dell’Oscar di Bilancio”.
Federico Garcea, Amministratore delegato Treedom. “Le strategie di CSR di maggior successo sono quelle che nascono dall’ascolto e dalla comprensione delle richieste e dei bisogni della comunità aziendale e un’efficace comunicazione e condivisione agli stakeholder. La fase interna deve basarsi su un coordinamento dei bisogni interni, lasciando libera iniziativa agli impiegati di investire il loro tempo-lavoro in azioni o attività concrete di responsabilità sociale e ambientale. Queste, che siano donazioni o azioni collettive, devono contribuire a creare un forte senso di comunità interna. Molto efficace in questo senso il volontariato d’impresa, che permette d’investire il know-how aziendale o personale in azioni concrete con immediato senso di partecipazione. Queste attività devono completarsi con una particolare attenzione alla comunicazione esterna, che riesca a far passare agli stakeholder quanto le attività di CSR non siano state solamente azioni di una piccola unità interna ma la realizzazione delle richieste condivise e della mission aziendale”.
Susanna Galli, CSR Manager Novamont. “Come sempre avviene nell’impresa anche in questo caso ci deve essere un gioco di squadra in cui la leadership principale è affidata al CEO che deve guidare verso l’adozione della CSR grazie ad una sponsorship forte. A seguire la chiara indicazione nella strategia e nei piani operativi di obiettivi di CSR collegati al business, ai processi interni, al coinvolgimento di terze parti e al sistema di valutazione del management. Infine l’allineamento della cultura aziendale alla CSR e la trasmissione verso l’esterno del nuovo modo di fare impresa”.
Andrea Ronchi, Business Development Manager EcoWay. “In merito alla componente ambientale, le aziende dovrebbero misurare sistematicamente ed in modo comparabile le proprie esternalità. Attribuire a queste un valore economico fissandosi obiettivi di neutralità, crea una leva che stimola da subito tutta l’organizazione all’efficienza e al rinnovamento e permette di ridistribuire valore sul territorio in modo equo e cost-effective”.
Alessandro Beda, Consigliere d’Indirizzo di Fondazione Sodalitas. “Qualsiasi azione da intraprendere per lo sviluppo della CSR dev’essere guidata da obiettivi di concretezza: è necessario che la sostenibilità sia, oggi più che mai, prima sostanza e poi immagine, per passare dalle parole a fatti che siano il più possibile concreti e misurabili. In questa prospettiva i concetti chiave su cui concentrarsi sono Responsabilità, Fiducia e centralità dell’impresa, Dialogo e confronto con gli stakeholder, Testimonianza e trasparenza, Cambiamento culturale. A dirlo, insieme a Fondazione Sodalitas, sono oggi anche i leader delle più importanti imprese del nostro Paese”.


Ue: ecco i Paesi buoni e cattivi della Csr

COMMISSIONE: ITALIA NELLA MEDIA SUL RISPETTO LINEE GUIDA
La Commissione Ue dà i voti alle imprese europee sul loro impegno nel formulare una strategia Csr seguendo le cinque  linee guida internazionali universalmente riconosciute e suggerite da Bruxelles. Lo fa pubblicando uno studio costruito sulle informazioni disponibili pubblicamente riguardanti un campione di 200 grandi aziende europee, con oltre mille dipendenti, scelte casualmente, nel quale vengono individuati buoni e cattivi, soprattutto a livello di Paesi. Il risultato? Promosse le imprese danesi, spagnole e svedesi, che si rifanno alle lineee guide internazionali di Csr più della media europea. Sufficiente, ovvero su valori intorno alla media della Ue, il voto generale per le società targate Olanda, Francia e, attenzione, Italia. Mentre pollice verso, sempre a livello di voto medio, per le aziende ceche, tedesche, polacche e, da sottolineare, britanniche. Quest’ultimo gruppo, in pratica, fa riferimento alle linee guida Csr suggerite dalla Ue meno frequentemente della media europea.
Lo studio ha evidenziato anche altre conclusioni interessanti. Prima, però, è utile sapere che il campione delle 200 aziende analizzate è composto al 53,5% da società private e invece al 46,5% da aziende quotate e quindi caratterizzate da azionariato, in teoria, diffuso. L’analisi evidenzia che il 68% delle società fa riferimento esplicito alla “Corporate social responsability” mentre il 40% esplicita riferimenti ad almeno uno degli stumenti Csr riconosciuti internazionalmente. Più nel dettaglio, e più gradito a Bruxelles, il 33% delle aziende analizzate utilizza l’invito della Commissione Ue a fare riferimento ad almeno una delle seguenti linee guida: UN Global Compact, OECD Guidelines for Multinational Enterprises (Ocse), e ISO 26000. Tuttavia c’è ancora molta strada da fare. Bruxelles deve prendere atto che solo il 2% del campione ascolta il consiglio di seguire nella propria azione Csr la linea guida “ILO MNE Declaration”. E appena il 3% fa riferimento all’UN Guiding Principles on Business and Human Rights, linea guida che la Commissione spera vengano implementati nel tempo da tutte le aziende per quanto riguarda al parte della corporate responsibility sul rispetto dei diritti umani
Ma alla fine dei conti, quali sono le linee guida Csr più usate oggi? La “UN Global Compact” e il “Global Reporting Initiative”, rispettivamente con il 32% e il 31% sono gli strumenti più diffusi seguiti da “Universal Declaration of Human Rights” e dagli “Instruments of the International Labour Organisation”. Attenzione, infine, a un ulteriore spunto arrivato dalla studio della Commissione: le aziende più grandi, quelle per capirci con oltre 10mila impiegati sono circa tre volte più attente ai principi guida Csr riconosciuti internazionalmenete che le aziende con un numero di dipendenti compresi tra mille e 10mila. Insomma, a livello di attenzione alla Csr, grande è meglio.
Una curiosità finale. Ecco le aziende pescate da Bruxelles come campione per l’I)talia: Manuli, Prysmian, Gruppo Beltrame, Italcementi, Pirelli, Gruppo CLN, Gruppo Tessile Miroglio, Snaidero, Finmeccanica, San Benedetto, Marazzi, Gruppo De Agostini, Technit, Intesa SanPaolo, Cir Group, Barilla, Impregilo, Kme Group, Unichips.


Ericsson taglia le emissioni di Co2, obiettivo raggiunto con un anno di anticipo

La Ericsson ha raggiunto l’obiettivo quinquennale di riduzione delle emissioni con un anno di anticipo, un traguardo che fa da cornice alla pubblicazione del ventesimo Bilancio sociale e che testimonia l’impegno dell’azienda nelle attività commerciali responsabili, con un focus sui diritti umani e la lotta alla corruzione. “Il nostro impegno nella Sostenibilità copre tre grandi aree, dice Elaine Weidman-Grunewald, vicepresidente per l’area della Sostenibilità e della Corporate Responsability della Ericsson, l’accessibilità, l’energia e le ICT, le Tecnologie per l’Informazione e la Comunicazione e la responsabilità aziendale, tre aree di eguale importanza e di pari dignità. Siamo orgogliosi dei nostri risultati, continua la Weidman, dai target di riduzione delle emissioni raggiunti con un anno di anticipo, all’impegno per l’ampliamento della banda larga mobile che risponde ad una domanda crescente del mercato. Servizi offerti con soluzioni di efficienza e risparmio di energia, come nel caso della Psi-coverage che si avvale di sistemi radio a basso consumo per la trasmissione delle informazioni o della copertura di aree rurali”. “Il nostro obiettivo, aggiunge Elaine Weidman-Grunewald, è di ampliare la fruibilità della comunicazione, ridurre l’impatto ambientale, abbattendo le emissioni di Co2, gestendo un business responsabile che sia rispettoso dei valori. Per questo, continua, esercitiamo un controllo attento su tutta la filiera produttiva, i nostri fornitori devono attenersi ad un codice di autodisciplina il cui rispetto viene verificato da nostri revisori. Solo lo scorso anno il nostro audit ha compiuto ben 640 verifiche”. “Il nostro lavoro, continua Elaine Weidman-Grunewald, è sottoposto poi a due tipologie di valutazioni indipendenti, quella della PWC (acronimo di PricewaterhouseCoopers) che comprende anche gli indicatori globali GRI (Global Reporting Initiative) e della Intertech che esercita azioni di verifica e valutazione sulla sostenibilità delle nostre attività nei Paesi in cui operiamo. Relativamente poi all’indagine Eurobarometro, condotta su un campione di 39.000 abitanti del Pianeta circa la diminuzione di interesse, particolarmente in Europa, sulle tematiche di sostenibilità ed ambiente, Elaine Weidman-Grunewald afferma che, alla luce dei risultati espressi in questa 20esima relazione, “non si è registrato un calo di interesse nei confronti di questi temi e che anzi, come analizzato dalla loro ultima ricerca sul consumo, l’attenzione verso le tematiche della sostenibilità e della responsabilità sociale sono significativamente aumentate”.


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