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BARBIE, DAL BOOM AL BOTTEGHINO ALLA RIVOLUZIONE DEL BRANDED CONTENT

BARBIE, DAL BOOM AL BOTTEGHINO ALLA RIVOLUZIONE DEL BRANDED CONTENT

Debutto da record per il film Barbie con un incasso di 2,178 milioni di euro nel suo primo giorno di programmazione in Italia. Risultato che rappresenta la miglior apertura al box office del 2023 oltre a numerosi primati nel giorno di esordio nel nostro Paese, tra cui quelli di quarta miglior apertura di sempre per un film distribuito da Warner Bros. Pictures, secondo miglior esordio dall’inizio della pandemia, terzo miglior debutto di sempre per un film uscito nel mese di luglio, miglior debutto per un film con Margot Robbie e miglior debutto per un film con Ryan Gosling.

In visione da ieri, giovedì 20 luglio, su oltre 600 schermi cinematografici della penisola, Barbie ha richiamato nelle sale più di 284.000 spettatori.

Un fenomeno che deve questi risultati ad attività di promozione ben pianificate e ad una distribuzione attenta, spiega Andrea Roselli, Director of Theatrical Distribution di Warner Bros. Discovery Italia, raggiunto da e-duesse.it: “Warner Bros. Discovery Italia è oltremodo entusiasta di aver creduto fermamente nella data di uscita di Barbie ‘day and date’ al 20 luglio, dimostrando che il cinema può prosperare anche durante la stagione estiva. Il successo travolgente del film è il frutto di attività straordinarie ed uniche di ‘publicity’ e di una strategia di marketing ben pianificata, di una promozione incisiva e di una distribuzione attenta, capillare e minuziosa che ha saputo raggiungere e coinvolgere il pubblico in un momento in cui le attività estive sono molteplici e variegate”.https://www.youtube.com/embed/WaOn1q0PHoE

BARBIE, IL LANCIO DEL FILM

Una delle strategie usate per pubblicizzare il film è stata quella di metterlo al centro dell’attenzione per mesi, creando molta attesaLe attività hanno coinvolto numerosi settori, dai social, con speciali filtri Instagram, al digital, con le stelline rosa su Google che compaiono digitando query relative al film, dalla moda ai videogame.

Restando in ambito social network, ecco la campagna in AR realizzata da Warner Bros. Discovery con Snapchat, con la nuova lente dedicata al film con protagonista il brand di Mattel, grazie a cui ragazzi e ragazze possono indossare il look degli attori Margot Robbie e Ryan Gosling, ispirati agli abiti del film. Warner Bros. Discovery si avvale della tecnologia di Snapchat anche per trasformare alcuni dei monumenti in giro per il mondo e tingerli con i colori di Barbie. In Italia è il Colosseo a tingersi di rosa grazie alla nuova funzione del social.

Tra gli eventi è stato coinvolto il quartiere Porta Nuova di Milano, dove dal 14 al 23 luglio una serie di attività offriranno alle persone l’opportunità di immergersi nel magico mondo di Barbie. Tra le iniziative, una “Barbie Doll box” a tema, riproducente in grande l’iconica scatola di Barbie, dove sarà possibile farsi delle foto ascoltando i brani della colonna sonora del film. Qui si possono creare dei video e condividerli su TikTok, utilizzando il brano “Dance The Night” di Dua Lipa. Inoltre sarà lanciato un concorso, in cui una giuria tecnica selezionerà le 30 migliori foto pubblicate su Instagram. 

Concorso anche per Uci Cinemas, che ha messo in palio un viaggio a Malibù: acquistando tramite i canali online del circuito il biglietto per assistere alle proiezioni fino al 28 luglio. e registrandolo entro il 2 agosto sul sito barbie.ucicinemas.it, gli spettatori potranno partecipare all’estrazione e visitare i luoghi che hanno ispirato il mondo dell’iconica bambola. 

Per il lancio si è attivato anche il mondo dei videogiochi, grazie a Xbox: i fan di Barbie potranno seguire le sue orme con una rosa di novità come contenuti esclusivi di Forza Horizon 5 ispirati al film, un video sulle carriere con un tocco di Barbie, le prime bambole Barbie di Xbox e, inoltre, l’hardware Xbox personalizzato. E’ stata lanciata anche una linea di Barbie equipaggiata con accessori Xbox Gear.

Sono state quindi numerose le collaborazioni che hanno coinvolto i brand, da Zara Primark, per arrivare a Airbnb, NYX, Superga, Crocs, Burger King Brasile con un nuovo panino rosa e Selfridges, così come tante sono state le iniziative messe in campo nei mesi scorsi.

Un debutto che è diventato un vero e proprio fenomeno, già nei mesi scorsi, anche per quanto riguarda la ricerca di accessori e abiti a tema: Stileo, aggregatore fashion con più di 1,9 milioni di articoli provenienti da oltre 8.000 marchi e 7 milioni di visite mensili, ha annunciato che le ricerche del termine “Barbie” sono cresciute del 955 % mentre tutti i prodotti di moda con tag “Barbie” hanno registrato una crescita nei click del 450%.

Il trend ha portato la piattaforma di trading e investimenti eToro a realizzare un ricerca sugli utili che il fenomeno è in grado di produrre. Mattel negli ultimi tre mesi ha visto salire il prezzo delle azioni del 22%, nonostante un inizio d’anno incerto.

UN PROGETTO CHE CAMBIA IL MONDO DEL BRANDED CONTENT

Il debutto del film sul grande schermo è il culmine della lunga storia del brand e del suo percorso che inizia a metà del Novecento e in cui non sono mancati momenti di crisi, affrontati con un attento lavoro di riposizionamento, che ha portato Barbie a diventare da giocattolo a lifestyle brand. 

La bambola magra e bionda, simbolo di bellezza innarrivabile, che rappresentava un ragazza interessata a moda e vacanze, spesso al centro di critiche per questi motivi, si è evoluta nel tempo fino ad essere proposta come donna indipendente ed è stata affiancata da innumerevoli varianti, con bambole da diversi aspetti e rappresentanti professioni differenti. In questo modo negli ultimi anni Barbie, anche grazie a campagne pubblicitarie come “Con Barbie puoi essere tutto ciò che desideri”, si è presentata come simbolo di empowerment femminile e diversity. Le linee di prodotto oggi sono pensate per stimolare il potenziale illimitato di bambini e bambine, con bambole che presentano differenti colori degli occhi, colori e trame dei capelli, tipi di corporatura, disabilità e stili. 

Negli ultimi anni, il brand di Mattel ha dato sempre più peso all’entertainment, con contenuti per tutti e su tv, streaming, YouTube e audio. Citiamo, ad esempio, “Il mondo fatato di Barbie Dreamtopia” su Frisbee e in arrivo dopo le vacanze su Cartoonito, e “Barbie Epic Road Trip” su Netflix, il primo film interattivo di Barbie. 

In ottica awarness, sono state inoltre diverse le partnership per prodotti a marchio Barbie, come in Italia le uova di Pasqua di Kinder, i veicoli radiocomandati di Mondo Motors, la fotocamera istantanea Barbie Print Cam con Lisciani, gli snack di San Carlo e ancora le linee realizzate con Tezenis, Original Marines, GAP. Presto saranno annunciate nuove partnership.

Il film si inserisce in questo processo di riposizionamento con l’obiettivo di far conoscere il giocattolo alle nuove generazioni e farlo ricordare a quelle precedenti. Tra i temi trattati nel film e al centro dei dibattiti sulla stampa e sui social, ci sono, infatti la sfida agli stereotipi di genere e al patriarcato.

Ma la pellicola potrebbe segnare l’avvento di un nuovo modo in cui i brand pubblicizzano i loro prodotti. Ormai lontano dal tradizionale spot che interrompe la visione dei contenuti, il progetto di Barbie sembra anche andare oltre il branded content: in questo caso, il marchio ha prodotto il film (con Mattel Films) mantenendolo in linea con i suoi valori, per connettere consumatori e investitori in una maniera innovativa. Tra i brand presenti nel film con attività di vero e proprio product placement figurano Chevrolet, Birkenstock e Chanel, protagonisti in diverse scene. 

In quest’ottica Mattel ha anticipato di essere al lavoro su altri numerosi film basati su altri marchi, come ad esempio Hot Wheels.




OpenAI presenta GPTBot, il bot progettato per migliorare i futuri modelli ChatGPT

OpenAI presenta GPTBot, il bot progettato per migliorare i futuri modelli ChatGPT

Questa iniziativa potrebbe aumentare l’accuratezza e le capacità delle tecnologie del linguaggio sviluppato da OpenAI.

Il recente post sul blog di OpenAI evidenzia che le pagine Web sottoposte a scansione da GPTBot potrebbero fungere da preziosa fonte di dati per migliorare i futuri modelli di intelligenza artificiale, come ChatGPT

I web crawler, noti anche come “web spider”, sono robot che indicizzano i contenuti web e vengono utilizzati dai motori di ricerca per presentare risultati pertinenti. OpenAI garantisce che GPTBot raccoglierà solo dati pubblici dal web.

Inoltre, i proprietari di siti Web possono impedire a GPTBot di raccogliere informazioni aggiungendo il comando “disallow” a un file standard sui propri server.

L’introduzione di GPTBot arriva nel momento in cui OpenAI ha depositato la domanda di marchio per “GPT-5”, che dovrebbe essere il successore di GPT-4.

Questa applicazione copre vari aspetti, incluso l’uso di “GPT-5” nel contesto del software di riconoscimento vocale e l’elaborazione del linguaggio naturale.

Sebbene la presentazione di GPT-5 contenga future innovazioni, OpenAI è stata cauta riguardo alle aspettative sui tempi di rilascio.

Il CEO di OpenAI Sam Altman ha indicato che la società è ancora lontana dall’inizio della formazione su GPT-5. 

Prima di andare avanti, saranno necessari i controlli di sicurezza e altri processi.

OpenAI ha anche recentemente affrontato preoccupazioni relative alla raccolta dei dati e alla privacy. I garanti della privacy di Giappone e Europa hanno sollevato preoccupazioni sulla raccolta di dati senza consenso, portando a restrizioni temporanee.

Inoltre, OpenAI sta affrontando azioni legali collettive relative all’accesso alle informazioni private degli utenti di ChatGPT.




Alla ricerca del “flow” perduto: la formazione aziendale come leva di talent attraction e retention

Alla ricerca del “flow” perduto: la formazione aziendale come leva di talent attraction e retention

A partire dagli anni della pandemia le persone hanno iniziato a dare priorità al benessere psico-fisico e a volere più libertà su dove e quando lavorano. Questa volontà di rapportarsi al lavoro in modo nuovo è tra le cause di quella che Linkedin ha denominato “great reshuffle”: un momento di grande cambiamento in cui le aziende ripensano modelli, culture e valori del lavoro; e al contempo i dipendenti mettono in discussione non solo i metodi di lavoro, ma anche le proprie motivazioni: le persone hanno iniziato a pensare di cambiare impiego sperando di trovare più motivazioni, più flessibilità, più empatia.

I trend attuali e le sfide che le aziende devono affrontare per attirare e trattenere talenti

L’“abbandono silenzioso” (quiet quitting) di questo periodo storico non può che innescare riflessioni profonde sul tema del coinvolgimento al lavoro: oltre ai già noti problemi di attraction – attrazione, determinati anche da una carenza di competenze nuove e specifiche per nuovi ruoli e professioni sempre più digitali e sostenibili, si affiancano quelli di retention – mantenimento, in particolare in Italia: secondo la classifica relativa dello “State of the Global Workplace report – 2022” di Gallup, che misura l’engagement  – coinvolgimento attraverso l’analisi sulla soddisfazione di 12 bisogni fondamentali di chi lavora, solo il 4% degli italiani risulta coinvolto nel proprio lavoro, contro una media mondiale del 21%.

Grafico che mostra le percentuali di coinvolgimento dei lavoratori in Italia e nel mondo
Grafico che mostra le percentuali di coinvolgimento dei lavoratori in Italia e nel mondo

Tra le cause del quiet quitting, oltre al voler rifuggire l’hustle culture, e cioè il mito secondo il quale le persone dovrebbero dedicare tutta la vita al lavoro, il burnout, e lo stress patologico da lavoro o al relativo fallimento dei manager nel conciliare gli obiettivi aziendali col benessere individuale e collettivo dei propri dipendenti, non dobbiamo dimenticare l’importanza delle promesse di crescita personale e professionale che le aziende propongono (e che in alcuni casi non mantengono).

Ma la formazione può essere la scommessa vincente su cui puntare per fare fronte alla perdita di talenti e alla difficoltà di reperirli? È indubbio che nei prossimi anni la formazione delle persone che lavorano sarà prioritaria, anche per le necessità di upskilling e reskilling, rispettivamente l’acquisizione di nuove competenze in linea con quelle già possedute, e l’acquisizione di abilità differenti rispetto a quelle già possedute, che il mondo post-pandemico ha rappresentato in tutte le sue manifestazioni: il World Economic Forum ha stimato già da qualche tempo che avremo bisogno di riqualificare più di 1 miliardo di persone entro il 2030. Oltre alle competenze digitali, le competenze interpersonali specializzate saranno molto richieste nel nuovo ambiente di lavoro sempre più ibrido.

Come la formazione aziendale può aiutare ad attrarre i talenti?

Secondo gli ultimi dati del WMAE 2022 di Universum Global, tra gli elementi chiave inclusi nelle EVP, Employee Value Proposition – cioè l’insieme dei valori e dei benefit che l’azienda offre alla sua forza lavoro attuale e potenziale – “l’opportunità di avere un impatto personale” e la “formazione e sviluppo professionale” sono in calo, a favore dei temi che riguardano la flessibilità a cui abbiamo accennato.

Ma non dobbiamo dimenticare che tra le strategie per rendere le aziende più attrattive, soprattutto per le nuove generazioni, c’è il focus sul reinventare la cultura organizzativa, come suggerito dai risultati dell’ultimo “Linkedin Global Talent Trends 2022” che indica tra le aree su cui investire per migliorare la cultura aziendale, le opportunità di sviluppo professionale (59%) e la formazione dei manager ai nuovi stili di lavoro ibrido (35%).

Non dimentichiamo, inoltre, che nel concetto di engagement di Gallup tra i 12 fattori sono annoverati anche elementi come “nell’ultimo anno, ho avuto l’opportunità di imparare e crescere”, “c’è qualcuno che incoraggia il mio sviluppo”, “ho ciò che mi serve per farlo bene”, “ogni giorno ho l’opportunità di fare ciò che so fare meglio”.

Accettare di apprendere o coinvolgere ad apprendere?

Per migliorare la cultura si parte allora dallo sviluppo professionale e dalle strategie di Learning & Development, che possono allargare l’obiettivo principale, solitamente focalizzato sull’aumento dell’impegno dei collaboratori e sull’incremento della produttività. Secondo il Corporate Learning Benchmark 2022 di Mobietrain, solo un’azienda su quattro considera l’aumento del coinvolgimento dei dipendenti come scopo di un programma di formazione.

C’è inoltre un errore che spesso si commette quando si pensa alla motivazione alla formazione e al lavoro, come ha spiegato egregiamente Daniel Pink:

Se la motivazione del passato chiedeva una mera accettazione da parte dei lavoratori, per le professioni del XXI secolo la motivazione richiede coinvolgimento.

Quest’ultimo si innesca realmente quando si riesce a far vivere alle persone un’esperienza “autotelica”, dove lo scopo è gratificante e l’attività in sé è già una ricompensa; e in un meccanismo virtuoso, la padronanza di un compito appreso o di un’attività alimenta a sua volta sempre di più la motivazione.

Quali sono le caratteristiche di un programma di formazione attrattivo per trattenere talenti?

Negli ultimi tempi le aziende si stanno orientando verso l’adozione di un approccio blended alla formazione, che prevede in gran parte l’uso di piattaforme digitali. Tra le tipologie di apprendimento digitale è aumentato l’interesse verso le soluzioni di mobile learning, e le aziende che utilizzano questi tool affermano di essere alla ricerca di altre piattaforme digitali da integrare a quelle già esistenti. 

Le principali sfide in ambito L&D in questo momento storico vedono, però, ancora diverse difficoltà nello sviluppo di contenuti adeguatamente personalizzati per il target in formazione, così come la consapevolezza diffusa che i contenuti trasmessi vengono facilmente dimenticati.

Tra i trend da tenere d’occhio ci sono sicuramente le soluzioni di microlearning con pillole di formazione in formato digitale e breve, layout intuitivi, design accessibile e contenuti personalizzati, ma soprattutto la possibilità di coinvolgere direttamente le persone che lavorano nella scelta e nell’insegnamento (perché no?) dei contenuti da veicolare all’interno dell’organizzazione: il mutual learning e tutte le attività di reverse experience si rivelano sempre di più un formato innovativo e in linea con le esigenze di gestione di una forza lavoro multigenerazionale.

Provare a considerare i contenuti formativi come flexible benefit, e cioè benefici che migliorano la qualità della vita delle persone che lavorano, è sicuramente una caratteristica rilevante, soprattutto se leggiamo l’organizzazione con la lente della intergenerazionalità: ai Millennials e ai GenZ interessano solitamente opportunità di carriera, una cultura aziendale inclusiva, un’organizzazione trasparente e aperta; ai Baby Boomer interessa la stabilità e una cultura che condivida i loro stessi valori sociali, ai Gen X la flessibilità oraria e di carriera: da questi presupposti di “flexible learning” possono essere definiti contenuti trasversali e specifici che attingano alle leve motivazionali di coinvolgimento e di apprendimento per tutta la popolazione aziendale.

Benefici per l’azienda nell’attirare e trattenere dipendenti (tra costi e rischi correlati)

Secondo gli studi di Christian Harpelundil 25% delle nuove leve lascia l’azienda entro i primi 12 mesi, il 48% di newbies al primo impiego si dimette entro i primi 18 mesi; il tempo medio di onboarding per generare la performance attesa è di 6,2 mesi per le nuove assunzioni; il costo della perdita di un nuovo dipendente entro i primi 12 mesi equivale a 2 anni del suo stipendio.

Grafico che mostra le percentuali di lavoratori che cambiano azienda  secondo Christian Harpelund
Grafico che mostra le percentuali di lavoratori che cambiano azienda

Secondo Universum la media di tempo di permanenza in azienda per le nuovissime generazioni (Zed Gen) è inferiore ai 2 anni, per i Millennials è sotto i 3 anni, i Gen X superano i 5 anni a fronte di una media di 8 anni dei Baby Boomers. 

È facile allora quantificare l’impatto economico che ha una retention debole, oltre al gap di competenze nuove in ingresso in questo mercato del lavoro così estremamente fragile e mutevole. Come abbiamo visto tra i trend ricorrenti, le persone in definitiva vogliono lavorare in un ambiente stimolante, reso piacevole dalle relazioni positive tra colleghi e manager, dove la formazione è vista come opportunità di sviluppo e crescita sia professionale sia personale: probabilmente investire sulla formazione è una delle scommesse più sensate per trattenere e attirare le persone giuste.

Decostruire e ricostruire il “flow” formativo

In questo momento storico per cambiare paradigmi formativi e potenziare attraction e retention, allora, non possiamo far altro che considerare estremamente connessi tutti questi aspetti e imparare a inserire tra gli ingredienti delle ricette di Learning & Development sempre di più l’autonomia, la padronanza e lo scopo in ogni esperienza formativa aziendale. Con l’augurio che ognuno trovi il suo “flow”.

Per superare le ansie e le depressioni della vita contemporanea, gli individui devono diventare indipendenti dall’ambiente sociale nella misura in cui non rispondono più esclusivamente in termini di ricompense e punizioni. Per raggiungere tale autonomia, una persona deve imparare a fornire ricompense a sé stessa. Deve sviluppare la capacità di trovare divertimento e scopo indipendentemente dalle circostanze esterne.

Mihaly Csikszentmihalyi, “Flow, Psicologia dell’esperienza ottimale”, 1990




Elogio del fallimento. Così l’errore ci rende umani, flessibili, efficienti e persino vincenti

Elogio del fallimento. Così l’errore ci rende umani, flessibili, efficienti e persino vincenti

iamo abituati a considerare il fallimento come una privazione. Il dizionario lo definisce come la mancanza di successo: di fatto è una mancanza di abilità e di capacità, è l’assenza dell’opportunità che avevamo sempre atteso. E siamo abituati a guardare agli insuccessi dall’angolazione scontata e abituale. Ossia come torti ingiusti, brutte sbavature, cattive partenze. Ma successo e fallimento sono due facce della stessa medaglia che non si escludono ma convivono, si integrano, si completano e sono parte essenziale delle nostre vite». Così afferma Francesca Corrado, economista, ricercatrice, formatrice, autrice di “Elogio del fallimento. Perché sbagliare fa bene”, libro edito da Sperling & Kupfer. È un punto di vista straordinariamente controcorrente quello di Corrado, che è anche ideatrice della prima Scuola di Fallimento, soprattutto in questi tempi connessi nei quali si va sempre a caccia di successi di ogni tipo. Eppure basterebbe poco per fare molto, arrivando a comprendere la forza propulsiva dell’errore perché ci fa crescere, nel lavoro e nella vita. «Affermare che l’insuccesso è una precondizione del successo e che il fallimento non è un’alternativa, ma un requisito per il successo, suona controintuitivo e rivoluzionario perché ci costringe a mutare la prospettiva e le lenti attraverso i quali guardiamo il mondo», precisa Corrado. Il fallimento non è una mancanza ma una pienezza. Non è un arresto definitivo, ma un momento di riflessione. Non è un marchio indelebile, ma una distinzione. Non è una perdita, ma una scoperta. Non è una porta che si chiude ma una opportunità che si apre e molto altro ancora. Così scrive Corrado nel libro. «E poi nel linguaggio medico si usa il termine rivoluzione cardiaca, o ciclo cardiaco, per indicare l’alternarsi delle fasi di contrazione e di riposo del cuore. In questo alternarsi di salite e discese, le onde basse corrispondono alle fasi di contrazione e forniscono lo stimolo per i picchi più alti. Anche la nostra vita di individui e di imprese è fatta di alti e bassi e invece siamo abituati a considerarla come un percorso lineare e in questa visione ideale l’errore diventa un intoppo nei nostri piani. Ma la vita e le imprese sono organismi complessi e seguono un tragitto non lineare, con salti fra piani diversi. La paura del fallimento paralizza chi considera l’esistenza una linea retta fatta di scelte razionali. Ma diventa accettabile per chi comprende che ha un andamento caotico, rivoluzionario, e che l’errore ne è parte integrante», dice Corrado.

Francesca Corrado, economista e autrice di “Elogio del fallimento. Perché sbagliare fa bene”

Sbagliare fa bene

Errori che possono valere un sacco di soldi, generando un sacco di fatica. James Dyson – presente nella nostra foto di copertina – è un designer e ingegnere britannico conosciuto come l’inventore della prima aspirapolvere senza sacchetto. Dopo migliaia di tentativi andati a vuoto – ben 5.127 prototipi in cinque anni – è riuscito a mettere in commercio il primo modello funzionante. L’ha chiamato Dual Cyclone perché lavora sul principio del ciclone. Oggi Dyson è tra i trecento uomini più ricchi del mondo con un patrimonio di oltre 5 miliardi di dollari. È in buona compagnia. Intorno alla metà del ‘900 l’ingegnere americano Percy LeBaron Spencer lavorava al magnetron, una valvola produttrice di microonde usata come componente nel radar. Un giorno del 1945 dimenticò in tasca una barra di cioccolato e a contatto con il magnetron in funzione quella barra si sciolse. La scoperta lo incuriosì e ci riprovò, scaldando chicchi di mais che si trasformarono in popcorn. Spencer di fatto aveva scoperto che l’energia trasportata dalle microonde era in grado di cuocere i cibi. Appena due anni dopo lanciò sul mercato Radarange, il primo forno a microonde per uso domestico, diventato successo mondiale. Ma ci sono molte altre storie.

«L’impresa navale di Cristoforo Colombo era condizionata da almeno due errori, uno di calcolo e l’altro di misura. Infatti, basandosi su misurazioni di antichi geografi, sui racconti dei marinai e su altre mappe, si convinse che il continente asiatico fosse cinque volte più vicino di quanto in effetti non sia, e che quindi potesse essere raggiunto. Per di più nel calcolo confuse le miglia arabe con quelle romane, più brevi di un quarto. Sbagliò quindi distanza e direzione. Ma grazie ad errori grossolani basati su ipotesi scientifiche, Colombo ha scoperto un nuovo continente», dice Corrado. Ma attenzione. Nel fallimento non c’è un’accettazione passiva, ma una scelta consapevole, responsabile, quasi ossessiva e infine vincente. «Prima di essere pubblicato in quarantacinque Paesi e tradotto in oltre trenta lingue, Joël Dicker, autore del bestseller “La verità sul caso Harry Quebert”, aveva scritto altri cinque libri, tutti stroncati dagli innumerevoli editori ai quali si era rivolto. Racconta Dicker che a un certo punto della sua incerta carriera aveva due strade da percorrere: quella dell’autocommiserazione o quella dell’ossessione. Dicker scelse la seconda via e la percorse in modo metodico. Decise di rileggere tutte le lettere di rifiuto e tutti i commenti negativi che aveva ricevuto, per avere piena consapevolezza dei punti deboli dei suoi primi romanzi. Quei “no” erano l’opportunità per capire come fare meglio la prossima volta», puntualizza Corrado.

Joël Dicker, autore del bestseller “La verità sul caso Harry Quebert”

Il fallimento come bussola

«Il fallimento è il modo in cui la vita ci fa sapere che stiamo andando fuori rotta. È un feedback che ci aiuta a orientarci nella giusta direzione. E solo ascoltando e osservando possiamo trarne i giusti insegnamenti». Ne è convinta Corrado. Mettersi in ascolto attivo ecco quello che fa la differenza. Al giornalista e inventore ungherese László Bíró si deve l’ideazione della penna che porta il suo cognome. Era alla ricerca di ispirazione per creare una penna più funzionale della stilografica. L’ intuizione arriva guardando dei bambini giocare a biglie tra le pozzanghere: le palline che ne avevano attraversata una lasciavano una scia uniforme come la scrittura. Così inserisce una piccola sfera in cima a un tubo riempito di inchiostro e nasce la penna biro. Frank Epperson, un bambino americano di undici anni, nell’inverno del 1905 lascia sul davanzale della finestra un bicchiere con acqua, soda e un bastoncino che aveva usato per mescolare il liquido. Nasce così il primo ghiacciolo della storia, brevettato brevettò molti anni dopo.

Percy LeBaron Spencer, l’inventore del primo forno a microonde per uso domestico

Quindi il successo nasce dal fallimento?
Adottare una visione nella quale si è consapevoli e si accetta l’idea che il successo sia intessuto di molte sconfitte e che il fallimento sia un buon maestro significa cambiare paradigma nel modo di vivere, di lavorare e di fare impresa. Guardare l’altra faccia della medaglia può offrire l’opportunità non solo di trasformare il modo stesso di vedere il fallimento ma anche di rinnovare le strutture e le organizzazioni stesse attraverso un mutamento radicale. Non è una rivoluzione della persona ma una rivoluzione delle organizzazioni che possono essere ripensate per renderle più umane, efficienti e flessibili al cambiamento.

Cosa comporta questa visione?
Le parole generano un trigger emozionale e le emozioni giocano un ruolo nel processo decisionale. Attribuire un significato positivo ad una parola che comunemente ha una valenza negativa comporta un cambiamento della nostra percezione di cosa è “giusto” e cosa è “un buon errore”, una percezione realistica e non di cieco ottimismo o pessimismo della realtà in cui viviamo, ma anche un mutamento della modalità di rapportarci agli altri e di agire. 

Le idee hi-tech nascono anche dal fallimento?
Soprattutto. Infatti tantissimi prodotti o servizi sono nati da errori, fallimenti, sviste. Anche oggetti di uso comune. Ci sono anche epic fails nati dall’intenzione di sfruttare la forza del proprio brand per lanciare sul mercato prodotti diversi da quelli per i quali quelle aziende erano conosciute. Harley-Davidson aveva proposto i profumi, Colgate una linea di piatti pronti surgelati. Forse pensavano che dopo aver mangiato la lasagna Colgate, lavarsi i denti con il dentifricio della stessa marca sarebbe stato un passo breve. Ma i consumatori non si sono trovati d’accordo.

Lei sostiene che una cultura aziendale può nascere dalla cultura del fallimento.
Sotto il marchio, Virgin di Richard Branson sono nate più di cento aziende, alcune delle quali sono state dei veri e propri flop: Virgin Cola, Virgin Vie at Home, Virginware, Virgin Charter, Virgin Clothing, VirginStudent. Quasi tutte le sue imprese sono nate dalla frustrazione personale, e le prove, i fallimenti e la sperimentazione sono diventati la base della sua cultura aziendale.

Perché l’errore implica ascolto?
La capacità di capire e interpretare gli errori implica la capacità di ascolto di sé stessi e degli altri. Ascoltare significa letteralmente porgere attenzione con l’orecchio. E in questa società iperconnessa e veloce è difficile riuscire a sviluppare la giusta attenzione e la cura necessaria per mettersi in relazione con gli altri ma anche con la parte più profonda di noi. Il lavoro sugli errori è un lavoro sulla consapevolezza di ciò che siamo e che persone o organizzazioni vorremmo essere. Solo ascoltando con cura possiamo predire la tendenza a compiere errori e controllare le nostre scelte e il nostro comportamento. L’errore è anche la capacità di osservazione dei comportamenti altrui per apprendere e di osservazione di tutto ciò che ci capita senza esprimere immediatamente un giudizio. Se qualcuno attorno a noi commette qualche errore, viene naturale condannare la persona e mettere in rilievo le sue mancanze. Bisognerebbe invece non reagire agli stimoli con rabbia, ansia, paura o in modo impulsivo ma rimanere quanto più possibile in uno stato di quieto distacco.

Ma come si sviluppa la cultura del fallimento?
Un positivo atteggiamento culturale verso il fallimento ha due componenti: una che chiameremo di tolleranza, perché misura la predisposizione al rischio e l’apertura ad accettarne le implicazioni. L’altra che definiremo come seconda opportunità perché indica la disponibilità a dare una nuova chance a coloro che hanno fallito. L’ alto grado di tolleranza e la propensione a offrire una seconda possibilità dovrebbero quindi essere parti costitutive della cultura del fallimento di un Paese come di una impresa. Una buona cultura si sviluppa non stigmatizzando debolezze e fragilità e non supportando l’idea di successo costruita su basi effimere. Ciascuno di noi gioca un ruolo in uno o più ambienti – nelle istituzioni, in famiglia, nella scuola, in azienda, nella coppia – e nel proprio ruolo può essere il promotore del cambiamento: siamo infatti responsabili del modo in cui il fallimento viene vissuto e discusso, possiamo essere addirittura complici della deprivazione della libertà nella nostra società.

Insomma, che lezione possiamo imparare?
Non c’è libertà nell’infelicità e nella paura che accompagnano ogni nostra scelta. Non è libera una società che educa a temere l’errore, a provare vergogna per le proprie cadute, a denigrare chi ha tentato ma ha fallito. E una sana cultura del fallimento deve essere accompagnata da una sana cultura del successo. Il successo è il risultato di una relazione e dell’incontro con chi è stato disposto ad aiutarci, ha ascoltato le nostre idee, le ha condivise o criticate, ci ha teso una mano a ogni caduta e ci ha spinto a puntare più in alto. Si è davvero fortunati quando si ha accanto qualcuno che non giudica ogni nostro errore, ma ci sostiene in ogni caduta e ci spinge a puntare sempre più in alto, applaudendo al nostro successo. Che in fondo è anche il suo.




Giornalista demansionata dopo la maternità, condannato il Sole 24 Ore

Giornalista demansionata dopo la maternità, condannato il Sole 24 Ore

Quanti articoli avete letto sui giornali in cui si denunciano le discriminazioni subite dalle donne sul posto di lavoro quando hanno un figlio? Quanti pagine abbiamo scritto sull’inverno demografico e sui possibili rimedi? Purtroppo il mondo dell’informazione non è esente da comportamenti penalizzanti e vessatori nei confronti delle neo-madri a riprova che la discriminazione delle donne è ancora un ingrediente strutturale della nostra cultura.  Lunedì scorso il tribunale del Lavoro di Milano ha condannato il Sole 24 ore per aver demansionato e discriminato la collega Lara Ricci, vice-caposervizio da anni al supplemento culturale Domenica, al rientro dalla maternità. La giornalista, prima della gravidanza, gestiva le pagine di letteratura,  compresi i 60 collaboratori esterni. ed aveva una rubrica settimanale. Ma, tornata in redazione, il 10 maggio 2021, in nome di una nuova organizzazione del lavoro che ha riguardato, guarda caso, solo lei, è stata relegata a “passare gli articoli” (in gergo giornalistico lettura ed eventuale correzione dei pezzi) ed esclusa persino dalle email interne.

“La ricorrente – si legge nella sentenza – ha provato documentalmente le responsabilità ed il ruolo assunti dalla redazione della rivista. E’ sufficiente scorrere i documenti (centinaia di email) di parte ricorrente per valutarlo”.

lara-ricci

Il giudice del lavoro Riccardo Atanasio, ha condannato il Sole 24 ore  a riassegnare alla ricorrente le mansioni pregresse e a risarcire Ricci per il danno alla professionalità con di 130mila euro, più altri 20mila per danno non patrimoniale all’immagine e le immancabili spese di lite.

In risposta a un duro comunicato del cdr, pubblicato oggi sul giornale, l’amministratrice del Sole, Mirja Cartia d’Asero, ha definito “lunare” sia la sentenza che il testo del sindacato e ha promesso azioni giudiziali per sovvertirla. Ma, a leggere il decreto firmato dal giudice, è proprio il caporedattore del domenicale Marco Carminati a comunicare alla collega, in una email, che dal giorno del suo rientro in redazione sarà lui “a prendere contatti con i collaboratori e a concordare i pezzi con loro  e a definire cosa mettere nelle pagine”.

La sentenza colpisce un giornale che a gennaio aveva ottenuto la certificazione di parità del genere  e dove molte giornaliste si spendono per la causa delle donne, e contro la discriminazione sessuale in Italia. Eppure al Sole la discriminazione c’è stata: il demansionamento è durato 26 mesi e permane tuttora.

“Non parliamo, purtroppo, dell’Italia degli anni ’50 – scrive il cdr del quotidiano – ma citiamo solo alcuni significativi passaggi di una sentenza del tribunale di Milano, con la quale Il Sole 24 Ore il 24 luglio scorso è stato condannato all’immediata cessazione di un comportamento discriminatorio nei confronti di una nostra collega, oltre a un importante risarcimento dei danni professionali e d’immagine. Il 30 gennaio scorso, esattamente sei mesi fa, il Gruppo 24 Ore è stato il primo gruppo editoriale italiano ad ottenere la Certificazione sulla parità di genere. Questa sentenza dimostra che in questi mesi, oltre a lavorare sulla comunicazione esterna, sarebbe servita, e servirebbe, maggiore attenzione dell’azienda e della direzione a quello che accadeva all’interno della redazione”.

Lara Ricci  ha raccontato di essersi ridotta “ad avere meno responsabilità di quelle che avevo 25 anni fa quando ero una stagista”.

“A niente è servito l’intervento del cdr, le due diffide inviate, le due mail spedite alla nuova amministratrice delegata, non hanno ricevuto riscontro” ha aggiunto.

Sulla vicenda si è espressa la Commissione pari opportunità della Federazione della Stampa Italiana (Fnsi)

“La Commissione pari opportunità – si legge in una nota – commenta con soddisfazione la sentenza del Tribunale ordinario di Milano, sezione del Lavoro, del 24 luglio 2023 che accoglie il ricorso della collega giornalista del Sole 24 Ore. Il giudice nella sentenza ordina che cessi il comportamento discriminatorio nei confronti della professionista e stabilisce che venga riassegnata alle mansioni pregresse, condannando la società editrice anche a un risarcimento economico. E’ una sentenza importante, che dà fiducia anche a tutte le lavoratrici”.

Solidarietà alla collega viene espressa anche dal presidente dell’Associazione Lombarda dei giornalisti Paolo Perucchini: “Le aziende editoriali e le aziende in generale fanno proclami contro la discriminazione nei confronti delle donne, parlano di voler ridurre il gender gap, sia a livello salariale che di carriera e poi ci troviamo di fronte a casi come questi. Il sindacato è a fianco di tutte le giornaliste e sostiene le loro battaglie per una reale parità e contro ogni discriminazione”