Barilla: come farsi male con una Zanzara

Due articoli – uno di cronaca e uno di analisi – sul recente caso di crisi scaturito a seguito delle dichiarazioni di Guido Barilla alla trasmissione radiofonica “La Zanzara”.

Barilla: «Mai uno spot con famiglie gay, se a qualcuno non va, mangi un’altra pasta»
PRIMA LA POLEMICA. POI SI SCUSA: «SONO STATO FRAINTESO» Il presidente della multinazionale di Parma a «La Zanzara»: «Ognuno faccia quello che vuole senza disturbare gli altri»
«Sono per la famiglia tradizionale, non realizzerò mai uno spot con i gay». Le parole di Guido Barilla, presidente della multinazionale, mercoledì a «La Zanzara» di Radio 24 hanno scatenato diverse reazioni in rete. Su Twitter, rapidamente, l’hashtag #boicottabarilla è entrato tra i trend, diventando velocemente internazionale nella versione inglese. Su Facebook le campagne di comunicazione sulla pagina ufficiale sono state intasate di commenti nel medesimo senso. Barilla, giovedì mattina, ha emesso una nota scusandosi «se le mie parole hanno generato fraintendimenti o polemiche, o se hanno urtato la sensibilità di alcune persone», diffondendola poi anche via Twitter.
LA FAMIGLIA SACRALE – Coinvolto in un discorso di genere sugli spot, in cui è sempre la donna a servire, il 55enne Barilla, pronipote del fondatore Pietro, si trova a parlare anche di coppie omosessuali: «Noi abbiamo una cultura vagamente differente. Per noi il concetto di famiglia è sacrale, rimane uno dei valori fondamentali dell’azienda. La salute, il concetto di famiglia. Non faremo uno spot gay perché la nostra è una famiglia tradizionale».
«MANGERANNO UN’ALTRA PASTA» – La multinazionale di Parma normalmente cura molto la comunicazione. Ma sul tema Guido Barilla non ci sta: «A uno può non piacere. Se gli piace la nostra pasta, la nostra comunicazione, la mangiano. Se non gli piace quello che diciamo, faranno a meno di mangiarla e ne mangiano un’altra. Ma uno non può piacere sempre a tutti».
«SENZA DISTURBARE GLI ALTRI» – Di fronte a una nuova domanda del conduttore Giuseppe Cruciani su un’eventuale famiglia omosessuale seduta a tavola, Guido Barilla ribadisce: «Non lo farei, ma non per una mancanza di rispetto agli omosessuali, che comunque hanno il diritto di fare quello che vogliono e ci mancherebbe altro, però senza disturbare gli altri, ma perché non la penso come loro e penso che la famiglia cui ci rivolgiamo noi è comunque una famiglia classica. Nella quale la donna, per tornare al discorso di prima, ha un ruolo fondamentale, è il centro culturale di vita strutturale di questa famiglia»
SÌ AL MATRIMONIO GAY, NO ALL’ADOZIONE – Cruciani a questo punto chiede a Barilla cosa vuol dire «senza infastidire gli altri». E la risposta è: «Un essere umano è un essere che può essere disturbato dalle decisioni di altri. Ognuno ha diritto a casa sua di fare quello che vuole senza disturbare le persone che sono attorno rivendicando diritti che sono più o meno leciti». Però assicura: «Il matrimonio omosessuale io lo rispetto, perché tutto sommato riguarda persone che vogliono contrarre matrimonio. Io una cosa su cui non sono assolutamente d’accordo è l’adozione nelle famiglie gay. Perché questo riguarda una persona che non può decidere. Io che sono padre so che ci sono delle difficoltà nel crescere i figli, e mi chiedo quelle che ci sono in una coppia con due persone dello stesso sesso».
LE REAZIONI DEL MONDO LGBT – Non mancano nemmeno le reazioni delle associazioni Lgbt. Aurelio Mancuso, di Equality Italia, sottolinea che aderirà al boicottaggio: «Nessuno ha mai chiesto alla Barilla di fare spot con le famiglie gay, è evidente che si è voluta lanciare una offensiva provocazione per far sapere che si è infastiditi dalla concreta presenza sociale, che è anche un segmento importante di consumatori». Fabrizio Marrazzo, presidente di Gay Center, scrive: «Dopo le dichiarazioni di Guido Barilla ci chiediamo chi sceglierebbe se dovesse avere un testimonial tra Obama e Giovanardi. Il primo è a favore dei matrimoni gay, il secondo è un omofobo». Dal mondo della politica è Alessandro Zan, deputato di Sel ed esponente del movimento gay, a rilanciare l’idea del non acquisto: «Aderisco al boicottaggio della Barilla e invito gli altri parlamentari, almeno quelli che non si dimettono, a fare altrettanto».
I PRO – Solidarietà ed elogi, invece, dal Moige (Movimento italiano genitori) e dall’onorevole Pdl Eugenia Roccella. Paola Ferrari De Benedetti, portavoce dell’Osservatorio nazionale bullismo e doping, sottolinea che non ha senso indignarsi: «Ormai affermare che si crede solo nella famiglia sacrale, fondata sul matrimonio tra un uomo e una donna, diventa addirittura una espressione, un esempio di omofobia». La notizia, nel frattempo, è stata ripresa da molti giornali internazionali: dall’Independent a Le Monde fino alla Reuters e l’Huffington Post (versione spagnola). Le aziende concorrenti di Barilla hanno colto la palla al balzo. Buitoni ha pubblicato su Facebook una foto con la didascalia «A casa Buitoni c’è posto per tutti», idem per Garofalo: «Le uniche famiglie che non sono Garofalo sono quelle che non amano la buona pasta».
 
BARILLA, IL GIORNO DOPO. LE REAZIONI DELLA RETE, DEI COMPETITOR E DELLA COMUNITÀ LGBT
La rete continua a puntare il dito su Guido Barilla dopo l’infelice dichiarazione rilasciata al programma radiofonico La Zanzara. Il presidente del Gruppo Barilla ha deciso di replicare alla pioggia di critiche e al tam tam mediatico che da subito si è innescato sui social sullo stesso canale, scusandosi su Twitter e su Facebook: “Mi scuso molto per aver urtato la sensibilità di tanti. Ho il più profondo #rispetto per tutte le #persone senza distinzioni. Guido #Barilla”. Barilla ha difeso l’idea cristallizzata di famiglia che da sempre l’azienda ha contribuito a costruire, tanto che la “famiglia del Mulino Bianco” è diventata proverbiale, come appartengono alla storia della pubblicità e del costume le campagne della pasta Barilla, costruite sempre attorno al più classico dei tavoli in cui la famiglia più canonica che si possa immaginare è intenta a consumare gioiosamente piatti di carboidrati. Non ci saranno mai famiglie gay nelle campagne di comunicazione del brand ha ribadito il manager, sottolineando la scelta storica e la centralità del ruolo della donna, angelo del focolare. L’hashtag #boicottabarilla è subito diventato uno dei top trends e i principali competitor non si sono lasciati scappare l’occasione di cavalcare il momento, pubblicando più o meno ironiche risposte alle parole di Guido Barilla. Sui social la Pasta Garofalo ha scritto che “Le uniche famiglie che non sono Garofalo sono quelle che non amano la buona pasta”, accompagnata da uno smiley. E oIn casa Buitoni hanno deciso una linea morbida: “A Casa Buitoni c’è posto per tutti”. I sughi Althea hanno semplicemente ripubblicato il frame della loro campagna “Dove c’è Althea, c’è famiglia” con il bacio di una giovane coppia omosessuale.Le parole di Barilla hanno provocato anche la reazione della commissaria europea all’Agenda Digitale Neelie Kroes che ha twittato: “Some of my best friends used to buy your pasta Mr Barilla” scegliendo non a caso la forma al passato per il verbo e linkando l’articolo che l’Indipendent ha dedicato al caso.Barilla ha scelto il modo peggiore per rimarcare la fedeltà all’idea portante della sua comunicazione. Tra esperimenti più o meno riusciti di Real Time Marketing, la Rete ha dimostrato per l’ennesima volta quanto è sdrucciolevole arrampicarsi su argomenti che urtano la sensibilità di una larga fetta dell’opinione pubblica, al di là di più o meno riusciti calembour e meme istantanei.Nel web la guerra delle paste più o meno politically correct si è già ritagliata un posto nella storia senza troppa memoria dei social network, insieme all’hashtag indigesto di McDonald’s dedicato alle storie nate tra le quattro mura della catena di fast food, della modella eccessivamente magra di Partizia Pepe e della recentissima debacle dei #guerrieri Enel. Social sì ma con giudizio, resta l’unica strada da seguire. Quel che si contesta a Barilla è soprattutto l’incapacità di organizzare una strategia difensiva per arginare il danno all’immagine del brand che è comunque avvenuto, due soli tweet non bastano a fermare l’assalto alla pagina facebook  in balia dei detrattori del brand.


Enel, i guerrieri… e il boomerang

Riportiamo a seguire due articoli de “Il Fatto Quotidiano” sulla campagna dei “Guerrieri” di Enel: un clamoroso caso di effetto boomerang, che dovrebbe far riflettere molti pubblicitari sulla gestione delle campagne di engagement del pubblico, per i propri grandi clienti..
Enel, la pubblicità diventa boomerang: “epic fail” di #guerrieri su Twitter
La campagna pubblicitaria dell’azienda invita gli utenti a condividere le proprie storie di vita quotidiana. Ma l’hashtag creato per l’iniziativa ha dato modo al popolo della rete di scatenare la contestazione nei confronti dell’operatore elettrico. Impennata delle mention sull’argomento, tra cui quelle del collettivo di scrittori Wu Ming e del cantante Nandu Popu
Una campagna pubblicitaria diventata un boomerang. E’ quanto successo a “Guerrieri”, l’operazione di marketing di Enel, protagonista involontaria di un “epic fail” digitale. L’iniziativa è stata lanciata il 26 agosto scorso e negli ultimi giorni sta effettivamente spopolando sulla rete. Ma la partecipazione degli utenti non è certo quella che si aspettavano gli ideatori della campagna, anzi. Nei confronti del gruppo si è scatenata una raffica di attacchi, contestazioni, prese in giro (guarda lo Storify).
L’operazione di marketing è stata studiata dall’inglese Saatchi & Saatchi, una delle agenzie pubblicitarie più importanti al mondo. E’ stata creata una piattaforma di storytelling dove gli utenti sono invitati a condividere le proprie storie, le proprie battaglie affrontate nella vita di tutti i giorni. “Cerchiamo i #guerrieri del quotidiano”, si legge nel sito dedicato all’iniziativa. “Quelle persone che, tra mille difficoltà, stringono i denti e vanno sempre avanti. Che sia sul posto di lavoro, in famiglia, nel volontariato, che sia in risposta a una malattia o a un problema economico, i #guerrieri non mollano”. Le storie inviate dagli utenti partecipano a un concorso: tra tutte quelle raccolte, sono selezionate le cento con più seguaci. Tra gli autori, saranno estratti a sorte i cinque vincitori, che riceveranno in premio una bicicletta elettrica. La campagna pubblicitaria è stata promossa anche attraverso Twitter (tramite l’acquisto di visibilità nei top trend) e gli spot televisivi realizzati dal regista e scrittore americano Andre Stringer e prodotti dalla Filmmaster Productions. “Qualunque sia la tua battaglia, hai tutta l’energia per vincerla. Anche la nostra”, recita lo slogan del video che circola sulla rete e sulle principali emittenti televisive.
Ma l’iniziativa di Enel si è trasformata in una debacle. L’hashtag #guerrieri ha dato modo agli utenti di sferrare un attacco senza precedenti all’azienda, anziché partecipare al concorso: sul social network, le accuse, gli sfottò, le contestazioni si sono sprecate. Paradossalmente, l’effetto è stato amplificato dalla stessa azienda, che ha comprato il top trend di Twitter, attirando l’attenzione di migliaia di utenti. Se fino a metà settembre, la campagna aveva raggiunto un massimo di poco più di 400 mention giornaliere, nella giornata di martedì sono stati 2.500 gli utenti che hanno parlato della campagna pubblicitaria. E ne hanno parlato male. Dal lancio dell’iniziativa, il totale di mention sull’argomento sfiora quota 9mila.
Gli utenti, in chiara polemica contro l’operatore elettrico, definiscono guerrieri “quelli che ogni giorno, nei territori, si battono contro le centrali a carbone di Enel”, oppure “quelli che devono pagare la bolletta più cara d’Europa e sono in cassa integrazione”. E c’è chi ricorda le manifestazioni contro Greenpeace, apparentemente portate avanti da operai Enel e invece orchestrate dall’azienda. Tra i contestatori dell’azienda, compaiono anche personalità famose. Il collettivo di scrittori Wu Ming parla della campagna pubblicitaria come “il più clamoroso caso di eterogenesi dei fini nell’ancora breve storia del social media marketing italiano”. E rincara la dose Nandu Popu, cantante del complesso reggae Sud Sound System: “Ogni mattina i guerrieri si svegliano e combattono contro il carbone”. Il gruppo salentino non è nuovo alla battaglia contro Enel: in passato, aveva boicottato dei concerti sponsorizzati dall’azienda.
“Non è la prima volta che una grande azienda inciampa in un hashtag poco felice”, fa notare Stefano Epifani, docente di Social media management alla Sapienza di Roma. “E’ capitato a McDonald con l’hashtag #McDStories e a Ferrovie dello Stato con #MeetFS”. E aggiunge: “Tutte queste storie hanno una matrice comune, un errore di fondo: dimenticare che la rete dà voce ai nostri amici, ma anche ai nostri nemici, e la critica viaggia molto più veloce dell’apprezzamento. Soprattutto con strutture come Enel, che vedono una singola campagna trasformarsi nello ‘sfogatoio‘ di migliaia di utenti scontenti”. Gianandrea Facchini, fondatore di Buzzdetector (società di social analytics), critica la scelta del nome della campagna: “La retorica del guerriero mi suona male allontana dalla realtà quotidiana che non ha nulla di epico, ci voleva forse più umiltà nell’avvicinarsi ai problemi quotidiani delle persone. Chissà ci sarà anche chi si prende la briga di cambiare fornitore”.  ”Non è stata ancora capita da parte delle aziende italiane la rivoluzione del web 2.0“, spiega Vincenzo Russo, social media manager de ilfattoquotidiano.it. “I mercati sono conversazioni. E nel conversare bisogna mettersi alla pari, essere onesti, chiari, e parlare la lingua dei propri interlocutori”.
Enel, l’azienda organizzava manifestazioni “spontanee” contro Greenpeace
“Striscioni: numero 8, lunghezza 8/10 metri – altezza almeno 1,5 metri, formato orizzontale e verticale, . Questo il contenuto delle email con cui i vertici dell’azienda organizzavano le contro-manifestazioni in risposta alle proteste ambientaliste spacciandole per ‘azioni spontanee’
Per il buon esito di una manifestazione ci vogliono anche due megafoni, dieci fischietti da arbitro e dieci trombe nautiche a bomboletta. A stendere la “lista della spesa” non è il capo-ultras di una curva, ma un uomo dell’ufficio stampa di Enel. E i campi da gioco sono le centrali a carbone prese di mira da Greenpeace, più volte citata in giudizio dal colosso dell’energia per le sue azioni dimostrative.
È l’ottobre del 2008. Manca poco più di un mese all’inizio della Conferenza sui cambiamenti climatici organizzata dall’Onu a Poznań, in Polonia. Greenpeace entra in azione a Genova il 26. Lo schema è collaudato. All’alba gli attivisti attaccano la Lanterna, simbolo della città, una nave carboniera e l’impianto termoelettrico dell’Enel. Sulla facciata della centrale, sotto il simbolo della società, scrivono “clima killer”. Poche ore dopo la scritta viene oscurata da tre striscioni colorati: Andate a lavorare, Basta ecoballe e Quit Greenpeace. A srotolarli sono gli operai dell’Enel che manifestano contro l’azione degli attivisti verdi. Una contro-protesta spontanea, così la definiscono i dipendenti e la descrivono i giornali. Ma i fatti non sono andati proprio in questo modo. A testimoniarlo sono le mail che i dirigenti dell’Enel si scambiano febbrilmente nelle ore e nei giorni successivi, temendo nuovi attacchi negli altri impianti a carbone.
La verità emerge dalle carte del processo che vede imputati a Brindisi dodici dirigenti Enel con l’accusa d’aver imbrattato di carbone campi e abitazioni vicini alla centrale “Federico II”. Il 9 ottobre 2009 il pm Giuseppe De Nozza ordina la perquisizione del computer di Calogero Sanfilippo, allora responsabile della filiera del carbone. E salta fuori anche questa storia collaterale, che svela un doppio livello nelle legittime azioni di contro-protesta agli attacchi di Greenpeace. Contattata da ilfattoquotidiano.it l’Enel preferisce non commentare. E il responsabile settore elettrico della Filctem Cgil, Giacomo Berni, è categorico: “Ho organizzato tante manifestazioni come sindacato, mai per conto terzi”. Fatto sta che gli operai protestano, ma tutto sembra essere deciso nella sede centrale di Roma. Nei minimi dettagli.
Una mail vale per tutte quelle sequestrate. È quella inoltrata il 31 ottobre 2008 da Sanfilippo ai responsabili delle centrali, ma a scriverla è Alessandro Zerboni, uomo dell’ufficio stampa. È datata 29 ottobre, tre giorni dopo l’attacco di Genova. «È di fondamentale importanza individuare cinque fidatissimi lavoratori per unità a carbone. Eleggere uno o due portavoce. Il personale – suggerisce Zerboni ai responsabili delle relazioni esterne delle macroaree – dovrà essere formato e preparato all’azione. È importante gestire le relazioni sindacali, durante e dopo la protesta in quanto si tratta sempre di AZIONI SPONTANEE dei lavoratori, MAI ORGANIZZATE dall’azienda». Così spontanee che «in caso di azione il capocentrale dovrà informare il proprio superiore, il responsabile di filiera, le relazioni esterne, l’ufficio stampa nazionale».
Poi la lista della spesa, un “press kit per le centrali a carbone” che consiste in «STRISCIONI: numero 8, lunghezza 8/10 metri – altezza almeno 1,5 metri, formato orizzontale e verticale, font: scritti con pennello (minima larghezza per lettera 10 cm). No spray. Colore: preferibilmente blu scuro/verde scuro su fondo bianco. Scritte: ANDATE A LAVORARE, BASTA ECOBALLE, SIAMO VERDI DI RABBIA, uno o due a piacere in dialetto». Due delle frasi suggerite erano già comparse a Genova. L’en plein, stando a quanto riportano i giornali dell’epoca, si registra nel 2009 durante la contro-protesta inscenata dagli operai dell’impianto di Fusina, alle porte di Marghera, subito dopo l’attacco di Greenpeace alla vigilia del G8 de L’Aquila. Sono le uniche due occasioni accertate nelle quali le proteste degli operai combaciano con le indicazioni prescritte nel “press kit”, che si chiude con gli accessori da stadio: «Due megafoni, dieci fischietti da arbitro e dieci trombe nautiche a bomboletta».
Il giorno seguente l’azione di Greenpeace a Genova, lo scambio di mail tra dirigenti, relazioni esterne e gli uomini al comando delle centrali è fitto. Bisogna prevenire altri attacchi e reagire velocemente nel caso in cui gli attivisti riescano a violare ancora le centrali. L’attenzione si concentra sugli impianti di La Spezia e Piombino, i più vicini e per questo più esposti. Dopo il blitz a Civitavecchia del 16 ottobre e il bis in Liguria, la tensione è alta. E c’è fretta di approntare quanto necessario per oscurare la protesta ambientalista. Così Sanfilippo dice al direttore della centrale spezzina di chiedere in prestito gli striscioni usati a Genova, raccomandandosi «per il futuro di realizzarli ad uso esclusivo di La Spezia». Entra in scena anche un pezzo grosso come Roberto Renon, responsabile Area Business, che ricorda a Sanfilippo di concordare in futuro con relazioni esterne le frasi poiché «in staff meeting non era piaciuto “Quit Greenpeace”», apparso a Genova il giorno prima.
Della centrale di Piombino si occupa il responsabile delle relazioni esterne per il centro-nord Luciano Martelli, oggi in pensione. Allertato dalla security interna sulla l’imminente possibilità di un’incursione, avvisa Roma. Il capo ufficio stampa Gerardo Orsini è categorico e pronto a partire per la Toscana: «Vale la pena che tu vada direttamente sul posto per far sì che siano pronti al più presto gli striscioni, le dichiarazioni da fare, si trovi un portavoce che dichiari ai media. Se non puoi diccelo che andiamo da Roma». Martelli lo tranquillizza: «In centrale stanno già preparando qualche striscione». Gli attivisti di Greenpeace non arriveranno. Ma sempre meglio portarsi avanti con il lavoro.


Imprese e sostenibilità ambientale: da ISTAT-CSR, set di indicatori per misurare le performance delle aziende italiane

Da Istat e CSR Manager Network un set di indicatori di sostenibilità attraverso i quali valutare aspetti rilevanti connessi al contributo delle imprese al benessere del Paese.
Nell’ultimo decennio le aziende si sono dimostrate sempre più attente alle tematiche della responsabilità sociale d’impresa e della sostenibilità e hanno cominciato a rendere note le lor performance secondo la logica ESG (environmental, social and governance), elaborando i cosiddetti ‘bilanci di sostenibilità’ in cui vengono rendicontate le performance non-finanziare conseguite secondo strutture e con l’utilizzo di indicatori scelti dalle aziende medesime. Una ‘discrezionalità’ che rende tuttavia difficile valutare le effettive performance ESG delle aziende in maniera omogenea e confrontabile. Per porre fine a questa disomogeneità, Istat e Csr Manager Network (Associazione dei Responsabili delle politiche di sostenibilità delle maggiori aziende italiane) hanno presentato questa mattina a Roma un set di 10 indicatori di sostenibilità attraverso i quali valutare aspetti rilevanti connessi al contributo delle imprese al benessere del Paese.Questi indicatori se adottati dalle imprese, potrebbero consentire per la prima volta di misurare e comparare le performance ambientali, sociali e di governance delle aziende italiane. Il progetto di ricerca congiunto avviato da CSR Manager Network e Istat è finalizzato ad armonizzare, ove possibile, i dati contenuti nei Bilanci di Sostenibilità delle imprese con quelli elaborati dall’Istat con riguardo ai fenomeni ambientali e sociali; a promuovere presso le imprese metodi per la rendicontazione non finanziaria basati sull’uso di dati che siano effettivamente confrontabili con quelli di altre imprese e con quelli delle statistiche nazionali; a definire i metodi per monitorare l’andamento delle performance ESG con riferimento alle principali imprese italiane, in considerazione del ruolo da esse svolto nell’anticipare e orientare i comportamenti del sistema imprenditoriale italiano nel suo complesso. Si tratta di una novità assoluta per l’Italia e a livello internazionale che potrebbe migliorare la trasparenza e consentire di analizzare informazioni aziendali di fondamentale importanza – finora indicate in modo non omogeneo e confrontabile – facendo emergere le aziende più virtuose. Tra gli indicatori, il valore economico diretto complessivamente generato e distribuito dalle singole aziende; variabili della sostenibilità ambientale quali l’uso delle fonti di energia, la quantità di emissioni di gas serra e gli investimenti di carattere ambientale; dimensioni essenziali della qualità del lavoro, quali l’inquadramento contrattuale e il grado di stabilizzazione dei collaboratori, le differenze retributive tra uomo e donna, la prevenzione del disagio lavorativo. Per ciascuna variabile, anche attraverso indicatori sintetici a corredo, sarà possibile realizzare confronti e benchmark di settore, nonché attivare monitoraggi degli scostamenti nel tempo. L’adozione di questi indicatori permette di riportare in modo più oggettivo gli impatti ambientali e sociali nei Bilanci di Sostenibilità con un duplice ordine di vantaggi: da un lato, gli stakeholder possono giudicare l’impegno delle aziende e premiare quelle più sostenibili, monitorando i cambiamenti delle performance nel corso del tempo, effettuando analisi comparative rispetto ad altre organizzazioni ecc. Dall’altro, le imprese sono in grado di controllare maggiormente le variabili da gestire e sviluppare piani di miglioramento più efficaci, grazie a una capacità di misurazione più puntuale e a un confronto più trasparente con i propri concorrenti (non si può gestire quello che non si può misurare). Il presidente Istat, Enrico Giovannini, nel ricordare il percorso già avviato dall’Istituto di Statistica per misurare il benessere equo e sostenibile (BES) del Paese, ha sottolineato che “Solo unendo l’impegno delle imprese e quello delle istituzioni si può creare più che in passato una spinta forte nella direzione del BES, ma a tal fine occorre lavorare ancora per definire meglio come costruire i dati per la CSR”.  I risultati del progetto saranno presentati a livello internazionale come best practice in tema di interazione tra mondo delle imprese e sistema statistico nazionale sui temi della sostenibilità.“Questo progetto – ha commentato Fulvio Rossi presidente del CSR Manager Network – segna una svolta perché crea un ponte tra le performance di sostenibilità praticate dalle imprese a livello micro e i macrofenomeni misurati dalla statistica con una base di comparabilità fino ad oggi impossibile”. Hanno contribuito alla realizzazione del progetto alcune grandi imprese italiane che hanno partecipato alla definizione del set di indicatori: Autogrill, Bureau Veritas, Enel, Generali, Hera, Holcim, Obiettivo Lavoro, Pirelli, San Pellegrino, Terna, Unipol, Vodafone e Gucci. (a.t.)


Gestire la comunicazione in caso di crisi

Le società moderne si trovano continuamente ad affrontare disastri e catastrofi. Gli eventi estremi possono minacciare i valori delle società e/o le funzioni a sostegno della vita e creare un bisogno urgente di reagire a essi in condizioni di grave incertezza. In tali condizioni, è responsabilità delle autorità pubbliche gestire le operazioni di soccorso per salvare vite e ristabilire un senso di ordine. 
Nei primi anni di questo millennio, un’ondata di eventi estremi ha dimostrato quanto sia difficile gestire queste sfide. Tra gli esempi ci sono gli attacchi dell’11 settembre a New York e Washington, le bombe a Madrid e Londra e la minaccia dell’influenza aviaria e della SARS, per citarne solo alcuni. Uno studio ha rivelato che in occasione dell’attacco terroristico del 2005 nella metropolitana di Londra e dell’uragano Katrina del 2006 si è perduto tempo prezioso a causa della de-sincronizzazione delle informazioni e della mancanza di uno scambio di informazioni aggiornate tra le diverse autorità pubbliche.
Un progetto chiamato “Emergency Support System” (ESS), finanziato dalla Commissione europea – DG Imprese e industria nell’ambito del tema “Sicurezza” del Settimo programma quadro ha lo scopo di fornire uno strumento innovativo per risolvere il problema costante delle crisi di comunicazione in condizioni estreme. L’ESS è un insieme di tecnologie in tempo reale centrato sui dati che fornirà informazioni sulla base delle quali si potrà agire a chi si occupa della crisi durante eventi anomali. Queste informazioni permetteranno un controllo e una gestione migliori ed avranno come risultato una sincronizzazione in tempo reale tra le forze sul campo (polizia, soccorritori, vigili del fuoco) e i centri di comando e di controllo lontani dal disastro.
Una delle sfide costanti che le autorità pubbliche si trovano ad affrontare quando gestiscono reti di interventi di emergenza è la mancanza di informazioni sulla base delle quali agire, cioè le informazioni necessarie per prendere le decisioni giuste sotto pressione. Durante le fasi iniziali di una crisi di emergenza spesso non è chiaro quale sia la situazione: Qual è la causa? Come stanno reagendo le persone? Quante sono le vittime? Che danni ci sono? La minaccia è già svanita o si sta ancora evolvendo?
Senza informazioni precise, chi gestisce la crisi ha difficoltà a prendere decisioni veloci e corrette. In effetti, l’assenza di informazioni affidabili (insieme al flusso di rapporti non confermati e voci infondate) tende ad avere un effetto paralizzante su chi deve prendere decisioni in una situazione di crisi. Il rischio di prendere decisioni basate su informazioni parziali e non verificate potrebbe avere effetti indesiderati, che potrebbero alimentare invece di mitigare la crisi. Il progetto ESS ha lo scopo di risolvere tutto ciò sviluppando un sistema di comunicazione di crisi “rivoluzionario” in grado di trasmettere in modo affidabile flussi di informazioni filtrate e pre-organizzate al sistema di comando della crisi, che fornirà le informazioni rilevanti necessarie per prendere decisioni critiche.
Qualsiasi evento fuori del normale può registrare un cambiamento improvviso o cambiamenti cumulativi in uno o diversi mezzi con i quali interagisce (telecom, etere, spazio, acustico, visuale e altro). Per esempio, in un’esplosione, i mezzi colpiti comprendono: quello acustico (“boom” dell’esplosione), visivo (esplosione improvvisa) e delle telecomunicazioni (improvviso aumento del traffico). Un controllo effettivo quindi di tali eventi fuori del normale comporta: monitorare ogni mezzo in modo indipendente in tempo reale, attivare un allarme quando vengono rilevati cambiamenti improvvisi o cumulativi in uno o più mezzi e, quando è necessario, contattare la popolazione colpita e fornire possibilità di evacuazione di massa. ESS integrerà tutti questi mezzi in un sistema centrale, che permetterà a chi gestisce la crisi di rispondere meglio a queste sfide.
Il progetto integrerà diverse tecnologie di raccolta dei dati front end in una piattaforma unica. Questa comprenderà lo sviluppo di sensori e degli accessori necessari che accompagneranno ogni sensore. Tutti i sensori ESS saranno conformi agli standard IP/IEC 529 e alle specifiche per l’uso all’esterno. Per permettere al sensore portatile di comunicare con il back office, la piattaforma di portabilità comprenderà un componente di comunicazione che consisterà in un modem wireless basato su WLAN, Wi-MAX o GPRS.
Il Data Fusion Mediation System (DFMS) sarà un sistema centralizzato che funziona sul database ESS, che sarà connesso a tutti i sensori front end attivati nel sistema. Come citato nell’obiettivo 1, ESS si concentrerà su vari tipi di sensori (termici, video, ecc.). Il DFMS dovrà svolgere i seguenti compiti: comunicazione tra sensori e database, armonizzazione dei dati prodotti da vari sensori di un tipo, fusione dei dati provenienti da vari tipi di sensori e localizzazione spaziale dei dati.
ESS fornirà anche un’interfaccia di programmazione di applicazione aperta (API) per permettere a tutte le autorità pubbliche, se necessario, di aggiungere più applicazioni adattate alle proprie esigenze particolari. I dati di ESS, le funzionalità e il flusso di dati si baseranno su standard ISO o standard industriali. Ogni applicazione commerciale che ha adottato o adotterà questi standard sarà in grado di connettersi a ESS.
L’idea alla base del portale ESS è creare uno schema di sincronizzazione efficiente che gestisce il flusso di dati e informazioni tra le diverse autorità pubbliche coinvolte nelle operazioni di gestione dell’emergenza e chi gestisce la crisi (soccorritori, polizia, vigili del fuoco, ecc.). Il portale ESS fornirà agli operatori coinvolti una piattaforma comune, uniforme e onnipresente per raccogliere, analizzare e condividere in tempo reale i dati che supportano le decisioni di gestione. Così il risultato di ESS sarà un quadro all’avanguardia che integrerà un’architettura multi-tier di elaborazione di informazioni, il risultato della quale sarà accessibile in maniera onnipresente da tutti gli operatori coinvolti, attraverso il portale ESS. L’accesso al portale sarà assicurato per mezzo di crittazione SSL e VPN insieme ad altre tecnologie di sicurezza come firewall e procedure di autenticazione.
Il sistema è in fase di collaudo e convalida in tre diversi test sul campo: un incendio in una zona boschiva, un evento anomalo in uno stadio affollato e incidenti in discariche di rifiuti tossici per testare la sua efficacia. Usare ESS in diverse situazioni è necessario per testare le capacità del sistema in diversi tipi di crisi, usando una varietà di strumenti di raccolta. La dimostrazione finale del progetto ESS avverrà vicino al paese di Sospel in Francia l’11 aprile 2013. La dimostrazione simulerà un incidente aereo che causa un incendio nel bosco il quale si espande verso l’Italia e coinvolgerà autorità francesi e italiane. La situazione comprende il recupero delle vittime.
Il progetto è formato da cinque istituti di ricerca (IGSI, CEREN, IMEGO, KEMEA e IAIS), sette partner industriali (ALI, VRNT, WIND, AERO, GMV, ING e CS), tre PMI specializzate (ALGO, APD e IT IS ), un professionista della gestione di progetti (Ernst & Young) e un fornitore di servizi medici di emergenza (MDA). Ciascun partner porta competenze importanti e complementari al progetto. Tre partner rappresentano gli utenti finali delle tecnologie, le soluzioni e le prospettive di ESS. CEREN è l’agenzia che coordina i servizi di emergenza nel sud della Francia, mentre KEMEA ha un ruolo simile in Grecia. MDA è il fornitore di servizi medici di emergenza israeliano con grande esperienza in eventi di emergenza.
Persona di Contatto:Per maggiori informazioni, visitare:
Progetto ESS
http://www.ess-project.eu/


Non tutte le aziende redigono il report Csr o trascurano il consumatore

E’ quanto emerge da una ricerca sulle nuove tendenze dei bilanci di sostenibilità presentata in occasione del Forum Csr da Chiara Mio dell’Università Ca’ Foscari.Non tutte le aziende redigono il bilancio di sostenibilità e quelle che lo fanno trascurano la dimensione del consumatore. E’ quanto emerge da una ricerca sulle nuove tendenze dei bilanci di sostenibilità presentata in occasione del Forum Csr da Chiara Mio dell’Università Ca’ Foscari. Mio spiega di aver condotto “una ricerca sulle principali quotate italiane in particolare le prime 50 per dimensione di capitalizzazione. Il primo risultato è che non tutte, anzi solo 31 su 50 redigono un report di sostenibilità e di responsabilità sociale. Questa è già un’indicazione di come nel nostro paese non sia così evoluta la consapevolezza di una responsabilità sociale”.
Inoltre, aggiunge, “all’interno di questi report, per i 31 che lo fanno, vi è la netta sensazione e la certezza dell’indagine che la dimensione del consumatore non sia ritenuta molto importante”. Infatti, “si rendiconta e si comunica solo ciò che è obbligatorio ai sensi dei framework più consolidati in materia ma non si considerano invece iniziative di comunicazione proattiva”.E non solo. “Non vi è neanche un atteggiamento a misurare quelli che sono i risultati e gli impatti. Tutta la comunicazione delle società è volta a dire ‘abbiamo rispettato i codici’, ‘abbiamo rispettato la legge’ ma non vi è mai un approccio che parta dai diritti del consumatore mettendo al centro la persona”. Certamente, conclude, “le aziende sono molto attente a mettere al centro il mercato e quindi il cliente come potere di acquisto. Credo che su questo il nostro paese debba fare una grande riflessione”.


creatoridifuturo.it | Selected by Luca Poma | (1/1)