Csr, un valore per viaggiatori e tour operator

BANK SARASIN: TRA LE PROMOSSE ANCHE L’ITALIANA AUTOGRILL
La corporate social responsibility diventa un fattore critico di successo anche per le società del settore turismo. Lo dimostra, se mai ci fosse bisogno di un’ulteriore conferma, l’ultimo studio firmato Bank Sarasin sulla sostenibilità delle aziende comprese nel macrocomparto viaggi e tempo libero. Il tutto parte da una tendenza inarrestabile. Ormai una quota vicino al 50% dei viaggiatori dichiara di voler prendere la “sostenibilità” dell’offerta e della meta come variabile rilevante con cui decidere che prenotazioni fare.
In questo contesto è naturale osservare che programmi comprensibili di approccio sostenibile da parte di catene di hotel e tour operator “illuminati” vengono attualmente sempre più perseguiti tramite il progetto internazionale di azione di politiche ambientali e di sviluppo conosciuto come “Agenda 21”. I tour operator che si indirizzano verso un’attività guidata dal rispetto dei temi della sostenibilità, ne beneficiano in almeno due modi. Infatti, non solo registrano un tasso di crescita maggiore e fidelizzano di più la clientela rispetto ai concorrenti meno attenti alla Csr, ma anche osservano un minor consumo di risorse sperimentando un maggior risparmio di costi. Tutti benefici che a loro volta si manifestano con un altro grande vantaggio: un maggior interesse da parte investitori nel puntare in Borsa sulle società del settore turismo più sostenibili. Alcuni nomi? Bank Sarasin segnala, tra le più interessanti come investimento tenuto conto delle variabili della sostenibilità, aziende come Kuoni, Accor e Whitbread. Ma c’è anche un’azienda italiana tra le promosse nella matrice della sostenibilità: Autogrill.
Gli analisti della banca svizzera sottolineano che l’attenzione alla sostenibilità rappresenta una grande opportunità per tutto il settore viaggi dopo anni di difficoltà pressato da paura di epidemia Sars, attacchi terroristici e tsunami. Nonostante queste problematiche le dimensione economiche del comparto nel suo complesso sono oramai impressionanti. Si calcola che nel 2012 sono stati registrati per la prima volta nella storia oltre un miliardo di viaggi internazionali. Senza dimenticare i circa quattro miliardi di spostamenti legati al turismo nazionale. Un trend globale destinato a crescere. La World Tourism Organization (UnWto) stima un aumento del volume di viaggi di almeno il 3,3% medio annuo da qui al 2030, con un rallentamento dell’espansione del tasso annuo dal 3,8% attuale al 2,5% del 2030. Con questi numeri il turismo spicca per essere uno dei settori economici con i più alti tassi di crescita. Già oggi genera almeno il 9% del Pil mondiale.
Peccato che l’industria del turismo ha anche un lato oscuro, un’anima ben poco “etica”. Basti pensare al consumo di risorse che genera, alle massicce emissioni nocive di gas a causa soprattutto degli spostamenti, alla distruzione di ambienti naturali per lasciar spazio a nuovi hotel, villaggi turistici, residence, porti e affini, e alle condizioni precarie di lavoro per gli occupati nel settore. Per capirne le dimensioni, prendiamo ad esempio il problema delle emissioni di gas: se il turismo fosse uno Stato, sarebbe al quinto posto nel mondo come più grande produttore di inquinamento di questa origine. Che è poi una sorta di autogol. Infatti questo tipo di emissioni ha un ruolo importante nel causare importanti cambiamenti climatici come la distruzione dei ghiacciai e la parallela scomparsa di spiagge, e come la diminuizione di precipitazioni nevose che danneggia il turismo invernale. Di tutto l’inquinamento da gas nocivo riconducibile al settore viaggi, ben il 39% è generato dalla CO2 emessa dai voli degli aerei, seguito con il 32% dal traffico sui ruote. Dunque in gran parte è generato dagli spostamenti, più che dal soggiorno. Un altro aspetto delicato a livello di impatto ambientale è quello del consumo dell’acqua.
In questo contesto è comprensibile che la crescente attenzione dei consumatori ai temi dell’impatto ambientale della loro azione porta gli stessi a essere sempre più sensibili alle offerte più attente ai temi della sostenibilità, selezionando mezzi di trasporto green, itinerari ecologici, destinazione e tipologia di sistemazione durante il soggiorno. E le risposte del mercato non stanno mancando. Ad esempio gli hotel che fanno del rispetto dell’ambiente il loro bigiletto da visita stanno aumentando la attenzione a contenere i consumi di risorse non rinnovabili o a elevato impatto ambientale.
I turisti sostenibili stanno imparando a riconoscere e ormai addirittura a esigere i titoli di riconoscimento di sostenibilità ambientale dei vari pacchetti viaggi e delle strutture di ricezione. Insomma, non si guarda più solo a quante stelle ha un hotel, ma se esibisce una rating di sostenibilità ufficiale. Uno di questo è il cosiddetto “ecological footprint”, letteralmente “un’orma di piede ecologica”, che rappresenta una sorta di strumento, un tool già diffuso per eseguire uno screening di sostenibiltà del pacchetto vacanza offerto. Utile a poter dare un bel calcio alle offerte poco “etiche” in termini ambientali.


Foursquare, il geomarketing territoriale, opportunità strategiche [case history Coin]

Era l’11 marzo 2009, che Dennis Crowley e Naveen Selvadurai presentavano al mondo Foursquare, il social network che si differenziava da tutti gli altri perché il flusso di comunicazione e interazione era basato sulla mobilità della persona e sulla sua volontà di far sapere ad altri utenti, utilizzando i moderni cellulari smartphone e una connessione al web di tipo mobile, dove si trovava in quello specifico momento. La domanda a cui cercava di dare una risposta Foursquare e che intendeva sfruttare come fulcro centrale del rapporto peer to peer tra utenti non era più “A cosa sto pensando”, domanda già lanciata da Facebook, Twitter, Friendfeed, ma “dove mi trovo in questo momento”.

Ciò che è stato da subito alla base di Foursquare era un meccanismo ludico e incentivante che creava engagement e spingeva gli utenti e effettuare il cosiddetto “check-in” per andare alla caccia dei badges. Si perché Foursquare ti invitava a far sapere dove fossi, cosa stavi facendo, e a tracciare il territorio aggiungendo location non ancora presenti nel database (è quasi un incentivo ad ottenere una sorta di mappatura del territorio) e in cambio ti premiava permettendoti di sbloccare delle medagliette virtuali ognuna delle quali rappresentava delle missioni che si era portato a termine. Non solo, facendo check-in più volte nello stesso posto, si diventava sindaci (mayor). Capirete quindi qual era l’engagement/coinvolgimento principale alla base di Foursquare: battere gli altri utenti appropriandosi le fasce di sindaco dei luoghi e sbloccare quanti più badges possibili.

Questo meccanismo video ludico di intrattenimento non bastava però ai loro fondatori, che riuscirono a inventarsi qualcos’altro e realizzarono un modo più accattivante per intrattenere gli utenti e spingerli all’utilizzo di Foursquare, una soluzione che questa volta arrivava a coinvolgere anche le aziende con una presenza sul territorio (punto vendita/distribuzione). Fu ideata la possibilità per il titolare di un punto vendita o azienda di vendita al consumatore finale, di reclamare la titolarità del luogo virtuale che, secondo le coordinate assegnate (via, città, ecc.), corrispondeva effettivamente al posto geografico in cui si trovava il punto vendita. Nacquero così gli specials, bandierette gialle in evidenza sui luoghi, che comparivano quando col proprio smartphone ci si metteva alla ricerca di posti dove poter fare check-in. Gli special che venivano attivati dai titolari di aziende locali, avevano lo scopo di premiare, secondo la logica di Foursquare, quegli utenti che effettuavano il check-in, effettuavano un tot di check-in definiti dall’amministratore/titolare della pagina, o diventavano sindaci dello stesso. Per premiare tale impegno gli amministratori potevano pianificare delle offerte attivabili per questi utenti “fedeli”, come uno sconto del 10% sull’acquisto di un prodotto o il regalare carte fedeltà.

Dopo questa breve digressione storica sulla nascita ed evoluzione di Foursquare vediamo di capire bene quali sono i passi che un’azienda deve svolgere per attivare degli special, e quindi delle offerte specifiche per premiare utenti ritenuti fedeli. Mi preme ricordare sin da subito, che Foursquare, contrariamente ad altri social network di massa, permette di misurare perfettamente il ritorno sull’investimento effettuato (ROI) e vedremo più avanti come.

Foursquare Marketing per business: reclamare il luogo ed attivare gli specials

Prima cosa da fare è andare su Foursquare e cercare la propria attività. In alto a destra vedrete un pulsante “Do You manage this venue? Claim here” sul quale dovrete cliccarci e procedere all’autenticazione.

Gli step successivi saranno quelli di confermare la volontà di reclamare il venue/luogo e di confermare di essere autorizzati a farlo. Verrà poi chiesto se si preferisce essere contattati telefonicamente o via mail per ricevere un codice che dovrà essere inserito per verificare il venue. E’ possibile anche richiedere lo speciale adesivo che ti inviano per posta in circa una settimana, inserendosi una lista d’attesa. Oltre ad essere un modo in più che ha Foursquare per stupirci (marketing emozionale di Foursquare!) ha lo scopo di essere attaccato nel venue (un bar, pub, un b&b, un hotel, ecc.) per far capire immediatamente ai visitatori/clienti che li è attivo uno special e che hanno un motivo in più per fare il check-in con Foursquare per sbloccare offerte speciali!

Ritornando all’attivazione di un venue business, c’è da dire che dopo aver fatto richiesta di autenticazione del venue e avervi spedito il codice che avrete inserito nella pagina di verifica, vi attiveranno il venue business e da qui si aprirà un mondo da diversi scenari e opportunità di marketing.

Chi ha reclamato il venue apparirà come membro dello Staff (se al momento dell’autenticazione si è detto che il punto vendita aveva una sola sede, altrimenti comprenderà anche gli store manager/responsabili delle altre filiali nel caso in cui l’attività sia una catena). In alto noterete come, oltre alla possibilità di editare le informazioni del venue, c’è una delle cose a mio parere più importanti: le statistiche del venue. Cliccateci e vi apparirà una schermata.  La pagina delle statistiche riporta informazioni molto dettagliate e interessanti, in particolare ci dice chi sono gli utenti che hanno fatto check-in nel venue e il numero dei loro check-in e quelli totali. Inoltre ci dice quanti check-in sono stati condivisi rispettivamente su Facebook e su Twitter. Infine offre informazioni molto utili circa la ripartizione temporale dei check-in nel venue: informazioni molto utili per pianificare specifici special se notiamo ad esempio, che la gente tende a fare check-in soprattutto in una certa ora della giornata.

Come dicevo prima, l’utilizzo di foursquare per il marketing, a differenza di altri canali social, permette la misurazione del ritorno sull’investimento effettuato (investimento che può essere di natura economica, come sconti, campioni prodotto in regalo, consulenza ad agenzie, o di natura di tempo investito nello gestire il tutto), proprio perché dal dashboard del venue business sapremo esattamente quanti e quali persone avranno fatto check-in, quante avranno sbloccato lo special (ad esempio diventando sindaci) e che meccanismo di viralità possà essersi innescato (visualizzando il numero di check-in condivisi via Facebook e Twitter).
Infine, sempre dal dashboard del venue è possibile proporre degli special, che saranno oggetto di valutazione da Foursquare e devono comunque essere correlati a un valore aggiunto che deve essere esclusivo solo per chi effettivamente utilizza Foursquare.

Foursquare case history: il caso Coin

Una delle prime aziende in Italia ad utilizzare foursquare nella propria strategia di social media marketing è stata Coin. Probabilmente è stata proprio la prima ad attivare gli specials, per tutta la catena dei punti vendita presenti sul territorio. A gestire e probabilmente, anche a proporre la strategia, è stato il web strategist di Coin, Gianluigi Zarantonello, che personalmente reputo uno dei più bravi tra i social media strategist italiani. Ho chiesto a Gianluigi di darmi un po’ di informazioni su come sia stata implementata la strategia e se ci fossero stati dei primi risultati concreti derivanti dalla strategia location based social networking.

Abbiamo iniziato ad usare 4sq da aprile ma solo a luglio ho avuto la gestione delle venue di Coin (50 + altre in arrivo) e Upim Pop (5 per ora).

A questo punto abbiamo deciso di partire subito dopo l’estate con Coin e abbiamo pensato di dare come omaggio iniziale la Coincard Easy,una fidelity che dà molti vantaggi (www.coin.it/coincard) e che normalmente costa 5 euro.
La logica è quella di premiare la fedeltà dei mayor, e dunque cosa più indicato di una carta fedeltà?
Sul piano marketing naturalmente ciò serve anche a portare gli utenti più vivaci nel nostro crm, che di fatto è lo strumento di comunicazione più potente che oggi abbiamo (db proprietari dettagliati e multicanale).
Si tratta di un’iniziativa sperimentale che non stiamo nemmeno comunicando in modo spinto ma che già il giorno dopo la pubblicazione dello special (30 agosto) ha scatenato grande dibattito spontaneo (nessuna news è stata inizialmente diffusa). Le venues sono accessibili da Coin.it (il link è anche nelle schede negozio su http://www.coin.it/negozi) e da Coin.mobi (che si apre automaticamente quando si naviga da mobile, tranne che per iPhone che rimane sul sito principale).
Staremo a vedere per quanto attiene ai risultati, ci interessa comunque innovare e dunque vedremo serenamente gli esiti dell’iniziativa, se non si prova non si può sapere! Nelle prime settimane ci siamo assestati sul rilascio di 3-4 card alla settimana e anche il numero di check-in è interessante, tanto più che noi di solito rispondiamo su twitter a quelli che li condividono (generando altre conversazioni e engagement).

Io aggiungo che il marketing esperienziale di Coin legato ai social media, continua anche dopo il check-in dell’utente. Infatti gli utenti che nei loro profili condividono il proprio account Twitter, vengono contattati direttamente da Coin su Twitter, che oltre a ringraziarti per il check-in, mi invitava a continuare l’esperienza Coin dandomi la possibilità di fare dei video auguri natalizi.

Quindi stando alle parole di Gianluigi, Foursquare è un ottimo strumento sia di marketing esperienziale, sia di Crm marketing, costruzione di un database profilato di utenti. Ovviamente le strategie attivabili con Foursquare sono molte e dipendono anche dalla creatività di chi le gestisce e dalla capacità di essere misurate, nonché dalla tipologia di attività in questione.Coin è sicuramente stata una delle più importanti aziende a mettere in atto gli step fondamentali di un’azione strategica e sinergica multicanale e multi esperienziale, ovvero definire una strategia che prevedesse la geolocalizzazione e quindi puntando a Foursquare, attivare i venue business e gli special relativi per premiare gli utenti fedeli, e continuare l’esperienza di socialità azienda-consumatore, anche dopo Foursquare (vedi Twitter).Qui sotto trovate una chiara immagine esplicativa degli step di un’esperienza strategica di Social Media Marketing attivabile con Foursquare.


Chi si fida di Big Pharma?

È tempo che l’industria farmaceutica si impegni per riconquistare la fiducia di medici e pazienti, modificando molti suoi comportamenti che alla lunga le si stanno ritorcendo contro. Negli anni trascorsi un gran numero di ombre si sono addensate su questo settore industriale che pure è un potente motore di sviluppo di nuovi trattamenti capaci di portare un importante contributo alla salute delle persone. Ne parla un editoriale pubblicato su Jama intitolato significativamente Restoring Confidence in the Pharmaceutical Industry.
Tra i problemi principali segnalati dall’editoriale c’è la tendenza da parte dell’industria farmaceutica a manipolare e presentare in maniera scorretta i dati provenienti dalla ricerca che produce o sponsorizza. Dicono gli autori, Howard Bauchner e Phil Fontanarosa: “Un report che ha comparato l’informazione proveniente da trial di efficacia inclusi nei documenti della Food and Drug Administration (FDA) americana per le domande di approvazione di nuovi farmaci, con l’informazione pubblicata in articoli scientifici, ha scoperto che molti trial clinici inseriti nelle domande non erano pubblicati 5 anni dopo l’approvazione del farmaco”. Un fatto di per sé molto grave anche dal punto di vista concettuale, perché separa il percorso per il raggiungimento dell’approvazione di un farmaco da quello dell’avanzamento delle conoscenze scientifiche, e anche la loro condivisione con la comunità dei ricercatori. Come se fossero due cose diverse, come se l’approvazione di un nuovo farmaco fosse un obiettivo esclusivamente industriale ed economico. Il che ovviamente, dal punto di vista della società civile non è e non può essere.
Ma c’è di più, lo stesso report citato dall’editoriale ha anche trovato discrepanze tra obiettivi primari, analisi statistiche e conclusioni dei documenti per l’FDA e quelli presenti negli articoli che comunque alla fine sono stati pubblicati nella letteratura scientifica. Insomma, un gran pasticcio, una manipolazione non giustificabile. Se si considera che tutto questo sta diventando sempre più di pubblico dominio e che le grandi multinazionali farmaceutiche sono incorse anche in diverse multe per marketing non etico e illegale, si capisce quanto sia importante e urgente un cambiamento.
Secondo gli autori dell’editoriale, per recuperare credibilità sociale è tempo che l’industria farmaceutica si impegni a:

  • Lasciare ai ricercatori indipendenti il compito di analizzare i dati delle ricerche eventualmente disegnate e sponsorizzate dall’industria stessa.
  • Lasciare ai ricercatori indipendenti la stesura degli articoli scientifici su ricerche sponsorizzate dall’industria.
  • Rendere pubblici i dati dei trial clinici sponsorizzati dall’industria perché ricercatori indipendenti qualificati possano revisionarl.
  • Evitare la pubblicità diretta ai consumatori (nei paesi in cui è permessa) almeno fino a quando non siano stati completati anche tutti gli studi postmarketing, mostrando così di avere a cuore la sicurezza dei pazienti (che non può essere garantita dai brevi e numericamente limitati trial per la registrazione).

Poi restano comunque aperti molti altri problemi. Ad esempio il fatto che nel 2013 scadranno almeno 40 brevetti di farmaci con ridotti introiti per l’industria farmaceutica di oltre 35 miliardi di euro. Come farà a recuperare cifre tanto colossali? Secondo un articolo comparso su The Economist una strategia in corso è quella di proporre vecchi farmaci per nuove indicazioni. Si tratta di un modo per risparmiare fino al 40 per cento sui costi dello sviluppo di nuove molecole. Un approccio che può essere utile, tanto che oggi viene portato avanti anche da alcune università, ma che se diventa l’alternativa al vero sviluppo di nuove molecole, rischia di minare nei prossimi anni il potenziale per la scoperta di farmaci realmente innovativi.


Poca sostenibilità nella Supply Chain

OSSERVATORIO BILANCI CSR 2011 DI AVANZI E A&S
Non tutte le crisi vengono per nuocere. Quella attuale potrebbe infatti spingere le imprese a rivedere le proprie strategie tra cui quella relativa agli acquisti e alla selezione dei fornitori sulle basi di criteri che premiano i comportamenti etici e sostenibili. La tendenza emerge dalla quinta edizione dello studio “Le pratiche di sostenibilità della Supply Chain nei Bilanci Csr 2011” condotto dall’Osservatorio Bilanci Csr di Avanzi e da Acquisti & Sostenibilità che sottolinea una crescente attenzione al reporting delle pratiche di Csr all’interno della filiera degli acquisti.
Nonostante la forte spinta determinata dalla disclosure richiesta dagli analisti Sri e prevista dalla nuova versione G4 dallo standard GRI, la strada tuttavia è ancora in salita. L’adozione dei criteri Csr nella selezione dei fornitori e l’inserimento della clausola contrattuale relativa al rispetto del Codice Etico, con effetti anche sanzionatori nel caso di inosservanza, non risponde di fatto a un miglioramento del profilo ambientale e sociale della catena di fornitura. Nella maggior parte dei casi, infatti, l’obiettivo di tali procedure resta prevalentemente quello di mitigare il rischio operativo e reputazionale dell’azienda. Allo stesso modo, le iniziative di coinvolgimento specifico sui temi Esg sono scarse e perlopiù confinate al semplice scambio di informazioni gestito attraverso il portale fornitori.
Come se ciò non bastasse, chi ha condotto l’indagine, che ha lo scopo di valutare attraverso indicatori di facile lettura i progressi nella rendicontazione e comunicazione della gestione della sostenibilità nella supply chain, ha dovuto purtroppo spesso fare i conti con la mancanza non solo di informazioni e dati quantitativi, ma anche di uniformità tra gli indicatori stessi.
L’ambito della ricerca è rappresentato dalle società quotate negli indici Ftse All Share a fine agosto 2012 per un totale di 222 titoli. All’interno di questo universo di riferimento, ad aver pubblicato il bilancio Csr in versione completa sono state 40 società. I ricavi conseguiti ammontano complessivamente a circa 576 miliardi di euro, mentre il valore degli acquisti di beni e servizi è invece di circa 230 miliardi di euro, con un’incidenza media sui ricavi pari al 40%. Per reperire le informazioni oggetto di analisi sono stati considerati l’Annual Report, i Codici Etici, i Bilanci Csr, le sezioni sostenibilità dei siti web e i portali fornitori dedicati.
La prima evidenza positiva emersa dall’Osservatorio è lo spazio attribuito alla rendicontazione relativa agli aspetti di integrazione della Csr nella catena della fornitura: il 53% del campione ha dichiarato di dedicare uno spazio di 5 pagine e oltre. La prima nota dolente riguarda invece il ruolo del Codice Etico ( o Codice di Condotta aziendale): nonostante il 90% del campione preveda all’interno del documento uno spazio riservato ai rapporti con i fornitori, solo il 10% ha indicato precisi impegni etici verso i fornitori ( come ad esempio la puntualità nei pagamenti) oppure l’integrazione reale dei principi di responsabilità sociale e ambientale nella catena di fornitura (ad esempio, la preferenza per i fornitori più virtuosi).
Nel processo di selezione dei fornitori il 78% delle aziende esaminate dichiara di considerare anche criteri di responsabilità ambientale e sociale: il valore è confortante anche se rispetto allo scorso anno non vi sono stati incrementi. Ben il 60% del campione ( con un’incidenza del 76% sul valore complessivo degli acquisti) inserisce clausole di Csr nei contratti e documenti di gara: tra queste la più frequente è il rispetto del Codice Etico della società committente. Quando si guarda tuttavia alle prassi concrete, tuttavia, non è chiaro se l’eventuale inosservanza dia o meno luogo a una sanzione, né tanto meno all’interruzione del contratto. La stessa percentuale di aziende è in grado di fornire informazioni relative al rating dei propri fornitori sulla base dei parametri di Csr: nonostante la valutazione delle prestazioni dei fornitori rispetto agli standard previsti dal committente sia una pratica fondamentale per migliorare la qualità degli acquisti sotto il profilo ambientale e sociale, tale monitoraggio resta prevalentemente un’attività ad esclusivo appannaggio delle grandi aziende. La percentuale si riduce ulteriormente quando si passa alla fase di verifica vera e propria: solo il 40% delle società del campione dichiara di effettuare audit presso i propri fornitori sia ai fini della selezione iniziale, sia in fase di monitoraggio successivo.
Il principale elemento distintivo, e anche più critico, dell’ultima edizione dell’indagine rispetto a quella dell’anno precedente, risiede nel livello di rendicontazione quantitativa. La tendenza positiva è data dal livello di diffusione della rendicontazione: il 73% del campione è in grado di presentare dati e Key Performance Indicators (Kpi) rispetto alla gestione dei fornitori. Tale percentuale viene fatta risalire dagli autori stessi dell’Osservatorio all’attenzione posta dagli analisti Sri (tra cui SAM-Dow Jones) che nei questionari per il rating hanno anticipato l’ampliamento degli indicatori sulla supply chain previsti dalla nuova versione dello standard Gri G4 che entrerà in vigore l’anno prossimo.
Nonostante l’incremento nella disponibilità di dati relativi alla caratterizzazione sia degli acquisti, sia della base dei fornitori, le difficoltà nell’analisi tuttavia permangono: i Kpi impiegati dalle aziende, e in grado di misurare, e quindi rappresentare, correttamente l’efficacia della gestione rispetto ai criteri di sostenibilità, hanno di fatto ancora una diffusione limitata e si confermano poco omogenei tra loro.


Sostenibilita': studenti a lezione di Csr e di tutela ambientale

La realizzazione di uno stagno didattico nel giardino della scuola, lo sviluppo di un progetto di responsabilita’ sociale d’impresa (Csr) per migliorare la propria citta’ e una passeggiata educativa nei boschi di legno certificato della Val Chisone. Sono alcune delle attivita’ al centro dei tre progetti educativi ideati da Leroy Merlin in collaborazione con gli enti locali, Koine’ cooperativa sociale onlus, fondazione Sodalitas e Pefc Italia. Protagoniste delle iniziative sull’educazione al vivere sostenibile e al rispetto dell’ambiente saranno 61 classi delle scuole primarie e secondarie della Lombardia e del Piemonte per un totale di 1.220 studenti.
“Io scelgo sostenibile” e’ il progetto che nato dalla collaborazione con Koine’ cooperativa sociale onlus che prevede tre percorsi educativi (fai da te e riutilizzo, caccia agli sprechi, cura del microhabitat a casa e a scuola) grazie ai quali gli studenti impareranno a realizzare panchine per la scuola, cestoni per la raccolta differenziata, orti didattici, giardini delle farfalle, casette nido per educare alla biodiversita’. “I giovani per il territorio”, in collaborazione con la fondazione Sodalitas, invita gli studenti a realizzare un progetto di Csr per il proprio territorio dedicato alla riqualificazione territoriale e prevede l’introduzione alle tematiche della Csr e analisi del territorio, in cui gli studenti si interfacciano con enti locali, cittadinanza, imprese per individuare l’opera che puo’ migliorare la propria citta’.
Una giuria composta da rappresentanti di fondazione Sodalitas, Leroy Merlin e degli istituti scolastici di riferimento scegliera’ il progetto vincitore da reaizzare. “Conosciamo e compensiamo i nostri impatti”, in collaborazione con Pefc, e’ un percorso dedicato alla conoscenza del legno, con un’introduzione in aula sui cambiamenti climatici e un’esperienza diretta in un bosco di legno della Val Chisone da cui deriva legname tracciato e certificato. Ai ragazzi della scuola media statale Nicoli di Settimo Torinese sara’ proposto un percorso di sensibilizzazione al fine di conoscere e poter calcolare in maniera coinvolgente e diretta alcuni impatti ambientali: perfomance dell’Istituto scolastico (energia, gas, emissioni di gas a effetto serra), utilizzo dell’acqua, trattamento dei rifiuti, trasporti.


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