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Foo Fighters, la notte delle sorprese. Grohl: "Avete fatto una cosa rivoluzionaria"

La promessa dei Foo Fighters: “Cesena, arriviamo”

Un tweet di David Grohl, leader della formazione, fa sognare i fan della Romagna. Che per convincere i loro beniamini avevano messo insieme una band di 1.000 musicisti per suonare (e trasmettere sui social network) “Learn to fly”

“Cesena, che bello. Ci vediamo a presto”. L’italiano non sarà perfetto, ma il messaggio che Dave Grohl (anzi, Davide, come si firma) ha twittato nella notte sul profilo dei Foo Fighters è chiaro e potente.


L’impresa dei mille non sembra più una romantica follia, ma può presto trasformarsi in realtà. E la scorsa domenica sarà ricordata come il giorno in cui Cesena ha imparato a volare, quando dopo mesi di lavoro un gruppo di amici ha portato al parco dell’Ippodromo mille musicisti a suonare all’unisono “Learn to fly” dei Foo Fighters.


L’impresa di Rockin’1000 è già da Guinness dei Primati di per sé. Ma c’era di più. Si trattava di mettere in piedi la più grande rock band del mondo, numericamente parlando, per chiamare a Cesena una delle più grandi rock band del mondo. Il sogno era convincere Dave Grohl e compagni a fissare una tappa del tour nella città romagnola.
“Sto vivendo in una bolla, le emozioni di quella giornata, poi il video, il ritorno internazionale e l’immediata risposta dei Foo Fighters, sono sensazioni che mi porterò dentro per sempre”, racconta Fabio Zaffagnini, ideatore di Rockin’1000. Il mondo della musica, al di là di testi, suoni, emozioni, è prima di tutto un business, dove girano milioni e milioni di euro, o dollari. Poco spazio per romantici e sognatori. Eppure. Eppure succede che una delle band più famose al mondo veda il video di questa impresa costruita in casa tramite sudore e crowdfounding (40mila euro circa raccolti, più gli sponsor raccolti strada facendo) e immediatamente lo riprenda sui suoi canali Facebook e Twitter. Prima, con un “Cesena, che bello”, che fa sì piacere ma è solo un attestato di stima. Poche ore dopo, però, arriva qualcosa di più: “Ci vediamo a presto, Cesena. Baci Davide”. Questa suona come una promessa. E Davide Grohl è una di quelle star che al pubblico ha sempre dato l’anima. Pure una gamba, come a giugno in Svezia, quando durante un concerto cadde dal palco, si ruppe una caviglia, corse in ospedale a farsi ingessare per poi tornare dopo un’ora e finire lo show in sedia a rotelle.
L’idea di Rockin’1000 nasce oltre un anno fa, da uno spunto del film di Jack Black “School of rock”: “Se vuoi una cosa, devi essere disposto a implorare chi può realizzarla, e l’effetto si moltiplica se sono in mille a implorare con te”, si diceva. “Quel numero, mille, m’è rimasto impresso, e da una goliardata mi è venuta l’idea di raggruppare un team e provare a dar vita a questo evento”, ricorda Zaffagnini. Pian piano s’è pianificato l’evento, trovata la location, e sono partite le audizioni per trovare i mille musicisti, cui hanno partecipato da bambini di 9 anni a bluesman 65enni. “Ero convinto di poter mettere assieme la megaband, anche se ho capito che potevamo farcela solo durante le prove, sentendo centinaia di batteristi che sul serio riuscivano a suonare assieme, a tempo. Ma non credevo di poter raggiungere un risultato così, e invece il miracolo s’è compiuto, da una follia è nato un risultato strabiliante”. Il video ufficiale ha fatto 5 milioni di visualizzazioni in un giorno, l’impresa è finita su tutti i media internazionali, dal Time a Rolling Stone Usa passando per Kerrang.
L’evento ha già portato Cesena sulla bocca di tutto il mondo, e la domanda è: e ora? “Noi li aspettiamo, ci sono tante formule e modi in cui possono venire, ma non so sbilanciarmi – temporeggia Zaffagnini -, per me è già una vittoria avere dato visibilità mondiale a musicisti locali che mai più avranno un’opportunità così”. Ma intanto parte il totodata e il totolocation. Dal Comune di Cesena per ora arrivano i complimenti ai ragazzi dell’organizzazione. Chiaramente, per i miracoli pure Dave Grohl deve ancora attrezzarsi, e mettere in piedi uno show di questa portata (i Foo Fighters hanno fatto sold-out in tutti gli stadi del mondo, i 15mila biglietti della data del 13 novembre a Bologna sono andati esauriti in un paio d’ore) non è cosa che si faccia dall’oggi al domani. A Cesena le strutture disponibili sono il palazzetto Carisport (4mila posti, pochi), lo stadio Manuzzi (attorno ai 20mila) e il parco dell’Ippodromo, già teatro di Rockin’1000 e che nel 2010 ospitò decine di migliaia di persone per la Woodstock 5Stelle di Beppe Grillo. Insomma, luoghi all’aperto. Verosimilmente l’obiettivo può essere la primavera-estate 2016. Da Cesena i Foos passarono nel 1997, nel club Vidia, ma erano altri tempi sia per la band che per la città, che da quando Radio Melody organizzava concerti come Blur o Radiohead è scivolata fuori dal circuito dei grandi eventi.

Foo Fighters, la notte delle sorprese. Grohl: “Avete fatto una cosa rivoluzionaria”

Dopo il tweet di Dave Grohl dello scorso 31 luglio, in cui il leader della band diceva sì allo show a richiesta di un gruppo di 1000 musicisti, è arrivato il tanto atteso giorno
Finisce con l’ennesima sorpresa: poco dopo l’una di notte, quando Dave Grohl raggiunge i suoi “millini” al teatro Verdi di Cesena. Per l’ultimo saluto. Per sigillare una giornata del tutto inusuale in cui l’ex batterista dei Nirvana e i suoi Foo Fighters hanno realizzato il sogno dei mille ragazzi italiani – i “millini” appunto – che il 26 luglio scorso, con un video da 26 milioni di visualizzazioni in cui suonavano insieme Learn To Fly, uno dei successi del gruppo, avevano invitato la band ad aggiungere al loro tour mondiale un’altra data. Proprio qui a Cesena, in un luogo solitamente distante dalla geografia del rock.
Prima il concerto-evento, poi il party aperto a tutti, al quale ha partecipato pure il leader dei Foo Fighters. Una serata magica quella di ieri per i fan della band, conclusa con Dave Grohl che ha acceso la festa da un “balconcino” affacciato sul pubblico scatenato
Operazione “Rockin’1000” compiuta con successo: 1000 musicisti si sono riuniti a Cesena domenica 26 luglio per suonare simultaneamente “Learn to Fly”, brano dei Foo Fighters. Il progetto, coordinato e voluto da Fabio Zaffagnini, è un invito pubblico alla band di Dave Grohl affinchè vada a suonare con tutto il gruppo nella città romagnola. Massima concentrazione, oltre 2000 partecipanti all’evento e performers di ogni età per chiedere ai loro beniamini una tappa italiana extra nel tour che porterà i Foo Fighters il 13 novembre all’arena Unipol di Verona. Verrà esaudito il desiderio dei fan?
E che la serata fosse da antologia lo si era capito già dalle note iniziali del concerto. Con la band che attacca subito Learn To Fly, senza perdere tempo, seguita in coro dai tre mila presenti al Carisport di Cesena. “Siete stati maledettamente folli”, le prime parole di Grohl rivolte al pubblico. “Avete fatto una cosa rivoluzionaria: penso sia la prima volta che accade a una band di essere chiamata in questo modo dai fan. E allora vi dico una cosa: fatelo con tutti, con gli U2, con i Rolling Stones: e se vi rispondono di no, mandateli a quel paese”.
Video
“Learn to fly” è stata la prima canzone dei Foo Fighters durante il loro concerto-evento a Cesena. Quasi una dedica, visto che l’evento dei mille, che voleva convincere la band a suonare in Romagna, ha scelto proprio questo brano per l’invito a Dave Grohl e soci.
Una festa. In cui la band alterna i propri classici – This is a Call, Everlong, My Hero, The Pretender – a momenti in cui prevale lo spirito da riunione con gli amici. “Volete un pezzo dei Foo Fighters o una bella canzone da party?”, chiede Grohl prima di attaccare Miss You dei Rolling Stones e Under Preassure dei Queen. E non mancano le sorprese. Grohl cede il suo trono – dopo l’incidente del giugno scorso, quando è scivolato sul palco durante un concerto, è costretto a suonare da seduto per la maggior parte del tempo – a Fabio Zaffagnini, il volto dei Rockin’ 1000. E fa anche salire in fan a suonare la batteria per un’intera canzone. E i mille oggi ritornano verso le loro case. In treno in macchina, in autobus. Dopo aver saltato, suonato e sorriso insieme per oltre 48 ore, trasformando Cesena – anche solo per due giorni – in una città capitale della creatività. Città aperta, accogliente, dove i “millini” hanno potuto mettere a punto quello che è il loro risultato più importante: aver creato una comunità tenuta insieme dai fili dell’arte. “Non abbiamo mai voluto altro, il nostro patrimonio è la nostra amicizia”, il mantra ripetuto dagli organizzatori per tutta la due giorni.
Organizzatori che sono già al lavoro sui prossimi progetti. La due giorni di Cesena sarà con ogni probabilità al centro di un documentario di Anita Rivaroli – regista del video virale di Learn To Fly – che ha intervistato gran parte dei mille ragazzi. Ma il progetto più importante, ancora, è quello di non perdere i legami reciproci. “E’ stata la cosa più sorprendente: ragazzi distanti tra loro, uniti dalla passione per la musica, che hanno realizzato un sogno comune”. E magari continueranno a sognare cercando di capire come invitare in Italia un’altra corazzata del rock. Ma al di là del concerto in se il Rockin’ 1000 sarà ricordato e continuerà a crescere grazie alla community che si è creata intorno all’evento. L’intuizione e la creatività di un gruppo di ragazzi italiani che ha “costretto” una delle maggiori macchine rock in circolazione a “deviare” dal proprio percorso abituale. Con somma disperazione dei tour manager che evitano sempre gli eventi fuori programma. Rock senza intermediazione: i fan chiamano e le star rispondono. Un modello che potrebbe incidere sulle attuali leggi del mercato musicale.




Il lusso ha cambiato pelle Ora è empatico, social e verde

Meno esibizionismi e più pragmatismo: le cinque regole per il 2015
Caviale o agenda senza appuntamenti? Negli anni Ottanta la risposta sarebbe stata «Caviale!», oggi no. Il mondo del lusso è cambiato, i vecchi miti sono caduti. Le emozioni contano più delle «cose». Meno esibizionismi, meno status symbol, meno esagerazioni (megabarche, jet, collari di diamanti per cani) diversa scala di valori. Domanda: il lusso sta perdendo la sua tradizionale identità? Saatchi & Saatchi, l’agenzia creativa più premiata d’Italia, parte di un network con 130 uffici nel mondo, ha cercato di rispondere con una metodologia etnografico-qualitativa: l’Xploring. «Non interviste, ma conversazioni, che permettono di andare più a fondo», spiega Giuseppe Caiazza Ceo di Saatchi & Saatchi Italia e Francia. Condotta in nove Paesi (Thailandia, Cina, Giappone, India, Emirati Arabi, Messico, Stati Uniti, Regno Unito, Italia) l’indagine ribalta le classiche cinque categorie del lusso: l’esclusività (per pochi) la tradizione (il legame con il passato) la rarità (basta pensare alle liste d’attesa per una Birkin) il prestigio del marchio che impone le sue regole, la serietà (la ricchezza spesso è troppo «solenne»). Ed ecco le nuove: condivisione, innovazione, personalizzazione, apertura social, ricerca di esperienze giocose e rilassanti, non necessariamente sofisticate.
La svolta
Sembra si sia verificata una piccola rivoluzione, con un modello che nasce dal low cost e dal mass-market. Dall’Attention Economy siamo approdati alla Participation Economy. Le tecnologie hanno creato un legame più stretto tra chi vende e chi acquista, le app offrono rapidità e possibilità di realizzare oggetti e creare situazioni su misura. Se pensate che chiunque, senza essere un milionario capriccioso può avere il «suo» Monopoly con i nomi delle strade che desidera, che brand come Stroili e Pandora ti permettono di comporre il bracciale, la collana, il mix di ciondoli… Certi lussi, insomma, sono diventati «democratici». Che cosa significa? Per la tostissima Jane Cantellow, Global Planning Director di Saatchi & Saatchi, l’innovazione ha preso il sopravvento sulla tradizione: «La tecnologia è un lusso quando ci permette di avere subito quello che vogliamo. E Amazon, intuitivamente, annuncia un servizio di consegna tramite droni. Vendiamo soprattutto esperienze! Esempio: l’auto ibrida è sinonimo di armonia, tranquillità, silenzio, in una parola, di “noia”. Aggiungiamo un po’ di adrenalina: 130 potenziali acquirenti di ibrida sono stati invitati a provarla con un pilota professionista. Prima del giro tutti hanno indossato un cardiofrequenzimetro: li abbiamo sfidati a mantenere le pulsazioni sotto i 120 battiti al minuto. Soltanto due ci sono riusciti. Altro che noia…».
Gli oggetti
Ancora miti da sfatare. L’oggetto raro, che sia una valigia o un orologio, mantiene la distanza: soltanto pochi pezzi alle condizioni del produttore (tempi, costi). Invece, nel lusso del futuro il controllo è del consumatore: è lui a decidere, a rendere la valigia o l’orologio davvero «personale».
Non è solo questione di prezzo, ma di filosofia. Una bici on demand può essere l’espressione di questa idea. La Kennedy City Bicycles di Londra punta alla city bike perfetta. Il concept: «Vogliamo che la gente possa risparmiare, uscire, sperimentare l’avventura e la libertà di pedalare nella sua città». Messa così è tutta un’altra storia.
Lo stile
I beni di lusso non sono più legati alla persona, ma a uno stile di vita, al piacere della condivisione. Un viaggio. Una full immersion nella natura. Una tavola da Masterchef. Ed ecco spiegate le acquisizioni di ristoranti e locali storici da parte dei brand moda. Lvmh ha speso, dicono, 15 milioni per il controllo di Cova a mentre, stando ai conti del primo trimestre 2014, Prada ha pagato l’80% di Angelo Marchesi 7,7 milioni di euro. In questo pacchetto relax c’è anche la famosa agenda senza appuntamenti, il bisogno di creare intimità ed empatia, di entrare in relazione con gli altri.
Non è un caso che il Ceo di Tag Hauer, Stéphane Linder, abbia messo in cima alla sua lista dei desideri il tempo libero e «una vacanza a contatto con la natura per scoprire la bellezza del mondo e imparare a rispettarlo». Poi va bene il cachemire, l’abito di sartoria, la limited edition. Ma tutto meno futile, più sensato, più umano (e un cucchiaino di caviale, in fondo ci può anche stare).




CSR e social media 2

CSR e social media 2

Prosegue la segnalazione di campagne realizzate sul web per valorizzare l’impegno sociale e ambientale delle aziende. Anche questa settimana propongo due iniziative di imprese che operano a livello internazionale.
La prima campagna è stata realizzata da Levi’s per far conoscere un progetto sociale a favore dello skateboarding. Il progetto ha visto il recupero nel parco Edenvale a Cape Town di piste per praticare questo sport. L’area è stata realizzata grazie al riciclo di materiali trovati sul posto e la sostituzione delle vecchie rampe metalliche con banchi e rampe nuovi. Levi’s ha donato le rampe ma, aspetto interessante, ha anche collaborato con i ragazzi del posto per recuperare questo centro di aggregazione per i giovani.
Ha poi utilizzato i social media per diffondere una serie di video con l’obiettivo di far conoscere al pubblico il valore sociale del progetto.
Un altro esempio interessante è la campagna di G Star Raw, in cui il famoso cantante Pharrell Williams, promuove una linea di abbigliamento realizzata in collaborazione con una società che recupera la plastica dagli oceani trasformandola in una nuova generazione di prodotti. In particolare viene valorizzato un tipo di denim realizzato con la plastica riciclata ottenuta dalle bottiglie. Grazie a questa iniziativa sono state recuperate oltre 2 milioni di bottiglie dalle coste oceaniche di tutto il mondo. La presenza del testimonial in questo caso contribuisce a rendere più attrattivo il messaggio. Pharrell Williams inoltre sottolinea che le persone possono adottare un comportamento sostenibile senza dover rinunciare ai capi che amano di più. In questo esempio i social network sono stati utilizzati non solo per far conoscere l’impegno dell’azienda ma anche per promuovere una buona causa ambientale. Un’iniziativa che – come è avvenuto – ben si presta a diventare virale.




Libri usati come biglietti della metro, in Brasile

Grazie a una tessera inserita nella copertina: si chiamano Ticket Books e sono un esperimento per abituare a leggere di più

La casa editrice brasiliana L&PM Editores – una delle più grandi del paese – ha messo in commercio Ticket Books, una collana di libri tascabili che possono essere utilizzati anche come biglietto della metropolitana a San Paolo, la città più grande del Brasile. I libri funzionano come un normale abbonamento dei mezzi grazie a una tessera inserita nella copertina del libro. Per entrare in metropolitana basta far scorrere il libro sul display ai tornelli come si farebbe con un normale biglietto; la tessera si può ricaricare sul sito della metropolitana o di Ticket Books.
Al momento la collana comprende dieci titoli: classici come Il Grande Gatsby di Francis Scott Fitzgerald, Amleto  di Shakespeare, Cento sonetti d’amore di Pablo Neruda e L’arte della Guerra del cinese Sun Tzu, un fumetto della serie Garfielddi Jim Davis, una raccolta di strisce dei Peanuts, i gialli Il mastino dei Baskerville di Arthur Conan Doyle e Assassinio sull’Orient Express di Agatha Christie, e quelli di due autori brasiliani, Chives In Trouble! di Mauricio de Sousa e Quintana Pocket di Mario Quintana. La grafica delle copertine ha uno stile molto minimale e i disegni ricordano delle mappe della metropolitana.

Il progetto Ticket Books è stato lanciato ad aprile dell’anno scorso per incoraggiare la lettura in Brasile, uno dei paesi in cui si legge di meno: solamente due libri a persona ogni anno, secondo dati dell’istituto di ricerca Ibope. Ad aprile sono stati distribuiti gratuitamente 10mila libri nella metro di San Paolo, ognuno con dieci biglietti inclusi. L’esperimento è stato positivo e L&PM Editores ha deciso di allargare l’iniziativa anche alle altre città del Brasile.

Ticket Books from Agência Africa on Vimeo.




Non vi affannate a scrivere un post all’ora sui social. Ecco perché comunque non vi leggerà nessuno

La gente è stufa di post a iosa. I social media sono iperpopolati. Ed è meglio ripensare la propria presenza dice il Guardian. Regola uno: less but better. E altre 7 a seguire
Il social media marketing sta cambiando. L’era del “more is better” è finita ed è il momento di tornare a pensare (e produrre) in termini di qualità, non di quantità. Ad annunciarlo è Jerry Daykin, marketer per Carat Global e Oreo e autore della campagna Twitter #DigitalSense. In un articolo pubblicato sul Guardian – “Social media marketing – let’s rethink community management” – scrive: «C’è bisogno di produrre meno cose, ma di qualità migliore, contenuti che visualizzeranno in milioni. Non serve a nulla incoraggiare i community manager a pubblicare un aggiornamento all’ora», perché lo vedranno in pochissimi. Questo mette in discussione il modo in cui è stato fatto social media marketing finora. Fare inversione di rotta, però, può essere eccessivo. Per cominciare, meglio correggere un po’ la strategia, con questi 7 punti bene in mente.

1. Less really is more

La maggior parte dei brand produce più contenuto di quanto ha davvero bisogno e farebbe invece meglio a concentrare la produzione su uno o due prodotti fantastici al mese. La quantità giusta dipende dal budget disponibile per la promozione e con quale frequenza si vuole essere presenti nei media. Su una piattaforma come Facebook, per esempio, è bene rivolgersi ai consumatori una o due volte alla settimana, con un massimo di otto post al mese, quindi. Non preoccupatevi di mostrare la stessa cosa due volte o se i vostri contenuti consentono di pubblicare uno o due post al mese, purché questi vengano sfruttati al massimo. L’unica ragione per produrre qualcosa in più è per comunicare messaggi rilevanti ad un target mirato di consumatori.

2. Pensate in grande con i video

I video sono sempre stati un media potentissimo. Ora, però, bisogna considerare che nei newsfeed di social media come Facebook e Twitter i filmati partono in automatico e senza audio. Ciò rende facile attirare le persone, ma complica le cose se l’obiettivo è tenerle davanti allo schermo fino alla fine. Da una parte questo si può tradurre in semplici gif o brevi video che animano delle immagini. Se, invece, avete una storia più lunga da raccontare fate in modo che il vostro brand sia visibile all’inizio del video, in modo da attirare l’attenzione in anticipo, come fareste su Youtube.

More is better, but less is more

3. Pensate alla provenienza dei contenuti

I community manager sono in grado di creare contenuti fantastici con il giusto tempo e spazio a disposizione. E ora è arrivato il momento di fare i dovuti investimenti in questo campo. La produzione dei contenuti sta diventando un requisito fondamentale. Pensateci quando scegliete il vostro community manager o vi rivolgete ad un’agenzia per avere dei contenuti originali. La sfida interessa in particolare i video per i social media e per vincerla può essere utile anche consultare chi ha una preparazione specifica nel settore, oppure avviare delle partnership con influencer o media owner o piattaforme professionali di crowdsourcing.

4. Ascoltate i consumatori

«I consumatori non vogliono conversazioni con il detersivo per la lavatrice, con le barrette di cioccolato o con la loro prossima automobile», scrive il Guardian. Se da una parte focalizzarsi meno sull’engagement che deriva dai social media può essere una mossa saggia, è bene continuare a leggere i commenti dei consumatori. Possono rivelarsi utili per strutturare strategie e rispondere a questioni specifiche evitando di dare una cattiva impressione del brand. Ricorrere all’outsourcing per la moderazione dei post può essere utile, ma «fate attenzione a non utilizzarla così tanto da far perdere personalità al vostro brand».

5. Siate fedeli al vostro brand

È molto importante che il contenuto dei vostri social rispecchi l’identità del marchio e comunichi dei messaggi chiave. Non abbiate paura di inserire anche il prodotto stesso, perché il marketing funziona quando un consumatore può facilmente ricondurre un’idea a qualcosa di tangibile – e memorabile. Non è il caso di fare una dimostrazione del prodotto, ma neanche di vergognarsi a mostrarlo.

6. I dati informano, ma voi decidete

Uno dei pericoli del social marketing e la quantità di dati disponibili sull’engagement dei consumatori o sulle loro reazioni e la nostra tendenza a seguirli ciecamente. Se capire gli interessi dei consumatori è un utile input, farne la propria strategia può essere controproducente e portare fuori strada. È giusto essere informati, ma se questo non aiuta non sentitevi obbligati a farlo. Questo tipo di big data possono aiutare, però, a identificare ampie audience per contenuti specifici.

7. Butta tutti i report

Si sprecano così tante energie per produrre report settimanali o mensili. È vero, raccolgono dati utili, ma ricerche mostrano che c’è una correlazione minima tra il digital engagement e le vendite o l’impatto di un brand. Anche in questo caso, seguire i report ciecamente può far perdere di vista i veri obiettivi. Come nei media tradizionali bisogna abituarsi a fare dei sondaggi a metà o alla fine di una campagna per capirne il vero impatto o per misurare davvero le conseguenze sulle vendite. Può sembrare un passo all’indietro, ma serve. Una settimana dopo aver lanciato un video su Youtube si può avere una chiara visione di come si sta comunicando l’identità del brand grazie ai sondaggi online e adattare, eventualmente, il contenuto. In una settimana vale la pena sapere quante persone si stanno raggiungendo e quanto spesso, dando per scontato che il contenuto comunichi ciò che deve comunicare.