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CSR, LE INDUSTRIE PHARMA PREFERISCONO I DIPENDENTI

Dal “Rapporto sull’impegno sociale delle aziende italiane” curato dall’Osservatorio Socialis risulta che i produttori di medicinali sono più attenti al miglioramento del clima interno ma anche dell’ambiente, rispetto che a iniziative umanitarie o filantropiche. Tra le motivazioni all’investimento spicca sopratutto la propria reputazione. In generale aumenta chi destina parte del proprio bilancio a scopi benefici (lo fa il 73%) e ne primi mesi del 2014 il budget medio impiegato dai singoli è passato dai 158 mila euro del 2013 agli attuali 169 mila con un incremento del 7%. le risorse sono utilizzate in maniera più oculata, puntando su pochi obbiettivi strategici.
Le aziende che investono in responsabilit・sociale sono sempre di pi・ E se la crisi riduce i budget (che appaiono comunque in ripresa) le imprese sanno spendere meglio. Non solo, in prima fila, in questa classifica virtuosa, troviamo il settore farmaceutico, soprattutto per quanto riguarda le misure a favore dei dipendenti. Lo dice il sesto “Rapporto sull’impegno sociale delle aziende italiane” realizzato dall’osservatorio Socialis, un cantiere di promozione culturale della http://www.osservatoriosocialis.it/2014/07/01/litalia-volta-pagina-con-la-csr-aziende-e-dipendenti-insieme-per-lambiente/ che ha come obiettivo l’analisi e la promozione dell’mpegno sociale delle aziende, delle associazioni, delle istituzioni e delle università. La CSR non è altro che la Corporate Social Responsibility (RSI, ovvero Responsabilità Sociale d’Impresa in italiano) ed è entrata formalmente nell’agenda dell’Unione Europea a partire dal Consiglio Europeo di Lisbona del 2000, proprio perchè è stata considerata uno degli strumenti strategici per realizzare una società più competitiva e socialmente coesa. La sua definizione (“L’integrazione volontaria delle preoccupazioni sociali e ambientali delle imprese nelle loro operazioni commerciali e nei rapporti con le parti interessate”) è contenuta nel Libro Verde della Commissione Europea del 2001. Si tratta quindi di pratiche e comportamenti che un’impresa adotta su base volontaria, nella convinzione di ottenere dei risultati che possano arrecare benefici e vantaggi a se stessa e al contesto, al di là delle leggi vigenti.
I numeri
Se la fotografia scattata dal precedente Rapporto (2011) mostrava che la percentuale delle imprese italiane dotate di una strategia CSR era pari al 64%, a distanza di due anni il numero delle aziende è salito fino al 73%. Tra i settori più attivi, come anticipato, troviamo il farmaceutico insieme a finance, commercio e manifatturiero. Nel 2013 la contrazione delle risorse a disposizione, a causa della crisi economica, non è stata di poco conto (-25% rispetto al 2011) ma la flessione è stata compensata, anche se in parte, dall’aumento del numero degli investitori. Non solo, i primi mesi del 2014 dicono che la ripresa in questo senso è già in atto (+7% rispetto all’anno scorso, se si guarda al budget medio investito dalla singola azienda: 169 mila euro nel 2014, contro i 158 mila euro del 2013) e che le risorse sono state utilizzate in maniera più oculata, puntando su pochi obiettivi strategici. La tendenza rilevata è il passaggio da una dimensione esterna e di ordine umanitario a una maggiore attenzione al miglioramento del clima interno e al campo d’azione locale. Parallelamente è in crescita l’interesse per l’ambiente circostante e non solo, con un impegno maggiore nella lotta agli sprechi, nell’ottimizzazione dei consumi energetici e nella sostenibilità.
Gli effetti
Ma cosa genera questo impegno? Secondo i risultati della ricerca il ruolo di sprone è tutto del cittadino consumatore. Quasi ininfluenti risultano invece le istituzioni e la pubblica amministrazione. Un dato ancora più chiaro se si guarda alle motivazioni che spingono le aziende a operare nel campo della responsibilità sociale: la prima di queste è di carattere “reputazionale”, il vero obiettivo è quindi il miglioramento dell’immagine aziendale. La CSR viene perciò considerata fondamentale nella costruzione del proprio posizionamento, mentre sono molto più staccate le motivazioni “morali”. E se la visibilità e il miglioramento del rapporto con il proprio territorio sono gli obiettivi delle aziende, gli effetti più positivi che queste registrano riguardano soprattutto i propri dipendenti e il miglioramento del clima interno. Infine si stanno facendo largo, anche se in misura diversa, due consuetudini: il bilancio sociale e il bilancio ambientale. Se il primo è adottato ormai dal 50% degli intervistati, il secondo è ancora fermo al 30%. Non solo, tre quarti delle imprese intervistate dichiara di aver organizzato un sistema di informazione interna. Anche in questo caso le aziende farmaceutiche fanno registrare un ottimo risultato, insieme al settore tecnologico/informatico e al metallurgico.
Il settore farmaceutico
“Circa il 10% delle aziende intervistate appartiene al settore farmaceutico” spiega Roberto Orsi, direttore dell’Osservatorio Socialis e docente di Governance territoriale e responsibilità sociale. “Stiamo parlando di aziende con più di 80 dipendenti, dislocate al Nord al Centro e al Sud. L’universo del campione è composto da 400 imprese e l’indagine è stata realizzata dall’Istituto Demoscopico IXE con indagine quantitativa campionaria con metodo telefonico CATI”. Quali sono le tendenze più evidenti che hanno fatto registrare nello specifico le aziende farmaceutiche? “Possiamo dire – prosegue Orsi – che la nuova rilevazione statistica ci restituisce l’immagine di un tessuto imprenditoriale che dalla crisi ha assimilato molto. Potremmo sintetizzare in questo modo: le risorse sono preziose, i processi determinanti e l’impatto sociale di impresa richiede una strategia precisa”. Orsi prova a dettagliare maggiormente il concetto: “Al di là dei numeri, la prima parola evidenziata dai dati di questo rapporto è ‘attenzione’: attenzione agli sprechi, ai dipendenti, all’ambiente in cui viviamo e che lasciamo ai figli e ai nipoti, al territorio nel quale operiamo. Per questo possiamo dire che sta emergendo, con chiarezza, un nuovo modo di fare ed essere impresa”. Quali sono le altre parole chiave? “Ad esempio ‘risparmio’, che in questi anni è diventato obbligatorio, ma che è anche uno dei principali vantaggi dell’agire responsabile, un volano per
lo sviluppo della CSR e dell’impresa stessa. Ci riferiamo alla riduzione dei consumi di materie prime e risorse, al maggiore controllo della filiera, a una maggiore attenzione complessiva ai costi”. E che tipo di strategie CSR stanno mettendo in atto le aziende farmaceutiche? “A mio avviso il cambiamento più rilevante rispetto all’ultimo rapporto è proprio la scelta delle strategie di CSR: se infatti prima era più diffusa la dimensione esterna della responsabilità sociale, quella collegata ad esempio a donazioni umanitarie, ora e per il futuro le imprese puntano sull’ambiente: il 54% del campione dichiara di aver attivato misure cogenti di contenimento degli sprechi di carta, acqua, illuminazione e avanzi nelle mense; seguono investimenti per migliorare il risparmio energetico (36%), l’introduzione o il potenziamento della raccolta differenziata (33%), nuove tecnologie per limitare l’inquinamento e migliorare lo smaltimento dei rifiuti (33%). In netto calo le donazioni in denaro (solo il 26% dichiara di organizzarle all’interno della propria impresa) e attività filantropiche (24%)”. Possiamo dire che le farmaceutiche investono più di altri settori in misure a favore dei dipendenti e contro l’inquinamento? “I nuovi dati parlano chiaro: il settore farmaceutico si è confermato tra i settori più attivi insieme al finance, al commercio e al manifatturiero”. Se la ragione è principalmente motivazionale, si può dedurre che il farmaceutico è in prima linea nella CSR perché sente di dover recuperare terreno? “Devo attenermi ai numeri. E di sicuro la prima motivazione a fare responsabilità sociale è reputazionale (47%). In seconda battuta viene segnalato l’effetto sul business (27%) e sul clima interno (27%). A un terzo livello si trovano poi le motivazioni di ordine morale (la CSR come contributo d’impresa allo sviluppo sostenibile) e il rapporto con amministrazioni e stakeholders. Coerentemente, il principale criterio di scelta delle iniziative da sostenere o attuare è la loro visibilità (40%); poi l’area geografica (31%), ovvero il legame con il territorio, a sottolineare l’obiettivo di influire nei rapporti con i soggetti sociali locali; seguono la possibilità di coinvolgere il personale (28%) e quella di misurare i risultati dell’iniziativa (23%). Nonostante la spiccata motivazione verso il rafforzamento della corporate reputation, il primo vantaggio realmente riconosciuto dalle imprese che hanno fatto CSR è nel miglioramento del clima interno e nel coinvolgimento dei dipendenti: a pensarla così il 46% delle aziende; solo il 36% registra invece il verificarsi dell’effettivo ritorno reputazionale prospettato all’inizio”. Nella panoramica iniziale abbiamo toccato il tema del codice etico nelle aziende. Quanto è diffuso nelle aziende farmaceutiche? Orsi prosegue: “Il 53% ne ha adottato uno. Rispetto al 2011 la quota è cresciuta circa del 10%, mentre si è ridotta la percentuale delle imprese che non sono propense ad adottarne uno. Molto interessante anche il fatto che il 46% delle imprese scelga e valuti i propri fornitori anche in considerazione del loro impegno in attività di CSR”. Riguardo al tema del bilancio sociale e del bilancio ambientale il settore si distingue in qualche modo? Conclude Roberto Orsi: “Possiamo dire che il bilancio ambientale ha ancora molta strada da fare e appare maggiormente diffuso nell’industria metallurgica, in quella tecnologico/informatica e, a livello geografico, nel Nord-ovest e Centro. Per quanto riguarda il bilancio sociale, è referenziato in misura superiore alla media dal settore del
commercio, dei trasporti, dell’informatica, della tecnologia, delle telecomunicazioni, delle imprese con più di 1000 dipendenti del Centro, del Sud e delle Isole. In generale possiamo dire che i bilanci sociali e di sostenibilità ambientale sono apprezzati all’interno dell’impresa: pochi ne riportano criticità, come i costi eccessivi, i più li considerano strumenti chiari, comparabili a quelli dei competitors”.




Chi ha portato a Cesena i FooFighters ha tanto da insegnare alle aziende

I 1000 rockers che hanno suonato “learn to Fly” al fine di convincere Dave Grohl e soci FooFighters a suonare a Cesena, non è solo un video fantastico da postare sulle bacheche di Facebook e condividere all’infinito, è una vera e propria case history da insegnare nelle aziende tradizionali e (anche) alle startup.
Mi spiego meglio. In questo progetto c’è tutto: leadership, scelta della squadra, convincimento e coinvolgimento in un progetto comune (i soci scelti all’inizio lo coglioneranno, poi capiscono che “si può fare” e “ci stanno”), passione per un obbiettivo (tutti amano i FooFighters), comunicazione, contatto con i fornitori, business plan ben definito (crowdfunding), energia, fallimento, reforecast (vuol dire che ti eri prefissato un obbiettivo e lo devi riparametrare) risalita, obbiettivo raggiunto, e di nuovo comunicazione.
Non manca nulla perché il progetto Rockin1000 possa essere considerato una “buona pratica aziendale”: per quelle organizzazioni che latitano di un Capo coinvolgente e che sappia esprimere energia e passione per un nuovo progetto; per quelle aziende che non sanno comunicare e che pensano che l’Intranet Aziendale sia ancora lo strumento più efficace per comunicare o peggio, che i Comunicati Stampa degli Amministratori Delegati siano la migliore pubblicità verso i consumatori (ma chi ci crede più?); per quelle aziende che ritengono i partner e i fornitori delle entità “esterne” anziché dei veri e propri ambasciatori del proprio brand.
Non ultimo “orchestrare” tutti i propri dipendenti in maniera armonica.
Senza dilungarmi troppo, penso che il  progetto rappresenti quattro pilastri di successo aziendale davvero importanti:
– Il leader ha saputo scegliere la sua squadra non necessariamente fra chi la pensa come lui, ma fra coloro che sono ritenuti i migliori nel loro campo. E come spesso accade, ha dovuto convincerli, superando le famose “frasi killer” (“non si può fare…”, “Non abbiamo abbastanza risorse …”).
Proprio come succede in azienda, no?

La comunicazione. Come nel video qui sopra, certamente fatto ad hoc per raccontare (e quindi “Storytelling”, che va tanto di moda, ma in realtà è sempre esistito) e coinvolgere “dipendenti”,  “fornitori” e “investitori”. In questo caso, si tratta di individuare 1000 musicisti per realizzare un video, intorno ad un progetto comune, chiedendo un supporto economico a perfetti sconosciuti.
Per essere credibili, bisogna avere un’ottima reputazione, saperlo comunicare in maniera professionale, dare il giusto riconoscimento a tutti i collaboratori, stuzzicare e dare un motivo per esserci a tutti coloro che aderiranno o attraverso una donazione o gratuitamente con il proprio lavoro.
I vostri Capi sono capaci di farlo?
– Il fallimento come stimolo ad andare avanti. E’ uno dei grandi temi di questi anni, il salto di paradigma da come si è sempre gestita un’azienda, premiando i migliori ed escludendo gli altri. Calpestando terreni noti senza mai avventurarsi ed esplorare altri possibili percorsi.
Succede quindi che il crowdfunding previsto (40.000 euro, tanti per il crowdfunding italiano ad esclusione di Telethon!) non è stato sufficiente. Si decide quindi di prorogare il periodo di raccolta di un mese. Il leader però ci mette la faccia. Comunica che ci crede e che vuole andare avanti. Apertamente spiega cosa si sta facendo e che manca davvero poco alla realizzazione del progetto. Stimola, spinge, parla in prima persona. E alla fine, il risultato viene raggiunto grazie anche al supporto di aziende importanti che iniziano ad “annusare” la visibilità che questo progetto può loro riservare.
Contaminazione e diversità: Ad un certo punto, aderisce anche un importante Maestro d’Orchestra. Marco Sabiu è colui che dirigerà i 1000 dipendenti con cervelli, culture, mondi, idee, logiche musicali e chi più ne ha più ne metta. Non stiamo parlando di musicisti con un alfabeto comune, un’orchestra a cui basta mettere di fronte uno spartito perché tutti interpretino tempi, toni e note nello stesso modo. Stiamo parlando di 1000 Persone. Che non si conoscono, che non hanno mai suonato insieme, che vengono da città diverse, da storie diverse, con idee e modelli diversi.
Faccio difficoltà a pensare ad un esempio migliore di questo per affermare quanto la diversità, la complessità e la contaminazione siano i veri agenti del rinnovamento per le aziende. Aziende che vogliono persone tutte uguali, uniformate, che non mettano mai in dubbio una scelta e soprattutto “provenienti dallo stesso settore”.
Il risultato è stupefacente. Lo avete condiviso migliaia di volte sulle vostre bacheche a testimonianza di come alla fine, sono le aziende più improbabili quelle che fanno la differenza.
E invece, sono solo canzonette.
 




Csr 2.0: 'Legendary Seven' di Heineken, agricoltori pionieri per comunicare la sostenibilita'

Heineken ha deciso di impegnarsi per assicurare che il 50% di orzo e luppolo utilizzati nella produzione di birra entro il 2020 proverranno esclusivamente da filiere sostenibili. E ha deciso di comunicarlo con Blippar, un’app, divulgando la storia degli agricoltori che forniscono gli ingredienti principali.
LA STORIA – Il filo conduttore della campagna di comunicazione è la storia degli agricoltori che coltivano gli ingredienti principali della birra. Non è certo un tema nuovo o imprevedibile, ma il canale scelto è un’app che si chiama Blippar. Un’animazione di 60 secondi presenta i “Legendary 7”, 7 agricoltori di Regno Unito, Paesi Bassi, Francia Germania e Grecia che producono appunto orzo e luppolo di alta qualità.
Altri contenuti entrano nel dettaglio delle loro storie, ad esempio spiegano come Jacky Brosse si prende cura degli alveari nel suo grande campo di orzo in Francia. I personaggi sono ritratti in uno stile noto agli occhi dell’utente, il classico stile “Wild West” con i famigerati poster Wanted. E queste sembianze note probabilmente hanno contribuito ad imprimere la campagna nella loro mente, come dimostrano i selfie postati sui social network dai follower.

CSR 2.0 – Al di là dell’app particolare, emerge la volontà di svecchiare la Csr: basta con i report, che nessuno spesso legge, è tempo di una Csr 2.0. “Spesso la sostenibilità è vista come qualcosa di complesso ed inaccessibile per i consumatori. Ma spesso è al centro di ciò che siamo abituati a fare e a vedere, e noi volevamo offrire un modo per incoraggiare i consumatori e gli stakeholder ad interagire con il brand e con il nostro programma ‘Brew a Better World’”, ha spiegato Mark van Iterson, capo del reparto design per Heineken.

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Van Iterson descrive il ruolo dei Legendary 7 come quello di personaggi che sfidano lo status quo della sostenibilità aiutando i consumatori a calarsi in questa sfera riflettendo sui prodotti che consumano, sugli ingredienti da cui sono composti.




Social innovation, l’Ue annuncia i nuovi indicatori dello sviluppo urbano sostenibile

In un’Europa che soffre ancora la crisi economica, per misurare il benessere dei cittadini non basta più il PIL: dalla DG Regional and urban policy della Commissione europea via libera al nuovo indice della qualità della vita in città basato su inclusione sociale, progetti smart community e tutela ambientale.
Non è solo il prodotto interno lordo (PIL) a misurare la ricchezza e il benessere di uno Stato, una regione e una città. Sono anni che si avanza questa tesi e finalmente anche a livello istituzionale qualcosa sembra cambiare.
Il responsabile della Direzione generale per le Politiche regionali e urbane della Commissione europea, Walter Deffaa, riporta il quotidiano The Guardian, ha annunciato di essere d’accordo con l’utilizzo del Social progress index (SPI) al fianco del tradizionale PIL.
Un impegno verbale, per il momento, che potrebbe presto tradursi in un concreto processo di integrazione di questo indice del benessere, basato sull’innovazione sociale e la qualità della vita dei cittadini, con altri strumenti tecnicamente più finanziari ed economici.
Le politiche regionali dell’Unione europea possono contare su un fondo progetti pari a più di 63 miliardi di euro. Il Progress social index (SPI) potrebbe aiutare i decisori nella scelta della migliore ripartizione delle risorse finanziarie tra le regioni più virtuose d’Europa.
L’SPI è costituito da 52 indicatori, che vanno dalla sanità all’edilizia popolare, dall’inclusione sociale al social housing, dalle smart community alla tutela degli spazi verdi. “Al di là del PIL– ha spiegato al quotidiano britannico un portavoce della Commissione Ue – è necessario adottare nuovi indici per valutare il livello di qualità della vita dei cittadini in una città e in una metropoli. Il progresso sociale, la social innovation, possono aiutare in questo”.
Come ha ricordato Michael Porter, docente di Economia ad Harvard, sostenitore della teoria del ‘Valore condiviso’ per riconciliare business e progresso sociale (passaggio dalla Corporate Social Responsibility alla Corporate Social Innovation), “Non ha più senso utilizzare il PIL per misurare il benessere della popolazione quando la gran parte di essa subisce senza sosta i colpi della crisi da anni”.
Progetti a forte impatto sociale, politiche ambientali lungimiranti, lotta all’inquinamento, liberazione di crescenti spazi urbani dal traffico automobilistico, inclusione sociale, accesso alle risorse (idriche, energetiche, economiche, culturali, sociali, ambientali, pubbliche) e loro equa ridistribuzione, diritti individuali e democratici, opportunità di migliorare la propria condizione di vita, promozione di nuovi mezzi di trasporto ecosostenibili e puliti, ricorso alle fonti energetiche rinnovabili, sostegno alle comunità intelligenti e alle soluzioni smart ciy, sono solo alcuni dei fattori chiave per sviluppare un indice di SPI a livello di città e regioni d’Europa.
Dall’SPI nasce una classifica mondiale, che attualmente è guidata da Norvegia, Svizzera, Islanda, Nuova Zelanda, Canada, Finlandia, Danimarca, Olanda, Australia, Regno Unito. L’Italia occupa la posizione numero 31.
Un modello unico non esiste, spiegano da Bruxelles, ma dallo scambio di buone pratiche, esperienze e soluzioni efficaci si potrà presto arrivare ad uno standard applicabile in ogni Paese Ue.




Sette amministratori delegati su dieci credono nell’importanza della sostenibilità

Secondo un’indagine della Ethical Corporation la sostenibilità ambientale è ormai ritenuta un aspetto decisivo nella pianificazione delle strategie aziendali.
La maggior parte degli amministratori delegati ritiene che responsabilità sociale e sostenibilità ambientale siano “aspetti fondamentali della pianificazione strategica”. Quasi il 70 per cento ha dichiarato di prendere molto seriamente questi aspetti.
È quanto emerge da una ricerca realizzata per la Ethical Corporation, società indipendente con sede a Londra che si occupa di analisi e di assistenza alle aziende per quanto riguarda la responsabilità sociale di impresa. L’obiettivo del sondaggio era quello di valutare l’attuale stato della csr e della sostenibilità in tutto il mondo.
Sono state intervistate circa 1.500 persone, imprenditori e membri di consigli di amministrazione, alle quali è stato chiesto il ruolo della sostenibilità nelle rispettive società e come questa si evolverà nei prossimi cinque anni.
Questo studio fornisce una nitida fotografia dell’attuale stato della sostenibilità aziendale – ha dichiarato Dave Stangis, vice presidente della responsabilità sociale della Campbell Soup Company – rappresenta inoltre un valido metro di giudizio per valutare i progressi compiuti dalla propria azienda nel corso degli anni”.
L’89 per cento degli intervistati ha dichiarato che la sostenibilità aziendale sta assumendo un ruolo sempre più importante nella loro strategia di business. La percentuale qui risulta superiore a quella degli intervistati che hanno dichiarato di prendere sul serio la sostenibilità, questo significa che altri fattori, come la domanda dei consumatori, i problemi della catena di fornitura o le normative vigenti, concorrono ad aumentare l’importanza e l’urgenza di questo tema.
Per capire effettivamente quanto le società puntino sulla sostenibilità, afferma il rapporto, è necessario capire quanto spendono per essa. Oltre due terzi degli intervistati hanno dichiarato che è possibile collegare l’aumento del fatturato o l’ampliamento del volume di affari con le iniziative legate alla sostenibilità, questo significa che aumentare gli investimenti destinati alle iniziative per ridurre il proprio impatto ambientale può garantire evidenti benefici economici.