1

Il tuo piano marketing è inadeguato per 5 ragioni

Scopri le 5 ragioni per cui devi necessariamente cambiare Il tuo piano marketing

#1 Il paziente non è più quello di prima
Patient access: potenza del consumatore, quando il consumatore si informa su internet.
La trasformazione del paziente è in atto ed è strettamente correlata al nuovo stile del consumatore.
Come preconizzava Giampaolo Fabris, il consumatore – inteso come colui che consuma il bene acquisito – non esiste più. I beni materiali, oggi, non si comprano perché quelli precedenti sono finiti o consumati. Si compra, invece, per altri bisogni: dalla necessità di essere o sentirsi integrati in un gruppo, a quella di soddisfare bisogni più ingenui o profondi.
Soprattutto ad essere cambiato è il nostro modo di acquistare servizi. Nel corso di un paio di generazioni, infatti, si sono sviluppate modalità di scelta decisamente meno passive, dalla scelta di servizi assicurativi e bancaria, ma anche per la scelta di un viaggio.
Il benessere ha trasformato i bisogni, tanto da attestare la cultura dell’essere sempre nelle migliori condizioni.
Il paziente è informato, vuole partecipare alla diagnosi, vuole spiegazioni e pretende attenzioni in quanto persona.
In pratica, le compresse non bastano più, come puoi leggere nell’articolo: Radical changes needed in pharmaceutical industry to improve patient outcomes, says KPMG.
Il passaggio di market access che poco fa sembrava innovativo si è dimostrato in breve vecchio, orientato al prodotto. Non è l’accesso al mercato ad essere il focus principale della azienda, ma l’accesso al paziente. L’obiettivo principale è che il paziente abbia accesso alle informazioni che gli consentano di scegliere, oggettivamente, la proposta di cura dell’azienda.
Chiunque abbia scritto un marketing plan che includa progetti di accesso al mercato li deve rivedere.
Un piano di successo deve essere orientato al paziente. Il paziente non consuma farmaci, sceglie consapevolmente. Per questo un buon marketing plan deve prevedere la relazione.
#2 Il medico non è più quello di prima
L’azienda che parla di difficoltà a raggiungere il medico e di diminuzione della durata della visita media perde di vista le cause più profonde che hanno portato le aziende ad uno iato nei confronti del medico.
Le aziende hanno sempre parlato al medico e non parlato con il medico, hanno richiesto ed imposto agli ISF di presentare i prodotti in base alle caratteristiche in termini di vantaggi-benefici. Un po’ come a dire: “Il mio prodotto è più efficace e più tollerabile”. Una traduzione di “lava più bianco”.
Mantenendo la metafora del bucato, il medico penserebbe: “Se tutti lavano meglio e nessuno lava meglio a basse temperature o con meno acqua, a chi dovrei dare retta?”.
Meglio informarsi altrove. Il medico ascolta l’ISF, ci discute, ma magari pensa ad altro o – nella migliore delle ipotesi – ritiene chel’ISF stia esagerando.
Per convincerlo non bastano più gli studi clinici. Secondo le più recenti ricerche, il medico è influenzato da internet e dai colleghi.
In un piccolo esperimento, senza basi scientifiche condotto nella nostra rete, abbiamo riscontrato che solo adoperando mezzi ben noti e non certo nuovi del “paziente al centro” i risultati sono stati eccellenti.
Insegnare agli ISF a parlare con il medico e non al medico, però, richiede che i progetti di comunicazioni inseriti nei piani marketing siano rivisti. I visual di 16 pagine non lo permettono, e forse non lo permettono nemmeno visual di 8 pagine. La comunicazione deve passare da esperienze, che vanno presentate al medico come proposte vantaggiose per il paziente.
Qualunque piano marketing attuale che usi mezzi che non prevedano una modalità relazionale con il medico o che non includa servizi utili al paziente è destinato ad avere costi non proporzionali ai benefici.
Il piano marketing e quello vendite devono concentrarsi su una nuova leva, la più vecchia di tutti: il benessere del paziente. Probabilmente, oggi, il canale più semplice è l’insieme dei servizi che il medico può offrire al suo cliente.
#3 Le farmacie non sono più quelle di prima
La maggior parte dei progetti di marketing che ho modo di vedere sono incredibilmente privi di un riferimento reale alle farmacie.
Se è vero che queste sono in crisi e che hanno perso il 20% della marginalità, secondo un recente studio pubblicato in occasione di Cosmofarma, è anche vero che sono sempre più integrate nella filiera. Aiutarle a svolgere il proprio lavoro al banco di supporto, contatto, promozione e comunicazione è prezioso.
Qualunque patologia stiamo trattando – dal diabete alla aftosi secondaria, alla chemioterapia – il farmacista può offrire un contributo di valore.
Basta uscire dalla logica della logistica, della distribuzione e dello sconto. Non è facile, ma si può fare.
Quale ruolo attribuire alla farmacia non è facile da dire, le condizioni dei prodotti sono completamente diverse, ma noi in Merqurio abbiamo verificato – sulla base di esperienze concrete – l’importanza della formazione diretta in farmacia.
Il piano marketing che non includa le farmacie – ed i farmacisti stessi – nella comunicazione e promozione è carente e destinato a non ottenere il successo sperato.
Si può parlare agli operatori professionali ed al consumatore, senza passare dal farmacista, che di fatto è la cerniera tra le parti?
#4 il mercato non è più quello di prima
Il mercato del Merger and Acquisition (M&A) sta cambiamo completamente il perimetro delle aziende.
Questo mi sembra così evidente che penso si possa esemplificare con il caso Meda. Questa, comprando il gruppo Rottapharm|Madaus si trova ad avere un listino etico in parte raddoppiato o triplicato, con una linea solo farmacie e GDO che prima non aveva ed un baricentro spostato in Italia. Quindi Meda si trova davanti ad almeno tre sfide: massimizzazione dei risultati del listino ed eventuale cessione dei marchi sovrapposti; una nuova dinamica promozionale che passa per la TV, la carta stampata la vendita in farmacia con rete agenziale e prodotti da consumo per la GDO; infine ilbaricentro in un nuovo Paese, che comporta un sicuro spostamento del metacentro decisionale.
Tale esempio deve, però, interessare tutti i player degli stessi mercati, in quanto sono tutti influenzati dal cambiamento. Tutti i concorrenti – e tutti coloro che operano singolarmente o per linee di prodotti – saranno influenzati da questa acquisizione. In considerazione del fatto che il 2014 risulta l’anno con maggiori M&A nel settore farmaceutico e considerando l’impatto che ciò avrà nel settore,ogni piano marketing sarà assolutamente da rivedere. Per tutti e senza eccezioni.
Promuovere nel momento in cui gli altri disinvestono ha enormi vantaggi. Ma va fatto subito. Occorre trovare modelli di promozione che partano già dal mese prossimo ed al massimo della velocità. Solo così si possono conquistare nuove quote. Se il piano risulta vecchio e sarà adattato in ritardo sarà inutile.
Agire presto è meglio che agire bene. Rivedere i piani con chi è in grado di supportarti in azioni efficaci e tempestive – ab jetzt – farà la differenza.
#5 Gli strumenti di un piano marketing non sono più quelli di prima
Sono tutti d’accordo, almeno nel proprio animo, anche se nelle riunioni qualcuno prova a cantare fuori dal coro che le attività promozionali più efficaci siano gli ISF ed i congressi.
Ma, senza considerare se questa opinione sia vera o meno, in mancanza di questi mezzi/strumenti, cosa faccio? Per qualcuno esiste il nulla oltre l’informazione diretta degli ISF, quindi ci si può spingere addirittura fino al marketing diretto postale ed alle DEM online che puntano alla scheda tecnica.
Purtroppo non è così: la cassetta degli attrezzi del marketing si è espansa, si è evoluta, è cresciuta in quantità e modelli. Se non li conosci e non li sai adoperare sono problemi tuoi, in quanto i tuoi colleghi e soprattutto i tuoi competitor iniziano a saperlo fare ed a maneggiarli abbastanza bene.
Nell’ultimo anno abbiamo organizzato, con grande successo, diversi corsi di formazione per il management delle aziende farmaceutiche. Un grande successo “di pubblico e di critica”, poiché sono stati corsi pratici, improntati al cosa fare oggi.
Sono a volte amareggiato, sinceramente, nel sentire i manager delle aziende farmaceutiche che vengono da noi e che andando via dicono “non mi aspettavo di trovare tutto questo” oppure “non pensavo fosse possibile fare tutto questo”. Penso a quanto perdiamo in termini di efficacia solo per il fatto che manca la conoscenza dei mezzi.
Che solo l’8% dell’intero budget della comunicazione sia dedicato al digitale significa che il management non ha ancora un’idea chiara di quanto esso contenga. È digitale un sito internet di prodotto chiuso al pubblico, ma risulta inutile perché non visitato o non è aggiornato. È digitale una DEM che punta al PDF della scheda tecnica.
Il piano marketing va aggiornato con l’aiuto della nuova figura del Digital Manager,con l’aiuto di agenzie e società che innovano, propongono soluzioni e – soprattutto – che risolvono. Non chiedete solo case history, chiedete anche competenze singole e del team, chiedete esperienza, capacità, assett. Solo poche aziende hanno investito in assett e solo poche, quindi, hanno nel proprio interno il patrimonio necessario da condividere con il marketing farmaceutico dell’azienda farmaceutica.
Ora dovresti capire che il tuo piano marketing è vecchio anche se lo hai scritto sei mesi fa. Allora va riscritto. Ma ti do un consiglio. Non lo riscrivere ancora, continuerebbe a risultare vecchio. Prima parti dalle nuove basi e poi verifica se si possono adoperare modelli diversi, alternativi ed innovativi.
Con la giusta conoscenza il piano marketing verrà facilmente fuori e sarà nuovo ed efficace.




Csr: il 90% dei Ceo vuole integrare la sostenibilita'

Un’indagine condotta dal Coca Cola Enterprisesmostra che 9 Ceo su 10 ritengono che le aziende dovrebbero integrare obiettivi di sostenibilità nel loro business e che i leader del futuro sono molto determinati nel mettere in pratica obiettivi di Csr ben definiti.

L’INDAGINE – Si tratta di un sondaggio che ha coinvolto in tutto 150 Ceo, 150 studenti MBA o neolaureati europei. I risultati sono stati presentati al“Future for Sustainability Summit: Enhancing the Value of Business” di Londra. I DATI – Ebbene, il 90% dei leader di oggi e di domani sono convinti che un business di successo dovrebbe combinare obiettivi di profitto e obiettivi sociali, un mix che determina di fatto la sopravvivenza stessa del business, data la sua importanza per impiegati e clienti.
Il Ceo di Coca Cola, John F. Brock, ha commentato: “Le aziende che guardano in avanti si stanno già focalizzando su come bilanciare profitti e buoni propositi e c’è una crescente aspettativa nei confronti di queste azioni. I leader di oggi giocano un ruolo fondamentale nell’integrare questioni ambientali e sociali nelle decisioni strategiche, ma le generazioni future hanno persino ambizioni maggiori. E’ chiaro che tali questioni avranno un’importanza sempre crescente negli anni a venire”.

A CHE PUNTO SIAMO? – Secondo l’indagine, comunque, la maggior parte dei Ceo di oggi ritengono che la loro azienda è a buon punto nella costruzione della sua leadership ambientale. Peccato però che solo il 19% dei leader di domani invece creda sia così.

Se ci concentrassimo sul caso della Coca Cola poi avremmo parecchio da discutere. L’azienda sta tentando in tutti i modi – soprattutto attraverso il marketing – di porsi come azienda attenta alla salute del consumatore e all’ambiente.
Basti pensare alla presa di posizione contro l’obesità, al lancio di una bevanda con meno zuccheri e all’adozione del semaforo che ne segnala la presenza massiccia. Peccato che di salutare la Coca Cola abbia poco e che certe mosse profumino troppo di greenwashing. E’ il momento della svolta?




Csr: Virgin dice no ai delfini in cattivita', ma collabora coi delfinari

Nessun cetaceo libero va ridotto in cattività, parola di Virgin Holidays. Richard Brenson, l’illuminato Ceo di Virgin, quello delle ferie illimitate per i dipendenti, annuncia che da ora in poi esigerà che i suoi partner e fornitori non catturino cetacei selvatici per l’industria dell’intrattenimento di acquari e delfinari.
E sono molte le aziende che lavorano con Virgin ad aver sottoscritto l’impegno, promettendo di interrompere la fornitura di cetacei selvatici al settore dell’intrattenimento. In questo modo, l’azienda spera di eliminare la domanda di balene e delfini allo stato selvatico.
La notizia arriva a ridosso dell’annuale massacro dei delfini di Taiji, la baia giapponese in cui i cetacei vengono catturati per essere venduti a caro prezzo. Gli individui non selezionati, i meno promettenti e ‘carini’, vengono uccisi per il mercato della carne.

In un post sul suo blog personale, Branson spiega:

“Sento che si tratta davvero di uno sviluppo molto positivo per l’industria. Anche se molti dei nostri fornitori non hanno preso balene e delfini in natura per anni, Virgin Pledge cerca di innescare un cambiamento così tanto necessario per porre fine in modo efficace a una pratica brutale che continua ancora oggi. Continueremo anche a sostenere altre cause che promuovono la conservazione degli oceani, come la fine della caccia e della pesca non regolamentata, o la creazione di più aree marine protette”.

Virgin vorrebbe anche che i cetacei nati e cresciuti in cattività possano essere rimessi in libertà. Per arrivare a questo risultato, lontano a venire almeno per ora, sta collaborando con enti non-profit, attivisti, scienziati, operatori turistici, e, naturalmente, proprio con coloro che gestiscono parchi marini e acquari.
Questo sforzo, però, è stato ampiamente criticato dalle associazioni, convinte che Vergin avrebbe dovuto fare di più terminando del tutto la collaborazione con acquari e parchi marini che confinano gli animali in cattività.
Whale and Dolphin Conservation, Born Free Foundation, Animal Welfare Institute, Orca Research Trust e World Cetacean Alliance hanno rilasciato un comunicato congiunto per esprimere la propria delusione:

“Siamo delusi che Vergin, dopo aver mosso i primi passi per affrontare l’importante questione dei cetacei in cattività, non abbia dimostrato la leadership necessaria per contribuire a porre fine a questa forma di sfruttamento degli animali in cattività e alla loro sofferenza. L’atteggiamento delle persone nei confronti di balene e delfini in cattività per l’intrattenimento sta cambiando rapidamente. Noi crediamo che per Vergin, e per l’industria dei viaggi più in generale, sarà sempre più difficile sostenere SeaWorld e altri delfinari”.

Insomma, ci si aspettava di più. Anche se Brenson ha tenuto fedele alla sua promessa dello scorso Febbraio, cioè quella di annunciare questo impegno entro Settembre, in molti speravano che i risultati di questo processo lungo sei mesi sarebbero stati di più vasta portata.
La maggior parte delle balene e dei delfini attualmente detenuti nelle strutture di intrattenimento, infatti, sono già allevati in cattività. E, soprattutto, Virgin continuerà a collaborare con attrazioni che utilizzano i mammiferi marini, come SeaWorld. In pratica perpetuando questa industria della prigionia, nonostante gli annunci.




La sostenibilità non è una moda, consumatori sempre più attenti

Presentata a Roma da Assorel l’indagine Swg sui comportamenti ambientali in Italia

Per il 90% degli italiani è importante che un’impresa si occupi di salvaguardare l’ambiente e il 78% dei consumatori è disposto a pagare di più per acquistare i prodotti di un’azienda impegnata sul fronte ambientale. La sostenibilità non è una moda ma un valore, per cittadini e aziende. Lo rileva l’indagine sui comportamenti ambientali degli italiani, effettuata da Swg per Assorel su un campione di 1.500 persone, presentata oggi al convegno “La comunicazione ambientale, fattore immateriale della sostenibilità e della crescita”.
Per oltre i due terzi dei consumatori, rileva la ricerca, l’impegno ambientale di un’azienda è un fattore che pesa nella scelta dei prodotti e dei servizi e nell’acquisto i cittadini chiedono di essere informati sulle buone pratiche di sostenibilità delle aziende produttrici. Ma quali sono le fonti da cui le persone prendono queste informazioni? Prima fra tutte il web (56%), seguita dal Tv (48%), giornali (27%) e radio (13%).
L’indagine, inoltre, rileva che il 74% degli italiani non giudica lo sviluppo sostenibile e la difesa dell’ambiente una moda o un tema dell’élite culturale, ma lo inserisce tra i valori fondamentali. Un fattore capace, quindi, di incidere profondamente sulle motivazioni di acquisto.
Il 68% delle persone chiede che la riconoscibilità ambientale sia messa bene in evidenza sui prodotti (e non solo pubblicizzata in tv o su internet) e anche se in tempi di crisi il driver dominante resta il costo (46%), l’impegno ambientale di un’azienda è premiato ed è diventato, per il 79% degli italiani, uno stimolo a preferirla. Il 78% si dice disposto a spendere di più per acquistare prodotti o servizi d’imprese attente a non inquinare e a tutelare territorio e ambiente.
Non solo aziende: anche il singolo cittadino deve fare la sua parte. Per custodire l’ecosistema è richiesto un forteimpegno individuale (53%), una maggiore volontà di governi e amministrazioni (50%), nonché comportamenti più virtuosi da parte delle imprese (43%).
L’83% degli intervistati sottolinea che solo i singoli, con le loro micro-azioni individuali, possono dare un contributo reale alla salvaguardia dell’ambiente e l’85% degli intervistati ritiene insufficienti e troppo scostanti i comportamenti ambientalisti degli italiani.
Ma quali sono le abitudini ‘green’ degli italiani? Il 65% evita di gettare materiali inquinanti negli scarichi; il 59% rispetta l’ambiente urbano; il 52% limita i livelli della temperatura del riscaldamento; il 51% fa la raccolta differenziata e il 48% è attento a non sprecare acqua. Un po’ più di disattenzione la incontriamo, invece, nell’uso razionale dei detersivi (31%), nell’uso di materiali ecosostenibili (16%), nell’attenzione al tipo e quantità di imballaggi (16%).
Non mancano vere distrazioni, come l’abitudine di tenere accesi, anche se in stand by, gli apparecchi (35%); lasciare sempre inserito il caricabatteria del cellulare nella presa (21%); lasciare il televisore acceso anche se nessuno lo guarda (14%).
Maggiore attenzione è riservata ai grandi vettori di consumo: il 57% evita di lasciare i caloriferi accesi quando non è in casa; il 73% non apre le finestre quando ha il condizionatore acceso; il 59% non fa partire la lavatrice o la lavastoviglie con poco carico.
Buone notizie arrivano dal fronte della raccolta differenziata: il 57% mette da parte carta e plastica, il 55% separa il vetro, mentre sull’umido siamo ancora al 44%. Pile esaurite e medicinali scaduti hanno rispettivamente un impegno da parte del 36 e 33%della popolazione.
Il tema su cui gli italiani proprio non riescono a cambiare è l’uso dell’auto o dello scooter. Il 62% usa l’auto tutti i giorni, mentre il 75% degli italiani non utilizza o usa solo saltuariamente i mezzi pubblici. Car sharing e car pooling sono per una pura minoranza (3%), mentre la bicicletta per spostarsi in città (non per le gite domenicali) è preferita solo dal 18% delle persone.




Digital Putin e la fabbrica dei Troll

Lo “Zar Putin” sta riuscendo a dare un nuovo significato alle parole “propaganda politica digitale”, come conferma una straordinaria inchiesta del quotidiano inglese “The Guardian”[1], che ha fatto molto discutere.

Come ci racconta il cronista Shaun Walker, tirando le fila di un’operazione di “infiltrazione” durata parecchi mesi, in un business center di San Pietroburgo, in Via Savuskina, lavorano centinaia di diligenti quanto giovani “precari digitali”, attivi 24 ore su 24 su due turni di dodici ore a gruppo: sono “troll”[2] di professione, pagati 45.000 rubli al mese – il corrispettivo di 800 euro al mese, con punte di 1.200 euro/mese – per intervenire sistematicamente su chat, thread di Facebook, o nello spazio commenti dei principali digital media, pubblicando messaggi provocatori, irritanti, fuori tema o semplicemente senza senso, con l’obiettivo di disturbare la comunicazione, fomentare gli animi, e indirizzare la propaganda e il consenso politico.

SI tratta della Internet Research Agency (IRA), gestita da Yevgeny Prigozhin, l’oligarca e capo del gruppo Wagner, la nota compagnia militare privata russa, spesso accusata di aver cercato di interferire attraverso campagne sui social e profili fake nella politica degli Usa e di altri Paesi, e i cui giovani blogger hanno un unico mandato: creare Corpi Digitali attivi sul web, “nutrirli” di contenuti al fine di aumentarne i follower, e poi tramite essi inondare le più visitate pagine internet di lodi per il Presidente Putin, “disturbando” sistematicamente – anche con attacchi duri, volgari o ingiuriosi – qualunque utente esprima critiche alla leadership Russa o alle strategie nazionaliste di Mosca.

Di propaganda politica se ne è sempre fatta, si potrebbe replicare, questa non è che la Sua versione “2.0”. Vero: ma ciò che colpisce in questo caso è l’ampiezza dell’intervento – pervasivo, su tutte le pagine Facebook e su tutte le bacheche di media digitali al di sopra di un certo livello di accessi, ovunque nel mondo – nonché il “basso profilo” degli addetti: non funzionari dei servizi segreti o del Ministero dell’informazione, ma un vero e proprio “esercito di troll” – quanti uffici del genere vi saranno in Russia…? – con strategie più simili a quelle di un’agenzia di relazioni pubbliche – dai metodi assai discutibili – che non a quelle di un team di esperti governativi in contro-informazione.
Gli infiltrati di “The Guardian” hanno avuto contatti con più di un “lavoratore digitale a cottimo”: tutti sono stati concordi nel descrivere un ambiente di lavoro “formale, molto serio, diretto da una disciplina inflessibile, con decurtazioni dallo stipendio per chiunque non raggiungesse un certo numero di post al giorno”. Nei quattro piani del palazzo, i numerosi uffici – ognuno di 20 persone più 3 coordinatori – sono suddivisi per lingue, per zone di influenza, per tipologia di testate sulle quale lavorare. Il ruolo dei coordinatori è anche quello di vigilare affinchè nessuno si allontani dalla linea ideologica indicata dai “mandanti” governativi, che è ben specificata nei briefing che i blogger trovano ogni mattina sulla loro scrivania: lodare il Presidente Putin per un certo accordo internazionale, attaccare chiunque sia vicino al governo nazionale ucraino, infangare l’immagine di questo o quell’altro leader occidentale, oppure qualche giorno dopo congratularsi con Lui se per qualche ragione ciò diviene strumentale ai progetti di propaganda di Mosca. Uno scenario Orwelliano, da “1984 virtuale”[3], con ragazzi reclutati mediante inserzioni molto generiche su giornali, come ha confermato dopo l’inchiesta del Guardian anche il sito indipendente russo “Sobaka”, e assunti dopo colloqui assai superficiali, previa però la sottoscrizione di stringenti impegni alla riservatezza, e sempre pagati in contanti al fine di non lasciare alcuna traccia bancaria.

L’azione dei troll stipendiati da Mosca è in ogni caso assai pervasiva: si sostanzia nella creazione di profili Facebook o account Twitter, Corpi Digitali con identità fittizie, che hanno come primo obiettivo quello di raggiungere un numero adeguato di followers. “Dobbiamo – dopo aver attivato dei proxy[4] per nascondere la reale posizione geografica del nostro computer – scrivere post normalissimi, di quelli che chiunque può leggere ogni giorno su un profilo Facebook di un proprio ‘amico virtuale’, del tipo ‘la migliore ricetta della torta di mele’, ‘i 10 castelli più belli da visitare in Europa’, ‘la musica più di tendenza’, o ancora ‘la spiaggia migliore dove passare le vacanze’, e poi – ogni tanto – inserire dei messaggi ‘politicamente orientati’. Questo è ciò che facciamo all’inizio. Quando poi la nostra pagina o profilo ha raccolto abbastanza adepti, allora procediamo attivandoci per delle ‘incursioni’ nelle aree dei commenti dei principali quotidiani, o anche di pagine Facebook istituzionali dove vi sono dibattiti interessanti per la Russia, come ad esempio – in questo periodo – la situazione a Kiev e in Ucraina”.

I Corpi Digitali dei blogger-troll procedono come segue: uno pubblica un post nel quale si lamenta di un problema, magari con un link di approfondimento, e altri due – subito, o poco dopo – entrano nella conversazione “animandola”. Di li in avanti, ottenere l’attenzione di altri utenti è una passeggiata di piacere. Ogni “mandato ad agire” include una “conclusione” che il team deve raggiungere quel giorno, in termini di orientamento della pubblica opinione, di trasformazione di un post ostile alla Russia in “post neutrale” o addirittura, laddove possibile, favorevole, etc.

Questi Corpi Digitali sono anche stati dotati di alcuni utili “accessori”, per aiutarli nel loro impegno virtuale: un data-base di migliaia di fotografie scaricabili con un click che rappresentano leader europei in situazioni ridicole o imbarazzanti, a volte appositamente ritoccate con Photoshop, un altro con fotografie adatte a ben ritrarre il Presidente Putin, nonché una specie di “wikipedia” patriottica russa con versioni ideologicamente addomesticate di ogni evento internazionale degno di nota.

I trend-topic sono Putin, da sostenere ad ogni costo e in qualunque forma efficace, la crisi Ucraina, l’omosessualità – descritta come negativa e in contrasto con i valori fondanti della famiglia tradizionale come la intende la Chiesa Ortodossa – e ovviamente la delegittimazione di qualunque leader occidentale abbia assunto posizioni “critiche” sul Cremlino.

“La sera al mio rientro a casa – ha dichiarato uno dei ragazzi avvicinato dai reporter – vedevo in televisione le stesse notizie alle quali avevo lavorato, confezionate nello stesso modo, secondo lo stesso modello narrativo. Alla fine – dato che passavo intere giornate sommerso dalla spazzatura – ho cominciato a temere per il mio equilibrio mentale, e ho preferito licenziarmi. Continuare ad alimentare odio, giorno dopo giorno, alla fine ti mangia l’anima, e rischi di incominciare a crederci sul serio”.

La cosa se vogliamo curiosa è che mentre The Guardian infiltrava due suoi giovani reporter nel palazzo di San Pietroburgo, il periodico russo “Novaja Gazeta” faceva la stessa identica cosa, scoprendo tra l’altro che una delle coordinatrici delle “stanze” è una agente che in passato si era infiltrata in diverse testate indipendenti russe spacciandosi per oppositrice del regime.

Interessante anche l’esperimento di un redattore del sito “Look and Me”, che ha creato un proprio Corpo Digitale, postando poi commenti a favore della linea del Cremlino, contro i liberali, i gay, gli ucraini e gli americani, e a favore della Russia, della civiltà euroasiatica e della famiglia tradizionale. Rapidamente, le sue bacheche si sono popolate di post di altri utenti, a sostegno dei suoi, con un engagement altissimo e lunghe discussioni con centinaia di profili. Per la maggior parte, neanche a dirlo, fake: Corpi Digitali scatenati, in viaggio da un server all’altro, desiderosi di “vivere” e di prendere voce raccontando la loro personale – e inautentica – visione della storia.

(*) Nota: questo articolo è tratto da un capitolo del libro “Il Sex Appeal dei Corpi Digitali: seduzione, matrimoni e divorzi, amplessi, prostituzione, stupri, cannibalismo e malattie genetiche ereditarie dei nostri Digital Body”, disponibile in formato cartaceo e eBook.
[1] una sintesi dell’inchiesta è consultabile alla URL http://www.theguardian.com/world/2015/aug/18/trolls-putin-russia-savchuk
[2] per una definizione di “troll”, potete consultare Wikipedia alla voce https://it.wikipedia.org/wiki/Troll_(Internet)
[3] il riferimento è allo straordinario capolavoro dello scrittore George Orwell, dal titolo “1984” https://it.wikipedia.org/wiki/1984_(romanzo) dove si illustrano le strategie di propaganda e i repentini “cambi di posizionamento” dettati da opportunità a brevissimo termine
[4] un “server intermediario” https://it.wikipedia.org/wiki/Proxy