Un evento a Mantova…sul tetto!

Portare l’idea di un social network dal mondo virtuale a quello reale sembra essere una follia, eppure è accaduto nell’ambito della manifestazione Mantova Creativa – una quattro giorni di arte, design, fotografia, architettura, musica, danza e teatro ospitata in svariate location della città lombarda.
A realizzare Pensiero Bucato -questo il nome dell’iniziativa- è stato lo staff di Copiaincolla pubblicità, un’agenzia di pubblicità di Mantova tradizionalmente poco convenzionale, come testimonia anche la sede ospitante l’evento: la Terrazza delle Stelle, riaperta al pubblico per l’occasione dopo la chiusura, qualche anno fa, dell’Hotel San Lorenzo.
Coerentemente con quanto affermato sulla piattaforma web di Mantovacreativa (www.mantovacreativa.it) “Territorio, creatività, mondo dell’impresa e giovani talenti sono gli attori protagonisti dell’Evento” i vulcanici creativi di Copiaincolla si sono inventati un social network reale, o come preferiscono definirlo loro “un social washwork. .Washwork perché qui i pensieri non vanno pubblicati con una connessione a internet ma, più semplicemente, vanno scritti su una t-shirt bianca e stesi su un filo con un paio di mollette, tutto negli spazi di una delle più alte e belle terrazze del centro storico della città”
L’idea è mutuata dalla presenza sempre più massiccia dei social network nella società moderna ed è un tentativo di riprodurre nella realtà ciò che in ogni istante la maggioranza delle persone fa su twitter e facebook.
Nello specifico Pensiero Bucato offriva alle persone la possibilità di avere una maglietta bianca, disegnarla e colorarla con una propria idea, stenderla in terrazza, e scegliere una t-shirt che gli utenti precedenti avevano già personalizzato per portarsela via, esattamente come ciascuno di noi fa sulle bacheche dei propri amici di Facebook, ma il tutto in una delle più belle terrazze del centro storico di Mantova.
Per l’iniziativa sono stati infatti usati centinaia i metri di corda sui quali sono state stese le oltre 2.000 magliette. Incredibile a dirsi l’evento ha realizzato il sold-out e questo è la conferma che la popolazione ha bisogno sempre più di strumenti che mettano in contatto e di sentirsi protagonista, sia l’ambientazione virtuale o reale!


Murdock, il miliardario che sogna l'immortalità e Kannapolis, la sua personale "bio valley"

Il centro di ricerca nel North Carolina è già costato 500 milioni di dollari. L’obiettivo è promuovere una dieta salutare a base di vegetali e sviluppare farmaci e cure naturali. Coinvolte 12 università e grandi aziende agroindustriali. Il creatore, oggi novantenne, punta ad arrivare a 125 anni in buona salute
Il sogno è arrivare a vivere 125 anni. E se è il sogno di un ricco, forse si può realizzare. Anche se bisogna investire 500 milioni di dollari, coinvolgere 12 università e le maggiori aziende agroindustriali del pianeta. Il North Carolina Research Center di Kannapolis, un vecchio villaggio cotoniero a pochi chilometri da Charlotte, nel cuore sudista degli Usa, non è solo il sogno di David Murdock, il miliardario statunitense che l’ha finanziato, ma anche di qualsiasi studioso di scienze naturali e biologiche che si definisca tale. Murdock, che è originario dell’Ohio, ha scelto Kannapolis per costruire una biopoli, una sorta di bioscience valley, come la definisce Clyde Higgs – responsabile della commercializzazione delle scoperte realizzate dai ricercatori del centro – dedicata a dimostrare che una dieta a base di vegetali non solo allunga la vita ma potrebbe offrire anche una risposta ai maggiori mali contemporanei.
Una dimostrazione? La scoperta di TinChung Leung. Ricercatore della North Carolina Central University, Leung ha appena dimostrato che 10-gingerol, una fitomolecola contenuta nel ginseng, è in grado di interagire con il genoma umano attivando i geni che regolano la produzione dell’eritropoietina, l’ormone che stimola l’eritropoiesi, ovvero la produzione di globuli rossi da parte del midollo osseo. “L’abbiamo immediatamente brevettata – conferma Higgs – Il progetto è quello di sviluppare un farmaco botanico che possa aiutare gli emofiliaci e alla lunga rendere le trasfusioni del sangue una cosa del passato”.
Il novantenne Murdock tra le cose del passato vorrebbe far finire anche la morte. Per ora si propone di arrivare a festeggiare il suo 125mo compleanno e di arrivarci in buona salute. E Kannapolis riveste un ruolo centrale nella realizzazione di quest’impresa. “Non è uno scienziato – afferma Higgs – ma è un uomo che sa quello che vuole e non bada a spese pur di raggiungere il suo obbiettivo”.
A giudicare dal mezzo miliardo di dollari che ha investito nella creazione del centro, Murdock fa le cose in grande. E’ andato personalmente in Toscana a scegliere il marmo di Carrara (125 tonnellate in tutto) per rivestire l’atrio del David H. Murdock Core Laboratory, l’edifico centrale del complesso in stile Georgiano che ospita il North Carolina Research Center. E lo ha dotato di macchinari unici nel loro genere, come uno spettografo nucleare di massa a risonanza magnetica da 950 Megahertz. Macchinari e innovazioni tecnologiche che sono a disposizione delle maggiori università della regione.
Se si trattasse solo del sogno d’un eccentrico riccone, non sarebbe una novità. Di facoltosi americani che si fatti un paradiso personale ce ne sono stati tanti. Gli Hearst si erano addirittura costruiti un castello nei pressi di San Simeone, in California, circondato da una vasta foresta che ospitava fauna e flora provenienti da tutti gli angoli del globo. Il caso di Murdock è diverso: non solo è riuscito a convincere 12 delle maggiori università della regione, come la Duke University, a creare dei loro avamposti a Kannapolis (e questo si potrebbe giustificare con il fatto che il mecenate mette a disposizone tutto a titolo gratuito), ma ha ottenuto anche che giganti dell’industria agricola come Monsanto e General Mills, e organismi federali di controllo come lo USDA, aprissero loro laboratori nel suo centro.
“Murdock è convinto che trovandosi uno accanto all’altro i ricercatori universitari e quelli delle aziende finiranno col lavorare assieme”, afferma Ken Gepfert, analista del Wall Street Journal passato di recente alla Luqire George Andrews Inc., una delle maggiori agenzie di comunicazione Usa. “E i primi risultati non si sono fatti attendere. Sfruttando le ricerche in metabolomica fatte dallo Human Performance Laboratory con i semi di chia, i funghi portobello e le banane, la Dole Fruit ha creato nuovi prodotti che saranno in commercio a partire dal prossimo autunno”.
Murdock, centesimo nella classifica degli americani più facoltosi con tre miliardi di dollari di patrimonio personale, dalla sua non ha solo il poter finanziare l’operazione ma anche l’essere azionista di maggioranza e chairman della Dole Food. E malgrado sia un personaggio difficile – non di rado rimprovera l’interlocutore per il suo aspetto fisico e ha un ego smisurato – il fatto che controlla il gigante della frutta e verdura statunitense ne fa uno di cui si deve tenere conto, se non altro perché  le sue decisioni condizionano le tendenze alimentari a livello planetario.
“Non ho mai avuto un capo in tutta la mia vita – ha dichiarato di recente Murdock al Times di Londra, che incuriosito dall’iniziativa dell’anziano miliardario aveva spedito un inviato  a Charlotte – Ho distrutto totalmente la capacità di chichessia di darmi ordini”.
Ma per quanto pubblicamente assuma l’atteggiamento del cowboy invincibile, Murdock alla decisione di promuovere un’alimentazione salutare e di favorire lo sviluppo di farmaci che trovino una giustificazione nel mondo biologico, ci è arrivato attraverso drammi personali. Una moglie persa per colpa del cancro delle ovaie. Un figlio annegato in piscina e un altro morto in uno schianto in macchina, ambedue a quanto pare afflitti da problemi di salute che hanno causato gli incidenti. Tutto questo lo ha convinto che una dieta più naturale, più genuina, li avrebbe aiutati a vivere più a lungo o almeno, nel caso della moglie, a soffrire meno.
La sua fissazione per l’alimentazione è così forte che adesso al quartier generale della Dole il vistatore invece di ascoltare la solita musica per ambienti può ricevere suggerimenti per l’alimentazione e ascoltare un notiziario sulla salute. Il cibo servito dalla mensa aziendale è gratuito e la palestra fatta costruire da Murdock all’interno dello stabilimento offre anche il personal trainer. Di fronte agli uffci di Westlake Village, la cittadina californiana dove la Dole Food ha il suo quartier generale, Murdock ha poi costruito il California Health and Longevity Institute, una combinazione tra la SPA, il centro medico e un ristorante d’alta classe, dove i clienti possono fare lo screening per il cancro e le analisi del colosterole, ma anche prendere lezioni di cucina salutare. Il centro, che ha anche un hotel annesso, dovrebbe essere un’impresa che genera profitti – nello spirito di unire la missione sociale con quella commerciale tipico di Murdock – ma nei fatti cura tutti coloro che si presentano praticamente gratis.
Quando Murdock cominciò a costruire Kannapolis molti credettero che si sarebbe trasformata in una cattedrale nel deserto, ma avevano fatti i conti senza Murdock. Il tenace miliardario riesce a fare offerte che non si possono rifiutare, come quella che ha convinto per esempio Mary Ann Lila, una delle maggiori esperte mondiali di mirtillo, a trasferirsi nella Carolina del Nord dalla University of Illinois di Chicago. Il vecchio miliardario ha dalla sua il vantaggio di aver costruito la sua creatura nelle vicinanze di Charlotte, una città la cui qualità della vita è tra le migliori d’America e che offre svaghi e intrattenimento in grado di attirare i migliori talenti internazionali. Non a caso il presidente Barack Obama ha deciso di tenere proprio qui la Convention che lo incoronerà per la seconda volta candidato democratico alla Casa Bianca.


Terzi: così il digitale rivoluziona la diplomazia

Il ministro degli Affari esteri: “Social network importanti per la democrazia, ma attenti al magma della rete”. E il consigliere Luca Poma svela le strategie comunicative 2013: meno formalismi e coinvolgimento dei non addetti
La comunicazione del ministero degli Esteri si fa sempre più digital. Consapevole dei rischi, ma anche dei vantaggi che Internet può comportare per questo mondo fino a pochi anni fa lontano anni luce dalla trasparenza e rapidità dei new media, la diplomazia si attrezza per le nuove sfide: nelMaecom 2013, il programma di comunicazione per quest’anno del ministero degli Affari esteri del quale si attende a breve la pubblicazione, c’è un intero capitolo dedicato ai “new tools”, i nuovi strumenti comunicativi. Lo ha rivelato Luca Poma, consigliere del ministro degli Esteri Giulio Terzi per le iniziative di promozione innovativa e le nuove tecnologie, a conclusione del seminario svoltosi oggi alla Farnesina dal titolo “Digital Media in zone di guerra”.
“Non possiamo pensare alla sostituzione tout court della diplomazia tradizionale con quella digitale – ha detto Poma – ma dobbiamo comunque tenerne conto. Sul web – ha proseguito – la comunicazione è informale, trasparente, rapida e la pubblica opinione è sempre più coinvolta nei processi comunicativi, mentre la diplomazia old style è formale, tendente alla segretezza, con tempi più lunghi e non punta a coinvolgere i non addetti ai lavori”.  Partendo da questi presupposti, nel Maecom 2013 saranno presenti alcune linee guida che il consigliere del ministro ha appunto anticipato. Innanzitutto la personalizzazione della comunicazione (perché un testo va elaborato in modo diverso a seconda che venga diffuso, per esempio, sul web o su un media cartaceo). Poi l’inclusione dei commenti “esterni” su temi e vicende un tempo monopolio dei soli diplomatici. Quindi il dialogo informale, perché, spiegaPoma, “le gerarchie formali tendono a uccidere la comunicazione online”. Occorre inoltre che la diplomazia accetti di “essere sotto controllo”, ovvero costantemente monitorata dai cittadini online e bisogna “snellire la catena di comando”, in modo che le risposte vengano date in tempi più rapidi. Infine è essenziale essere autentici, “cosa che include la capacità di chiedere scusa quando si sbaglia”, e individuare gli opinion maker in certi ambiti e territori in modo da realizzare un’informazione mirata e capillare.
Tutto questo, però, tenendo sempre a mente i pericoli della digitalizzazione. “I social media – ha affermato il ministro Giulio Terzi in apertura del seminario – sono un importante strumento di democrazia ma bisogna anche stare attenti ai rischi legati al ‘magma’ della rete.
Terzi ha ricordato il ruolo di strumenti come Facebook e Twitter nelle primavere arabe per “connettere le coscienze, favorire l’organizzazione della protesta e raccontare al resto del mondo ciò che accade durante una rivoluzione, quando i mass-media convenzionali sono oscurati dalla censura”. Negli scenari di guerra, inoltre, i digital media documentano piccole storie non coperte dai media tradizionali e le immagini e gli episodi narrati sui blog “restano come testimoni indelebili, a portata di un semplice click su Google”.
Non mancano i “rischi di abuso”, come nel caso dei video di guerra registrati con microcamere poste sull’elmetto dai militari in missione, che possono “banalizzare l’azione di guerra, trasformandola in un video-game”. Quindi, occorre “grande professionalità” nel raccontare questo tipo di eventi.
I social media garantiscono una velocità di informazione mai conosciuta, ha ribadito il ministro ricordando che il primo tweet da Haiti è stato postato 7 minuti dopo il terribile terremoto del 12 gennaio 2010, 24 ore prima della diretta televisiva. Ma ha sottolineato che utilizzare la rete come fonte di informazione aumenta il rischio di “notizie infondate” pubblicate ad esempio da persone che utilizzano false identità.
La rete, ha concluso Terzi, è un “magma di comunicazione mista a propaganda” e, per utilizzarla come fonte utile, c’è bisogno di “giornalisti preparati e rigorosi nella verifica, capaci di filtrare, approfondire e contestualizzare i fatti”.
Al seminario ha partecipato anche Amedeo Ricucci, giornalista Rai protagonista di un significativo esperimento: di recente è stato per una decina di giorni in Siria, alloggiato in abitazioni comuni a rischio bombardamento, documentando ogni momento della propria giornata con smartphone e micro-camere: immagini poi rilanciate nel sito della Rai dedicato all’iniziativa, e corredate da articoli, schede e grafica. Il materiale sarà poi utlizzato per un reportage televisivo.
Sulle potenzialità della “crowdphotography” si è invece espresso Antonio Amendola, fotografo e fondatore del progetto Shoot 4 Change, iniziativa no profit nata da un blog e diventata una piattaforma di citizen jorunalism attraverso la quale fotografi volontari contribuiscono a raccontare storie da zone di crisi o dimenticate. Anche Amendola, in Afghanistan, ha realizzato un reportage usando un semplice smartphone. “Usare questi dispositivi – ha commentato il fotografo – è un modo poco costoso, comodo ed efficace per documentare i conflitti, perché spesso, in contesti di guerra, le videocamere o le macchine fotografiche più vistose vengono viste come un’arma”.


Cibo, è tempo di trasparenza

Dopo i casi su carne equina e batteri la fiducia nei marchi è a rischio. Anche di quelli estranei. Tracciare e comunicare: così si disinnesca la diffidenza.

Giocare d’anticipo, puntando tutto sulla trasparenza e la tracciabilità del prodotto e soprattutto sula comunicazione. In caso di crisi, come quella che stanno vivendo i brand coinvolti nello scandalo della carne di cavallo venduta come manzo, è quello che bisognerebbe fare per riguadagnare la fiducia dei consumatori. Coinvolgendo anche le associazioni di categoria perchè al di la delle singole aziende, è un intero settore che si trova a dove trovare congiuntamente soluzioni per non soffrire sul mercato.
“Quello che i consumatori si aspettano è che le aziende non scarichino la responsabilità sugli altri, perchè la gente ripone fiducia nel marchio”, sostiene Luca Poma, consulente, esperto in corporate sociale responsibility e in comunicazione della crisi (è autore, insieme a Giampietro Vecchiato del libro Crisis Management). “In tal senso è indispensabile che ci sia un’azione di sistema a livello di comparto, sia da parte delle imprese implicate, sia di quelle che ne sono rimaste fuori ma che potrebbero trovarsi coinvolte da un momento all’altro: è necessario strutturare sistemi normativi di tracciatura del prodotto, di rendicontazione e di trasparenza, andando a monte della catena, impegnando tutti i fornitori e comunicando tutto questo”.
Ogni giorno ormai un marchio si aggiunge alla lista di quelli coinvolti: un allarme che si sta espandendo a macchia d’olio chiamando in causa colossi come Nestlè, Findus, Ikea e Star. Ma anche i concorrenti tremano: secondo una stima di Coldiretti, in Italia gli acquisti di piatti pronti, surgelati e ragù sono crollati del 30%.
Lo tsunami partito dalla scoperta dell’inserimento della carne equina, senza che fosse dichiarato sull’etichetta, in alcuni preparati, come le lasagne pronte e surgelate Findus, i ravioli Buitoni, i ragù Star, e le polpette vendute all’Ikea (finita poi nel ciclone anche per le tortine con presunti colibatteri), ha innescato infatti una crisi che potrebbe rivelarsi “particolarmente grave, perchè sollecita temi come la salute pubblica e perchè trattandosi di subforniture, nel caso della carne, un’azienda oggi serena potrebbe scoprirsi coinvolta”, dice Poma.
Un ruolo per fronteggiare la crisi, come detto, potrebbero giocarlo le associazioni di categoria. “Quando un intero settore è coinvolto, è opportuno che vadano avanti loro per spiegare e fare in modo che non accada più”, sostiene la consulente in crisi management Eva Jannotti. E’ da vedere come si evolverà la posizione adottata da Federalimentare, che poco più di due settimane fa, ha qualificato lo scandalo della carne di cavallo come “un evidente caso di frode in commercio, che però non deve mettere in dubbio l’impegno e l’efficienza del sistema di controllo europeo e italiano, per la sicurezza dei prodotti alimentari”, per cui l’industria  alimentare della penisola investe per oltre 2 miliardi di Euro.
Per ora le aziende hanno cominciato a correre ai ripari singolarmente, adottando la linea del blocco delle vendite e rendendo noti i nomi dei fornitori responsabili. Nestlè per esempio ha dichiarato di aver sospeso le consegne di tutti i prodotti contenenti carne rifornita da una ditta tedesca subappaltatrice di uno dei fornitori, perchè ha rilevato tracce di dna equino in due preparazioni a base di carne di manzo proveniente dall’azienda. Star ha diffuso una nota stampa in cui “si dichiara vittima della vicenda al pari di altre primarie aziende nel settore alimentare”, precisando che “tali prodotti sono stati preparati con carne che ci era stato assicurato essere 100% bovina”.
“La filiera della carne bovina è tracciata e rintracciabile fino all’origine degli alimenti del bestiame. Non altrettanto vale per la carne equina”. Afferma Luciano Pilati, professore del dipartimento di economia e management (autore del volume Marketing agro-alimentare). “Resta da chiarire perchè sia stata perpetrata una frode in commercio. Forse non esisteva uno sbocco sul mercato della carne equina, comunque dotata dei requisiti di legge, e quindi si è forzata una vendita sotto mentite spoglie? Bisogna evitare comunque che si diffonda uno stato d’ansia collettivo in materia alimentare che metta in crisi il lavoro di molti; se emergeranno comprovati rischi per la salute, allora bisognerà ripensare la strategia minimalista adottata finora”.


Bandi MIUR: 655 milioni per le smart cities. Ma ora servono i progetti esecutivi

Milano, Roma, Torino, Napoli, Genova e Bologna, tutte in campo per l’ambiente e per gli interventi di sviluppo delle città intelligenti. In campo soluzioni per favorire la mobilità sostenibile, tecnologie per il monitoraggio ambientale e per il risparmio e l’efficienza energetica. Sono solo alcuni dei progetti vincenti del bando Smart Cities and Communities and Social Innovation a cui il Ministero dell’Istruzione assegnerà 655,5 milioni di euro (di cui 170 milioni di euro di contributo nella spesa e 485,5 milioni di euro per il credito agevolato). Mentre una quota della dotazione finanziaria – pari a 25 milioni di euro – è stanziata per i Progetti di Innovazione Sociale presentati da giovani di età non superiore ai 30 anni.
Ben 183 milioni di euro potranno andare a 11 dei 14 progetti supportati dalla città di Torino, che portano un contenuto di innovazione in ambiti quali le smart grids e l’architettura sostenibile, dai sistemi per monitorare il territorio e prevenire i danni di alluvioni, frane, inondazioni alle nuove tecnologie per spostare le merci senza bruciare litri di gasolio. Tanto per citarne alcuni: 19,8 milioni per il progetto SCOC, realizzato da Selex, insieme con (tra gli altri) il Politecnico che nasce dalla necessità di realizzare un centro operativo di coordinamento, a livello comunale per il monitoraggio del territorio, la sicurezza del cittadino e gestire situazioni di emergenza e crisi anche legate a rischi naturali. I temi su cui si svilupperà il progetto sono in particolare rischio idrogeologico e mobilità. Poi 19,9 milioni per il progetto SmarTour: un aereo senza pilota che vola e fotografa tutto ciò che incontra sul suo cammino. Così permette di acquisire in tempo reale dati rivolti alla conoscenza, al controllo e al monitoraggio dell’ambiente naturale e delle città. Tra i progetti d’innovazione, invece, uno pronto a partire: un gruppo d’acquisto solidale, legato a prodotti a chilometro zero, per gli studenti del nuovo campus Einaudi dell’Università. Un risultato importantissimo con considerevoli ricadute sull’economia locale. “Siamo molto orgogliosi e soddisfatti – ha affermato Enzo Lavolta, assessore all’Innovazione, Sviluppo e Sostenibilità ambientale della Città di Torino – è stata riconosciuta la qualità dei progetti proposti dalle imprese e dai centri di ricerca del nostro territorio. Il sistema locale torinese dimostra di avere nell’ultimo anno ben lavorato e di aver posto basi solide per un efficace lavoro a sostegno del progetto Torino Smart City. Il lavoro se è ben svolto paga. Bene abbiamo fatto a coinvolgere e valorizzare il sistema delle eccellenze del nostro territorio”. “Un risultato importante, che è frutto della capacità tutta torinese di costruire progetti attraverso un’azione corale”. È il commento a caldo del sindaco Piero Fassino.
Mappare i servizi del sottosuolo per creare un catasto elettronico e gestire le risorse del territorio, sia durante il quotidiano sia durante un’emergenza. Oppure, sviluppare una piattaforma telematica e informatica (aperta, dinamica e partecipata) di servizi e componenti per la logistica in ambito urbano, in grado di garantire la realizzazione di una comunità virtuale in rete mobile per rendere più efficiente il processo diminuendo l’impatto ambientale derivante dalla movimentazione di merci (la sperimentazione su Milano riguarderà in particolare Area C). O, ancora, applicare una serie di tecnologie nella gestione delle risorse idriche: realizzare un monitoraggio dei carichi inquinanti per orientare le azioni di controllo, utilizzare indicatori precoci di allerta capaci di attivare strategie di mitigazione su scala locale degli eventi estremi riconducibili ai cambiamenti climatici (con le conseguenti modifiche nel regime delle precipitazioni). Sono alcuni degli undici progetti presentati dal Comune di Milano, e promossi in partnership con società private, università o enti di ricerca, che sono stati approvati dal Miur. “Il successo di questi undici progetti sono un segnale molto importante per Milano – ha dichiarato l’assessore al Lavoro, Sviluppo economico e Smart city Cristina Tajani – In primo luogo perché rappresenta un riconoscimento tangibile del lavoro congiunto tra enti privati e pubblici; inoltre, perché significa che si potranno effettuare investimenti importanti su temi sensibili come la mobilità, l’ambiente e la messa in sicurezza del territorio. Smart city significa immaginare una città nella quale la tecnologia risponde ai bisogni in termini di azioni amministrative meno impattanti, da un punto di vista economico e ambientale”.
Il bike sharing a Napoli è invece la sintesi di tre diversi progetti, tra cui, appunto, anche frutto del bando del Miur per le smart cities affidato a seguito di una selezione al gruppo Cleanap. “Il servizio si propone di risolvere il cosiddetto problema dell’ultimo miglio”, spiega Cristiano May di Cleanap, responsabile del progetto “Bike sharing Napoli” vincitore del bando Smart cities and communities and social innovation. “Cercheremo di favorire inizialmente le aree vicine alle zone a traffico limitato – aggiunge – per rendere più agevole il servizio nella sua fase iniziale. Nelle 25 postazioni saranno distribuite 250 biciclette”.
Per quanto riguarda Bologna sono state ammesse alla fase di progettazione esecutiva 9 delle 17 idee progettuali presentate.Per 7 di queste 9 idee il Comune è anche ente sperimentatore. Si tratta di importanti investimenti nella ricerca, nello sviluppo e nelle nuove tecnologie che riguarderanno il territorio di Bologna, per un totale di oltre 113 milioni di euro. I progetti green sono: Regal (19 milioni di euro circa – ambito smart grids), per fornire una soluzione innovativa per la produzione di energia elettrica e termica, con l’obiettivo di superare i limiti attuali alla crescita della generazione basata sull’impiego di fonti rinnovabili non programmabili (il solare, per esempio) e sulle infrastrutture di rete esistenti. Rigers (12,4 milioni di euro – ambito architettura sostenibile e materiali), per realizzare e sperimentare l’uso di una piattaforma integrata interoperabile Web-GIS in grado di raccogliere e contenere le principali informazioni relative alla consistenza e al funzionamento degli edifici e delle reti. Inset (15,49 milioni di euro – ambito trasporti e mobilità), per implementare un sistema che possa integrare su smartphone dati riguardanti diversi servizi ed organizzazioni di mobilità pubblica cittadina.
Grandi opportunità dunque, ma ora viene la sfida: entro aprile, le cordate selezionate dovranno infatti concretizzare le idee presentando i progetti esecutivi. Partirà poi la fase due: tre anni per mettere in pratica le idee approvate.


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