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Csr, Coca Cola: per il Ramadan via le etichette dalle lattine e dalle persone (VIDEO)

Lattine di Coca Cola senza logo: riconoscereste lo stesso il brand? Assolutamente sì. Ma non è un test, quello che l’azienda sta facendo in Medio Oriente in occasione del Ramadan. E’ una delle tante azioni che la multinazionale mette in atto per lanciare messaggi sostenibili e di responsabilità sociale. Senza cambiare ricetta, naturalmente, e senza diventare una bevanda salutare.
L’ultima trovata è una campagna a tema che tenta di porre l’attenzione sulle conseguenze dei pregiudizi. Addio logo, quindi, resta però l’onda che tutti associamo immediatamente al brand e un messaggio: “Le etichette sono per le lattine, non per le persone”.

Ma non finisce qui. In linea con questo messaggio particolarmente efficace, Coca Cola ha realizzato uno spot in cui un gruppo di uomini molto diversi tentano di scoprire che immagine hanno gli altri in una stanza al buio. Soltanto a luci accese avranno la risposta.

Per evitare problemi legati alla mancanza delle informazioni su ingredienti e valori nutrizionali, le lattine sono state distribuite durante eventi.
La campagna, che va sotto il nome di“Remove labels this Ramadan”, si inserisce nel filone “Let’s take an extra second”, una macrocampagna che Coca Cola porta avanti insieme al messaggio – che torna anche in occasione del Ramadan – di invitare le persone a prendersi del tempo extra per conoscersi al di là delle prime impressioni.
Meglio, naturalmente, conoscersi bevendo una Coca Cola insieme.
cocanologo slogan
In Medio Oriente, una zona con oltre 200 nazionalità diverse e un numero enorme di etichette che dividono le persone, queste lattine possono mandare un messaggio molto potente e senza tempo”, FP7/DXB, l’agenzia di Dubai, di proprietà della McCann, che ha realizzato la campagna, insieme a Memac Ogilvy che ha coprodotto lo spot.




Icam, il cacao diventa social

LA STORIA SOSTENIBILE DELL’AZIENDA DI CIOCCOLATO DI LECCO
I rapporti diretti con i produttori in Perù, Repubblica Dominicana e Uganda. I corsi di formazioni e l’impegno ad acquistare tutta la produzione. Per Andrea Perrone dell’università Cattolica è un modello di impresa sociale
Non più trader attraverso i quali acquistare il cacao, ma un rapporto diretto con i piccoli produttori di una materia prima che abbonda nei Paesi poco sviluppati delle regioni attorno all’equatore, ai quali fornire formazione e sicurezza dell’acquisto.
È la strategia della Icam, che ha permesso all’azienda cioccolatiera di Lecco di sviluppare il business, e ai produttori locali di avere condizioni di lavoro e di vita migliori. La racconta Angelo Agostoni, che ha ereditato l’impresa dal padre: «Negli 80 lavoravo come acquisitore. Mi occupavo di comprare il cacao. Allora l’attività si svolgeva al telefono con i trader,non si comperava direttamente. Mosso dall’esigenza di risparmiare, ho cominciato a girare il mondo andando direttamente alla fonte. Incontrando i produttori locali ho capito una cosa: se l’interlocutore è contento di lavorare con te, lavorerà bene e anche in futuro e il rapporto sarà proficuo per entrambi».
Così, Agostoni si mette a “costruire” rapporti di fiducia e a stabilire relazioni stabili, nell’interesse della sua azienda. «Nel 1989 sono andato nella Repubblica Dominicana che allora aveva una qualità di cacao molto bassa. Ho incontrato le cooperative locali e lavorando insieme li ho aiutati a produrre un cacao migliore. Nostro contributo è dare le competenze. In 20 anni sono arrivati a produrre uno dei migliori cacai al mondo. Poi i produttori hanno cominciato a fare biologico. Il rapporto con loro mi ha avvantaggiato, perché ero in pole position quando il mercato ha cominciato a chiedere cioccolato bio». Il vantaggio per le coop sta nel fatto che Icam garantisce l’acquisto di tutta la produzione e con il contratto firmato le banche concedono il capitale circolante.
Poi è stata la volta dell’Uganda. «Icam è arrivata in Uganda nella primavera del 2010 e, in collaborazione con la Fondazione Spe Salvi – Università Cattolica del Sacro Cuore, abbiamo fatto qualcosa di più. Lì non esistevano cooperative, non c’erano strutture centralizzate. La proprietà terriera era particolarmente frammentata. I contadini coltivavano piccoli appezzamenti e dopo aver raccolto le cabosse e aver estratto i semi procedevano alla fase di fermentazione ed essicazione nelle loro abitazioni. Noi abbiamo organizzato corsi di formazione per gli agricoltorisulle moderne tecniche agronomiche e costruito il centro per la raccolta, la fermentazione e l’essiccazione. In cinque anni abbiamo migliorato le loro condizioni di vita ed economiche, creando una materia prima di alta qualità e aumentando la redditività delle piantagioni».
I produttori ugandesi sono venuti all’Expo di Milano, mentre il 21 luglio arriveranno quelli del Perù. «In questa Paese abbiamo risanato alcune coop, garantendo acquisto della produzione. In quel Paese la produzione del cacao è utile anche per far abbandonare la produzione di coca».
Con questo approccio, la Icam ha ottenuto tre vantaggi. «Abbiamo risparmiato, eliminando un pezzo della filiera, eliminando i trader. Abbiamo ottenuto un prodotto di qualità migliore. E infine, ho la certezza della quantità. Con i trader, invece, era prevista una tolleranza di quantità e di difetti».
«Il modello di Icam è un esempio chiaro di impresa sociale: mira all’efficienza economica e, nel contempo, muta il contesto sociale in cui opera – ha dichiarato Andrea Perrone, ordinario di Diritto Commerciale all’università Cattolica -. Non è un approccio “buonista”, ma è un modello che distribuisce le risorse e, in particolare, il profitto tenendo in considerazione tutti i fattori coinvolti nell’attività produttiva, senza limitarsi alla remunerazione del capitale. Questo modo di operare crea maggiore coesione sociale e, per questa via, una maggiore efficienza produttiva».




Pirelli campione di Esg (per i tedeschi)

DEUTSCHE BOERSE ASSEGNA I RATING PER LA SOSTENIBILITÀ.
La società degli pneumatici ottiene quasi tutti i punteggi massimi. Bene anche le Generali e Terna, mentre sfigurano Exor e Parmalat. E c’è l’elenco completo di tutte le società che scambiano i titoli a Francoforte.

Pirelli è la società italiana quotata più avanti con i criteri Esg (environmental, social e governance), cioè sul fronte dell’ambiente, delle comunità e della governance. Come si fa a saperlo? Lo dice la Borsa tedesca, che assegna un rating (anzi tre) sulla base di questi criteri. E il gruppo degli pneumatici della Bicocca ottiene quasi tutti punteggi massimi: 99,6 per l’environmental, 99 per il social e 97,8 per la governance.
Deutsche Boerse assegna i rating a tutte alle società che rientrano nel paniere delle 1.800 aziende monitorate da Francoforte (sulla base delle ricerche di Sustainalytics e di Deutscher Verband der Finanzanalysten) , anche se come per Pirelli sono quotate a Piazza Affari. Tra le italiane vanno bene anche le Generali (97,3 – 77,5 – 89,4), Terna (87,3 – 100 – 99,1), mentre sfigurano Exor (3,4 – 31,3 – 7,1) e la controllata dei francesi Parmalat (6 – 22 – 1). Per vederle tutte, basta andare al link e mettere come impostare la selezione per «country».
La Sri, per i tedeschi, è una cosa seria. La sezione campeggia in homepage e la società mercato ha condotto un’indagine sulla trasparenza delle informazioni che riguardano la sostenibilità
dove si trovano gli strumenti di comunicazione per dare informazioni Esg. Perché questi tre aspetti, scrive la Borsa tedesca, «contano per una parte importante del valore delle società e giocano un ruolo sempre maggiore per i professionisti dell’investimento».




L'ETICA COME STRUMENTO DI PRESSIONE SULLE AZIENDE?

Intervista a Alessandra Viscovi, Direttore Generale del fondo di investimenti “Etica Sgr”

Direttore, Etica Sgr utilizza lo strumento dell’acquisto di azioni per “esercitare un controllo” sulle società partecipate, vigilare, esigere dei miglioramenti sotto il profilo dell’etica, e man mano “
stimolarle dall’interno” a diventare socialmente più responsabili. Una strategia che – andando al di la del primo impatto del vedere un banca etica come la Vostra compartecipare utili di società discusse sotto il profilo dell’impatto ambientale o degli standard etici – si sta rivelando invece assai intelligente e utile. Ci potrebbe il significato della parola “engagement” per Etica Sgr?

L’engagement rappresenta la forma più evoluta dell’investimento responsabile: presuppone un impegno costante e di lungo periodo da parte dell’investitore e una conoscenza approfondita della società partecipata. Il Soft engagement si sviluppa attraverso incontri periodici con le società di cui diventiamo azionisti, l’invio di comunicazioni su specifici temi o sulla politica di investimento responsabile dell’investitore e sulla condivisione di linee guida, relazioni o altro materiale di supporto. L’azionariato attivo (hard engagement) si realizza attraverso la partecipazione alle assemblee degli azionisti tramite l’esercizio del voto sui punti all’ordine del giorno, la lettura di interventi e la presentazione di mozioni finalizzate a ridurre l’impatto ambientale delle società delle quali siamo azionisti e migliorare concretamente i loro standard etici. Di fatto, è uno stimolo ad indirizzare le Società verso pratiche più attente alla sostenibilità.
Il Vostro intervento è costante od occasionale?
 
Assolutamente costante ed attento, perché ogni anno Etica Sgr partecipa alle assemblee delle aziende in cui investono i fondi del “Sistema Valori Responsabili” votando e intervenendo in modo coerente con quanto previsto nelle Linee Guida sull’Azionariato Attivo. Ma il contatto diretto con le imprese non si limita al momento assembleare: prosegue nel corso dell’anno in un’ottica relazionale di lungo periodo. Al fine di moltiplicare l’impatto positivo e condividere le migliori pratiche, molte delle iniziative di engagement sono svolte in collaborazione con network internazionali di investitori responsabili.

Qual è, a suo avviso, l’elemento cardine per costruire una finanza realmente responsabile?

 
Il dialogo con le aziende sicuramente è parte integrante del nostro approccio alla finanza responsabile: non cerchiamo lo “scontro”, vogliamo costruire relazioni, e sulla base di queste relazioni spiegare e far capire che possono esistere alti utili di esercizio anche rispettando l’etica e l’ambiente, anzi, che sul lungo periodo forse gli utili possono essere anche maggiori, se nel quadro di una gestione d’impresa socialmente responsabile. Noi crediamo che solo da una conoscenza approfondita e diretta delle aziende controllate si possa valutare efficacemente la reale sostenibilità del loro business e gli spazi di miglioramento. Siamo stati tra i primi a introdurre le pratiche dell’azionariato attivo in Italia, superando lo scetticismo iniziale della comunità finanziaria e ottenendo risultati concreti: quello che proponiamo alle imprese, come investitori responsabili, è infatti un approccio aziendale più lungimirante, che siamo convinti possa migliorare la sostenibilità economica di lungo periodo generando effetti positivi anche per tutti gli altri stakeholder



La rivoluzione digitale travolgerà le aziende farmaceutiche

Seppure in forte ritardo rispetto ad altri settori, da sempre più aperti al cambiamento, nel 2014 – finalmente – anche i dirigenti delle aziende farmaceutiche cominciano a dimostrare un deciso cambiamento del proprio sentiment nei confronti del digital. 

La rivoluzione digitale del settore farmaceutico non è una trovata del marketing, ma un processo in atto, supportato da un interessante studio: Impact of Digital Health on the Pharmaceutical Industry. Will Business Models be Reshaped by Digital Health?
La ricerca, basata sulle opinioni di oltre 50 dirigenti senior del pharma provenienti da tutto il mondo, mette in evidenza la dirompente carica di trasformazione della digitalizzazione.
Il dottor Thilo Kaltenbach, uno degli autori dello studio, ha dichiarato a eyeforpharma che: «Oggi la digitalizzazione rappresenta una nuova dinamica», mentre solo nel 2012 era ancora appannaggio esclusivo di pochi focus di alcuni product management particolarmente illuminati.
Lo studio, condotto nel 2013, ha rivelato un paradosso: l’industria farmaceutica si impegna in piani di crescita basati sull’innovazione tecnologica, ma senza considerare il digitale. Al momento del sondaggio, infatti, addirittura i due terzi delle aziende non avevano in atto alcuna strategia digitale.
Il dato più interessante è che, però, i dirigenti concordano che entro il 2020 il digitale avrà sviluppato nuovi interessanti segmenti di business nell’ambito del Pharma. Le aziende che sapranno cogliere l’occasione si ritroveranno un sensibile vantaggio nei confronti dei competitor di sempre.
Tra i vantaggi del digitale i più appetibile sono 3:
• aumentare la consapevolezza dei consumatori;
• stimolare il progresso tecnologico;
• ridurre i costi di assistenza.
In definitiva, tutti i partecipanti al sondaggio credono che il digitale rappresenterà un plus per l’intero settore sanitario. Il 27% degli intervistati ritiene che entro il 2020 l’impatto positivo sull’Healtcare sarà importante e addirittura il 73% dichiara che sarà determinante per il vantaggio competitivo delle proprie aziende.
Eppure – nel 2014 – il ritardo del Pharma appare, ancora, più ingiustificato se si pensa a quanto la tecnologia – evidente espressione della più attuale contemporaneità – sia indissolubilmente connessa al settore sanitario. Basteranno sei anni a colmare il gap? Finita la rivoluzione digitale il Gotha delle aziende farmaceutiche rimarrà inalterato?

Cosa ostacola il Multichannel
In primo luogo esistono ostacoli interni. Nella maggior parte delle aziende, infatti, i dirigenti hanno una formazione basata essenzialmente sulla vendita face-to-face, motivo per cui sono più disposti a puntare su canali tradizionale; mentre guardano ancora con sospetto il digitale, che al massimo è considerato come un sopporto alla strategia di marketing e non come uno strumento attualissimo e altamente modulabile.
Le aziende farmaceutiche, inoltre, temono che il multichannel possa farle incorrere in problemi di non conformità normativa. Per tale ragioni, quindi, diffidano di alcuni canali.
Lisa Druce, Senior Vice President di CircleScience, sostiene che: «L’ambiente esterno, ciò che appare sulla stampa, possa non essere particolarmente positivo». Tale paura, in pratica, non fa altro che incrementare la diffidenza già presente all’interno delle aziende farmaceutiche. «Penso – aggiunge la Druce – che ciò renda le aziende farmaceutiche più reticenti a intraprendere progetti multichannel su larga scala».
Infine, le metriche di misurazione del digital rappresentano un’ulteriore sfida per il multichannel.
I canali digitali non sono misurabili in termini di ROI (Return on Investment), tuttavia possono essere analizzati utilizzando molteplici parametri.
Il multichannel, in realtà, può essere misurato solo in base all’obiettivo finale del progetto. Per cui, ancora di più rispetto ai canali tradizionali, ogni campagna digitale deve essere valutata singolarmente, ma considerando che il raggiungimento di alcuni risultati sarà più evidente solo a lungo termine.

La soluzione
Per facilitare l’ingresso di modelli multichannel all’interno del settore farmaceutico, le aziende dovrebbero recrutare digital specialist, in modo da portare all’interno un know-how più attuale.
Dallo studio di eyeforpharma emerge con chiarezza che sia proprio la mancanza di personale qualificato ad ostacolare maggiormente il successo del MCM.
Solo la conoscenza delle nuove piattaforme, infatti, potrà riuscire a rimuovere i limiti tecnici e ad instaurare una nuova mentalità di squadra fondata sulla condivisione di informazioni e insegnamenti estesi a tutta l’azienda.
Prima di progettare una campagna di comunicazione, le aziende farmaceutiche dovrebbero analizzare – in primis – l’aggiornamento delle loro piattaforme tecniche e, immediatamente dopo, capire quali sono le esigenze specifiche e, soprattutto, gli obiettivi da raggiungere.
ll Multichannel Marketing rappresenta una risorsa essenziale solo se tutti i canali coinvolti sono adeguati agli obiettivi che si vogliono raggiungere. In alcuni casi, quindi, sarà funzionale modificare i secondi sulla base dei dati e di puntare sulla formazione in chiave digital di tutta la squadra.