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Csr: Mars punta sulle rinnovabili, ma non rispetta gli impegni

12 aziende hanno firmato i Renewable Energy Buyers’ Principles: Bloomberg, Facebook, General Motors, Hewlett-Packard, Intel, Johnson & Johnson, Mars, Novelis, Procter and Gamble, REI, Sprint e Walmart.
Lo scopo è quello di aprirsi nuove opportunità di collaborazione con aziende e fornitori di energia per migliorare la loro abilità nell’acquistare energia pulita nella maniera più semplice, economica e sicura. Vediamo intanto cos’è cambiato.
GRANDI AZIENDE, PROBLEMI COMUNI – Tutte insieme, le 12 aziende hanno un target di energie rinnovabili dichiarato di 8,4 MWh per anno al 2020. Ma per raggiungere il loro obiettivo hanno bisogno di un mercato pronto. Spesso i buyers di grandi dimensioni devono lavorare con fornitori di dimensioni piccole per potersi assicurare energia a basso costo, con un aumento di complessità e di costi delle transazioni.

Il WWF e il World Resources Institute hanno riconosciuto la necessità di linee guida chiare e hanno riunito le aziende leader a stilare i Buyers’ Principles. “Sono i leader del mercato nel creare domanda di energia pulita. I Principles fanno da guida ai fornitori”, ha spiegato infatti Suzanne Apple del WWF. Ma non si tratta di un gruppo d’acquisto, le aziende restano autonome, ma il panorama si spera venga semplificato.

I PRINCIPLES – I Principles tengono conto di parecchi ostacoli che le grandi aziende incontrano nell’accedere all’energia pulita o nell’installare un impianto. “Sappiamo che esiste energia a costi vantaggiosi, mail problema è che è troppo difficile per molte aziende acquistarla. In pochi hanno le conoscenze e le risorse per accedervi, considerando le opzioni presenti oggi sul mercato e la loro complessità. La speranza è che identificando punti comuni tra tutti i buyer i principi stilati possano diventare la spinta per un cambiamento positivo nel mercato, che renda alla fine le rinnovabili più accessibili ed economiche per tutte le aziende”, ha sintetizzato Amy Hargroves, Director of CRS di Sprint.
DAL DIRE AL FARE… – Ma Mars intanto ha pubblicato il suo report annuale di Csr, con risultati alquanto deludenti. Gli obiettivi erano ambiziosi: eliminare al 2040 emissioni nocive e gas serra. Ma il taglio del 25% rispetto ai valori del 2007 entro il prossimo anno sembra ancora lontano, siamo al 6%, mentre le emissioni di gas serra sono scese solo del 5%.
Ma Mars comunque sembra determinata, come dimostra l’annuncio della collaborazione con Sumitomo e BNB Renewable Energy per acquistare energia per le attività in Usa da un parco eolico in Texas di 200MW, un gigante. Nel frattempo però l’azienda si è espansa e al momento è “abbastanza efficiente dal punto di vista energetico”, il che non basta, ecco perché ora si punta sulle rinnovabili, di cui il simbolo è proprio incarnato da questa mossa che coinvolge il parco eolico in Texas.
Le sfide maggiori non sono però a livello di produzione (20% della carbon footprint). Bisogna guardare piuttosto alla supply chain, che Mars intende rendere più sostenibile. Quest’anno l’azienda si è già impegnata a raggiungere il livello “deforestazione zero” e ad imporre ai fornitori di tracciare la provenienza delle materie prime, olio di palma in testa. Nei prossimi 12 mesi, dice l’azienda, saranno annunciati altri impegni ed obiettivi, ma al momento l’immagine di tante barrette prodotte con ingredienti genuini in stabilimenti efficienti e ad impatto zero sembra ancora molto lontana.




QUANDO CON IL CLIENTE PARLA UN AUTOMA CHE IMPARA DAI PROPRI ERRORI: ARRIVA "MATRIX"?

Intervista di Luca Poma a Giuseppe Ognissanti e Marco Caporossi, di EveryMessage (1)
Può spiegarci in poche parole in cosa consiste il vostro sistema di integrazione uomo/macchina?
La soluzione EveryMessage permette di instaurare ed effettuare dialoghi in “linguaggio naturale” tra cliente e azienda, attraverso più canali di comunicazione testuali (SMS, chat, instant messaging, social networks) utilizzando un sistema in grado di “comprendere” le richieste effettuate dall’utente e fornire risposte puntuali in modo totalmente automatico, oppure con l’ausilio di un operatore umano qualora ciò fosse necessario. Ciò significa che con la nostra soluzione le aziende possono automatizzare l’accesso ai i propri clienti di svariati servizi di diversa natura (informativa e/o dispositiva) limitando l’utilizzo di costose risorse umane solo a casi o processi particolari, mantenendo una customer experience per il cliente assolutamente soddisfacente.
In cosa si differenzia dalle precedenti soluzioni tecnologiche già sul mercato?
Ad oggi sul mercato non esistono soluzioni con le medesime caratteristiche, quindi fare una esatta comparazione risulta alquanto difficile. Questo sistema, indipendentemente dai canali di comunicazione, permette al cliente di esprimere le sue necessità in linguaggio naturale senza l’obbligo di utilizzare un idioma “aziendale”, burocratico o, peggio ancora, pre-codificato, come spesso accade. La macchina “capisce” il linguaggio dell’utente, quale che sia. In secondo luogo la nostra soluzione, una volta interpretata la richiesta del cliente, procede in modo automatico a fornire una risposta puntuale o instaurare un dialogo che porti ad una soluzione alla esigenza che il cliente ha manifestato. Il coinvolgimento di una persona reale in questi dialoghi è ovviamente possibile, ma è anche possibile che l’operatore umano passi di nuovo il controllo al sistema automatico durante una conversazione. E tutto ciò è completamente parametrizzabile da parte dell’azienda, in autonomia, dopo un breve periodo di formazione. Questa è una peculiarità distintiva del prodotto, perché normalmente tutte le altre soluzioni hanno un elevato tempo di apprendimento del dominio di conoscenza, un bassissimo livello di automazione dei dialoghi e molto spesso tutto si traduce nell’inoltro della richiesta del cliente ad un operatore umano che ovviamente reintroduce i problemi di gestione tipici del canale vocale.
In quale misura il sistema può “imparare dai propri errori”?
Il sistema EveryMessage non ha niente di “magico” da questo punto di vista: abbiamo semplicemente posto particolare attenzione alle modalità di gestione di un ambiente di questo tipo. Sin da subito ci siamo posti come requisito il fatto che la nostra soluzione doveva essere capace di “adattarsi” in tempi rapidi a svariati contesti applicativi e quindi essere in grado di poter instaurare conversazioni su diversi argomenti senza la necessità ogni volta di intraprendere lunghi e costosi progetti. Abbiamo ampliato la sfida, aggiungendo il fatto che doveva essere in grado di sostenere dialoghi attraverso svariati canali di comunicazione. Per far ciò abbiamo ideato un’ambiente di gestione del sistema utilizzabile da chiunque, che in prima battuta viene usato per fornire la base di conoscenza adeguata (es: le informazioni per raggiungere l’azienda o come gestire la richiesta di una prenotazione). In secondo luogo tale ambiente permette di tracciare in tempo reale le interazioni che avvengono tra i clienti e il sistema e correggere con pochi click di mouse – in modo assistito dalla stessa soluzione – le eventuali incomprensioni o mancanze di “conoscenza”. Nella pratica, questo significa che nel giro di 3-4 settimane al massimo di un utilizzo normale la nostra soluzione arriva a comprendere e a gestire con grande precisione quasi l’80-90% delle richieste relative al suo dominio di conoscenza. E tutto ciò indipendentemente dai canali di comunicazione utilizzati per interagire con il sistema che possono anche essere più di uno in parallelo. L’unione di questi tempi medi di messa in produzione con valori di affidabilità e di ritorno sugli investimenti che si riscontrano erano semplicemente impensabili sino ad oggi.
Ha un esempio pratico e consultabile online di questa tecnologia?
Alcune delle implementazioni che abbiamo sin’ora realizzato sono accessibili solo ai clienti di certe aziende altre invece sono accessibili pubblicamente attraverso siti web in formato chat. Questo sito, per esempio, http://www.europelowcost.com/travel-cyborg/ permette di dialogare con il sistema per poter ricercare i voli più economici in tutto il mondo. Inviando invece un SMS al numero 339-9941526 è possibile instaurare un dialogo via SMS per prenotare biglietti nei cinema della catena UCI in Italia.
Che prospettive future vede per queste soluzioni avanzate?
Ormai tutti noi siamo inondati dalle informazioni e dalle comunicazioni e se si parla del rapporto azienda-cliente le evoluzioni degli ultimi 2 anni con l’avvento dei social network, di Twitter, YouTube e del mobile-computing sta imponendo alle aziende di ripensare con molta attenzione alle strategie comunicative con i propri clienti e prospect. Nei mondi che ho citato prima, la persona ha modo di “filtrare” quali e quante informazioni vuole vedere, le relazioni che vuole avere e con chi vuole dialogare. Tutto questo vuol dire che le aziende devono poter dare la possibilità ai clienti di interagire su questi nuovi canali e dall’altro che devono anche monitorare ciò che le comunità scrivono su di loro, sui prodotti e servizi. Questo vuol dire che approcci del tipo “avere un bel sito web” dove mettere tutte le informazioni aziendali o un call center come unico punto di accesso di problematiche di gestione e di servizio del cliente vacillano pesantemente sotto il peso di una innumerevole massa di clienti che possono in qualsiasi momento rendere ingestibile da un punto di vista di costo e di customer-experience la “pressione” informativa che si viene a creare verso l’azienda. E, soprattutto, possono molto velocemente diffondere in rete in modo virale commenti e giudizi negativi sull’azienda. Da qui l’esigenza di soluzioni automatiche che possano “sopportare” e gestire 24 ore su 24 con lo stesso livello di qualità queste conversazioni che non ci si può esimere da avere se si vuole avere un brand forte, un successo commerciale e una customer satisfaction elevata.
 
(1) Nota sul conflitto d’interesse: Luca Poma non ha alcun contratto di consulenza con EveryMessage, non è un azionista ne ha altri interessi finanziari con l’azienda. L’intervista è realizzata come contributo informativo indipendente per la newsletter lucapoma.info




Mikel Rueda al 30° TGLFF

“A escondidas”, è il film di Miker Rueda che ha vinto il premio “Queer” del pubblico, al 30° Torino Gay And Lesbian Film Festival. Lo abbiamo intervistato.
Ascolta l’audio:




Imprese: lo studio, comunicazione fattore sempre più strategico

La comunicazione d’impresa vede sempre più riconosciuto il proprio ruolo di disciplina del management capace di contribuire al raggiungimento degli obiettivi aziendali gestendo i rapporti con mercati e stakeholder. Può, però, fare di più rispondendo in maniera efficace alle nuove sfide come la misurazione dei risultati e la spinta alla digitalizzazione.
Questo il quadro rilevato dall’Osservatorio sulla comunicazione strategica condotto dall’università Iulm in collaborazione con la società internazionale di consulenza in relazioni pubbliche Ketchum coinvolgendo i direttori della comunicazione delle prime 300 aziende italiane per dimensioni.
Il primo dato che emerge dalla survey è che la comunicazione in Italia è sì è integrata nei processi strategici aziendali ma presenta ancora buoni margini di sviluppo. L’83% delle grandi aziende, infatti, dispone di una Direzione Comunicazione ma la presenza del chief communication officer nel comitato direttivo è ancora inferiore, con il 42%, alle medie europee che, invece, registrano ben il 76%.
I responsabili della comunicazione italiani possono poi aumentare in maniera significativa anche il contributo nell’influenzare i piani strategici dell’azienda. Se in Europa quasi l’80% dichiara che i propri suggerimenti sono presi seriamente in considerazione dal vertice aziendale, in Italia la media scende al 60%. Va però specificato che più l’azienda è innovativa, maggiore è il coinvolgimento del responsabile comunicazione nel prendere decisioni e la sua possibilità di interagire e collaborare con la direzione generale, la produzione e le risorse umane.
La comunicazione aziendale è in costante mutamento e questi sono i cambiamenti maggiori a cui dovrà rispondere nei prossimi 3 anni. Secondo la survey la comunicazione della responsabilità sociale d’impresa, la comunicazione interna e quella ambientale saranno le 3 attività più importanti sostituendo sul podio attuale la corporate communication, il marketing pr e la comunicazione di crisi.
Proprio per supportare queste attività, oltre che per presentare nuovi prodotti, organizzare eventi e tenere le relazioni con la stampa, saranno sempre più utilizzati i social media e le aziende sono pronte a scommettere soprattutto su Twitter, seguito da Facebook e YouTube.
Sempre secondo la ricerca, il tema della misurazione dei risultati è sempre più sentito dalle aziende anche se oggi 9 imprese su 10 per farlo utilizzano ancora lo strumento del monitoraggio dei media e il 40% degli intervistati valuta l’impatto della comunicazione attraverso la metodologia Ave (Advertising value equivalence) valore che misura il costo dello spazio media e che appare ormai superato.
Il nuovo trend è, invece, quello reputazione aziendale. Oltre la metà delle imprese, infatti, sta investendo, e lo farà sempre più, su questo parametro di misurazione con azioni ben precise come conferma Andrea Cornelli, amministratore delegato di Ketchum Italia e presidente Assorel, Associazione italiana agenzie di relazioni pubbliche.
“Questa esigenza è sentita -spiega- al punto di aver deciso di avviare come Assorel un tavolo di lavoro misto agenzie-aziende per arrivare nel più breve tempo possibile alla definizione di un sistema di misurazione allineato alle linee guida internazionali e customizzabile poi alle esigenze di ogni singola organizzazione”.
Nel prossimo futuro rimarrà invariato il budget destinato dalle aziende alle agenzie di comunicazione e pr coinvolte nel fornire idee creative e originali, un punto di vista strategico e strumenti per il raggiungimento di target specifici. La metà delle aziende italiane, infatti, continuerà così a utilizzare per l’outsorcing il 20% del budget dedicato alla comunicazione.
Inversione di tendenza a breve termine, invece, per gli investimenti in comunicazione. Lo scorso anno, infatti, a causa della crisi economica il budget destinato alle relazioni pubbliche era stato ridotto rispetto agli investimenti pubblicitari (74,8% contro 71,7%) ma le previsioni a 3 anni indicano un cambio di registro.
Le imprese che prevedono stabilità o aumento per le relazioni pubbliche raggiungono il 63% mentre per la pubblicità si fermano al 59%.




«Spazi vuoti, quanto valore sprecato»

In Italia esistono due milioni di “spazi vuoti” pronti per essere riutilizzati. Ma qual è il modo migliore? Esistono già diverse buone prassi da raccontare. Come mostra il libro “Riusiamo l’Italia. Da Spazi vuoti a start-up culturali e sociali”  (editore il Il Sole 24 Ore) scritto da Giovanni Campagnoli. Un “road book” per percorrere una nuova strada verso un cambiamento culturale attraverso forme innovative di impresa.

Dopo i “road movie”, che cosa significa “Road book”?
Semplicemente che si ricomincia a fare ricerca, a scoprire luoghi, a farsi domande, a procedere per ipotesi.. Un’epoca come questa mette in gioco fantasia e opportunità. Minori certezze possono essere, infatti, anche maggiori occasioni. La creatività aiuta. Questo libro ha scovato le buone pratiche di riuso degli spazi. Tema attuale, in quanto oggi l’Italia è “piena di spazi vuoti” e riuscire a riusarne anche soltanto una minima parte, affidandoli a start up culturali e sociali, può diventare una leva a basso costo per favorire l’occupazione giovanile. Oltre a essere un’azione che può contribuire, dal basso, allo sviluppo del Paese, ripartendo da quelle “vocazioni” artistiche, creative, culturali, artigianali che hanno fatto apprezzare l’Italia nel mondo e che interessano oggi ai giovani, sempre più capaci di re-interpretarle sulla base dei paradigmi contemporanei. Il libro analizza queste “buone prassi” che si stanno diffondendo nel Paese, per individuare modelli organizzativi efficaci rispetto alla capacità di creazione di valore economico, a partire dalle specifiche funzioni sociali e culturali.
Occupazione giovanile che nasce dal riusare edifici vuoti? Ma non ha un costo troppo alto la riconversione degli spazi?
L’ipotesi è quella di uscire dalle logiche delle “grandi opere” e/o delle opere pubbliche mai terminate o consegnate con anni di ritardo. Si esce quindi dallo schema tradizionale della filiera della programmazione ex lege LL.PP: progetto preliminare, definitivo, esecutivo, gara, affidamento, lavori, collaudo, ecc. (compresi eventuali suddivisioni in lotti). Per queste azioni, sono invece necessarie logiche più “smart” che riescano ad avviare le attività in tempi molto ridotti, proprio perché i lavori sono a “basso impatto”, andando a ri-usare spazi senza stravolgere il tutto, investendo molto di più sul software (arredi/attrezzature) che sull’hardware. E, tra questi scenari di “rigenerazione urbana low cost”, assume un peso crescente il tema del “riuso temporaneo”, anche rispetto alla creazione di valore patrimoniale. Con questo termine è da intendersi qualsiasi operazione di uso parziale e limitato nel tempo che produca il massimo dei risultati di utilità e funzionalità con il minimo dei costi. Ciò può essere perseguito attraverso la re-interpretazione creativa degli spazi per esempio individuando funzioni “compatibili” con lo stato dei luoghi o con semplici operazioni di pulizia, riordino e adattamento dei manufatti. L’alternativa sarebbe quella di subire passivamente l’avanzamento del degrado, che significherebbe il procedere inesorabile all’erosione di valore. Sul piatto delle bilancia vanno, quindi, messi i costi (molto più bassi) del riuso temporaneo rispetto alle perdite di valore (molto alte) dal punto di vista immobiliare, patri-moniale, socio-urbanistico.
Le ipotesi fanno leva su numeri?
Sì. In Italia oggi ci sono oltre due milioni gli spazi vuoti, di diverse tipologie, di proprietà pubblica e privata, sparsi per il territorio, di epoche che vanno dal ’700 a oggi. Si va dalle ex fabbriche e capannoni industriali dismessi, alle stazioni ferroviarie chiuse, agli ex macelli, cinema e teatri non più in uso, uffici e negozi, sino ad arrivare ai “paesi fantasma”, borghi del tutto abbandonati. L’azione di riuso (anche temporaneo) riguarda per forza solo una di parte di questi immobili (tra i 30.000 e i 50.000 all’anno) che, ai fini dell’avvio di start up giovanili in campo sociale e culturale, si ipotizza sia, nel breve periodo, dell’uno per mille. Riuscendo a selezionare le strutture più idonee al tipo di investimento, si contribuirebbe a contrastare la disoccupazione giovanile del 5-10%, ipotizzano che in ciascuno ci lavorino dai due alle sei persone, nei primi tre anni.
E che cosa si dovrebbe fare in questi spazi?
La ricerca ha fatto emergere che le vocazioni riguardano nuove funzioni d’uso legate a un abitare diverso: c’è già un’architettura del riuso in Europa, che vede addirittura moduli funzionali e in classe energetica A+, da collocare nelle strutture post industriali per farne campus studenteschi o progetti di social housing. In ogni caso, ho visto co-working, co-housing, fab lab, music club, gallerie d’arte, factory, palestre di free climbing, skate park.
E gli enti pubblici?
E’ chiaro che questi sono progetti innovativi e l’innovazione non può procedere attendendo l’unanimità dei consensi e i tempi lunghi delle istituzioni. Così, nell’attesa di una legge sul riuso temporaneo, ci sono Comuni pionieri di queste buone prassi: Milano e Bologna in primis. E poi il ministero della Difesa che concede gratuitamente ex caserme, quello delle Politiche giovanili che concede in uso beni culturali per farne start up.
Che cosa si potrebbe fare per incentivare il riuso in Italia?
Nella postfazione di Roberto Tognetti, si propone il passaggio da queste “buone prassi” a una vera e propria “policy” sul tema. Forse è il momento giusto per provarci. La tesi di fondo infatti è che il riuso (anche temporaneo) degli spazi sia vantaggioso per tutti: per i proprietari (che vedono il fine termine del ciclo di perdita di valore), per i giovani (che creano occasioni di nuova occupazione) e per il pubblico, che dà vita a percorsi di rigenerazione urbana e sociale. Come si innescano questi progetti? Le esperienze d’avanguardia dei Comuni di Milano e Bologna vedono il Pubblico che decide di mettere a disposizione i beni con un Avviso pubblico e una dotazione di capitale iniziale. Oppure il patrimonio viene messo a garanzia di un fondo per lo start up di progetti. O ancora, l’ente pubblico diventa il garante rispetto ai proprietari di operazioni temporanee di riuso.
E per stare sempre informati “sul pezzo”?
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