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Se il lusso nel XXI secolo può calpestare i diritti

Lettera aperta a Stefano Gabbana. “Voi sapete cos’è il lusso?”
In occasione della recente polemica sul mancato rispetto dei più elementari principi di responsabilità sociale d’impresa nella filiera del made in Italy del settore moda, e in particolare delle violenze a danni degli animali diventate prassi per il marchio d’alta gamma Moncler e per altre etichette di prestigio, Stefano Gabbana – stilista e co-fondatore della linea d’abbigliamento Dolce & Gabbana – s’interroga provocatoriamente sui suoi social domandando al pubblico: “Ma Voi sapete cos’è il lusso…?”.
Anche senza dover ricordare Aristotele – che nel VI libro dell’Etica Nicomachea ci ricorda che una vita dedita al guadagno e al perseguimento della ricchezza non può di per se portare alla felicità, dal momento che l’incessante perseguimento di un maggior lucro implica una classificazione del denaro come fine e non come mezzo – l’imprenditore moderno dotato di un minimo di intelligenza e lungimiranza non può puntare ad escludere l’introduzione di preoccupazioni di carattere etico nel suo business.
Situazioni come lo sfruttamento del lavoro minorile, l’aumento della povertà in molti paesi a causa delle politiche dissennate di alcune imprese transnazionali, e le crisi finanziarie recenti ancora in corso, chiamano prepotentemente in causa la capacità di ognuno di noi di “indagare qualitativamente il reale”, come Aristotele ci chiede di fare.
Il Premio Nobel Milton Friedman dichiarò negli anni ’80 che l’unica azione “socialmente responsabile” a carico di un’azienda sarebbe stata pagare le tasse. Il tempo ha mutato profondamente questo concetto, e oggi la globalizzazione ha generato nuove preoccupazioni e aspettative nei clienti, nelle comunità, nelle autorità pubbliche, come anche negli investitori: le aziende sono fortemente radicate e “connesse” con il territorio dove operano e con la società in generale, spesso molto più di quanto l’imprenditore stesso riesca a percepire. Come sia stato possibile per decenni considerare un’azienda, che è un organismo vivo, come totalmente avulsa dall’ambiente nel quale opera, resta un mistero. Questo, a imprenditori poco avveduti, può piacere o meno, ma ignorare questo fatto equivarrebbe a intestardirsi rifiutandosi di pagare gli stipendi ai dipendenti a fine mese “perché sono troppo esosi”.
Certo, prendere atto di ciò significa inevitabilmente assumersi responsabilità nuove, che in passato non erano proprie della normale vita aziendale. Ma – come sempre, da che mondo e mondo – le novità devono e possono essere “governate”, e da ciò che apparentemente appare come un nuovo problema possono nascere anche opportunità interessantissime.
Secondo un’indagine promossa dall’agenzia di PR internazionali Ketchum, che ha coinvolto 3.000 tra top manager, politici e leader d’opinione in 11 paesi, “i risultati aziendali non sono tutto”. Si sta sempre più velocemente sviluppando una sensibilità diversa verso le politiche aziendali da parte della cittadinanza, e alle aziende non viene più solo chiesto di “macinare utili” o di far bene il proprio lavoro. I vertici aziendali sono chiamati in causa su tematiche quali la riduzione della povertà, l’impegno sociale ed ambientale, la qualità della vita.
Ad esempio, il 77% degli italiani chiede alle aziende di “comunicare con maggiore trasparenza e onestà”, e di “contribuire all’incremento dell’economia locale”. La domanda di un approccio “etico” alle questioni d’impresa è quindi sempre più evidente. Le aziende oggi devono quindi decidersi a fare i conti con un mercato veramente “globale” – non solo in senso geografico, com’è noto da decenni – bensì in quanto “parte della rete neuronale” della società all’interno della quale operano. Per questo, la responsabilità sociale d’impresa ha da tempo superato l’approccio di tipo “filantropico” ed è diventata un elemento perfettamente integrato della strategia d’impresa.
Ma assolvere al proprio impegno in termini di responsabilità sociale non significa certo pubblicare un bilancio sociale, come – forse – fa anche la società di Stefano Gabbana: il tempo in cui bastava fare occasionalmente beneficenza e raccontarlo in qualche comunicato stampa, prima di un elegante rinfresco per i giornalisti, è definitivamente tramontato.
Cosa rispondere quindi alla domanda di Gabbana su “cos’è il lusso”? Nel XXI secolo, il lusso è dato dal possesso, non necessariamente dalla proprietà; è dato dal controllo del proprio tempo, e dalla possibilità di garantirsi spazi di indipendenza e di libertà; è dato dalla fortuna di poter vivere nell’agio, ma senza mancare di rispetto a chi di questo agio non può approfittare; è dato anche dalla consapevolezza serena di poter star bene – spiritualmente, ma anche materialmente, perché non vi è nulla di male in questo – senza incidere negativamente sull’equilibrio dell’ambiente che ci circonda e sulla sopravvivenza del pianeta. Il lusso non può certamente consistere nel mettere sul mercato un prodotto del valore di 30 euro rivendendolo a quasi 1000 euro, confezionandolo in un paese dove i diritti umani e sindacali non sono rispettati solo per massimizzare il proprio profitto, e ricavando piume da oche spiumate vive urlanti di dolore, ricucite senza anestesia, disinfettate con mercuriocromo solo per tenerle in vita. Questa, signor Gabbana, si chiama vergogna, stupidità e arroganza, non certo lusso. E l’imprenditore che non lo comprende è – tra l’altro – un imprenditore ben poco attento ai propri interessi.




Diventare sostenibili conviene?

Le aziende, anche le più ben intenzionate, si chiedono sovente se essere sostenibili sia per loro, oltre che un impegno etico anche un vantaggio competitivo. Si pongono, infatti, il problema di quali costi debbano affrontare per la sostenibilità, a fronte di quali vantaggi, e se il bilancio complessivo possa essere considerato per l’azienda positivo, in pareggio o almeno con un costo sopportabile.
Sviluppando il tema dell’eventuale convenienza per le imprese della sostenibilità, terrò conto degli ampi studi e delle riflessioni strutturate dal prof. Leonardo Becchetti, presidente del Comitato Scientifico di NeXt.
Nel perseguire la sostenibilità, le aziende debbono tener conto di tre aspetti, di seguito sinteticamente accennati.
La sostenibilità economica, è indispensabile per salvaguardare investimenti, innovazione e occupazione, e chiede all’impresa di essere profittevole generando un valore aggiunto complessivo, evitando però di “fare risultato” esternalizzando i costi.
Perseguire la sostenibilità sociale richiede all’azienda un impegno molto ampio ed articolato, che affronti molti temi, tra cui l’equità ed il rispetto nei comportamenti aziendali; l’empowerment dei collaboratori e dei fornitori; l’accessibilità alle informazioni per i dipendenti, i collaboratori e i clienti; il rispetto delle diversità culturali; la partecipazione e il coinvolgimento di tutti i portatori d’interesse; l’equità nella catena di fornitura; la stabilità istituzionale che consenta un dialogo costruttivo con tutti gli interlocutori.
La sostenibilità ambientale, superando la classica definizione data dal rapporto Bruntland nel 1987[1], viene sintetizzata da Gianfranco Bologna come l’imparare a vivere, in una prosperità equa e condivisa con tutti gli altri esseri umani, entro i limiti fisici e biologici dell’unico pianeta che abitiamo, la Terra[2]. Per l’impresa comporta, dunque, un impegno concreto di riduzione delle emissioni per cercare di evitare i cambiamenti climatici; il risparmio ed il riutilizzo delle risorse chiudendo il ciclo senza rifiuti; l’attenzione al proprio impatto, consapevole di utilizzare sovente un capitale naturale lentamente rigenerabile, per favorire il ripristino dei sistemi ecologici e la tutela della biodiversità. L’urgenza e la gravità degli effetti del comportamento umano su questo nostro unico pianeta impongono alle aziende una forte responsabilità.
Per ogni impresa la sostenibilità comporta impegni diversi, perché si declina specificamente secondo l’attività svolta ed i processi produttivi e le risorse utilizzate.
La sostenibilità viene spesso confusa dalle aziende con la filantropia, una via più comoda perché non comporta cambiamenti del business, che intende proseguire as usual. Per dare una risposta seria alle tre sostenibilità, all’azienda si richiede di assumersi un impegno reale e sincero di solidarietà responsabile, inserendo la sostenibilità ambientale e sociale all’interno delle strategie d’impresa attraverso la definizione di precisi obiettivi generali da perseguire con eguale impegno.
L’azienda sostenibile è peraltro innovativa, e traccia una strada che le altre aziende del settore dovranno poi seguire per non perdere quote di mercato, se saranno spinte dalla pressione dei clienti, dei cittadini e dell’azione pubblica.
Per divenire veramente sostenibile l’azienda deve realizzare un profondo cambiamento di focus: dice Becchetti[3] che, nell’azienda sostenibile, l’obiettivo della massimizzazione della ricchezza dell’azionista viene sostituito con la soddisfazione degli interessi di una più vasta platea di stakeholders, tra cui ovviamente anche gli azionisti.
Il dilemma concreto dell’imprenditore che vorrebbe essere sostenibile, perché desideroso di creare ricchezza, occupazione e innovazione senza ledere l’ambiente e pesare sul tessuto sociale, risiede nel quesito: “La mia impresa se si comporta in modo sostenibile diviene più, o invece meno, competitiva?” “Quale prezzo la mia impresa dovrà pagare e quali vantaggi avrà?” Che, nello specifico, si traduce in: “come imprenditore positivamente orientato verso la sostenibilità, tutta la sostenibilità, posso permettermi un comportamento responsabile verso l’ambiente e la società, senza mettere a rischio la sopravvivenza della mia impresa?”
Certamente la scelta della sostenibilità comporta per l’impresa aumenti di costo: la sostenibilità non è un free lunch. Gran parte delle scelte orientate alla sostenibilità comportano trasferimenti di reddito dall’azienda a diversi stakeholders come i lavoratori, i subfornitori e la comunità locale.
L’unica eccezione è che un sicuro risparmio deriva all’impresa sostenibile dai limiti al salario dei manager.
Vi è però una buona notizia: perseguire un percorso di sostenibilità implica, secondo gli studi e le analisi di diversi economisti, cinque tipologie di benefici potenziali, che sta all’impresa comprendere adeguatamente, valutare e saper cogliere.
La prima tipologia di benefici ha a che fare con un significativo effetto dell’impegno aziendale per la sostenibilità sulla produttività. La letteratura dell’efficiency wage[4]; ha riscontrato una relazione positiva tra i benefici non solo monetari e la produttività dei lavoratori, capovolgendo a volte il nesso tra salario e produttività. Fin dagli studi di Elton Mayo, è emerso che l’attenzione alle condizioni di lavoro e il coinvolgimento e la responsabilizzazione delle persone, hanno generato una sorprendente crescita di produttività.
Gli studi sulle motivazioni intrinseche di Deci e Ryan[5], mostrano come i fattori che incidono sulla job satisfaction e quindi sulla produttività, sono sostanzialmente tre: la soddisfazione per l’importanza degli obiettivi della propria attività, la consapevolezza dei risultati effettivamente conseguiti e la qualità delle relazioni in azienda, ossia del clima nell’ambiente di lavoro.
Emerge quindi l’importanza dei “meccanismi asimmetrici di scambio di doni”[6]; una politica aziendale che aumenti l’adesione dei lavoratori agli obiettivi aziendali, può motivare il loro impegno produttivo rendendolo più efficace, e nello stesso tempo dare alla persona soddisfazione sul lavoro, il che è molto importante, considerata l’entità del tempo di vita impegnato sul lavoro.
Ed infatti Edmans documenta che negli Stati Uniti le imprese eccellenti in termini di soddisfazione dei lavoratori mostrano costantemente, dal 1984 al 2005, rispetto ai concorrenti, un rendimento anormale al netto della correzione dei fattori di rischio standard, superiore al 4%[7].
Dunque i maggiori costi potrebbero avere a fronte significativi vantaggi competitivi per l’azienda.
La seconda tipologia di benefici di una politica responsabile dell’impresa verso l’ambiente e la socialità risiede nel sostegno dei consumatori responsabili.
In Italia il 40% della popolazione ha acquistato un prodotto equo solidale almeno una volta all’anno, e il 20% lo acquista frequentemente (Demos & Pi / Coop, 2004). Inoltre in Italia il 30% dei cittadini è disposto a pagare qualcosa di più per le caratteristiche sociali e ambientali di un prodotto (IREF). Ma quasi tutti, ossia il 90% dei cittadini, ritengono che le imprese debbano farsi carico della responsabilità sociale e ambientale delle proprie scelte. E questa opinione si tradurrà probabilmente, nel caso di latitanza del sistema produttivo, in ulteriori vincoli nel prossimo futuro.
In UK (Bird and Hughes, 1997) il 23% è di consumatori etici e il 56% di semi etici. Il 18% è disposto a pagare di più per le caratteristiche sostenibili di un prodotto.
La disponibilità complessiva a preferire prodotti di aziende sostenibili varia dal 40 % (se la differenza prezzo è del 10%) a 70% (senza differenziale prezzo).
Questo potenziale beneficio consente all’azienda di costruire segmenti dedicati per i prodotti sostenibili, con barriere verso i concorrenti e dunque di perseguire una strategia di differenziazione fondata sul riconoscimento del valore ambientale e sociale dell’acquisto. Solitamente questi nuovi segmenti sono costituiti da consumatori più sensibili, più affluenti, ma soprattutto in costante crescita anche in questi anni di crisi economica, che vengono sottratti al più grande mercato.
La terza tipologia di benefici per un’azienda sostenibile consiste nella riduzione dei conflitti.
Infatti, la percezione da parte degli interlocutori di trovarsi di fronte un’azienda disposa ad un dialogo serio, aiuta a minimizzare i conflitti (o a ottimizzare le sinergie) con gli stakeholders, siano essi consumatori, comunità locale o subfornitori[8].
Ogni anno le imprese americane quotate in borsa spendono complessivamente molti milioni di dollari per controversie legali con gli stakeholders. Per questo motivo, l’etica risk è uno dei filoni approfonditi nei corsi di risk management delle principali imprese multinazionali, e sempre più cresce la consapevolezza che un dialogo autentico, sostenuto da comportamenti coerenti, sia premiante per la stabilità e lo sviluppo a lungo termine dell’impresa.
La riduzione del rischio rende l’azienda complessivamente più solida sul lungo termine e meno soggetta ad eventi imprevisti, e costituisce dunque un’indubbia garanzia per gli azionisti “cassettisti” sulla tutela del loro investimento. La conseguenza è che tali aziende possono contare generalmente, a parità di condizioni, di un migliore accesso al capitale.
La quarta tipologia di benefici potenziali per l’impresa consiste nel miglioramento della reputazione dell’azienda.
La scelta di sostenibilità sociale e ambientale è, infatti, un segnale importante agli stakeholder sulla reputazione dell’impresa e sulla qualità sociale ed ambientale dei suoi prodotti, in un contesto di informazione asimmetrica in cui i cittadini consumatori e risparmiatori sanno poco sulle caratteristiche dei prodotti, sui processi produttivi dell’azienda, sulle materie prime utilizzate, sul clima aziendale e sull’impatto sociale e sul territorio.
Su un campione di 184 eventi, i product recall generano rendimenti anormali meno negativi (+3%) per imprese con social rating più elevato (Minor, 2009). Un esempio del valore della reputazione in un momento di grave difficoltà aziendale lo troviamo nella gestione del richiamo, da parte della Toyota, di milioni di vetture per un malfunzionamento del sistema frenante, senza danni permanenti di mercato ma, anzi, con il rafforzamento dell’immagine dell’azienda come attenta alla sicurezza dei suoi clienti. Ad un’azienda sostenibile e seriamente impegnata un errore si perdona.
Becchetti e Ciciretti hanno dimostrano, su un campione di 2.603 imprese quotate, che un punto in più del KLD (rating sulla sostenibilità sociale d’impresa) corrisponde a rendimenti anormali positivi e significativi[9].
Del resto “Senza fiducia l’individuo non potrebbe neanche alzarsi dal letto ogni mattina. Verrebbe assalito da una paura indeterminata e da un panico paralizzante” [10]; ed infatti “abitiamo in un clima di fiducia come abitiamo un’atmosfera e ci rendiamo conto della fiducia così come ci rendiamo conto dell’aria che respiriamo, soltanto quando è scarsa o inquinata”[11].
In conclusione, in un mondo di asimmetrie informative, contratti incompleti e comunque mai del tutto esaurienti, lentezza della giustizia civile, la fiducia è il vero conduttore delle relazioni economiche ed un importantissimo strumento di lavoro dell’imprenditore e del manager.
Del resto pensiamo a quanta fiducia riponiamo nella nostra banca che, in qualche modo, ci ha convinto e ci continua a convincere ad affidargli i nostri soldi. Il capitale sociale, fatto di credibilità e di fiducia, è il fondamento invisibile dell’economia.
La quinta tipologia di benefici per l’azienda consiste nello stimolo all’innovazione e alla proattività.
Ricercando la sostenibilità ambientale e sociale, le aziende testano e sperimentano nuovi percorsi che possono portare ad una leadership tecnologica e di innovazione nel settore (es. soluzioni per l’efficienza energetica, veicoli ibridi della Toyota, nuovi processori di STMicroelectronics, clima organizzativo della Olivetti di Adriano).
Inoltre la sostenibilità anticipa la prossima e sicura maggiore severità della regolamentazione ambientale e sociale; le imprese che volontariamente riducono il loro impatto ambientale e sono più attente alla dimensione sociale, si trovano molto avvantaggiate quando i nuovi vincoli di contesto impattano sul settore, perché loro operano già, per scelta, oltre tali nuovi vincoli .
Perseguire un percorso di sostenibilità anticipa e contribuisce anche la crescita di sensibilità dei consumatori (incrementando le barriere che difendono le strategie aziendali di differenziazione), e previene la pressione da parte di un mercato sempre più attento ed esigente; fidelizza inoltre i clienti mostrando loro come l’azienda sia da una parte innovativa e dall’altra attenta alle loro sensibilità.
Una riflessione attenta su questi cinque potenziali benefici, potrebbero convincere il nostro imprenditore che un percorso di sostenibilità va considerato e perseguito con impegno.
Ma come effettuare una valutazione complessiva tra costi indubbi e vantaggi, anche questi ormai evidenti, per un impresa che li sappia cogliere?
I risultati empirici più recenti mostrano come percorsi di sostenibilità generino nelle imprese un trasferimento di valore dagli azionisti agli stakeholders: la produttività delle imprese sostenibili (al netto di tutti i fattori concomitanti, del ciclo economico, delle caratteristiche delle imprese), secondo molte ricerche, è maggiore, ma il loro ROE (redditività del capitale) è più basso[12].
Dalle ricerche empiriche risulta, peraltro, che le imprese poco attente alla sostenibilità sociale e ambientale, rischiano di più e operano in un clima più conflittuale, con maggiori problemi con gli stakeholders.
Le imprese responsabili, spesso, mostrano risultati positivi su capacità competitiva, fatturato e valore aggiunto per addetto, ma non sulla ricchezza degli azionisti. Questi, peraltro, salvaguardano di più il proprio capitale, perché l’impresa, pur non più redditizia, è più competitiva e con minori rischi strategici e dunque più solida sul lungo termine. Barattano dunque futuro dell’azienda (e non dimentichiamo della nostra società) contro redditività a breve termine.
Il rapporto tra costi della sostenibilità e performance delle aziende responsabili non è necessariamente né positivo né negativo, e questa è già una buona notizia.
La conclusione – per un attore sociale come NeXt Nuova economia per tutti che vuole promuovere un’accelerazione della crescita di responsabilità sociale ed ambientale nel sistema produttivo – è che bisogna far crescere la sensibilità dei cittadini ed in loro la consapevolezza che con i loro acquisiti orientano e possono contribuire a modificare profondamente le strategie dell’impresa, informandoli e offrendo loro strumenti di scambio di opinioni e di pressione dal basso sulle aziende. Infatti, i cittadini possono contribuire ad accelerare la transizione, generando, con il loro comportamento quotidiano, la convenienze di un comportamento responsabile delle imprese, utilizzando l’arma potente di spostare quote di mercato verso le imprese sostenibili.
D’altra parte, occorre offrire spazi indipendenti e credibili per valorizzare le imprese che perseguono seriamente un percorso di sostenibilità. Inoltre, occorre accompagnare le imprese che lo vogliono nel ripensamento dei propri obiettivi con l’inserimento di obiettivi di sostenibilità sociale e ambientale all’interno della loro strategia.
La sostenibilità non è mai acquisita, non è un traguardo che si raggiunge una volta per sempre, ma è un percorso e una attenzione permanente ad un miglioramento continuo, che richiede impegno ed un atteggiamento onesto e coerente, aperto al confronto e al dialogo con gli stakeholders. E’ difficile una vera sostenibilità senza uno spirito ed un atteggiamento profondo, ossia senza valori che pongano l’uomo e l’ambiente al centro della vita e dell’attività produttiva.
 


Bibliografia

Akerlof G., Efficiency Wage Models of the Labor Market, Cambridge University Press,1986.
Baier A., Postures of the Mind: Essays on Mind and Morals, Minnesota archive editions, Minnesota 1986.
Becchetti L., Il mercato siamo noi, Mondadori Bruno, Roma 2012.
Becchetti L. Ciciretti, R., Corporate Social Responsibility And Stock Market Performance, CEIS-SSRN Working Paper. 79, 2006.
Becchetti L., Di Giacomo S., Short term value strategies: a comparative analysis in the US and EU markets, Research in Banking and Finance, 2005.
Bologna G., Sostenibilità in pillole. Per imparare a vivere su un solo pianeta, Edizioni Ambiente, Roma 2013.
Deci E. L., Ryan R. M., Intrinsic Motivation and Self – determination in Human Behavior, Plenum Press, New York 1985.
Edmans A., Does the Stock Market Fully Value Intangibles? Employee Satisfaction and
Equity Prices, Wharton School, University of Pennsylvania working paper, 2008.
Freeman E., Alexander M., Stakeholder management and CSR: questions and answers. In: UmweltWirtschaftsForum, Springer Verlag, Bd. 21, Nr. 1, 2013.
Luhmann N., La fiducia, Il Mulino, Bologna 2002.
Shapiro, C., Stiglitz, J., Equilibrium unemployment as a worker discipline device, American Economic Review, 1984.
 


[1]Lo sviluppo sostenibile è uno sviluppo in grado di garantire il soddisfacimento dei bisogni attuali senza compromettere la possibilità delle generazioni future di far fronte ai loro bisogni” Commissione Brundtland, 1987.
[2] Bologna G., Sostenibilità in pillole. Per imparare a vivere su un solo pianeta, Edizioni Ambiente, Roma 2013.
[3] Becchetti L., Il mercato siamo noi, Mondadori Bruno, Roma 2012.
[4] Shapiro, C., Stiglitz, J., Equilibrium unemployment as a worker discipline device, American Economic Review, 1984.
[5] Deci E. L., Ryan R. M., Intrinsic Motivation and Self – determination in Human Behavior, Plenum Press, New York 1985.
[6] Akerlof G., Efficiency Wage Models of the Labor Market, Cambridge University Press,1986.
[7] Edmans A., Does the Stock Market Fully Value Intangibles? Employee Satisfaction and Equity Prices, Wharton School, University of Pennsylvania working paper, 2008.
[8] Freeman E., Alexander M., Stakeholder management and CSR: questions and answers. In: UmweltWirtschaftsForum, Springer Verlag, Bd. 21, Nr. 1, 2013.
[9] Becchetti L. Ciciretti, R., Corporate Social Responsibility And Stock Market Performance, CEIS-SSRN Working Paper. 79, 2006.
[10] Luhmann N., La fiducia, Il Mulino, Bologna 2002.
[11] Baier A., Postures of the Mind: Essays on Mind and Morals, Minnesota archive editions, Minnesota 1986.
[12] Becchetti L., Di Giacomo S., Short term value strategies: a comparative analysis in the US and EU markets, Research in Banking and Finance, 2005.

 




Manifesto per una Nuova economia per tutti

L’alleanza dei consum-attori per una Nuova economia per tutti ha l’obiettivo di aiutare società civile, attori economici e istituzioni a gettare le basi per un cambiamento negli obiettivi dell’attuale economia, per creare le condizioni per un benessere economicamente, socialmente ed ecologicamente sostenibile, poiché siamo ben lungi dal soddisfare i nostri bisogni primari e ben lontani da una “felicità sostenibile”.
Occorre quindi ripensare il nostro sistema economico arricchendolo degli ingredienti necessari a rispondere ai bisogni di tutti e far fiorire le nostre esistenze, valorizzando la dimensione etica e sociale del nostro agire affinché si possano conciliare interesse personale e benessere altrui.
Fattori chiave di questo processo sono corresponsabilità, giustizia sociale, solidarietà, gratuità, fiducia, condivisione e realizzazione personale.
Nell’attuale contesto economico, caratterizzato da una capacità produttiva che consentirebbe in caso di equa distribuzione delle risorse di far vivere degnamente un ampio numero di persone, emergono alcune grandi questioni la cui soluzione richiede strategie congiunte:
1)      la presenza di centinaia di milioni di persone che soffrono la fame e di miliardi di individui che vivono sotto la soglia di povertà;
2)      il deterioramento ambientale e un dissennato utilizzo dei beni comuni (acqua, aria, territorio, biodiversità, …) che, se nel futuro prossimo sembra minacciare l’umanità tutta e l’intero pianeta, oggi danneggiano in misura maggiore le popolazioni più povere;
3)      la diffusione tra la popolazione dei paesi più ricchi del dramma della “povertà di senso” e della difficoltà di dare un significato alla propria vita, segnalato dalle dinamiche degli indicatori di vita sociale e relazionale e dal consumo crescente di farmaci antidepressivi;
4)      la propagazione di un clima di lavoro e di comportamenti di mercato a competitività esasperata, che tendono a trasformare ogni attività in pratiche di mercato scorrette ed azioni di green washing, piuttosto che strategie e comportamenti responsabili verso l’ambiente ed il sociale.
Nel mondo contemporaneo l’azione della rappresentanza politica nazionale e dei movimenti sindacali, tradizionali difensori delle istanze della società civile, è stata progressivamente indebolita dalla concorrenza tra territori e dai processi di delocalizzazione, rendendo auspicabile e necessario un salto di qualità nella partecipazione dei cittadini e facendo emergere un nuovo spazio per una forza finora poco visibile: quella dei consumatori e dei risparmiatori socialmente responsabili.
Poiché il successo degli attori di mercato dipende dalle scelte dei singoli consumatori e risparmiatori, occorre rendere questi ultimi consapevoli di disporre di una formidabile e potente forma di partecipazione e di indirizzo alla vita economica. Attraverso i propri acquisti e risparmi i cittadini possono orientare e vagliare scelte produttive, compiendo, di fatto, un atto lungimirante di razionalità. Quando nelle scelte di consumo e risparmio si valutano non solo la qualità e il prezzo dei prodotti, ma anche il valore sociale in essi contenuto e l’impatto ambientale dell’impresa che li produce, si tutela il proprio interesse nel medio e lungo periodo.
La consapevolezza dei cittadini globali nei confronti dell’importanza e delle potenzialità del ‘votare’ politiche commerciali scegliendone i prodotti è cresciuta notevolmente nel corso degli ultimi anni.
Imprese pioniere virtuose si sono progressivamente affermate grazie alla disponibilità dei consumatori e dei risparmiatori a pagare per i valori sociali ed ambientali incorporati nei prodotti; altre imprese, cogliendone l’importanza anche strategica, tendono oggi sempre di più a promuovere e a pubblicizzare il loro impegno sui temi del sociale e dell’ambiente. Ma l’asimmetria informativa non consente sovente di distinguere chi vuole solo apparire sostenibile da chi effettivamente lo è.
Le organizzazioni internazionali incentivano questi processi aiutando i produttori a creare valore, mentre università e gruppi di ricerca analizzano i fenomeni in atto, interpretando i cambiamenti e fornendo competenze per gestirli.
Questo processo virtuoso di sensibilizzazione e azione si scontra ancora con due grandi ostacoli:
I)                   Il singolo consumatore responsabile, pur cosciente del valore del suo atto, rischia di essere scoraggiato e di non percepire le potenzialità di cambiamento globale se non è consapevole che la sua scelta è interconnessa con quella di altri attori.
II)                Molti cittadini desiderosi di consumare e vivere responsabilmente sono ostacolati dell’asimmetria informativa. Il valore sociale ed ambientale di un prodotto non è caratteristica direttamente verificabile nell’atto dell’acquisto o della scelta di risparmio. Ciò rende evidente il bisogno di enti terzi reputati che possano effettuare valutazioni indipendenti e di organizzazioni che veicolino e pubblicizzino informazioni e giudizi di rating.
Per rispondere a tali esigenze di coordinamento e informazione e sprigionare l’energia necessaria allo sviluppo di una nuova economia per tutti, appaiono oggi maturi i tempi per promuovere una grande alleanza organizzata dei consumatori e dei risparmiatori responsabili, i consum-attori. I candidati naturali a formarla sono quelle organizzazioni dei lavoratori e quelle reti della società civile da sempre impegnate nel promuovere i valori della sostenibilità. Importante è anche il ruolo di quei luoghi di formazione e gruppi di ricerca che forniscono gli strumenti per capire e veicolare i cambiamenti in atto. Ad essi si aggiungono naturalmente tutti i cittadini sensibili, gli imprenditori e le associazioni imprenditoriali lungimiranti.
La società civile ha dunque un ruolo perché portatrice di bisogni, di conoscenze e di esperienze che se messe a fattore comune permettono, insieme alle organizzazioni dei consumatori sensibili, una mobilitazione di un gran numero di cittadini desiderosi di giustizia e di futuro.
Il nostro impegno farà riferimento alle politiche, alle elaborazioni culturali ed ai documenti elaborati dall’Unione Europea.
Per conseguire efficacemente gli obiettivi del presente documento molte associazioni e soggetti della società civile hanno creato una Associazione di promozione sociale denominata NeXt Nuova economia per tutti, per svolgere un ruolo di soggetto promotore e di integrazione delle diverse competenze dei partner in tema di ricerca, valutazione ambientale e sociale, divulgazione e mobilitazione dei cittadini, operando per:
a)      promuovere e diffondere nel tessuto economico una nuova logica/cultura della sostenibilità;
b)      favorire l’adozione di strategie di sostenibilità socio-ambientale da parte delle aziende;
c)      valorizzare il comportamento delle imprese che intraprendono un percorso coerente verso la sostenibilità sociale ed ambientale;
d)     sensibilizzare, attivare e sostenere i cittadini verso il consumo e il risparmio responsabile sulla base dei flussi informativi disponibili in relazione alla sostenibilità aziendale;
e)      creare un accesso agevole, rapido e facilmente comprensibile alle informazioni sulla sostenibilità;
f)       sviluppare campagne mirate, momenti di elaborazione e di mobilitazione dei cittadini.
 




Pavan Sukhdev, Banchiere Buono

Ha preso un’aspettativa dal suo lavoro di manager alla Deutsche Bank in India per dedicarsi a una missione ambizione: salvare il mondo cambiando i bilanci contabili delle aziende
Prendiamo questo piccolo registratore argentato. Dovremmo sapere cosa c’è al suo interno per capire perchè il cambiamento climatico ci sta sfuggendo di mano. In una calda giornata piovosa Pavan Suidulev è seduto in un’anonima saletta di Bloomsbury, a Londra. Tiene il mio registratore a cassette tra le mani come se fosse la mela di Adamo ed Eva nel paradiso terrestre. L’ex banchiere spiega che questo apparecchio è come quasi tutti gli altri prodotti tecnologici: da nessuna parte c’è scritto quali sono stati i costi della sua fabbricazione. Chi lo compra non può sapete se la sua produzione ha causato danni all’ambiente attraverso lo sfruttamento delle materie prime, del suolo o delle risorse idriche, se ha causato l’emissione di gas serra, nè quali saranno le conseguenze del suo smaltimento. Il valore della natura non compare nei bilanci delle aziende. Secondo Suk Istlev non si può andare avanti cosi. Un altro aspetto problematico del mio registratore, osserva Sukhdev girandolo in modo che lo sportello per le cassette sia rivolto verso di me, è che deve essere eliminato e sostituito poco dopo essere stato lanciato sul mercato, nonostante continui a funzionare perfettamente. Il mio registratore funziona con le cassette, che ormai quasi nessuno produce più. Quando si acquista un oggetto non si può sapere quanto durerà. Le aziende hanno successo se gli apparecchi che producono diventano presto inutili: devono sembrare subito obsoleti, in modo che si passa cominciare a produrne e a venderne di nuovi. “Io continuo a usare il mio vecchio Blackberry come segno della mia libertà di consumatore. Non voglio essere costretto ad acquistarne uno nuovo solo perchè a quello vecchio manca qualcosa”. ll nostro sistema economico non deve semplicemente cambiare, dice Sukhdev. Deve anche farlo in fretta: entro il 2020. fino ad allora l’Europa ha intenzione di migliorare la sua efficienza energetica, aumentare la quota di fonti di energia rinnovabili del 20 percento e ridurre le emissioni di anidride carbonica di un altro 20 per cento. La proposta dell’ex manager è quella di incorporare l’idea di bene comune nei bilanci aziendali. La società, su cui fino a oggi sono stati scaricati i costi di produzione, dovrà essere sempre al corrente di quello che le imprese distruggono nel corso della loro crescita. Sukhdev parla a raffica e con precisione ed è difficile prendere appunti a mano. Devo usare il mio vecchio registratore. In questo momento Pavan Sukhdev ricopre, agli occhi di molti, il ruolo assunto quattro anni fa da Nicholas Stern, l’ex funzionario della Banca mondiale che in un rapporto per il governo britannico ha definito il cambiamento climatico un fallimento catastrofico del mercato. Sukhdev è deciso a non perdere tempo, ma la sua non è una posa ,è una convinzione profonda. Ha fretta, è vero, ma senza cedere alla frenesia o a un eccesso di moralismo. L’impeto della indignazione è dovuto al fatto che quasi tutte le imprese continuano a inseguire il profitto come se vivessimo ancora nel1920, cioè attraverso intense attività di lobby, vaste campagne pubblicitarie e l’impiego aggressivo di capitali esteri. Sukhdev cita The corporation, il libro di Joel Bakan. Le aziende hanno perso la bussola morale e inseguono senza sosta il potere e i profitti, scaricando sulla società tutte le conseguenze delle loro azioni. Per cominciare a gesti re l’economia in modo da non sperperare le risorse naturali mancano gli stima i. Ma ora bisogna crearli: una priorità assoluta”.
Ottimista ostinato
Sukhdev si è preso un periodo di aspettativa dal suo lavoro ai vertici della sede indiana della Deutsche Bank e dal 2008 ha assunto la direzione del progetto di ricerca The economics of ecosystems and biodiversity (Teeb), su incarico della Commissione europea e del la Germania e, in un secondo momento, delle Nazioni Unite. L’obiettivo del progetto è calcolare il valore delle risorse naturali. Fino a marzo del 2ott Sukhdev ha diretto la Green economy initiative dell’Onu, ha fondato l’impresa Gist, che offre consulenze su temi ambientali ai governi e alla Commissione europea, e ha accettato una borsa dell’università di Yale per scrivere Corporation 2020, un libro sulla necessaria rivoluzione culturale nella contabilità aziendale. Il Programma di Sukhdev è questo: se il nemico numero uno è il “business as usual”, allora le principali alleate nella sua battaglia devono essere le nuove aziende, sopratutto quelle che praticano una forma di responsabilità ambientale. Jochen  Zeitz,  l’ex presidente del consiglio d’amministrazione della Puma, è un buon esempio:è stato il primo dirigente a calcolare i costi ambientali della produzione a livello globale e li ha messi a disposizione dell’opinione pubblica. L’azienda brasiliana Natura, che produce cosmetici, e l’ indiana Infosys sono altri casi esemplari citati da Sukhdev, il quale è convinto che sia in atto un cambiamento di valori nelle aziende. Un mondo diverso è possibile, osserva Sukhdev, perchè alcuni protagonisti hanno capito che l’economia non può continuare a crescere in questo modo. Secondo lui il punto centrale non è la contrapposizione tra crescita e post-crescita. Sukhdev si spazientisce solo a sentirne parlare. I poveri di tutto il mondo non possono contare neanche su un sistema previdenziale di base. Le due cose devono andare di pari passo: “Bisogna creare condizioni generali che permettano la diffusione di una cultura imprenditoriale capace di aumentare sia il benessere dell’umanità sia l’equità sociale, allo stesso tempo riducendo i rischi ambientali”. Alcuni potrebbero infastidirsi di fronte all’ennesimo economista secondo cui le aziende risolveranno il problema spontaneamente. Sono amiche sentiamo parlare di questi obiettivi e di queste aspirazioni ma non è cambiato niente nei consumi energetici mondiali. E infatti anche Sukhdev è d’accordo sul fatto che non basta puntare sulla volontà delle aziende. Le sovvenzioni controproducenti vanno abolite, la proprietà pubblica dei beni comuni non deve essere più considerata un fallimento del mercato e gli investirne n ti statali devono concentrarsi su infrastrutture ecologicamente sostenibili. Le risorse devono essere tassate alla fonte, non al momento dell’utilizzo. In un primo momento la perdita di posti di lavoro sarà inevitabile, ma il  programma di Sukhdev prevede un’inversione di tendenza nel medio periodo. Ma chi detiene davvero il potere? Di fronte a questa domanda l’ex dirigente si anima. Spiega che ha lavorato nel mondo delle ong e che non è entrato in po litica a causa della corruzione. Invece è convinto che la sua attuale posizione gli permetterà di ottenere dei risultati. Nella cassetta degli attrezzi che usa per esercitare pressioni politiche, Pavan  Sukhdev ha trovato anche uno strumento nuovo in cui confida molto: la contabilità internazionale. Il suo compito è creare delle alleanze con organismi come l’International accounting standards board. Inoltre, entrerà anche a far parte del comitato di gestione della Global reporting initiative. Esiste già una vasta gamma di metodi di valutazione contabile,dice Sukhdev, adesso bisogna consolidarli, trasformarli in standard internazionali. Quindi i bilanci contabili salveranno il mondo? “Si, è quello che spero”. Sukhdev  è convinto che le parole di una persona con venticinque anni di esperienza nella gestione degli istituti bancari non possono cade re nel vuoto. “Chi si presenta con il biglietto da visita di un banchiere riconosciuto è ascoltato dai potenti di tutto il mondo”. Sukhdev è cresciuto in India, in un ambiente dove poteva scegliere quattro strade per la sua cartiera: l’avvocatura, la medicina, il settore bancario e l’ingegneria. Di sicuro il finto di nascere in una famiglia ricca non ha guastato, aggiunge guardando dritto davanti a se. Mi spiega che da quando si è separato dalla moglie e da quando le figlie si sono trasferite a New York, lui vive con i suoi parenti in India. Sukhdev racconta di suo padre, un agente d i polizia, che ripeteva spesso che fare bene il proprio mestiere è già un riconoscimento sufficiente. Sukhdev fa una breve pausa. “Mi sarebbe piaciuto anche diventare guardia forestale. Ma chi presta ascolto a un guardaboschi?”.
 




Environmental Indicator Report 2013: consumiamo ancora troppo e male

Il tifone nelle Filippine e l’alluvione in Sardegna. Se due indizi fanno una prova allora abbiamo risolto il caso. I cambiamenti climatici, e l’avido sfruttamento del territorio e delle risorse naturali stanno distruggendo il pianeta e chiedono in cambio un prezzo davvero troppo alto: la perdita di vite umane. Dopo avvenimenti di questo genere portare ulteriori evidenze scientifiche a quanto detto sembra quasi superfluo, tuttavia, le cifre esistono e forse sono troppo spesso ignorate.
In una sorta di macabra coincidenza, l’ultimo rapporto dell’Agenzia Europea per l’Ambiente (EEA) pone proprio l’attenzione sull’eccessivo sfruttamento delle risorse naturali, che va contro il benessere dei cittadini.L’Environmental Indicator Report 2013, appena pubblicato, mette in guardia circa l’insostenibilità dei consumi sul territorio del Vecchio Continente. Una tendenza ancora più pericolosa se guardata nel più ampio contesto di una crescente domanda di risorse a livello globale. Le pressioni ambientali associate ai nostri stili di vita sembrano essere in diminuzione, almeno entro i confini dell’Europa, tuttavia, consumiamo troppa acqua, terra, foreste e cibo. Per non parlare dell’impatto che l’energia e le costruzioni esercitano sull’ambiente e quindi sulla salute dei cittadini, minacciando soprattutto le fasce più deboli della popolazione. Il soddisfacimento dei nostri bisogni dipende troppo dallo sfruttamento del territorio. Un modello del tutto insostenibile sul lungo periodo. Ecco alcuni numeri.
Per quel che riguarda l’acqua, nonostante in Europa l’efficienza nell’uso e nella gestione di questa preziosa risorsa sia aumentata, restano Paesi come Italia, Malta, Cipro, Belgio e Spagna, in cui lo stress idrico è notevole. Altro problema sottolineato dai ricercatori è l’emergere di sostanze contaminanti, una grave minaccia per il benessere della popolazione. Si tratta principalmente di componenti chimiche presenti nei prodotti farmaceutici e cosmetici la cui pericolosità solo ora inizia a diventare evidente. Nonostante, poi, la riduzione di alcuni inquinanti, meno della metà delle acque superficiali in Europa registrano un buono stato ecologico.
Dal punti di vista dell’approvvigionamento delle risorse alimentari, i terreni agricoli sono diminuiti del 13% negli ultimi 50 anni. Ma nello stesso arco di tempo – udite, udite – la loro produttività è aumentata al 259%. Anche se questa produzione intensiva consente all’UE di essere in gran parte autosufficiente per le materie prime ed i prodotti principali come carne, latticini, cereali e bevande, gli effetti sono devastanti (ci permettiamo di ricordarlo ad Antonio Pascale, autore del libello “Pane e pace“). Perché questo risultato non è dovuto esclusivamente al potere della razionalizzazione dei metodi di produzione, ma anche all’uso di pesticidi e fertilizzanti chimici. Che con un effetto a catena distruttivo hanno prodotto problemi ambientali persistenti, dall’eccesso di fosforo e azoto nelle acque (eutrofizzazione), all’aumento delle emissioni di gas a effetto serra.
Sul fronte energetico, i consumi non sono calati. Negli ultimi venti anni sono rimasti stabili a fronte di una produzione economica aumentata, nello stesso periodo, del 50%. Tuttavia, in questo campo, non è tanto importante sottolineare quanto consumiamo, ma grazie a cosa produciamo energia. E qui arriva la nota dolente. Sono, infatti, i combustibili fossili a farla ancora da padrone, con notevoli differenze tra i paesi dell’Unione. Un esempio su tutti: rappresentano il 96% dei consumi energetici nazionali a Cipro ma solo il 37% in Svezia. L’inquinamento atmosferico e il cambiamento climatico associato all’uso di combustibili fossili significa che essi sono la fonte energetica con il più alto impatto indiretto sul benessere della popolazione. Inoltre, la percentuale di biomassa bruciata per il riscaldamento domestico è aumentata del 56% tra il 1990 e il 2011, sollevando serie preoccupazioni per la salute. La mancanza di filtri nei bruciatori domestici significa che le famiglie sono ormai la principale fonte di emissioni di particolato nell’UE.
Infine, il rapporto si concentra sulle aree residenziali che, tra il 1990 e il 2006, in Europa sono aumentate quattro volte più velocemente rispetto alla crescita della popolazione, contribuendo alla frammentazione degli habitat naturali. L’efficienza delle abitazioni è in calo, ma allo stesso tempo, la relazione evidenzia gravi carenze negli sforzi europei per soddisfare le esigenze di risorse. Basti pensare che il 14% della popolazione europea non può permettersi di scaldare la propria casa, una quota che in alcuni paesi arriva a toccare il 40% dei cittadini.
Per ridurre le pressioni esercitate dall’uso delle risorse in Europa, la risposta dell’Agenzia è quasi univoca:predisporre una migliore pianificazione territoriale integrando diverse politiche. A fare la differenza è come un Paese decide di gestire il proprio patrimonio naturale. Si sottolinea come si debba andare verso la transizione ad una economia verde, definita come un sistema che faccia un uso ragionato del territorio ed allo stesso tempo salvaguardi il benessere umano. Soddisfare le nostre esigenze ad un costo ambientale molto più basso, in estrema sintesi.