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Neuberger Berman: I fondi sostenibili rendono di più

“La storia insegna che si possono ottenere rendimenti competitivi investendo in società che rispondono ai criteri dell’investimento sostenibile”.Ingrid S. Dyott, Portfolio Manager Sri Large Cap Core Equity di Neuberger Berman è convinta che gli asset gestiti secondo criteri di responsabilità sociale e ambientale rappresentino un’interessante opportunità d’investimento e i temi della sostenibilità continueranno a essere un fattore da tenere d’occhio nei prossimi decenni. Negli ultimi vent’anni, ricorda Dyott, in molti si sono avvicinati alle strategie basate sulla CSR (Corporate Social Responsibility), integrando tematiche sociali, ambientali e di governance nei processi decisionali legati agli investimenti. “Gli asset gestiti in modo socialmente responsabile sono costantemente cresciuti, con più di 640 miliardi di dollari in fondi di questo tipo a fine 2011 contro i 159 miliardi del 2005”, ha sottolineato il gestore. Non solo: nel decennio tra il 2003 e il 2013 i fondi Sri hanno registrato una crescita degli attivi del 33%, proprio mentre i fondi azionari tradizionali subivano deflussi pari al 9,5%. “L’analisi dei fondi gestiti attivamente che incorporano criteri ambientali, sociali e di governance, mostra che questi hanno consegnato risultati favorevoli: il gruppo ha infatti sovraperformato l’indice S&P 500 del 2,4% annualizzato tra il giugno 2001 ed il febbraio 2014”, sottolinea Dyott; un risultato incoraggiante considerando che nel periodo di riferimento i mercati hanno vissuto due crisi molto destabilizzanti. Alcune ricerche, del resto, evidenziano come le strategie CSR abbiano un impatto positivo sulle performance finanziare e possano contribuire alla riduzione del costo del capitale. “Gli investitori che tengono conto dei criteri ambientali, sociali e di governance all’interno del loro processo decisionale”, conclude il gestore, “è probabile siano ben attrezzati per identificare società di alta qualità guidate da manager attenti alle prospettive di crescita quanto ai rischi che possono minacciare lo sviluppo di un’azienda”.




TESI DI LAUREA: "LA COMUNICAZIONE DI CRISI NELL’ERA DEI SOCIAL NETWORK. IL CASO BOIRON"

Università degli Studi di Milano – Facoltà di scienze politiche, economiche e sociali
CORSO DI LAUREA IN COMUNICAZIONE E SOCIETÀ

LA COMUNICAZIONE DI CRISI NELL’ERA DEI SOCIAL NETWORK. IL CASO BOIRON

Tesi di Alessandro Picenoni – Relatore Prof. Fernando dalla Chiesa

Scarica il testo integrale della tesi (58 pagine), qui di seguito, il testo dell’Introduzione della tesi:


PREFAZIONE

Frequentando il corso di “Gestione e comunicazione di impresa” del professor Fernando Dalla Chiesa, mi sono trovato ad affrontare numerosi argomenti interessanti. Dalla differenza tra marchio e marca alla descrizione delle unità organizzative che si occupano della comunicazione interna o esterna di un’impresa; dalle risorse del comunicatore al bilancio sociale, fino ad arrivare alle testimonianze dirette, in aula, di esperti nel campo della comunicazione. L’argomento che ha catturato maggiormente la mia attenzione è stato, però, quello riguardante la comunicazione di crisi. Durante lo studio, infatti, mi sono reso conto che si tratta di un tema cruciale per un’azienda. Possedere un reparto di addetti specializzati nella gestione delle crisi, come possono essere incidenti sul lavoro, disastri ambientali, turbolenze nei rapporti con il pubblico o altro ancora, risulta essere di vitale importanza, in quanto la capacità di un’azienda di rispondere adeguatamente a tensioni impreviste è fondamentale per evitare conseguenze negative nei rapporti con gli stakeholder e tutto l’ambiente attorno all’azienda stessa. Il mio interessamento nei confronti di questo argomento è cresciuto ulteriormente con la partecipazione ad un laboratorio tenuto dal professor Francesco Barontini, che ha affrontato il tema della gestione e comunicazione di crisi da una prospettiva militare – essendo stato Capo della Comunicazione Esterna dell’Aeronautica italiana – e con una particolare focalizzazione sul rapporto tra i responsabili della comunicazione e i giornalisti.

Tutto questo mi ha portato a cercare uno scenario di comunicazione di crisi, realmente verificatosi, attraverso cui affrontare anche la questione nascente della gestione di crisi sul web, data l’ormai consolidato rilievo di internet e dell’era digitale nella quale viviamo.

Utilizzando principalmente testi come “Profili sociali della comunicazione di impresa” del professor Fernando Dalla Chiesa, “Relazioni pubbliche e corporate communication” di Emanuele Invernizzi e Stefania Romenti, “L’impresa che comunica” di Roberto Grandi e Mattia Miani, e “La guida del Sole 24 Ore al Crisis management” realizzato da Luca Poma e Giampietro Vecchiato, mi occuperò di spiegare che cosa si intende quando si parla di comunicazione di crisi e di far capire le motivazioni che la rendono così rilevante nell’ambito delle attività di un’azienda. Proverò, quindi, a fornire le nozioni basilari e necessarie per comprendere pienamente quello che sarà il nucleo di questo elaborato, sfruttando anche il riferimento alle case history più note nel panorama della letteratura in argomento – sia a livello nazionale che internazionale – come ad esempio le vicende che hanno coinvolto Thyssen Krupp, Eternit, Perrier, Johnson & Johnson e altre aziende di cui si approfondiranno le modalità di gestione di crisi.

Tratterò inoltre la questione della comunicazione di crisi nell’era digitale, con un cenno a quella che è stata ed è tuttora la rivoluzione tecnologica che ha modificato la quotidianità delle nostre vite, incidendo anche sulle modalità di comunicazione – ed in particolare di crisis communication – delle imprese. Integrando quanto riportato dai testi precedentemente citati con le informazioni tratte dal testo “La casa di vetro. Comunicare l’azienda nell’era digitale” di Gianni Di Giovanni e Stefano Lucchini, e dalle newsletter pubblicate in rete da Luigi Norsa, spiegherò quali sono i nuovi mezzi tecnologici a disposizione delle imprese per comunicare e come questi forniscano da una parte un vantaggio operativo, ma dall’altra favoriscano la nascita di nuove minacce nei confronti delle quali le aziende devono oggi essere preparate.

Internet ha reso l’attività di gestione e comunicazione di crisi più difficile e complessa. Pertanto, indicherò quali sono i cambiamenti che i professionisti del settore stanno affrontando per modificare parte della loro attività e tenere testa a questi nuovi rischi.

Nella seconda parte dell’elaborato, prendendo spunto da un articolo pubblicato sul sito della FERPI, la Federazione Relazioni Pubbliche Italiana, presenterò un confronto tra due eventi verificatisi in Italia nel 2011, che hanno visto il coinvolgimento di due aziende leader del settore omeopatico alle prese con attacchi contenuti all’interno di alcuni post diffamatori comparsi su due diversi blog. Il primo caso riguarderà la filiale italiana di Boiron, multinazionale francese con sedi in tutto il mondo, e Samuele Riva, animatore di Blogzero e autore degli articoli critici citati. Con l’aiuto delle informazioni fornitemi da testimoni privilegiati come la Dottoressa Claudia Femora, Direttore delle Relazioni Esterne di Boiron, e Sara Marenzi, Responsabile dell’Ufficio Stampa di Boiron, descriverò i fatti, sottolineando gli errori nella strategia seguita dall’azienda per la gestione della situazione critica. Ho inoltre ritenuto opportuno incontrare successivamente Samuele Riva per avere ulteriori dettagli su quanto accaduto e per verificare la veridicità della versione dei fatti dell’azienda francese.

Il secondo caso avrà come protagonisti GUNA, azienda italiana anch’essa produttrice di medicinali biologico-naturali e Medbunker, un blog curato da Salvo Di Grazia che si occupa di scienza e medicina.

Il confronto metterà in evidenza come l’ottima gestione e comunicazione della crisi da parte di GUNA abbia evitato l’insorgere di concrete conseguenze negative per quanto riguarda l’immagine aziendale, e di reazioni spropositate del pubblico, come invece è accaduto nel caso di Boiron, colpevole di aver sottovalutato la portata e la gravità dell’evento critico.

Con riferimento alle parole di Luca Poma, consigliere per la comunicazione di GUNA, cercherò di descrivere gli innovativi sistemi di monitoraggio della rete di cui l’azienda si serve per controllare lo stato della sua reputazione tra gli internauti, senza ovviamente tralasciare il sentiment dell’opinione pubblica in senso generale.




DIFENDERSI DAGLI ATTACCHI ALLA REPUTAZIONE: SINTESI DI UN PROGRAMMA DI INTERVENTO

DIFENDERSI DAGLI ATTACCHI ALLA REPUTAZIONE

Interi volumi – a volte collane di volumi – sono stati scritti sul tema della propaganda, sia in tempo di pace che in periodi di guerra: poco o nulla può essere aggiunto su questa materia.In questo brevissimo saggio voglio invece codificare, per quanto possibile, una serie di azioni dimostratesi utili e funzionali alla gestione di un’emergenza reputazionale. Il quesito al quale tento di dare soddisfazione è il seguente: come rispondere nel concreto a un attacco di tale virulenza e intensità da rischiare di pregiudicare il valore di un’organizzazione?
Ricette in grado di garantire il successo, in senso assoluto, non ne esistono: le indicazioni che mi permetto di fornire al lettore sono frutto della mia esperienza e di tutto quanto ho letto in molti anni di appassionato approfondimento di queste discipline (“Siamo nani sulle spalle dei giganti che ci hanno preceduto”); fermo restando che ogni caso è un unicum, e che il contenuto di questo paper ha più che altro come scopo quello di stimolare il lettore, attivare percorsi di riflessione per certi versi non convenzionali, aprire la mente, spingere il cultore della materia a far tesoro di queste suggestioni al fine di individuare la sua peculiare strada verso la soluzione di scenari complessi, che non possono – e non devono – essere ricondotti a un solo schema solutivo.
La propaganda nera viene tipicamente usata per denigrare, ridicolizzare o travisare il punto di vista della controparte; la sua principale caratteristica è il fatto che le persone/le organizzazioni non sono consapevoli del fatto che qualcuno le sta influenzando, e non percepiscono di essere spinte in una certa direzione, dettata dall’autore della campagna di black RP. Di fatto, come ci spiega la pagina in inglese di Wikipedia dedicata a questo fenomeno, la propaganda nera pare emanare da una fonte diversa dalla vera fonte, ovvero a volte pare emanare da una fonte sconosciuta: avete presente il leggero venticello di calunnie che giorno dopo giorno può minare la credibilità, l’affidabilità e il valore di un’organizzazione? Siamo dinnanzi esattamente a quello.
La fonte spesse volte è nascosta, e diffonde con incredibile creatività menzogne e inganni; spesso praticata dai Governi – ma non solo – ha come scopo mascherare il coinvolgimento diretto di un Istituzione in un dato scenario, convincere un pubblico altrimenti incredulo riguardo una certa narrazione, offuscare il coinvolgimento di un organizzazione in attività che potrebbero essere dannose per la sua immagine, e via discorrendo.
Le relazioni pubbliche sono un procedimento complesso, aperto e dichiarato finalizzato alla creazione del consenso; a volte, esse possono prendere le sembianze della propaganda nera, quando includono azioni mirate a screditare un’organizzazione, oppure, per contro, sotto forma di “controspionaggio”, a difendere un’organizzazione vittima di un attacco che – se protratto nel tempo – rischierebbe di pregiudicarne la business continuity[1].
Semplificando, possiamo definire la propaganda nera come un’azione o più facilmente un insieme articolato di azioni i cui promotori – normalmente sconosciuti – generano volutamente un’azione di discredito tra il pubblico, finalizzata a ridurre significativamente la “licenza di operare” di un’organizzazione[2].
Innumerevoli case-history dimostrano – come vedremo – che la più efficace risposta a un’azione di black-propaganda è: rendere pubbliche le azioni occulte di disinformazione e denigrazione.
Attenersi alla verità ed essere in grado di documentarla, è l’essenza delle buone relazioni pubbliche; una campagna di black-propaganda non si pone affatto questi problemi. Smascherare una raffinata campagna di propaganda nera potrebbe includere azioni di investigazione, da concretizzarsi tramite l’uso di strumenti legali. È curioso notare come la sola idea di spiare la nostra controparte evochi nel nostro immaginario scenari di illegalità: in realtà vi sono strumenti per farlo perfettamente nell’ambito della legge.
Ma andiamo con ordine: cosa distingue una campagna di black-propaganda da routinarie azioni di relazioni pubbliche? Ecco le caratteristiche salienti utili per identificare uno scenario di black-RP:

  • una fonte occulta diffonde nell’opinione pubblica notizie denigratorie e bugie su una certa organizzazione;
  • tali notizie possono essere totalmente inventate, ma molto più spesso risulteranno in esagerazioni di notizie vere, o in conclusioni artate e distorte che pur prendendo spunto da alcune – poche – notizie vere, le esagerano in modo fazioso, al fine di dipingere scenari nel loro complesso inesistenti;
  • la campagna pone in situazione di forte stress l’organizzazione, che non solo non comprende dove/quale sia la fonte dell’attacco, ma non ne comprende le ragioni. Una campagna di questo genere finisce per minare la business continuity, e per ridurre la capacità dell’organizzazione di fare fatturato e creare valore;
  • prendendo spesso spunto da fatti in minima parte veri, la campagna fa “ritrarre” l’organizzazione, vittima – in buona fede – dei propri stessi sensi di colpa (“Sappiamo di aver sbagliato qualcosa, ma possibile che gli errori siamo stati così gravi?”). L’organizzazione stessa riduce quindi – da sola, incredibilmente – la propria licenza di operare, il proprio raggio d’azione, la propria incisività sul mercato.

L’opinione pubblica, tra l’altro, gode assai a ritrasmettere maligni pettegolezzi. L’ignoranza, agevola tale processo: in molti casi, le organizzazioni più soggette a questo genere di attacchi sono quelle che comunicano poco, perché in assenza di informazioni – in natura com’è noto non esiste il vuoto assoluto – la gente tende a “colmare il vuoto” con informazioni fabbricate a casaccio, quasi sempre non genuine. “Non so nulla di quell’Amministratore delegato. Forse è un ladro. E comunque figurati se non ha guadato con occhi lascivi la giovane segretaria, lo fanno tutti, l’avrà certamente fatto anche Lui”. E bene che le persone rette se ne facciano una ragione: anche se pare inspiegabile a una mente logica, i pettegolezzi e le cattiverie circolano del tutto a prescindere dal loro grado di verità. A ciò aggiungiamo che chi promuove campagne di black-propaganda, ben sapendo di averle basate sul nulla, nella migliore delle ipotesi, e su distorsioni della verità oppure – nel peggiore dei casi – su palesi falsità, tende a non dichiararsi mai come fonte: opera nell’ombra, disseminando spesso lo scenario di “falsi bersagli”, così da ostacolare qualunque operazione di ricerca e scoperta.
La black-propaganda mira nella maggior parte dei casi a “soffocare” l’organizzazione, minando a tal punto la sua reputazione da togliergli il sostegno della pubblica opinione fino al punto nel quale gli spazi di manovra sono ridotti al minimo e l’organizzazione stessa di vede negati i propri fondamentali diritti, primo tra tutti il diritto ad esprimere pubblicamente la propria opinione: la strada è completamente in salita, l’azienda/istituzione oggetto dell’attacco fatica a far sentire la propria voce, le sue dichiarazioni sui mass-media non vengono riprese, e quando lo sono, ciò avviene sempre con un forte “beneficio del dubbio”. Vi è un preciso momento nel quale ai leader di quell’organizzazione pare “non vi sia più nulla da fare”.
Non è così.
Una procedura piuttosto efficace per far fronte a questo genere di attacchi è la seguente:

  1. indagate a fondo, e individuate con ogni mezzo possibile (legale, of course…) l’origine dell’attacco;
  2. escludete tutte le false piste;
  3. ripetete il passo di cui al punto (2) più e più volte, in quanto in situazioni così delicate – ovvero nelle quali l’organizzazione è già di per sé fortemente indebolita – nulla è più distruttivo che dedicarsi a falsi bersagli;
  4. una volta individuato il “vero perché/il vero chi”, denunciatelo a gran voce, e a ogni attacco, riaccendete i fari, ancora, e ancora, e ancora;
  5. smentite i dati falsi, utilizzando solo documenti inattaccabili. Ci vorrà un po’ più di tempo per organizzare una difesa basata su documenti inappuntabili, ma farlo vi garantirà spazi di sopravvivenza ben maggiori rispetto all’affidarvi per la fretta a documenti raffazzonati o facilmente smentibili. Il tono emozionale che la vostra organizzazione adotterà in questa fase decreterà in parte il successo dell’operazione: trasmettere sicurezza in se stessi, empatia, accuratezza, rapidità ed esaustività nelle risposte, rispetto per la serietà della situazione, condita da un briciolo di sagace ironia finalizzata a ridicolizzare la controparte, si sono rivelati tutti elementi vincenti in situazioni di questo genere;
  6. applicate le regole del Tai-Chi, trovate la “linea di minor resistenza” nella controparte, e screditatela come fonte, con ogni mezzo (legale) possibile: se essa non risulterà credibile, nulla di ciò che essa ha detto (incluso ciò che ha detto contro di Voi) sarà più credibile. Chi non ha degli scheletri nell’armadio? E sorprendente scoprire di quali crimini sia colpevole chi passa sistematicamente il proprio tempo ad accusare gli altri. Ebbene, trovateli (un aiuto per farlo potrà arrivarvi dai nemici del vostro nemico, che – come ricorda l’adagio popolare – per l’occasione potrebbero rivelarsi i vostri più cari amici);
  7. promuovete quanto più rapidamente possibile azioni legali incisive e senza sconti al fine di inchiodare il soggetto/i soggetti alle proprie responsabilità. Affidarsi ai più costosi studi legali, quelli dalle “roboanti carte intestate” con liste infinite di avvocati, sicuramente aiuta e si è in più occasioni rivelato come un buon investimento;
  8. mentre fate quanto ai punti precedenti, individuate – se esiste, e quasi sempre esiste… – il soggetto che internamente all’organizzazione ha favorito – consciamente o inconsciamente – una fuga di notizie. È sconcertante notare come spesse volte i collaboratori ed ex collaboratori siano inconsapevoli complici della controparte nel fornire informazioni utili per architettare campagne di black-propaganda…
  9. contemporaneamente, colmate il vuoto informativo, e comunicate quanto più possibile quanto di buono state facendo. E se non avevate nulla di buono in programma da realizzare, inventatevelo per l’occasione: che sia credibile, di sostanza, che crei valore non solo per voi ma anche per i vostri stakeholder. E pubblicizzatelo come se lo aveste in programma da sempre…
  10. sempre contemporaneamente, effettuate un’analisi interna più che approfondita: le campagne di black-propaganda raramente nascono dal nulla, molto più spesso prendono spunto da “peccati veniali” dell’organizzazione, dei suoi fondatori, di suoi manager. È necessario in questa fase applicare inimmaginabili dosi di onestà intellettuale per identificare senza esitazione e senza sconti ogni area oscura, ogni errore, ogni punto di debolezza, e rimediare quanto più velocemente possibile. Modificate lo scenario, e consolidate la nuova versione di esso “come fosse sempre stato così”. E se qualcuno particolarmente tignoso scaverà a fondo e obietterà che prima era differente, liquidatelo con un “Il processo di revisione era in corso da tempo, non avevamo ne abbiamo certamente bisogno di Te per migliorarci”. Le persone non si accaniscono con le organizzazioni che sbagliano, bensì con quelle che si ostinano a non riconoscere i propri errori e a cambiare in meglio: allora, cambiate voi, prima che vi obblighi qualcun altro a farlo…

Vi è in effetti un “punto zero” nel decalogo precedente, che è preliminare a tutto: non “ritraetevi”. Pare essere solo una “dimensione mentale”, ma è invece una questione di attitudine alla battaglia: nessuna contro-campagna di black-propaganda potrà mai essere intrapresa con successo se la vostra condizione psicologica sarà di subalternità rispetto agli eventi che vi vedono coinvolti. Analogamente, non chiudetevi nel silenzio, non negate le vostre (eventuali) responsabilità, non smentite rozzamente l’esistenza del problema[3]. Fatevene una ragione: che vi piaccia o no, siete in crisi; dovete prendere fiato, trovare una posizione per quanto possibile sicura (che vi permetta di sopravvivere il tempo necessario per organizzare il contro-attacco) e – da li – dovete farvi sentire.
Le relazioni pubbliche hanno nell’autenticità uno dei propri principali pilastri: le menzogne si vincono con contro-attacchi diretti e chiari, onesti, duri, senza sconti. La strada a volte è impervia, il risultato non immediato né certo (fattori come la solvibilità di un’organizzazione entrano in campo come elementi cardine dell’equazione, in quanto la disponibilità di risorse professionali qualificate e di risorse finanziarie è centrale in un progetto efficace di reazione a una campagna di black-propaganda) ma quella illustrata è di fatto l’unica strada possibile per portare l’organizzazione fuori dal guado.
Facendo tutto quanto vi ho sopra raccomandato, e applicando altre utili regole auree codificate dalle molte persone con maggiore competenza su questi temi del sottoscritto, un bel giorno, semplicemente, vi sveglierete, e di quegli attacchi maligni e faziosi non vi sarà più alcuna traccia. La vostra reputazione sarà salva, e, a quel punto, con ritrovata serenità, potrete ricominciare a costruire futuro.
 
 

Breve bibliografia:

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Chiais, Massimo (a cura di), Propaganda, disinformazione e manipolazione dell’informazione, Aracne, Roma 2009.
Doob, Leonard (1950-09-13). “Goebbels’ Principles of Nazi Propaganda”. The Public Opinion Quarterly. 3 (Vol. 14, No. 3): 419–442. JSTOR 2745999.
Ellul, Jacques (1965). Propaganda: The Formation of Men’s Attitudes, p. 16. Trans. Konrad Kellen & Jean Lerner. Vintage Books, New York. ISBN 978-0-394-71874-3.
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Leigh, David (2000-06-12). “Tinker, tailor, soldier, journalist”. The Guardian. London. Retrieved 2007-06-16
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Young, Audrey (22 November 2007). “Howard’s speech overshadowed by race issues”. The New Zealand Herald. Retrieved 20 September 2011.
 
Note:
[1] La regolare, quotidiana, prosecuzione del proprio business, nel rispetto degli interessi di tutti gli stakeholder coinvolti. Per una definizione più esaustiva, si consulti: “Come comunicare le crisi. La guida del Sole 24 Ore al Crisis management”, 2011, Poma & Vecchiato
[2] il “credito” su cui può contare, presso l’opinione pubblica, una certa organizzazione. Un’azienda o un ente pubblico dipendono, per il raggiungimento dei propri scopi, dal consenso della cittadinanza: tanto più esso è esteso, tanto più facile sarà per esse raggiungere senza difficoltà i propri obiettivi. Arthur W. Page definisce la licenza di operare come: “la disponibilità al buio di un interlocutore, la fiducia verso l’organizzazione, il suo valore intangibile”.
[3] Per una trattazione esaustiva del corretto atteggiamento da tenere durante la gestione di una situazione di crisi reputazionale, si consulti: “Come comunicare le crisi. La guida del Sole 24 Ore al Crisis management”, 2011, Poma & Vecchiato)




INTERVISTA A VITO GULLI – GENERALE CONSERVE

Lei pur essendo di estrazione “umanista” ha scalato la carriera nel settore industriale. Gruppo Mars, Star, Nostromo, Palmera, poi azionista di Generale Conserve, che Lei porta a diventare la seconda azienda in Italia nel mercato del tonno in scatola, con il marchio Asdomar e la produzione per la grande distribuzione, ma presente anche con marchi storici come Manzotin e De Rica. Come mai questa passione per le “scatolette”?
Direi per caso…come tante cose nella vita, accadono per caso. Ancora più per caso da manager sono diventato imprenditore. Non è stato frutto di una scelta precisa, ma di una proposta di altri, i miei ex soci, le cui quote ho acquisito nel corso del tempo, che ormai più di 13 anni fa, mi hanno coinvolto in questa magnifica avventura. Volendo fare una battutaccia, anche se triste, potrei dire che le scatolette sono un bel business in…tempo di guerra, e purtroppo credo proprio che oggi siamo in guerra, fra poveri, ma in guerra. Le scelte di Manzotin e poi De Rica non sono altro che una strategia di allargare, completare l’offerta di tutte le proteine: pesce, carne e vegetali.  Credo siamo l’unica azienda che offre tutte le proteine, e se non siamo fra le grandi multinazionali, certo siamo una grande “multiMarca Nazionale”.
Mentre tutti delocalizzano furiosamente, avete recentemente investito in Sardegna, un nuovo stabilimento all’avanguardia, perché proprio li?
Prima di tutto la scelta di base era investire nella produzione in Italia. Pur avendo, e continuando ad avere, e sempre a pieno regime seppure con altri prodotti, un altro stabilimento in Portogallo. E il perché é semplice. Vedevo già 8 anni fa quello che, oggi, molti, seppur non ancora tutti, vedono e capiscono: che il valore della produzione italiana non ha solo valore di qualità, scontato, ma anche un grande valore sociale, economico, che si traduce nell’unica possibilità di uscire da questa maledetta crisi. Una sorta di baratto, non di beni, ma di posti di lavoro. Una spirale virtuosa di rilancio del lavoro spinta dagli stessi consumatori. Poi in Sardegna perché sapevo che li c’era expertise, un vero e proprio polo industriale che sarebbe stato disperso come tanti mestieri in altre parti di Italia. I sardi hanno peraltro un grande ingegno nel DNA. Il “polo” di Olbia è da sempre fiore all’occhiello della lavorazione del tonno, e restiamo convinti che generazioni e generazioni di “saper fare” non possano che tradursi in un valore aggiunto per i nostri prodotti sulle tavole dei nostri consumatori.
La sostenibilità della pesca sembra essere un vostro pallino da sempre. Marketing o vera e propria strategia d’impresa?
Le rispondo così: quando più di 6 anni fa mi diedero un Award internazionale come 1ª azienda di tonno Sostenibile, alcuni mi fecero i complimenti riconoscendomi grandi intuizioni di marketing. Mai mi fu fatta offesa peggiore. Dico sempre la stessa cosa: se un imprenditore non capisce che come prima cosa deve preservare la materia prima “core” del proprio business, non è un imprenditore. Però ci tengo a dire che la sostenibilità non è solo nei confronti della pesca, ovvero della materia prima tonno, essenziale per il nostro futuro. Ma anche nei confronti dell’altra “materia prima” del nostro business: il consumatore. E qui, per preservarla, bisogna almeno cercare di dare il massimo possibile di lavoro, per permettere ai consumatori, cioè ai lavoratori, di avere quel potere d’acquisto senza il quale non comprerebbero i nostri prodotti.
La penetrazione del marchio ASDOMAR è passata da 400.000 a oltre 4.500.000 di famiglie: chi è il vostro Cliente tipo? Pensate che la sostenibilità della vostra filiera possa fare la differenza nel mass-market per orientare i comportamenti d’acquisto?
Qualità, prezzi equi e più informazione: sono questi i criteri di base che, oggi, guidano le scelte d’acquisto dei consumatori italiani. Da parte dei consumatori, sempre più attenti e sensibili nei confronti delle tematiche ambientali e che dichiarano di essere disposti a pagare di più per un prodotto sostenibile, è quindi cresciuta la capacità di conoscenza e la curiosità in rapporto ai vari aspetti implicati nell’atto di acquisto, così da poter riuscire a valutare realmente la qualità del prodotto, a partire dalla materia prima. Da oltre un decennio, inoltre, il prodotto che ha riscosso maggiore successo nel nostro mercato è, senza dubbio, il filetto di tonno in vasetto di vetro. Dalla sua introduzione, infatti, ha sempre mostrato tassi di crescita significativi, proprio grazie alla novità rappresentata dalla confezione, il vaso di vetro, che dà la possibilità al consumatore di vedere il prodotto già al momento dell’acquisto e quindi di poterlo scegliere con cognizione di causa. E poi, mi piace ricordare che siamo stati precursori in trasparenza, che abbiamo inserito in etichetta tutto quanto era possibile e utile al consumatore per scegliere.
Tonno ASDOMAR ha presentato il suo primo bilancio di sostenibilità. Quali sono i pilastri della vostra CSR?
Qualità, innanzitutto, e rispetto. Ovvero: lavoro in Italia, e sostenibilità nei metodi di pesca del tonno. Dire che bisogna soddisfare le esigenze del presente senza compromettere la possibilità per le generazioni future di soddisfare i propri bisogni, pare banale, ma in un settore “sensibile” qual è quello della pesca del tonno la sfida non era certo semplice. La sostenibilità è uno dei principi base dell’Azienda che ha fatto dell’etica un elemento strategico, come testimonia la scelta di utilizzare le certificazioni – tra cui Friend of The Sea per la sostenibilità della pesca e SA-8000 per la Responsabilità Sociale – come punto di partenza della propria condotta e non come traguardo. ASDOMAR è estremamente sensibile al tema della sostenibilità della pesca: ci auto-imponiamo limiti dettati dalle nostre scelte, come ad esempio la selezione di soli tonni adulti per salvaguardare la riproduzione delle specie. E questa è stata una scelta che ha precorso i tempi: oggi è l’Unione Europea a confermarlo attraverso la campagna ‘SIZE DOES MATTER’, che esplicita quanto le dimensioni siano importanti, invitando il cliente a non consumare pesce non adulto e in generale che non rispetti le regole di pesca sostenibile. E, sottolineo ancora una volta, tutto ciò per semplice e dichiarato interesse di impresa, per costruire e consolidare il futuro della stessa impresa e delle comunità che la circondano.
Il Vostro primo Bilancio di sostenibilità – passo importante per un’azienda come la vostra che si rivolge direttamente ai clienti finali – è coraggioso e insieme “essenziale”. Quali parti avete intenzione e interesse a sviluppare maggiormente in futuro?
Senza dubbio il fatto di rendere sempre più centrale la sostenibilità relativa all’attività principale dell’azienda. L’essenzialità si traduce proprio nel voler continuare a operare in coerenza con gli elementi chiave della sostenibilità della nostra azienda: la materia prima tonno e il potere d’acquisto dei consumatori. Sono ripetitivo quanto convinto. Solo così il Bilancio di sostenibilità è autentico e non solo un report di “best practice” aziendali lette e interpretate in chiave “green”, anzi, a volte troppo “light green”. È notizia ormai di qualche mese fa che stia per formalizzarsi l’entrata di un nuovo socio, non un fondo finanziario, ma un altro manager imprenditore con tanta – se non anche più della mia! – esperienza nel settore: Adolfo Valsecchi, che ha progettato, varato e gestito a tutt’oggi l’unica nave oceanica da pesca di tonno con bandiera italiana. Potrebbe sembrare solo “poesia”, ma fa anche intendere cosa vogliamo fare insieme in futuro… Riallungare le filiere, verticalizzare, integrare, solo così ci si rafforza nel proprio mercato, si cresce in modo sano, e si produce più lavoro per il proprio territorio, generando appunto, più potere d’acquisto per il proprio consumatore.
Il pomodoro dei prodotti De Rica, storico marchio italiano entrato nel 2013 nel portafoglio di Generale Conserve, è il primo prodotto agricolo a essere certificato come sostenibile da “Friend of the Earth”, il programma internazionale di certificazione per l’agricoltura sostenibile. Anche in questo caso l’introduzione di preoccupazioni di carattere etico è parte integrante della vostra strategia?
A quasi 10 anni di distanza – dopo aver scelto per il proprio marchio ASDOMAR la certificazione Friend of Sea – oggi Generale Conserve sposa la stessa linea di condotta anche per il brand De Rica, in un’ottica di coerenza con la mission aziendale che si basa sui principi della Qualità e del Rispetto. Il pomodoro è un prodotto da sempre amato per il suo sapore unico e straordinario. I consumatori dei prodotti De Rica possono assaporarli consapevoli di aver scelto non solo un prodotto delizioso, ma anche ottenuto da una agricoltura sostenibile e rispettosa dell’ambiente. La polpa, la passata e, in generale i derivati del pomodoro, sono parte costituente della storia e della cultura gastronomica italiana ed è fondamentale che la coltivazione del pomodoro sia effettuata in armonia con il territorio. Quando i consumatori acquistano prodotti De Rica certificati “Friend of the Earth”, sanno che stanno contribuendo ad un’agricoltura controllata, certificata e sostenibile. In coerenza con questa strategia, abbiamo appena lanciato un nuovo prodotto, Pura Passata di pomodoro Vallivo De Rica, una passata che nasce da una filiera corta e chiusa, si differenzia per gusto, colore e profumo perché prodotta da pomodori di una sola varietà, provenienti da sementi di una varietà tradizionale, autoctona e “antica”.
Lei ama il rumore del mare: che rumore le piacerebbe sentire in futuro, avvicinando all’orecchio una delle sue scatolette, a mo’ di conchiglia?
Rumore di badge, di chi produce, perché un lavoro ce l’ha. Di migliaia di lavoratrici e lavoratori che escono dai loro uffici, dalle fabbriche, senza le quali questo paese – manifatturiero per eccellenza e per storia – muore. Perché ho scritto solo “escono” e non “entrano”? Perché siccome dicono che sono un po’ “visionario”, oltre a “sentire” avrei anche la “visione” dei loro sguardi sereni proprio mentre tornano a casa dalle loro famiglie con la sicurezza di un posto di lavoro e con intatta tutta la propria dignità. Mi piace fare l’anagramma che dà dignità al buon lavoro: Valoro. In fondo basta solo spostare un paio di consonanti.




Tavolazzi torna alla carica: Hera nasconde la verità

L’azienda dal bilancio sociale patinato (e costoso), dalle sbandierate ricadute economiche ed occupazionali nei territori in cui opera, dalla presunta trasparenza, perde ogni residua credibilità sociale, quando nega informazioni e documenti richiesti nell’interesse dei cittadini con accesso agli atti (allegato), da parte di un consigliere comunale di opposizione.Hera ha impiegato 35 giorni per scrivere in stile “azzeccagarburgli” una lettera (allegata), firmata dal direttore del teleriscaldamento Fausto Ferraresi, che nega informazioni da me richieste il 28 gennaio, in merito ai pozzi di Casaglia, dai quali estrae parte del calore necessario per alimentare il TLR a servizio di decine di migliaia di appartamenti. Pur partecipando, tramite Ferraresi, a costosi convegni in Italia e nel globo, per raccontare la finta geotermia e il raddoppio del TLR, basato sull’apporto fondamentale del cancro valorizzatore di Cassana, Hera, quando deve rendere conto ai cittadini/soci, fornendo dati ed informazioni, diventa opaca, si chiude nel linguaggio burocratico antitetico alla trasparenza, nega elementari risposte a chi è stato eletto per richiederle. In altri termini prende a pesci in faccia coloro (tutti noi) che garantiscono ai soci privati utili e dividendi, pagando salatissime e monopolistiche bollette per i servizi rifiuti e acqua. E’ evidente a tutti che l’interesse dei cittadini ad avere quelle informazioni è gigantesco.
E’ pure gravissimo che il presidente del Consiglio Colaiacovo, coinvolto fin dall’inizio in questa richiesta, abbia svolto un ruolo supino da passacarte, sottraendosi al dovere di difendere il mandato che la legge attribuisce al consigliere e che lui è tenuto a garantire quando viene calpestato, soprattutto se da una azienda partecipata a maggioranza pubblica. Non ci stupisce, e l’abbiamo spesso denunciato, la subalternità di Colaiacovo (da Ppf mai eletto), dimostrata anche nei giorni scorsi, con il silenzio sulle concessioni del sindaco, in materia di banchetti elettorali, ad un cittadino digiunante, cui va il nostro apprezzamento per la battaglia condotta. Quel silenzio assordante è insopportabile perché le stesse richieste erano state avanzate più volte,senza alcun risultato, da consiglieri comunali in conferenza dei capigruppo e pubblicamente. L’episodio segnala la scarsa considerazione che il sindaco ha dell’istituzione (se è vero che reagisce a un cittadino digiunante, ma non a consiglieri eletti dal popolo), ma soprattutto dimostra l’asservimento del garante di quella istituzione (Colaiacovo), che dovrebbe difenderla anche in contrasto con il sindaco.
Ma torniamo a Hera. I quesiti posti erano chiari, elementari, avanzati all’azienda tramite Colaiacovo: a) durata della concessione per l’utilizzo da parte di Hera del calore dell’acqua dei pozzi; b) durata della concessione per la coltivazione dei pozzi da parte del proprietario (gruppo Eni); c) corrispettivo pagato da Hera per l’utilizzo del calore dell’acqua geotermica; d) ogni altra informazione o documento atti ad inquadrare i rapporti tra Comune/Hera/Eni nella gestione dei pozzi, con riferimento all’estrazione del calore, alla sua cessione alla rete del TLR, alla gestione dell’impianto, alla regolazione dei rapporti tra Hera/utenti/Comune, riguardo a tariffe e condizioni contrattuali. Un bel “NIET” su tutti i fronti è stata la risposta di Hera, che per due pagine e mezzo si arrampica suscivolosi specchi, tra sentenze ed interpretazioni,al solo scopo di negare le informazioni e i documenti richiesti da un consigliere comunale, garantito nelle sue prerogative, se non da Colaiacovo, dalla legge. Hera, da azienda di proprietà maggioritaria degli enti locali e quindi dei cittadini, si comporta peggio di una qualsiasi multinazionale, dimostrando di non avere a cuore i rapporti con il territorio e la trasparenza delle proprie azioni.
A questo punto tocca al sindaco, ora informato da questa mia lettera aperta, dimostrare di non essere subalterno a Hera. Da socio dell’azienda e fino a ieri componente (tramite delegato) del consiglio di amministrazione, esiga quelle informazioni e quei documenti (posto che non se sia già in possesso) e li esibisca ai cittadini. In caso contrario confermerà quanto da noi sostenuto da tempo riguardo alla sua impresentabilità come candidato sindaco della città di Ferrara.