PRESENTATO IL MANIFESTO DELLA SOSTENIBILITÀ PER LA MODA ITALIANA

E’ stato presentato oggi, nell’ambito della conferenza stampa di Moda Donna P/E 2013, il Manifesto della  sostenibilità per la moda italiana, promosso da Camera Nazionale della Moda Italiana e realizzato con il supporto e la consulenza metodologica di Avanzi Sostenibilità per Azioni.
L’obiettivo del Manifesto  è quello di tracciare una via italiana alla moda responsabile e sostenibile e di favorire l’adozione di modelli di gestione responsabile lungo tutta la catena del valore.
Il  Manifesto è quindi  rivolto innanzitutto alle imprese associate a Camera Nazionale della Moda Italiana, ma anche ad altre imprese che partecipano, con il loro know-how, all’eccellenza dei prodotti italiani nel mondo. Al punto 10, il  Manifesto prevede inoltre, per Camera Nazionale della Moda Italiana, alcune azioni specifiche di diffusione, volte alla migliore risonanza ed efficacia del presente strumento.
Il Manifesto interpreta le sfide globali della sostenibilità, definendo azioni concrete e distintive per le imprese italiane. Si propone come uno strumento in grado di guidare le imprese italiane a cogliere le opportunità offerte da una maggiore attenzione agli aspetti ambientali e sociali e, al contempo, assistere le imprese stesse a gestire al meglio i rischi di reputazione e i rischi operativi.
Il Manifesto è organizzato per fasi della catena del valore, cui si aggiungono alcuni principi orizzontali. Incorpora alcune specifiche che possono essere utilizzate dalle  imprese  come guida e benchmark per le scelte strategiche e operative; per ciascun tema sono stati identificati alcuni  tags che costituiscono riferimenti per l’approfondimento delle  issues più rilevanti.

  1. Disegna prodotti di qualità che possano durare a lungo e minimizzino gli impatti sugli ecosistemi.
  2. Utilizza materie prime, materiali e tessuti ad alto valore ambientale e sociale.
  3. Riduci gli impatti ambientali e sociali delle attività e riconosci il contributo di ognuno al valore del prodotto.
  4. Includi criteri di sostenibilità lungo tutto il percorso del tuo prodotto verso il cliente.
  5. Impegnati verso il miglioramento continuo delle prestazioni aziendali.
  6. Sostieni il territorio e il Made in Italy.
  7. Integra i valori universali nel tuo marchio.
  8. Comunica agli stakeholder in modo trasparente il tuo impegno per la sostenibilità.
  9. Promuovi l’etica e la sostenibilità presso i consumatori e tutti gli altri interlocutori.
  10. Fai vivere il Manifesto.

Il  Manifesto è stato elaborato  secondo un approccio aperto di confronto e condivisione attraverso la discussione in un tavolo di lavoro promosso e coordinato da Camera Nazionale della Moda Italiana, composto da: Ermenegildo Zegna, Salvatore Ferragamo, Guccio Gucci, yoox.com, Limonta, Taroni, Simonetta, Material Connexion, Sistema Moda Italia, Politecnico di Milano, Università Bocconi di Milano, Avanzi – Sostenibilità per Azioni. Le indicazioni contenute nel Manifesto sono comunque unicamente riferibili a Camera Nazionale della Moda Italiana.
Il 19 settembre alle ore 20, in Piazza Duomo a Milano Michelangelo Pistoletto presenta, con una performance artistica, il Terzo Paradiso per la Sostenibilità della Moda Italiana.
Per info: www.cameramoda.it


Sostenibilita, Csr. Acqua, una nuova guida per una gestione sostenibile dedicata alle imprese

Per individuare strumenti ed iniziative volte ad una gestione sostenibile della risorsa idrica arriva una nuova guida dedicata al mondo delle imprese. Si tratta del ‘Water for business’ redatto dal World business council per lo sviluppo sostenibile (Wbcsd), l’Unione internazionale per la conservazione della natura (Iucn) e SustainAbility. Questa guida on-line (http://www.wbcsd.org/waterforbusiness3.aspx) ha l’obiettivo di aiutare le aziende a utilizzare l’acqua in modo più responsabile e sostenere i loro sforzi con l’adozione di soluzioni più sostenibili, in collaborazione con altri soggetti. “Si tratta di una guida essenziale per le imprese, soprattutto se si considera che l’80% della popolazione mondiale vive in aree nelle quali la minaccia della sicurezza idrica è elevata. Questo, insieme con la diffusione di attività industriali e agricole, sta mettendo ulteriore pressione sulle falde acquifere locali. Le aziende, dunque, devono avere strutture entro le quali possono misurare, gestire e valutare il loro impatto” spiega Joppe Cramwinckel, direttore Wbcsd Water.


Capitano d’impresa

Le intuizione di Stone Island, che ha puntato su tecnologia e uomini tutti d’un pezzo.
Il suo cognome, Rivetti, è un pezzo di storia imprenditoriale del nostro paese. Per comprare i telai e fondare a Biella un lanificio, Giuseppe Rivetti e Figli nacque così, nel 1872negli anni Venti la famiglia comprò poi GFT, il Gruppo Finanziario Tessile di Torino. Carlo, che ne rappresenta l’ottava generazione di industriali dell’abbigliamento, racconta a Italic parte della sua storia. “Ho perso il papà che ero piccolo – inizia- e quindi non ho mai sognato di fare il capostazione, ma di fare vestiti come lui. E ce l’ho fatto. La cosa più bella è che continua a essere un sogno”. Carlo Rivetti riesce a laurearsi alla Bocconi dopo aver studiato in undici collegi in giro per l’Italia, che regolarmente lo buttavano fuori. Laurea in Economia con indirizzo Marketing: “E per fortuna, perché alla luce di cosa è successo dopo ho capito che se lo conosci riesci a sopravvivere. Nella moda i fenomeni di marketing hanno dettato legge per anni e forse solo adesso, grazie a questa crisi, i valori fondamentali stanno emergendo”. Rivetti inizia a lavorare in GFT e dopo tre anni arriva la sua occasione: il direttore del personale del gruppo – una multinazionale con più di diecimila dipendenti e ventisette siti produttivi – va in pensione. A 27 anni Carlo ne prende il posto. Fu il suo ingresso nella realtà, e nelle difficoltà del mondo della moda. Rivetti teorizza che l’abbigliamento formale avrebbe perso il suo ruolo centrale nella moda. “Ai tempi, in azienda avevamo la divisione uomo e donna e poi la licenza di produrre abiti di Armani e Valentino, in prativa una produzione al 100% stile formale. Creai la divisione sportswear”. Una decisione basata sull’analisi del mercato. “Scoprii che in Emilia esisteva una piccola azienda che senza dubbio era la più avanzata nel mondo per la ricerca e la tecnologia nell0abbigliamento informale”. Era la C.P. Company, proprietà dell’imprenditore Trabaldo Togna e del grafico Massimo Osti, che faceva anche da designer e direttore creativo. Per Rivetti, l’abilità di Osti era quella di un genio all’avanguardia, capace di proporre ai consumatori e rendere accessibile un abbigliamento informale basato sulle funzionalità. Ma creativo e imprenditore diventano per lui ruoli incompatibili. Quando nel 1983 Osti decide di dedicarsi solamente a progettare le collezione, Rivetti rileva l’azienda. All’inizio degli anni Novanta la crisi del settore porta alla scomparsa di GFT. L’azienda decide di cedere la parte non legata al core business (l’abbigliamento formale) e Carlo Rivetti viene cacciato. Così ha il tempo di dedicarsi cos sua sorella alla Sportswear Company, ovvero i marchi C.P Company e Stone Island. ma da dove nasceva l’idea di scommettere sull’informale? “una delle poche cose che aveva capito all’università – risponde- era che le aspettative dei lavoratori non potevano essere soddisfatte solo dal punto di vista economico. Esiste una variabile che è il tempo libero. Mio padre lavorava anche il sabato, per esempio; noi avevamo smesso. Poi lessi dell’IBM che in Germania aveva tentato un esperimento: permettere ai dipendenti di lavorare da casa. Fu un grande successo: l’IBM aumentò la produttività. Questi signori tedeschi potevano finalmente evitare di andare in ufficio con un Dress code rigidissimo, il blazer blu, la camicia azzurra o bianca. Oggi Stone Island punta sulla funzionalità del capo e sulla tecnologia dei tessuti. La difficoltà è conciliare quest’indirizzo con chi nella moda non sembra interessato alla funzionalità. “Noi siamo usciti dai meccanismi della moda: non sfiliamo, non presentiamo . non farò mai abiti femminili, perché non ne sono capace e perché i clienti sarebbero spiazzati a vedere lo stesso marchio vestito dalle fidanzate”. In pratica, una guerra aperta con tutto ciò che è fashion. “Mi sento molto più vicino al mondo del design industriale, più a mio agio durante la settimana del design. La moda è un ambiente chiuso, il design è molto aperto. La moda costringe a presentare i prodotti agli addetti ai lavori per un anno prima rispetto al consumatore. A me piace lavorare con i tempi del mercato e non avere le tensioni delle sfilate e del carrozzone comunicativo, che influisce poi negativamente sul prodotto”. Per questo il marchio di Rivetti ha scelto la strada dell’ingegnerizzazione. Nelle collezioni la funzione viene prima per importanza e la progettazione del prodotto è finalizzata a soddisfare le esigenze reali del consumatore. “Anche in questo siamo vicini al design industriale”, spiega Rivetti. Negli anni Ottanta Stone Island è andato forte poi paninari. Per rimanere a galla bisognava inventarsi qualcosa. “Invecchiare insieme a loro un po mi spiaceva”. Serviva un nuovo pubblico. “Mi sono chiesto: come faccio a fare entrare i miei figli in negozio, a parte ricattarli?”. Rivetti ha trovato ispirazione al Politecnico di Milano, dove insegna e dove fatica a vedere un quotidiano tra le meni degli studenti. “L’unico è la Gazzetta dello sport, un giornale per uomini che amano lo sport, macchine, donne”, continua.  “A quel tipo d’uomo io mi sono sempre rivolto. Comprando pagine di pubblicità sul giornale sportivo abbiamo trovato il modo di farci ascoltare dalle generazioni più giovani senza lasciare i clienti storici, cercando di raccontare con onestà la nostra storia”. Per fortuna non esistono soltanto i fenomeni di marketing , come le mutande con le scritte che spuntano dai pantaloni. “Se ai giovani racconti una storia vera, la riconosco e l0apprezzano”. Carlo Rivetti è presidente e amministratore delegato dell’azienda, ma se ne sente anche l0idieologo, e in qualche maniera fa il direttore creativo. “Sono un pessimo Ad e per fortuna ho un direttore generale molto, molto bravo”.  Infine, i piani per il futuro. “Una anno e mezzo fa abbiamo ceduto uno dei marchi storici dell’azienda,  C.P. Company”, racconta Rivetti. “La crisi arrivava e io mi sono preparato. Ho chiuso i boccaporti, ho tirato giù le vele. Ho tenuto un equipaggio molto motivato su un battello solido. E negli ultimi anni siamo cresciuti del 30% a stagione”. La grande scommessa è continuare così. “Detesto il termine globalizzazione – spiega – mi piacerebbe un mercato globale con nuovi valori e nuove idee, in cui continuare a raccontare storie vere ai nostri consumatori”. I clienti possono visitare l’azienda, conoscere le persone che lavorano con Rivetti e i suoi famigliare. “Noi non siamo fuffa!”, esclama combattivo l’AD. “Fra cinque o dieci anni saremo più forti e parleremo a più gente con li nostro linguaggio”. Un’ ultima cosa: quando ha messo giacca e cravatta l’ultima volta? “Nove anni fa, al matrimonio di mio nipote. E la volta precedente dieci anni prima.”


La Facebook diplomacy con the e pasticcini

Il Ministro degli Esteri italiano Giulio Terzi ha annunciato nei giorni scorsi un’interessante iniziativa per coinvolgere i propri fan di Facebook. Inviterà sei cosiddetti “top poster”, tre persone che sono intervenute di più sulla sua pagina e altre tre che hanno pubblicato contenuti che hanno colpito il ministro, a prendere un the insieme alla Farnesina. “In quell’occasione – scrive Terzi – mi impegno a rispondere con completezza a qualunque loro domanda sui temi della politica estera nazionale, nella certezza anche di ricevere utili stimoli”.

La pagina Facebook del Ministro Terzi

Con questa proposta Terzi conferma l’attenzione verso il mondo dei social media: oltre ad avere un account molto seguito su Twitter, il capo della nostra diplomazia è l’unico ministro dell’attuale compagine governativa a usare Facebook e in poco tempo la sua pagina ha raggiunto quasi 300.000 mila interazioni a settimana.
Invitare alcuni dei suoi fan a un incontro è un’eccellente idea per dimostrare come il dialogo sui social network possa portare anche a forme di coinvolgimento più diretto, che possono a loro volta stimolare ancor di più la partecipazione futura degli utenti online.
Finora la maggior parte dei commenti sono stati positivi, soprattutto perché iniziative del genere in Italia non sono affatto comuni, come ha sottolineato anche un utente per stigmatizzare alcune critiche: “Che pochezza puntualizzare e fare battute su the e pasticcini. Il ministro ci offre il suo tempo! Citatemi un membro di un dicastero così impegnativo, che si dedica con tanta umiltà e partecipazione ai suoi cittadini!”


La Casa Bianca e la Morte Nera. Tre ottime lezioni di comunicazione online.

“Procurare le risorse e i finanziamenti e iniziare la costruzione entro il 2016 di una Morte Nera” (ndr: la stazione spaziale del film Guerre Stellari, capace di distruggere interi pianeti).
E’ l’originale proposta comparsa poco tempo fa su “We the people”, la piattaforma online della Casa Bianca che permette ai cittadini di proporre e votare petizioni indirizzate all’amministrazione americana. L’idea della Morte Nera piace e supera ampiamente le 25.000 firme di sostegno che obbligano il governo a rispondere. Nei giorni scorsi la Casa Bianca ha pubblicato la replicaUn vero capolavoro di comunicazione.

L’Amministrazione condivide il vostro desiderio di creare posti di lavoro e avere una solida difesa nazionale, ma la realizzazione di una Morte Nera non è in programma. Ecco alcune ragioni:
È stato stimato che la costruzione della Morte Nera costerebbe oltre $850.000.000.000.000.000. Stiamo lavorando duramente per ridurre il disavanzo, non per aumentarlo.
L’Amministrazione non è favorevole all’idea di far saltare in aria altri pianeti.
Perché dovremmo spendere un’enorme mole di dollari dei contribuenti per una Morte Nera che ha un difetto fondamentale, ovvero può essere distrutta da una piccola astronave monoposto? (ndr: il protagonista del film Harrison Ford riesce a distruggerla da solo).

La risposta prosegue elencando con scrupolo diverse iniziative nell’ambito del programma spaziale dell’amministrazione: dalla Stazione Internazionale già in orbita alle nuove astronavi capaci di uscire dal sistema solare, dai laboratori robotici su Marte alla sonda che raggiungerà gli strati esterni del Sole. L’attenzione del Presidente Obama verso questo ambito tecnologico viene inoltre sottolineata ironicamente con una foto che lo ritrae mentre brandisce la spada laser di Guerre Stellari.
Infine, la chiusura della lettera, un’esortazione ai giovani a studiare le materie tecnologiche, è molto efficace da un punto di vista di comunicazione.Prevedendo la viralità online che l’episodio avrebbe innescato, la Casa Bianca ne ha approfittato per indirizzare l’attenzione su un messaggio forte che il Presidente Obama sta da tempo promuovendo.

Stiamo vivendo nel futuro! Godetevelo. Meglio ancora, aiutate a costruirlo intraprendendo una carriera in un campo legato alla scienza, alla tecnologia, all’ingegneria o alla matematica…

Il “caso Morte Nera” è un ottimo esempio di comunicazione istituzionale e richiama tre importanti lezioni:

  1. La Rete è imprevedibile. Anche le iniziative più lodevoli, come dare la possibilità ai cittadini di fare proposte, possono nascondere delle insidie. Preparazione e flessibilità di reazione sono determinanti.
  2. L’ironia è quasi sempre la carta vincente per spegnere polemiche o per tirarsi fuori da situazioni imbarazzanti.
  3. Se ben gestiti, i momenti di difficoltà possono trasformarsi in buone opportunità per valorizzare i propri messaggi.

 


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