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Next – una nuova economia è possibile

E’ uscito di recente il nuovo libro dell’economista Leonardo Bocchetti: “Next – una nuova economia è possibile”, la proposta per un nuovo modello di economia sostenibile che oggi tutti, nel mondo, stanno cercando.
A questo link puoi scaricare e leggere il comunicato stampa con tutti i dettagli del libro stesso.




A che punto è la Csr nell'Ict italiana

Una ricerca del ClubTI ha rivelato interesse sulle iniziative di responsabilità sociale di impresa. Si applicano le regole, esistono belle testimonianze, ma l’It può fare di più
La Responsabilità Sociale di Impresa (Csr – Corporate Social Responsibility) abbraccia un ambito ampio e copre aspetti legati all’impresa e alla sua immagine, ai dipendenti e alla loro motivazione e alla gestione di variabili più strettamente economiche.
Il ClubTI ha condotto tra il 2012 e il 2013 una ricerca per sondare il terreno della Csr in ambito Ict in Italia e ha presentato i risultati in un recente incontro.
La ricerca ha messo in evidenza come nel settore Ict non ci sia ancora una spinta verso iniziative sociali o nell’utilizzo dell’It come strumento per cambiare la società in cui viviamo. Tuttavia i manager dell’It hanno dimostrato attenzione e interesse verso il coinvolgimento sociale.
I principali risultati della ricerca evidenziano che tutte le aziende applicano le norme e regole obbligatorie e che buona parte di quelle opzionali in Italia.
C’è attenzione verso le categorie protette, verso i disabili (con progetti di ristrutturazione degli spazi) verso le donne con iniziative legate ai tempi ridotti di lavoro (part time) o alla creazione di asili.
Le attività di Csr rappresentano ancora iniziative parallele al core business, sono pochissimi i casi di Csr manager, tuttavia le iniziative anche a livello italiano sono degne di attenzione.
Le testimonianze
Luca Lepore, Program Manager per iniziative Csr, ha raccontato come, dopo il successo di Cisco Networking Academy, un programma di formazione digitale che coinvolge 165 paesi e circa 4 milioni di studenti, Cisco Italia ha attivato il Civic Council che promuove, favorisce e realizza attività di Csr grazie a un gruppo molto esteso di colleghi-volontari.
Il progetto ha permesso la realizzazione di iniziative come “A scuola di Internet”, lezioni di web sicuro per le scuole elementari e medie, a genitori e insegnanti con l’obiettivo di diffondere la cultura d’uso della rete in modo prudente o la costituzione della Donation Bay Band”: una rock band che si esibisce per beneficenza fondata da dipendenti di Cisco.
È sulla stessa linea di pensiero anche Bt. Anche in questo caso lo slancio è stato dato da un programma oltreconfine, Better Future. “La filosofia di Bt – ha sostenuto Carlo Ridolfi, Bt Volunteering Ambassador – è basata sull’impegno di gruppi di volontari, il 13% del personale Bt, che dedicano alcune giornate all’anno, riconosciute dall’azienda e a livello personale, per attività benefiche nei confronti di associazioni/ organizzazioni”.
In Italia dal dicembre 2011 si è costituito un team di Volontariato aziendale, che promuove iniziative di It education nelle scuole, a favore di Onlus, e nel Carcere di Bollat.  Non solo: collabora con diverse associazioni come l’Associazione Neuroblastoma, la Comunità San Patrignano e la Croce Rossa Italiana.
Denis Nalon, Marketing Manager ha illustrato l’esperienza che NetApp Italia ha fatto con la “creazione e rimodellazione dello spazio ambientale dove i bambini apprendono” realizzato per la scuola di un paesino, San Felice sul Panaro, fortemente colpito dal terremoto del 2012.
Dunque impegno e sostanza, ma anche “individuazione dei progetti e delle aziende giuste con cui lavorare a medio termine” come ha sottolineato Giuliano Pozza, Direttore Organizzazione e Sistemi Informativi della Fondazione Don Carlo Gnocchi Onlus.




I buoni propositi di Coca-Cola e PepsiCo svaniscono in America Latina dove trionfa il junk food: cronache dal Venezuela

Come per ciascuno di noi a inizio anno, anche i grandi gruppi industriali elencano una serie di buoni propositi assunti o da portare avanti nei confronti dell’ambiente e della salute. I voluminosi rapporti sulla Corporate Social Responsibility (CSR) presentano proprio questa lista degli impegni, ma a volte qualcosa non funziona,  come emerge da un breve reportage dal Venezuela.
Il Fatto Alimentare fa tappa a Caracas. All’aeroporto internazionale, le “vending machines” a marchio Coca-Cola offrono diverse bevande zuccherate ricche di bollicine, ma nemmeno una bottiglietta di  acqua minerale. Rassegnati al rubinetto, cerchiamo qualcosa da sgranocchiare. Basta un attimo per accorgersi che nella macchina si trova un vasto assortimento di prodotti a marchio FritoLay, azienda del gruppo PepsiCo, abbastanza imbarazzante. “Ruffles” sembra lo snack più semplice: è “preparato con patate selezionate” e formaggio, come si vede dalla grande fetta di groviera proposta sulla confezione.  Uno sguardo alla tabella nutrizionale evidenzia valori da record: 550 kcal e 13 g di grassi saturi per 100 g di prodotto, i “grassi vegetali” occupano il secondo posto della lista ingredienti, mentre non c’è traccia del formaggio.
Un altro prodotto che attira l’attenzione è “De Todito Mix”, un insieme di snack fritti di varia forma.  In questo caso la tabella nutrizionale è riferita a una porzione anche se il contenuto della busta corrisponde in grammi a una razione e mezza. Rinunciamo alla calcolatrice per valutare le quantità del copioso elenco degli ingredienti che comprende di tutto e di più, tra cui glutammato monosodico e una serie di additivi. I “Doritos”, a prima vista, esprimono la tradizione latino-americana dei triangolini di mais fritti conditi con del formaggio, raffigurato sulla  confezione e affiancato dalla dicitura “Mega-queso” (mega-formaggio). In realtà nell’elenco degli ingredienti troviamo  grassi vegetali, maltodestrine sale, burro e solo in fondo la dicitura di imprecisati “quesos”.
L’elemento più sorprendente è la tabella nutrizionale riferita a 22g, pari alla metà del contenuto della busta. L’ultima chicca è “Cheese tris” uno snack con tanto di super-eroe in copertina. In questo caso la razione consigliata è di 20 g anche se la confezione contiene quasi tre porzioni. Inoltre il valore calorico riferito a 100 g è molto alto e pari a 500 kcal, con 25 g di grassi e 0,6 g di sodio oltre a consistenti dosi di glutammato.
In America Latina – come abbiamo mostrato di recente –  le malattie legate a obesità e sovrappeso hanno incidenza endemica e crescente a ritmo vertiginoso. Le cause sono molteplici, e tuttavia trovano un denominatore comune nella prevalenza delle bevande zuccherate gassate rispetto al consumo di acqua potabile, nell’ampia diffusione di “junk-food” e nella vita sempre più sedentaria. Le industrie del “food & drink”, come quelle del “retail” e del “food service”, non si possono chiamare fuori. E proprio a partire dall’Europa i grandi attori della produzione e distribuzione del cibo hanno iniziato ad assumere vari impegni. L’intento è offrire ai consumatori la possibilità di scegliere alimenti e bevande più o meno compatibili con diete equilibrate di cui tutti hanno bisogno. Inizia a delinearsi il concetto di responsabilità nutrizionale, come capitolo essenziale della Corporate Social Responsibility. Ma evidentemente le scelte di marketing in altre zone del pianeta da parte di alcune multinazionali  non sono proprio omegenee.
“Il mondo è piccolo, e la gente mormora”, ribadiva Enrico Braschi in tempi ormai lontani.  È giunta l’ora di gridare, anziché mormorare, contro le politiche incoerenti di questi gruppi.




CSR: le 10 aziende più green e sostenibili del mondo

Il rapporto tra aziende e sostenibilità è da sempre piuttosto complesso e sfaccettato, tra promesse spesso non mantenute, impegni concreti e una buona dose di greenwashing. Tuttavia, alcune società sono riuscite nell’intento di far coesistere i propri obiettivi di profitto con una riduzione della propria impronta e con l’adozione di comportamenti responsabili: CSR Wire ne ha selezionate 10, a cui ha attribuito l’ambito titolo di aziende più sostenibili del mondo.
Fino a qualche tempo fa, le azienda potevano scegliere di aderire a comportamenti cosiddetti green occasionalmente, a seconda della convenienza del momento, scegliendo di volta in volta se promuovere il riciclo al proprio interno o ridurre la propria produzione di rifiuti o impegnarsi a piantare alberi, e così via.

Oggi, tra consumatori sempre più informati e un mercato spietato che progredisce e cambia a vista d’occhio, essere occasionalmente green non è più sufficiente: bisogna essere sostenibili, e cioè trovare un equilibrio tra il profitto aziendale, le politiche ambientali (quali ad esempio la riduzione della propria impronta e una gestione oculata delle risorse) e la responsabilità sociale. In parole povere, un business davvero sostenibile, che voglia anche essere competitivo sul mercato, deve avere tre focus principali: le persone, ilprofitto e il pianeta.
Ecco le 10 aziende che, secondo CSR Wire, hanno compreso questa nuova filosofia e la mettono quotidianamente in pratica, contribuendo a diffonderla:
1. Banco di Santander
La banca spagnola ha scelto la sostenibilità aderendo, insieme ad altri istituti di credito, ad Equator Principles, una serie di regole e principi che impongono l’analisi di determinati criteri sociali e ambientali prima di dare il via a qualsiasi opera di finanziamento. In questo modo, il colosso bancario ha dato il buon esempio, promuovendo le buone pratiche di sostenibilità anche tra i propri partner.
2. Gerding-Edlen
L’azienda americana, che si occupa di edilizia e riqualificazione ambientale, è da anni specializzata nel creare progetti il più possibile sostenibili ed efficienti dal punto di vista energetico, a prezzi il più possibile competitivi e abbordabili.
3. IBM
La multinazionale ha aderito a diversi progetti studiati per rendere i propri prodotti più sostenibili, sia da un punto di vista ambientale che nel rispetto dei diritti umani. In particolare, ha bandito dalla propria catena di approvvigionamento i cosiddetti conflict mineral, materie prime provenienti da zone in guerra, soprattutto dal Congo, e partecipa alla lotta ai cambiamenti climatici sia attraverso investimenti più corposi nel cloud computing che attraverso dei programmi interni per la riduzione delle emissioni
4. Life Technologies
L’azienda, che crea prodotti per l’analisi scientifica, le scienze applicate e la ricerca genetica, si è impegnata attivamente nel miglioramento della qualità di acqua e cibo e nelle protezione della biodiversità.
5. Munich Reinsurance Group
La compagnia di assicurazioni tedesca partecipa alla lotta contro cambiamenti climatici e le emissioni attraverso l’adozione di particolari politiche interne che dovrebbero condurre tutte le sue operazioni a diventare carbon neutral entro il 2015.
6. National Australia Bank
La banca australiana da tempo cerca di promuovere la sostenibilità presso i propri fornitori, richiedendo loro particolari requisiti oltre che l’adesione ad una serie di principi prima di stipulare un qualsiasi accordo o rapporto di partnership.
7. Toyota
La casa automobilistica giapponese si è impegnata sia sul fronte della ricerca collegata alla realizzazione di veicoli ibridi, sia nella promozione di uno stile di vita sostenibile tra i più giovani, attraverso la Toyota Green Initiative, che coinvolge soprattutto gli studenti universitari.
8. Verizon
Il colosso americano delle telecomunicazioni e della fornitura di banda larga utilizza energia proveniente da fonti rinnovabili, si è impegnato sul fronte delle nuove tecnologie e ha promosso un programma di recupero e riciclo delle vecchie apparecchiature, in modo da diminuire la quantità di rifiuti che finisce nelle discariche.
9. Wipro
La multinazionale indiana dell’ICT ha messo al bando dal proprio business sostanze pericolose o di dubbia fama, si è impegnata a risolvere il problema della gestione dell’acqua e dei rifiuti e ha stipulato un accordo con il WWF India, con l’obiettivo di tutelare la biodiversità.
10. Intel
La multinazionale americana, leader nel mercato dei processori, ha all’attivo sia dei programmi per la riduzione delle emissioni e la conservazione dell’acqua che delle iniziative per favorire l’utilizzo di energia solare nelle proprie sedi.




ECBA Project pubblica la classifica dell’intensità dei “costi esterni” ambientali

Riuscire a coniugare efficienza economica e tutela dell’ambiente secondo una visione integrata è la grande sfida che si pone oggi davanti alle imprese del nostro Paese, e non solo. Da uno studio sui costi esterni dei settori dell’economia italiana realizzato e illustrato dalla società di ricerca e consulenza economica ECBA Project, emerge infatti che le attività economiche italiane generano mediamente 24 euro di danni ambientali e sanitari dovuti alle emissioni in atmosfera, ogni 1.000 euro di valore aggiunto prodotto.
Secondo i dati presentati dalla ricerca, fra i dieci macro-settori che contribuiscono maggiormente al valore aggiunto dell’economia nazionale, quello dei servizi di trasporto e logistica presenta la maggiore intensità di danni ambientali e sanitari delle emissioni in atmosfera in relazione al beneficio economico direttamente generato, con un valore di 49 euro ogni 1.000 di valore aggiunto del settore. L’immobiliare, che contribuisce con il 14,3% al valore aggiunto totale, è invece quello che genera minori costi esterni ambientali, con un valore inferiore a 1 euro ogni 1.000 di valore aggiunto.
I primi risultati dello studio sono stati pubblicati sul n. 5/2013 di Nuova Energia, rivista bimestrale dello sviluppo sostenibile, in un articolo che riporta integralmente la stima complessiva dei costi esterni ambientali in base alle emissioni in atmosfera NAMEA dell’ISTAT per l’anno 2012, secondo un primo livello di disaggregazione dei settori dell’economia italiana. L’articolo propone anche un insieme di indicatori, individuati con un approccio  ECBA(Environmental Cost-Benefit Analysis), finalizzato a fornire dati sistematici integrando le tre dimensioni principali dello sviluppo sostenibile: quella ambientale, sociale ed economico-finanziaria.
L’indicatore ECBA Project Environmental Cost-Benefit Index, con cui è stata stilata la classifica dell’eco-efficienza dei macro-settori dell’economia nazionale, rapporta i costi esterni ambientali di un’impresa o di un settore – in termini di danni ambientali e sanitari associati alle emissioni di gas serra e di inquinanti – al beneficio economico netto direttamente apportato alla collettività dalla stessa impresa o dallo stesso settore, misurato in termini di valore aggiunto generato.
Come anticipato, il macro settore dei Servizi di trasporto e logistica, che incide sul valore aggiunto per il 5,7%, presenta un valore di questo indice pari a 0,049 (49 euro di danni ambientali e sanitari su 1.000 di valore aggiunto generato), cinque volte superiore a quello del comparto di appartenenza (Servizi 0,009) e doppio rispetto al valore indice dell’intera economia italiana (0,024).
L’industria manifatturiera, che contribuisce al 15,7% del valore aggiunto, presenta un valore indice di 0,033 (33 euro di danni ambientali e sanitari su 1.000 di valore aggiunto generato): si comporta quindi meglio dell’industria nel suo complesso (0,038). Fra i macro-settori dell’industria, quello delle costruzioni (6% sul valore aggiunto) ha una prestazione di eco-efficienza ancora migliore, con un Environmental Cost Benefit Index di 0,006 (6 euro su 1.000 di valore aggiunto).
Per quanto riguarda gli altri settori del comparto dei Servizi, l’indice del commercio all’ingrosso e al dettaglio, che incide per l’11,1% sul valore aggiunto, è pari a 0,020 ed è quindi oltre il doppio di quello più generale del suo comparto (Servizi – 0,009), principalmente a causa del ruolo dei trasporti nella attività di distribuzione all’ingrosso e al dettaglio.

“La principale innovazione apportata dall’ECBA Project Environmental Cost-Benefit Index“, spiega Donatello Aspromonte, partner di ECBA Project e co-autore dello studio, “è di poter finalmente disporre di un indicatore che rapporta alla ricchezza creata da un’attività economica in un dato anno quella distrutta esternamente dalla stessa attività, e che quindi esprime anche il grado di efficienza delle attività economiche nella prevenzione dei danni ambientali. In base alla nostra indagine, circa il 50% delle esternalità negative è dovuta a settori che concorrono per solo il 10% alla creazione del valore aggiunto nazionale.”
Andrea Molocchi, partner di ECBA Project e co-autore dello studio, aggiunge: “Una delle principali applicazioni dell’ECBA Project Environmental Cost-Benefit Index riguarda la possibilità per le imprese di beneficiare di un’attenta e dettagliata analisi di posizionamento ambientale rispetto al benchmark di settore. Col calcolo dell’indice di ECBA Project, il management e gli stakeholder aziendali possono disporre di un’analisi delle prestazioni ambientali ad alto contenuto informativo ed integrata con i dati di bilancio,  essendo condotta secondo le metodologie raccomandate a livello comunitario per l’analisi costi-benefici, volte all’integrazione dei dati finanziari con quelli economici, sociali e ambientali.