Quasi quasi mi prendo un anno sabbatico

Come un prendersi uno stacco e metterlo a frutto. Storie e strategie di chi ce l’ha fatta. Con i Masai, tra gli Amish, in mezzo agli squali.
Pensate alla vostra quotidianità come un film in bianco e nero? Vi capita di dire: “non era questa la vita che avrei voluto vivere…”? Andate al lavoro con il magone? In questi casi l’unica soluzione è un cambiamento. Non è detto che cambiare significhi trasferirsi in un altro emisfero, seguendo un ideale di sole e palme. Avvolte basta molto meno: cambiare hobby, fidanzata, lavoro. Certo, l’estero rimane la meta sognata dai più. “Ho un negozio di gioielli etnici, a Verona. Girando il mondo alla ricerca di nuovi oggetti, ho conosciuto moltissimi italiani che avevano cambiato vita oltre il confine. Da qui l’idea di realizzare un sito che raccontasse la storia degli espatriati felici” spiega Alessandro Castagna. Nasce così, nel 2007, www.voglioviverecosi.com, un portale ricco di consigli e testimonianze, che oggi totalizza 12mila visitatori al mese. “ Vogliamo dimostrare che avere una vita diversa è possibile. Del resto, 40mila italiani ogni anno si trasferiscono all’estero e l’80% di loro  migliora il suo livello di reddito” spiega Castagna. Il più delle volte, però, per ritrovare se stessi non è necessario cambiare vita. Basta una pausa di riflessione. Ma lasciare tutto, anche solo per un po, non è facile. “Gli ostacoli sono molti, ma non tutti insuperabili. La verità è che la motivazione al cambiamento bisogna sentirla dentro. Io mi sono preso due periodi sabbatici, nella vita. Dare le dimissioni è stato facile, il difficile viene dopo. Ho girato il mondo, ma poi sono tornato a casa. Ho capito dove sono le mie radici, ma non è detto che nn ripara, prima o poi” spiega Riccardo Caserini, ideatore del sito www.annosbbatico.it e autore del libro mollo tutto e parto. Ma prima o poi ritorno (Vallardi, 12 euro). Nella maggior parte dei casi, chi prende un periodo di pausa non vuole cambiare vita, ma solo fare un esperienza diversa: viaggiare, dedicarsi alla famiglia, conoscere persone e culture diverse. L’occasione è preziosa per guardarsi dentro, chiarirsi le idee, capire che cosa si vuole veramente nella vita. “ Una pausa per staccare è uno dei regali più belli che ci si possa fare” continua Caserini. Ecco perchè il ritorno è uno dei momenti più difficili: spesso si è cambiati e non si è più in grado di adattarsi alla realtà precedente. “Molti, dopo, cambiano lavoro, amici, abitudini”  conclude Caserini. Andrea Borella, 34 anni, bresciano, è dottorando in Scienze antropologiche. Già critico nei confronti di alcuni aspetti della società occidentale, quando si è trattato di scegliere la ricerca sul campo da effettuare per la tesi di dottorato, ha pensato agli Amish, una confessione cristiana che ha scelto di vivere come i nostri nonni.
Perchè gli Amish?
“Sono affascinato dal loro rapporto con il potere, il denaro, la modernità così ho deciso di andare in America, nella Contea di Lancaster, per studiarli da vicino. Vivono senza energia elettrica (quindi niente TV, computer, telefono) né automobili (si spostano con i calessi). Studiano non oltre la terza media, non suonano strumenti musicali, si sposano tra di loro, indossano abiti tradizionali”.
Com’è stato vivere “fuori dal mondo” per otto mesi?
“In realtà ho alternato periodo al college a soggiorni in una comunità Amish. Ho capito molte cose. In primo luogo che rinunciare alla tecnologia è possibile. Poi si può discutere se sia giusto o sbagliato. Loro rifiutano ciò che pensano possa disgregare la famiglia. Preferiscono la medicina naturale, ma in caso di necessità vanno in ospedale”.
Cosa hai imparato?
“Vivono in un mondo a parte, ma la mia impressione è che in genere siano più felici di noi: solo il 10-20% abbandonano la comunità. Hanno basse pretese e si accontentano di poco. A differenze di noi occidentali, che abbiamo aspettative altissime e spesso siano frustrati dall’assenza di risultati. E poi danno un’importanza maggiore alla spiritualità!.
Com’era una giornata tipo in comunità?
“Studiavo, scrivevo, consultavo i loro testi, giravo in bicicletta per vederli al lavoro nei campo, parlavo con loro. Nel week-and c’erano sempre una fiera o un evento a cui partecipare e la domenica era in gran parte occupata dalle funzioni religiose. Nella mia camera, poi, potevo usare cellulare, internet e computer”.
Come si cambia dopo un’esperienza così?
“Le mie prospettive ora sono differenti. Ho sviluppato un approccio più selettivo e critico nei confronti della modernità. Dobbiamo rivalutare il passato e imparare da chi ci ha preceduto. Per il futuro, sono aperto a nuove possibilità, anche a periodi di studio e lavoro all’estero”.
Laura Alessandrini ha una laurea in Fisica e un lavoro nel mondo della consulenza, fra Italia e Inghilterra. Nel 2005, si prende sei mesi di aspettativa e parte per l’Africa.
Perchè questa pausa?
“Erano stati anni molto intensi. Fare consulenza è un lavoro bello, ma anche stressante. Con sei mesi a disposizione, ho deciso di visitare l’africa, anche perchè negli altri continenti ero già stata. Sono partita, zaino in spalla, per un giro via terra da Città del Capo a Nairobi”.
E poi cos’è successo?
“Un colpo di fulmine per Nairobi: una città vivace, internazionale, che si evolve in fretta, piena di possibilità, in grande crescita. Qui avevo degli amici e, quasi per scherzo, mi è stato offerto un lavoro in una Ong, in cui mettere a frutto le mie competenze finanziarie. Ho accettato. Nel 2008, sono tornato a lavorare nel profit, in un’azienda turistica. Ma i lavoro era poco interessante”.
Come è nato Bush advantures?
“Con il mio socio Masai, ci siamo resi conto che in Kenya all’epoca c’erano dolo due tipi di offerte turistiche: mari e safari. Le popolazioni locali venivano ignorate o, al massimo trattate alla stregua di animale da osservare da lontano. C’erano invece la possibilità di formulare una proposta turistica innovativa e rispettosa della cultura locale. Così portiamo i nostri ospiti presso una comunità di circa 5mila Masai (proposte da 1.650 a 4.950 euro)”.
Chi sono i Masai?
“Sono una popolazione coerente e coesa, che rispetta le persone, la natura e gli animali. Fra Kenya e Tanzania sono 900mila, oggi semi-nomadi.  Qui abbiamo come base un campo tendato, semplice ma elegante. Tutti i giorni, si va nella savana per le attività: uso armi tradizionali, ricerca delle piante medicinali, tecniche di sopravvivenza, osservazione degli animali. I nostri i segnanti sono i giovani guerrieri Masai, che conoscono l’inglese”.
Questa esperienza ti cambia?
“Quasi tutti vogliono tornare. E quasi tutti, intorno al quarto-quinto giorno, si trovano a riflettere si valori del mondo occidentale. Specie chi ha lavori intensi e stressanti rivaluta la vita semplice”.
E come sta cambiando Laura?
“Io ho messo su famiglia e quindi rimarrò qui per un po’. Per il resto, non voglio fare programmi, perchè tanto poi non li rispetto.” INFO: www.bush-adventures.com
Andrea è un tipo brillante: appassionato di finanza, a 23 anni si laurea in Economia. Diventa promotore finanziario, revisore contabile e va a lavorare in banca. In pochi anni, si costruisce una bella carriere. Nel 2008 diventa istruttore di sub. E inizia a mediare di mollare tutto. Alla fine nel 2009 ho detto basta! Da un altro, c’era l’insofferenza nei confronti del lavoro: ambiente chiuso, luci al neon, mentalità ristretta. Dall’altro, la passione per i viaggi e le immersioni, il desiderio di provare una vita diversa”
Difficoltà?
“quando ho deciso, dare le dimissioni è stato il meno. La vera battaglia l’ho combattuta a casa, con i miei genitori. Loro erano molto scettici. Ma prima di licenziarmi, avevo firmato un contratto con un centro immersioni egiziano.”
E una volta in Egitto?
“Mi sono ambientato subito. È stato come passare da un mondo in grigio a uno a colori. Sole, mare, gente sorridente, un lavoro che è una passione. Lavoravo, ma mi sembravo di stare in vacanza.  Mi pagavano anche: 1.000-1.300 euro al mese, più vitto e alloggio, l’equivalente di 3.000 euro da noi. Ma io l’avrei fatto anche per molto meno! Volevo provare una vita diversa. Ogni settimana, incontriamo 100-200 persone nuove. Parlavo con loro e facevo chiarezza su me stesso. Sono rimasto in Egitto per più di un anno”.
Com’è stato il ritorno?
“Breve. Sono ripartito subito. La nuova meta questa volta è stata la Turchia, dove sono rimasto tre mesi come istruttore in un centro diving. Una volta di nuova in Italia, ho approfittato per realizzare la seconda parte del mio progetto: un libro il momento di cambiare (18 euro, su http:// ilmiolibro.kataweb.it). Lo firmo come Andre Longimanus, ispirandomi al nome di uno squalo”.
E adesso?
“l’idea è quella di ripartire a breve per l’Egitto, dove la situazione si sta via via normalizzando. I piacerebbe fare l’istruttore di sub, almeno per qualche anno. Poi potrei aprire una mia attività. L’importante è che ho trovato un’alternativa a una vita di routine scandita dalla sveglia e dall’orologio”.
Consigli a chi medita uno stacco?
“Molti mi scrivono “beato te”, ma quello che ho fatto io lo possono fare tutti. L’importante è avere le idee chiare. A tutti consiglio di partire senza remore e pensieri. Di fatto per se stessi. Comunque vada, è un esperienza vincente”.
 


Guna presenta il primo bilancio socioambientale integrato e interattivo

‘e-Report: Obiettivo Salute’
Roma, 4 dic. -(Adnkronos) – Il bilancio socioambientale è ormai superato. Si passa al rapporto integrato e interattivo. Il primo caso al mondo è quello di Guna, leader in Italia nella produzione e distribuzione di farmaci di origine naturale che ha presentato ‘e-Report’ on-line 365 giorni all’anno, il proprio Bilancio Integrato e interattivo 2011. Il volume ‘e-Report: Obiettivo Salute’, che riunisce in un unico documento il bilancio sociale e quello contabile, costituendo così un ulteriore passo avanti sulla strada della rendicontazione integrata, è una sintesi dell’impegno di Guna.
Sul piano progettuale, Guna ha approvato 26 delle 34 richieste pervenute di supporto a progetti sociali, di cui ben 20 progetti sono la prosecuzione di iniziative e partnership iniziate negli anni precedenti. E’ stata elaborata una mappa innovativa degli stakeholder che illustra la ‘coincidenza d’interessi’ tra l’azienda e i suoi pubblici. Inoltre, sono state applicate specifiche linee guida pubblicate in modo trasparente sul sito web dell’azienda per il sostegno ai progetti presentati da associazioni di promozione sociale, e da medici e associazioni scientifiche.
La particolarità sta nelle modalità di redazione del volume: il bilancio è stato infatti pubblicato on-line fin dalla prima bozza, e di fatto ‘costruito’ mediante un lavoro di rete con gli stakeholder dell’azienda, che hanno apportato direttamente le correzioni e integrazioni ritenute più opportune sui capitoli di propria competenza e trasmesso suggerimenti migliorativi sulla struttura generale del documento.
Un ulteriore passaggio verso la totale disintermediazione nell’erogazione dei dati tra l’azienda e i propri pubblici è stata la modalità di interazione denominata ‘Web-cam’: un ‘cruscotto di indicatori’ articolato in oltre 50 tabelle comparative pluriennali, che riportano nel dettaglio i dati salienti dell’attività industriale e sociale di Guna, imputati periodicamente dai vari reparti aziendali, e che hanno permesso agli utenti in qualunque momento di accedere al data-base facendosi una propria idea dell’azienda e ‘costruendosi’ il proprio bilancio integrato estrapolando i dati di interesse.
Per facilitarne una massiccia diffusione limitando l’impatto ambientale, il Bilancio è stato reso disponibile per la distribuzione in versione dvd tascabile nonchè on-line. Il fatturato 2011 di Guna ammonta a 56,6 mln di euro, pari al 4,6% di crescita sull’anno procedente, con un costante incremento del giro d’affari per il 28esimo anno consecutivo (media ultimi 9 anni: + 7,98%) e un utile di esercizio significativamente più alto che nel 2010.
«Continuiamo senza alcun dubbio o esitazione a perseguire quella che è la nostra prima azione di responsabilità sociale: produrre farmaci efficaci e senza effetti collaterali per modificare in meglio l’approccio alla salute e alla prevenzione delle malattie di tutti i cittadini. Nell’ambito di questa attività industriale, sosteniamo molti progetti, con significative ricadute sul territorio, sia in Italia che all’estero, perché siamo convinti di avere un ruolo nel tessuto sociale che vada ben al di la delle sole performance finanziarie, pure eccellenti” commenta il presidente di Guna Alessandro Pizzoccaro.


Piano per trasformare Milano-Brescia in prima autostrada elettrica d'Italia

-26,3 ton. emissioni CO2 e -20.160 euro carburante al mese
ROMA  – Un taglio di 26,3 tonnellate di emissioni di CO2 al mese e un risparmio di 20.160 euro di carburante, per un investimento totale di 3,8 milioni. E’ quanto si potrebbe ottenere trasformando l’autostrada piu’ congestionata di Italia, l’asse Milano-Brescia, nella prima autostrada elettrica d’Italia, attracerso una flotta di 72 auto elettriche, 18 parcheggi di interscambio con 144 punti di ricarica presso le uscite autostradali, 10 punti di fast charge, un’infrastruttura innovativa con pensiline fotovoltaiche da fonti rinnovabili certificate. Il progetto-pilota ZET – Zero Emission Territory – firmato da Clickutililty sara’ presentato domani a Mobility Tech, nel corso del convegno sul Car Sharing. L’investimento totale (progettazione, start up e primo anno di sperimentazione) ammonta a 3,8 milioni, di cui 1,8 milioni destinati alla flotta, 1,2 milioni per le infrastrutture di ricarica, 400 mila euro per i costi di gestione annuale. La sostenibilita’ economica del servizio e’ raggiunta con un fatturato mensile compreso tra i 600 e gli 800 euro per singola automobile.In particolare, il progetto prevede di sperimentare l’uso dei mezzi elettrici lungo l’autostrada A4, con volumi di Traffico giornaliero medio di 113.000 veicoli. Lo studio di fattibilita’ si basa sulla disponibilita’, a partire dal 2013, di incentivi all’acquisto o noleggio di auto elettriche, previsti dal Decreto Sviluppo (5.000 euro a veicolo, su un costo medio di 30.000 euro a veicolo) e propone l’adozione di 72 vetture elettriche in car-sharing in 18 aree di parcheggio dedicate, dislocate nei pressi dei caselli autostradali e in prossimita’ dei punti di interscambio con le reti metropolitane di Milano, con un’infrastruttura di ricarica con pensiline fotovoltaiche. Il piano prevede 10 punti di ricarica veloce (fast charge) da installare nelle aree di sosta gia’ esistenti nell’area. ”Il progetto ZET – dice Carlo Iacovini, Associate Senior manager di Clickutility, responsabile del progetto – vuole dimostrare che l’auto elettrica e’ una realta’ concreta anche al di fuori della citta’ per percorrenze medie come i 97 chilometri che uniscono Milano a Brescia”. Lo studio fornisce anche i dati relativi ai benefici ambientali che l’introduzione dell’infrastruttura comportera’, con il risparmio di 26,3 tonnellate di CO2 emesse in atmosfera al mese, a fronte di 168.000 Km/mese percorsi dalla flotta a regime, e partendo dal fattore di emissione medio di 157 g/km CO2, relativo al traffico in Lombardia per automobile a motore termico.Attualmente, un esempio di autostrada elettrica arriva dall’Olanda dove la Lotteria Nazionale Olandese ha finanziato con 4.450.000 euro il progetto ‘Three times greener: sustainable energy highway A15’ promosso dalle Associazione ambientaliste ‘Friends of the Earth and Nature & Environment’. L’iniziativa mira a realizzare un corridoio autostradale interamente coperto da infrastrutture di ricarica per promuovere e sperimentare l’uso di mezzi elettrici non solo in ambito urbano, ma lungo un asse di intenso traffico. La A15 si estende dai confini tedeschi fino a Rotterdam per 160 km ed e’ una delle strade maggiormente utilizzate in Olanda. Il progetto non si limita alle infrastrutture di ricarica, una parte dei fondi saranno destinati a una flotta di auto elettriche messe a disposizione in car sharing per 125 aziende distribuite sulle 5 citta’ piu’ importanti attraversate dall’autostrada. Di iniziative simili non ce ne sono molte. In America la Highway che attraversa da nord a sud la California e’ l’esempio piu’ innovativo, mentre in Inghilterra una utility energetica, in accordo con le societa’ autostradali stanno installando colonnine lungo gli assi di maggiore percorrenza.


Intervista a Silvio Magliano, Consigliere Comunale del Comune di Torino e Vice Presidente del Consiglio Comunale

Cos’è un “Disability Manager” e come mai questa figura istituita presso il Comune di Torino?
Il Disability Manager ha la qualifica di “responsabile in materia di disabilità”…
E’ una figura tecnica, da individuare all’interno dei dipendenti già in organico al Comune di Torino e opportunamente formata, che avrà il dovere di coordinare tutte le attività dell’Istituzione pubblica in materia di disabilità, verificando che ogni provvedimento sia adeguato per le necessità delle persone con esigenze particolari, occupandosi anche della formazione e della sensibilizzazione del personale. È fondamentale, come già accade in altre città, da New York ad Alessandria, che sia riconosciuta la necessità di una figura responsabile del rispetto dei diritti di cittadinanza per tutti, senza alibi e rimpalli di competenze, come troppo spesso accade nel settore pubblico: il Disability Manager non deve essere un garante delle persone con disabilità, ma un funzionario pubblico incaricato di far sì che tutti gli Uffici del Comune, nella loro attività, garantiscano i diritti e rispettino le esigenze, in particolare di autonomia e indipendenza, delle persone con disabilità, in tutti gli ambiti e in tutte le competenze della pubblica amministrazione, per evitare di dover disfare dopo ciò che non si è fatto con la dovuta attenzione subito. Sono molto contento che, dopo soltanto un anno di mandato, sia stato possibile istituire una funzione richiesta dalle Associazioni da almeno cinque anni e auspico che anche nelle aziende partecipate dal Comune di Torino sia possibile introdurre una figura di questo genere. L’attenzione che la Città è in grado di dare a coloro che vivono una condizione di difficoltà non è soltanto un’opportunità dal punto di vista umano, ma un’azione doverosa dal punto di vista amministrativo. Rispondere ai bisogni delle persone nel migliore modo possibile è il compito primario del Comune: la nostra città è sempre stata all’avanguardia nei servizi di Welfare, ma è ancora carente sotto alcuni punti di vista, anche cruciali, come certi edifici pubblici o numerosi esercizi commerciali.
Quali sono esattamente le criticità che questa figura dovrebbe andare a risolvere?
In materia di servizi alle persone con disabilità, di erogazione di prestazioni inclusive, di emanazione di regolamenti e disposizioni non è possibile pretendere da tutti gli uffici comunali la conoscenza delle specifiche esigenze delle persone in difficoltà, elemento però imprescindibile per evitare di disfare ciò che non si è fatto in modo adeguato. E’ doloroso, ma frequente, purtroppo, constatare come il puro rispetto delle norme non sia sufficiente a garantire l’accessibilità in autonomia e indipendenza alle persone con disabilità, se disgiunto da una specifica competenza. Il ruolo del Disability Manager è, quindi, quello di verificare il lavoro della macchina comunale, suggerendo e facendo applicare gli accorgimenti necessari.
Avrà solo il potere di dare “consigli” alla Pubblica Amministrazione o potrà contare su un concreto potere di indirizzo?
La mozione approvata prevede che il Disability Manager sia un dirigente del Comune di Torino, con tutte le prerogative del ruolo. Non si tratta quindi di un ruolo puramente consultivo.
Con quali criteri verrà selezionata la figura?
I criteri di selezione spettano alla Giunta, in quanto la mozione ha potere di indirizzo e deve trovare riscontro entro 180 giorni, ma con modalità che sono esclusiva prerogativa dell’Amministrazione Comunale. Auspico che sia una persona che conosce i meccanismi della struttura comunale, che abbia esperienza e sensibilità e che venga opportunamente formata: esiste, per esempio, un corso di perfezionamento per Disability Manager realizzato dall’Università Cattolica di Milano.
Siete a conoscenza di esperienze simili anche nel settore privato/aziendale, e sarebbero auspicabili?
Il Disability Manager è stato già introdotto a Parma, città che ha promosso il Libro Bianco dell’Accessibilità e della Mobilità Urbana, testo realizzato da tecnici e da rappresentanti delle Associazioni, nel quale la figura del Disability Manager è stata definita compiutamente. A Parma sono seguite Perugia, Alessandria e Pescara. Per quanto riguarda le aziende private, GTT ha creato un responsabile dei servizi per i clienti con disabilità che, pur non avendo la qualifica di Disability Manager, sostanzialmente ne incarna le funzioni.


Crisi. La responsabilità sociale come antidoto: i manager ci credono

Migliora anche la relazione tra Aziende e ONG. I dati del “CSR Italian Summit 2012”
L’adozione di politiche di Responsabilità sociale e di attenzione allo sviluppo sostenibile è un “antidoto” per superare la crisi e rilanciare la competitività delle imprese: lo pensa il 79% dei top manager intervistati nell’ambito della survey “Il sostenibile peso della RSI” (in allegato), presentata a Milano nel corso del “CSR Italian Summit 2012”, organizzato da Business International e AMREF Italia.
Un rapporto che rivela una situazione fatta di luci ed ombre. Secondo quanto emerge dalla survey, i manager percepiscono la gravità dell’attuale contesto economico-finanziario anche come una nuova opportunità per ripensare le priorità e le modalità dello sviluppo economico e sociale.  La risposta incentrata sull’adozione di politiche di CSR come principale fattore di innovazione è seguita, con un ampio margine, dall’innovazione di prodotto (49%) e  dagli investimenti in tecnologie (44%).
Tuttavia l’impatto della recessione sulle politiche sociali emerge con chiarezza analizzando le scelte di investimento di chi è già socialmente responsabile: solo il 47% dichiara di mantenere costanti i livelli di investimento effettuati, mentre spicca il dato complessivo (43%) relativo alle volontà di ridefinire i progetti intrapresi, diminuire gli investimenti e ridurre la collaborazione con partner specializzati.
Sembra comunque chiara la consapevolezza che il dimostrare di essere un “corporate citizen”, responsabile nei confronti di consumatori, dipendenti e della comunità locale può contribuire considerevolmente a riconquistare, con la cultura della buona condotta, la fiducia della società, minata dalla considerazione, in ampi strati dell’opinione pubblica, che il “business is business” sia in parte causa dell’attuale situazione di crisi.
Dalla ricerca si evince un miglioramento nella considerazione della partnership tra aziende e ONG per la realizzazione di cause sociali. Le aziende cercano visibilità e affidabilità e si rivolgono a organizzazioni che dimostrano un certo livello di managerializzazione e di continuità, con un ambito operativo ben definito e una rendicontazione chiara dei risultati: è anche una questione di linguaggio comune.
Questo elemento risulta evidente nella domanda relativa ai criteri per la scelta del partner: il 41% del campione dichiara di averlo selezionato sulla base della mission e degli elementi qualificanti la sua attività. Il dato rileva un’inversione di tendenza rispetto allo scorso anno, quando la ricerca rilevò che la selezione della ONG una volta su due avveniva attraverso un meccanismo di conoscenza diretta e personale.
Nel complesso, anche se su questo fronte l’Italia registra un ritardo rispetto all’estero, denotando un certo grado di scetticismo e diffidenza da parte delle aziende, il non semplice dialogo tra organizzazioni non governative e imprese è sempre più diffuso.


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