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Asserzioni etiche e di sostenibilità delle aziende e “fake ESG”: la ricerca presentata al Senato della Repubblica

Asserzioni etiche e di sostenibilità delle aziende e “fake ESG”: la ricerca presentata al Senato della Repubblica

Si è svolto nell’Aula Convegni del Senato della Repubblica (se in diretta streaming sulla webtv del Senato), l’evento di presentazione della ricerca, in vista della prossima approvazione del Regolamento UE sui provider ESG.

All’evento, organizzato e introdotto dalla Sen. Dolores Bevilacqua, vicepresidente della IV Commissione (Politiche Europee) del Senato, ha ricevuto i saluti del Presidente di Commissione Sen. Giulio Terzi di Sant’Agata e dell’On. Tiziana Beghin, l’eurodeputata che ha commissionato la ricerca.

La Dott.ssa Giorgia Grandoni (Reputation Management Srl), che ha coordinato la ricerca e il Prof. Luca Poma (cattedra di Reputation Management all’Università LUMSA di Roma), referente scientifico della medesima, ne hanno presentato e commentato gli higlights.

Per concludere, una tavola rotonda con interventi del Prof Stefano Zambon (UniFerrara e OIBR – Organismo Italiano di Business Reporting), Filippo Nani (Presidente nazionale FERPI), Barbara Cimmino (Yamamay) e Roberto Scrivo (Engineering Spa).

Moderatore dell’evento, il giornalista Luca Yuri Toselli


Il video integrale dell’evento:


Il testo integrale della ricerca, in lingua italiana, è disponibile a questo link

La ricerca è anche disponibile in lingua inglese a quest link

Si possono anche consultare le slides usate per presentare i dati salienti della ricerca




Tesi di laurea: Blockchain, Big Data e Algoritmi: come possono contribuire a una solida reputazione aziendale

Corso di Laurea in Comunicazione e Digital Media

Anno Accademico 2022/2023

Introduzione

Al giorno d’oggi, la blockchain è spesso associata alle diverse criptovalute, come ad esempio i bitcoin, che hanno guadagnato sempre più popolarità negli ultimi anni. Tuttavia, la blockchain va oltre questo ambito. Essa rappresenta un database che registra informazioni, principalmente transazioni commerciali come la vendita di bitcoin.

Questa tesi si propone di analizzare come un adeguato sistema basato sulla blockchain possa essere il punto di svolta per la costruzione di una solida reputazione aziendale. Inoltre, considerando l’importanza dei Big Data, ogni impresa è chiamata a prestare particolare attenzione a tali dati, che non devono né possono essere soggetti a smarrimento, corruzione o manomissione.

Il concetto di Big Data si riferisce a un’enorme quantità di dati e informazioni detenuti da aziende e enti pubblici o privati. L’utilizzo di tali informazioni è costantemente oggetto di attenzione, poiché una gestione inadeguata può violare importanti leggi sulla privacy e provocare gravi danni alla reputazione aziendale.

Si intende dimostrare l’esistenza di una stretta connessione tra Big Data e blockchain, e come questa connessione, unita a una gestione corretta di entrambi, possa generare un alto livello di fiducia e approvazione da parte dei consumatori. Tuttavia, non mancano gli abusi di questi strumenti, che spesso portano a comportamenti eticamente discutibili da parte di alcune società. Pertanto, sarà analizzato come molte aziende di grande rilievo abbiano utilizzato in modo improprio la blockchain e i Big Data per operazioni di greenwashing.

L’obiettivo principale di questa tesi è dimostrare come tali comportamenti possano essere limitati mediante adeguati sistemi di gestione dei dati e soggetti alle regolamentazioni proprie della blockchain, la quale ha il potenziale di creare nuovi sistemi di rendicontazione integrata più sicuri.

Il Testo integrale della Tesi (38 pagine, in lingua italiana, formato .doc) è disponibile a questo link




Gli influencer dilagano, a seguirli sono 27 milioni di italiani adulti

Gli influencer dilagano, a seguirli sono 27 milioni di italiani adulti

Oltre 27 milioni di italiani adulti (18-74 anni) seguono almeno un influencer o i canali social di un brand editoriale (+17% rispetto al 2021), il dato corrisponde al 71% degli utenti attivi sui social network a conferma dell’importanza sempre più rilevante di queste figure nella vita quotidiana delle persone e del ruolo fondamentale che questi ultimi assumono nei processi d’acquisto.

Inoltre, il 57% degli italiani, sul campione analizzato della popolazione tra i 18 e i 54 anni, segue tutti i giorni un macro influencer o i canali social di un brand editoriale (+20 punti percentuali in due anni), l’8% una volta a settimana e soltanto il 5% ha dichiarato raramente.

La categoria “macro influencer” include persone e brand editoriali con almeno 100mila follower riconosciuti come autorevoli dalle proprie community in sei campi specifici: lifestyle, beauty, fashion, entertainment, food e wellness.
Questi sono alcuni dei dati emersi dalla nuova ricerca “Italiani & Influencer” realizzata da BVA Doxa in collaborazione con Mondadori Media e Buzzoole, con l’obiettivo di indagare a fondo le opinioni degli italiani nei confronti di una categoria sempre più presente nella quotidianità delle persone e fortemente impattante dal punto di vista dei processi di acquisto e dei consumi. 

Ma chi sono i primi 5 macro-influencer per notorietà in Italia?

Ma chi sono i primi 5 macro-influencer per notorietà in Italia? In testa alla classifica rimane Chiara Ferragni (citata dall’86% del campione), seguita da Giallozafferano (72%) e Benedetta Rossi (72%). Al quarto posto c’è ClioMakeUp (62%) e al quinto Aurora Ramazzotti (60%). Molto interessante, e in discontinuità con altri media, è il dato relativo alle tematiche più seguite sui social: al primo posto, infatti, la ricerca rileva il food a pari merito con l’entertainment, con il 58%. Non stupisce, quindi, che tra i Top Five ci siano due food media brand. Anche nell’indagine di quest’anno si riconferma l’importanza degli influencer come veri e propri tutor nei processi di acquisto: il 46% degli intervistati ha fatto almeno un acquisto suggerito da un influencer e l’83% ne tiene in considerazione i consigli. Esaminando le intenzioni di acquisto nei singoli ambiti, al primo posto delle preferenze degli italiani si collocano i profili di Giallozafferano (83%) in ambito food&beverage, Mypersonaltrainer (81%) nell’area wellness e ClioMakeUp (88%) nel mondo beauty.
Andrea Santagata, Amministratore Delegato di Mondadori Media commenta: “I social oggi sono sempre più il punto di riferimento degli italiani sui loro principali interessi e passioni con volumi tipici della TV a cui si aggiunge la capacità di ingaggiare le audience”.
Per la prima volta in assoluto nello scenario italiano è emerso, in aggiunta, che ci sono oltre 3 milioni di italiani che seguono almeno un virtual influencer, in particolare dal target Gen Z e Millennials. Nello specifico: il 28% è composto dalla fascia d’età 18-24 anni, il 34% dalla fascia 25-34, il 24% dalla fascia 35-44 e infine il 14% dalla fascia 45-54. Chi conosce e segue i virtual influencer lo fa in modo costante ogni giorno (come se fossero influencer reali). Il 57% degli intervistati, infatti, li segue ogni giorno, il 28% ogni 2-3 giorni, il 7% più o meno una volta a settimana, il 4% ogni 10-15 giorni e soltanto il 5% non ha una frequenza abituale. “La presenza degli influencer nella quotidianità delle persone – aggiunge Gianluca Perrelli, CEO di Buzzoole – è oramai consolidata. In questi ultimi anni, infatti, abbiamo assistito alla loro evoluzione, grazie anche alla loro capacità di creare sempre più empatia ed affinità con le proprie community, stabilendo un rapporto fiduciario con le persone. Dall’analisi, inoltre, sono emerse due tendenze interessanti. La prima è la straordinaria crescita di TikTok con il 25%, confermandosi un canale sempre più strategico. L’altra è quella dei virtual influencer, i quali stanno ricoprendo un ruolo sempre più rilevante al pari degli influencer reali, oltre a raggiungere maggiormente il target Gen Z e Millenials. 




La rilevanza del concetto di reputazione nel nuovo Codice degli Appalti

La rilevanza del concetto di reputazione nel nuovo Codice degli Appalti

Il Legislatore conferma anche nel nuovo Codice dei Contratti Pubblici D.lgs. 36/2023 (il “Codice”) l’approdo ormai irreversibile ad una qualificazione e selezione dei contraenti da un sistema di tipo “ statico ” basato, esclusivamente, sulla valutazione di requisiti formali degli operatori economici verso un sistema di tipo  dinamico ”, che sposta l’attenzione sui requisiti sostanziali, di tipo reputazionale.

Del resto, tutto il Titolo I dedicato ai “Principi generali”, seppure indirettamente, rappresenta un elemento fondante la rilevanza del concetto di reputazione nel mercato dei lavori, servizi e forniture pubbliche.

In particolare il principio di  risultato ” (art. 1) e della “ fiducia ” (art. 2) segnano una sorta di transizione dalla concorrenza assoluta alla concorrenza regolata restituendo il primato alla “decisione amministrativa”, che costituirà e costituisce l’approdo della discrezionalità amministrativa della P.a. all’esercizio efficace di una delicata azione di bilanciamento (balancing) orientata sulla specialità infungibile del caso concreto.

Ecco che l’art. 109 del Codice riprende, innovandola, l’originaria disposizione in tema di rating d’impresa, contenuta nel comma 10 dell’art. 83 del d.lgs. 50/2016 (Vecchio Codice).

Il legislatore, dunque, ha deciso di dedicare una norma solo ed esclusivamente al tema della reputazione dell’impresa, sganciandola dalle disposizioni inerenti agli specifici criteri di selezione e aggiudicazione e al soccorso istruttorio (art. 83 d.lgs. 50/2016).

Le previsioni già contenute nel precedente comma 10 dell’art. 83 d.lgs. 50/2016 sono state, nella sostanza, sinteticamente ribadite dal nuovo art. 109, il quale, però, innova la disciplina della reputazione dell’impresa in termini di semplificazione e informatizzazione del sistema di monitoraggio delle prestazioni istituito presso l’ANAC.

Facendo un piccolo passo indietro, sia la disposizione previgente che quella attualmente in vigore prevedono l’istituzione presso l’ANAC del sistema del Rating di impresa e delle relative penalità e premialità, da applicarsi ai fini della qualificazione delle imprese. L’art. 109, in particolare, conferma l’attribuzione all’ANAC della disciplina e della gestione del sistema di Rating dell’impresa collegandolo al fascicolo informatico dell’operatore economico, introdotto dagli artt. 22 e ss. del nuovo codice dei contratti pubblici.

Nel dettaglio, il comma 1 dell’art. 109 prevede l’istituzione di un sistema digitale di monitoraggio delle prestazioni degli esecutori dei contratti pubblici. Il suddetto sistema è connesso a requisiti reputazionali valutati sulla base di indici qualitativi e quantitativi, oggettivi e misurabili, nonché sulla base di accertamenti definitivi che esprimono l’affidabilità dell’impresa in fase di esecuzione del contratto, il rispetto della legalità e l’impegno sul piano sociale: tutti requisiti, oltre a quelli di selezione, necessari ai fini dell’aggiudicazione della gara.

Il Codice, infatti, dedica per la prima volta un’intera sezione (Sezione III; artt. 19-36) alla digitalizzazione dell’intero ciclo di vita dei contratti pubblici, che si articola in programmazione, progettazione, pubblicazione, affidamento ed esecuzione, richiamando i principi sanciti dal codice dell’amministrazione digitale (decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82). La scelta del legislatore di introdurre nel nuovo codice un’intera sezione dedicata alla digitalizzazione risponde all’esigenza di accelerare e semplificare le procedure attraverso tecniche di interoperabilità e interconnettività, garantendo i principi di neutralità tecnologica, trasparenza e la protezione dei dati personali e di sicurezza informatica.

Come anticipato, l’art. 22 e ss. del Codice disciplina l’ecosistema nazionale di approvvigionamento digitale, il c.d. “e-procurement ”, composto da piattaforme telematiche certificate, che assicurano l’interoperabilità dei servizi svolti e la confluenza delle informazioni sulla Banca dati nazionale dei contratti pubblici dell’ANAC.
Tutte le gare, dunque, devono necessariamente svolgersi attraverso le piattaforme abilitate.

Nell’ambito di tale sistema, divengono centrali il Fascicolo Virtuale dell’Operatore Economico, già reso operativo dall’ANAC, e l’Anagrafe dell’Operatore Economico.

Il Fascicolo virtuale, in particolare, è utilizzato per accertare in capo agli operatori economici l’assenza delle cause di esclusione di cui agli articoli 94 e 95 e dei requisiti di cui all’articolo 103 per i soggetti esecutori di lavori pubblici. I dati e i documenti contenuti nel fascicolo virtuale sono aggiornati automaticamente mediante interoperabilità e sono utilizzati in tutte le procedure di affidamento cui l’operatore partecipa.

All’interno del suddetto fascicolo virtuale dell’operatore economico sono raccolti anche i dati relativi alla reputazione dell’impresa che partecipa alla gara.

Tornando all’art. 109, l’esigenza di utilizzare anche criteri reputazionali ai fini dell’aggiudicazione nasce dalla percezione di inadeguatezza del previgente sistema di qualificazione a garantire l’affidabilità dell’operatore economico e assicurare la qualità della prestazione finale, specialmente rispetto al fenomeno dilagante della corruzione. Proprio allo scopo di arginare il fenomeno della corruzione nell’ambito degli appalti pubblici, il legislatore ha avvertito l’urgenza di imporre alle Amministrazioni pubbliche l’adozione di adeguati meccanismi di prevenzione e, allo stesso tempo, di richiedere ai soggetti privati, che vengono in contatto con la pubblica amministrazione e che sono destinatari di risorse pubbliche, maggiori garanzie di legalità ( Rating di Legalità introdotto dal d.l. n.1/2012 e i protocolli di legalità previsti dalla legge 190/2012 nonché i protocolli di legalità richiesti dalla legislazione antimafia vigente D.lgs. n. 159/2011 e smi).

Al comma 2 dell’art. 109, invece, il legislatore ha attribuito all’ANAC anche il compito di definire gli elementi di monitoraggio, le modalità di raccolta dei dati e il meccanismo di applicazione del sistema, al fine di incentivare gli operatori al rispetto dei principi del risultato (di cui all’art. 1 del nuovo codice), buona fede e affidamento (di cui all’art. 5 del nuovo codice).

Al comma 3, da ultimo, il legislatore ha espressamente previsto che alla stessa disposizione deve essere data attuazione entro 18 mesi dalla data di entrata in vigore del Codice, anche tenendo conto dei risultati ottenuti nel periodo iniziale di sperimentazione.

Detto questo, il c.d. rating d’impresa è da applicarsi ai fini della qualificazione delle imprese, pertanto deve ricollegarsi all’attuale art. 100 del nuovo codice dei contratti pubblici, il quale individua i requisiti di ordine speciale, ossia idoneità professionale, capacità economica e finanziaria e capacità tecniche e professionali .

La qualificazione, quindi, deve essere intesa in senso ampio come valutazione della capacità delle imprese di poter accedere alla gara.

Nel documento redatto dall’ANAC, relativo alle Linee Guida attuative del codice degli appalti di cui al d.lgs. 50/2016, proprio in ordine ai criteri reputazionali per la qualificazione delle imprese (si veda pag.3), si precisa che i requisiti reputazionali considerati ai fini dell’attribuzione del Rating d’impresa consistono in elementi positivi (come ad es. il Rating di Legalità e gli adempimenti ex lege n. 231/2001) ovvero negativi (sanzioni, illeciti, inadempimenti contrattuali, ecc.), espressi, nel primo caso, da un valore numerico di segno positivo e, nel secondo caso, da un valore numerico di segno negativo.

Il suddetto meccanismo incentiva l’impresa ad adottare misure virtuose quali, ad esempio, quelle di cui al decreto legislativo n. 231/2001 ovvero il Rating di Legalità, in considerazione degli effetti premiali che ne derivano. L’obiettivo è la creazione di un sistema che in modo equo e trasparente premia le imprese che risultano maggiormente affidabili per il committente pubblico.

Sempre nelle citate Linee Guida si deduce che il sistema del Rating di impresa è costruito dal legislatore come obbligatorio e non opzionale, come è, invece, quello di legalità. Tuttavia, dal momento che ai sensi del previgente art. 83, comma 10, il Rating di impresa tiene conto anche di quello di legalità, vi è un incentivo per le singole imprese a richiedere anche quest’ultimo al fine di incrementare il proprio livello reputazionale.

Come già anticipato, il sistema di premialità e penalità richiamato e innovato dall’art. 109 del nuovo codice dei contratti pubblici è connesso a requisiti reputazionali valutati sulla base di indici qualitativi e quantitativi, oggettivi e misurabili, nonché sulla base di accertamenti definitivi che esprimono l’affidabilità dell’impresa in fase di esecuzione del contratto, il rispetto della legalità e l’impegno sul piano sociale. La ratio della norma è quella di evitare che il sistema reputazionale possa essere influenzato da valutazioni discrezionali delle stazioni appaltanti, che sono tenute ad inviare una parte consistente dei dati su cui il sistema è basato, con il rischio di generare contenzioso e di provocare alterazioni dovute a fenomeni di collusione tra operatori economici e stazioni appaltanti.

Tra questi vengono indicati, a titolo di esempio:
1. indici espressivi della capacità strutturale dell’impresa;
2. il rispetto dei tempi e dei costi previsti per l’esecuzione;
3. l’incidenza del contenzioso sia in sede di partecipazione alle gare che di esecuzione dei contratti;
4. il Rating di Legalità rilevato dall’ANAC in collaborazione con l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato;
5. la regolarità contributiva;
6. la presenza di misure sanzionatorie amministrative per i casi di omessa o tardiva denuncia obbligatoria delle richieste estorsive e corruttive da parte delle imprese titolari di contratti pubblici, comprese le imprese subappaltatrici e le imprese fornitrici di materiali, opere e servizi.

Gli ulteriori requisiti reputazionali che possono essere considerati al fine di valutare l’affidabilità di una impresa afferiscono al comportamento assunto dalla stessa in sede di esecuzione del contratto, ossia gli inadempimenti delle obbligazioni contrattuali che hanno determinato l’erogazione di penali, l’escussione di cauzioni o fideiussioni o la risoluzione del contratto.

Inoltre, tra gli indici quali-quantitativi favorevoli in ordine al giudizio reputazionale di una impresa dovranno rientrare, le certificazioni di qualità specifiche quali UNI ISO 9001, 45001, 14001, (qualità, ambiente e sicurezza) – ISO 37001 (anticorruzione), ISO 27001 (Sicurezza dei dati), ISO 30415 (Gestione delle risorse umane – Diversità e Inclusione), PdR 125 (Parità di genere) ecc.

Non vi è chi non veda l’importanza dell’inserimento tra gli indici di valutazione espressivi della capacità strutturale dell’impresa le certificazioni rilasciate da Enti terzi e riconosciuti dal Legislatore quali enti di certificazione di standard organizzativi di impresa sia rispetto all’organizzazione tout court sia rispetto a settori specifici quali la sicurezza sui luoghi di lavoro, l’ambiente, la parità di genere, la prevenzione della corruzione ecc.

Orbene, i 18 mesi di sperimentazione concessi dal legislatore all’Anac consentiranno a quest’ultima di affinare un metodo di valutazione obiettivo agevolato dalla gestione digitale delle informazioni, che costituisce un valore aggiunto anche sotto il profilo della registrazione tempestiva delle revisioni riguardanti i singoli operatori economici valutati.

L’Anac dovrà, quindi, pervenire ad un metro di valutazione degli assetti organizzativi e della capacità strutturale (saranno individuati indicatori della capacità dell’impresa), del rispetto dei tempi e dei costi (saranno valutati i comportamenti in fase di esecuzione), dell’incidenza del contenzioso (sarà considerato il contenzioso con esito negativo), della presenza del rating di legalità, del Modello Organizzativo 231, della regolarità contributiva e contrattuale, delle sanzioni per omessa denuncia di richieste estorsive e contributive.

Accanto a questi dovranno essere valutati tutti i comportamenti tenuti in fase di esecuzione, potenzialmente idonei a configurare una causa di esclusione dall’appalto.

Per ognuno di questi elementi sarà determinato il valore massimo di premialità e penalizzazione, graduando poi la penalizzazione stessa sulla base di una serie di fattori. Ad ogni indice, poi, dovrà essere attribuita una valenza temporale.

Verificheremo se l’Anac riproporrà l’algoritmo di calcolo del Vecchio Codice, ovvero quel sistema di punteggi nel quale far confluire come risultato finale il rating di impresa.

La soluzione sin qui praticata in prima battuta è caduta su un “ unico punteggio finale ”, capace di sintetizzare in un dato numerico tutte le informazioni che lo compongono e, più nello specifico, il meccanismo della somma ponderata dei vari elementi che rientrano tra i requisiti reputazionali. Ogni impresa viene, pertanto, sottoposta obbligatoriamente a una valutazione e ottiene un punteggio pari a un massimo di cento.

Nel corso della vita dell’operatore economico, poi, questo rating può crescere o diminuire, in relazione a una serie di parametri.

Si tratta di un meccanismo che richiama la c.d.“patente a punti” , che oltre al monitoraggio continuo favorito dalla digitalizzazione, consente alla P.a. di esercitare il c.d. balancing nell’affidamento dei contratti pubblici sul presupposto di operare con potenziali contraenti aventi una adeguata reputazione.

La reputazione, sul mercato dei contratti pubblici, sembra, pertanto, destinata ad assumere un ruolo sempre più centrale, oltretutto, orientandolo conformemente al disposto dell’art. 41 della Costituzione a valorizzare la dimensione sociale delle imprese, chiamate a tale scopo a garantire assetti organizzativi e standard minimi di qualità nell’ottica di impedire e/o limitare fenomeni corruttivi, di violazione dei diritti umani, di uso inappropriato delle risorse e di danneggiamento del paesaggio e dell’ambiente e di garantire per quanto possibile di conseguire il miglior risultato possibile nel rispetto di tempi e condizioni economiche contrattuali.




Nuovo Regolamento sui Rating ESG: il ruolo dell’Unione Europea nella lotta al greenwashing

Nuovo Regolamento sui Rating ESG: il ruolo dell’Unione Europea nella lotta al greenwashing

Lo scenario finanziario ed industriale europeo sta subendo rapidi cambiamenti, in particolare in relazione alla sostenibilità, all’inclusività e alla trasparenza della governance delle aziende: i rating ESG sono ormai indispensabili per partecipare a bandi, appalti od anche solo beauty contest, ma il mercato appare come una giungla, e nella maggior parte dei casi le cosiddette “certificazioni ESG” altro non sono che banali validazioni di auto-dichiarazioni delle aziende stesse, spesso risultanti dalla compilazione di checklist online sulle quali non viene effettuato alcun controllo di autenticità, come illustrato in una recente ricerca presentata proprio al Parlamento Europeo. Per questo motivo, l’UE ha messo a punto una nuova proposta di regolamento sulla trasparenza e sull’attività dei fornitori di rating ESG, cercando di individuare come potrebbero influenzare la stabilità finanziaria e l’unione dei mercati dei capitali in Europa.

Contesto della proposta

La proposta, licenziata dalla Commissione e prossima ad essere discussa in Parlamento, è intitolata “Regolamento sulla trasparenza e sull’attività dei fornitori di rating ESG”, e mira a disciplinare e potenziare il funzionamento dei fornitori di rating in relazione ai criteri ambientali, sociali e di governance.

Il focus dello strumento legislativo è concentrato sul garantire – attraverso dichiarazioni ESG credibili, autentiche e rilasciate da enti e agenzie autorizzate – stabilità dei servizi finanziari e dell’unione dei mercati dei capitali. La sua introduzione rappresenta una nuova iniziativa nel panorama regolamentare europeo e ha un obiettivo ampio e ambizioso: facilitare una transizione verso un sistema economico e finanziario che sia davvero sostenibile e inclusivo, in linea con il Green Deal europeo e gli obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite.

L’importanza di questa iniziativa risiede nella sua capacità di rafforzare la competenza degli investitori riguardo alla sostenibilità degli investimenti, agevolando nel contempo le imprese nel declinare correttamente le loro performance ESG.

Il testo completo del Regolamento

clicca per scaricare il file .pdf, completo di premesse, articolato e allegati

Problematiche da risolvere e obiettivi da raggiungere

Il regolamento mira a intervenire su due problematiche principali:

a) chiarezza degli ESG Ratings. È essenziale che gli stakeholder comprendano pienamente le caratteristiche dei rating ESG, cosa essi rappresentano, quali obiettivi perseguono, quali sono le metodologie adottate e le fonti di dati o stime su cui essi si basano;

b) attività e integrità dei fornitori di rating ESG: vi è la necessità di una maggiore chiarezza sulle operazioni dei fornitori di rating ESG, ed è fondamentale garantire che siano messe in atto misure per prevenire e mitigare i rischi di conflitti di interesse all’interno di queste organizzazioni.

I principali obiettivi da raggiungere parrebbero essere i seguenti:

  • definizione della quantità/qualità di rating ESG disponibili al pubblico;
  • presenza di rischi finanziari e/o obiettivi di impatto nei rating ESG;
  • livello di informazione fornito online dai fornitori di rating ESG, incluso l’eventuale rilascio di documenti o opuscoli;
  • variazione dei punteggi ESG tra diverse agenzie di rating, e relativa omogeneità;
  • crescita della correlazione tra rating ESG con finalità simili;
  • aumento dell’uso dei rating ESG tra utenti ed emittenti;
  • monitoraggio del volume e quota di mercato degli investimenti ESG basati sui rating ESG;
  • incidenza delle controversie legate ai rating ESG.

Risultati attesi

La proposta di regolamento potrebbe portare a una serie di impatti significativi, tra i quali:

a) benefici per gli utenti e le imprese, in quanto gli utenti dei rating ESG e le aziende valutate trarranno vantaggio da una maggiore trasparenza nelle caratteristiche e nelle operazioni dei fornitori di rating;

b) contribuzione agli obiettivi strategici dell’UE, la proposta rafforza infatti gli obiettivi del Green Deal europeo e della strategia dell’UE per la finanza sostenibile;

c) implicazioni economiche, perchè i fornitori di rating ESG saranno sottoposti a nuovi obblighi di informativa e a requisiti operativi, con i relativi costi, e questo potrebbe comportare un cambiamento nella struttura dei costi per questi fornitori;

d) impatto sulle Autorità Pubbliche, come ad esempio l’ESMA, European Securities and Markets Authority, che avrà un ruolo di vigilanza rafforzato sui fornitori di rating ESG.

Il valore aggiunto di un intervento a livello europeo

Non esistendo un quadro normativo specifico a livello europeo per i rating ESG, gli Stati membri, attualmente, operano indipendentemente l’uno dall’altro, generando eccessiva eterogeneità, possibili conflitti e una protezione ineguale degli investitori nei diversi Stati membri. Tuttavia, per garantire la chiarezza e l’affidabilità dei rating ESG e supportare la transizione verso un sistema sostenibile in linea con gli obiettivi del Green Deal e delle Nazioni Unite, pare ormai non più rinviabile e quanto mai essenziale un intervento coordinato a livello europeo.

Il valore di un simile intervento risiede nell’offrire coerenza per un quadro normativo omogeneo che faciliterebbe la comparabilità tra i rating, evitando l’emergere di norme diverse a livello nazionale, e garantendo attraverso un approccio uniforme su tutto il territorio europeo la riduzione delle incertezze per gli operatori del mercato. L’UE, inoltre, potrebbe interagire con partner internazionali avendo un approccio consolidato in materia di investimenti sostenibili, colmando evidenti lacune e garantendo auspicabilmente un futuro più sostenibile e inclusivo per l’intera Unione Europea.

Criticita e proposte di emendamenti sul Regolamento dei fornitori di Rating ESG

Vi sono tuttavia nella proposta di Regolamento, perlomeno per come si presenta la bozza attualmente, alcune lacune e aree di potenziale ambiguità, con particolare attenzione ai meccanismi di trasparenza, ai possibili conflitti d’interesse e alla capacità di vigilanza dell’ESMA. In risposta a ciascun articolo analizzato, sono proposte raccomandazioni e emendamenti, allo scopo di migliorare la chiarezza e l’efficacia del regolamento, garantendo al contempo la trasparenza e l’equità nell’assegnazione dei rating ESG.

Il fornitore di rating ESG autorizzato rispetta in ogni momento le condizioni di ottenimento dell’autorizzazione iniziale.

Mentre nel documento si prevedono ispezioni da parte dell’ESMA solo in caso di violazioni, non sembra esserci alcuna menzione di verifiche a campione in itinere. La supervisione e il monitoraggio delle attività di tali fornitori di rating ESG non dovrebbero limitarsi solo a situazioni di violazione manifesta. Sarebbe opportuno, quindi, integrare il testo con una disposizione che preveda esplicitamente la possibilità per l’ESMA di effettuare verifiche di conformità in itinere. Questo non solo garantirebbe una maggiore trasparenza e accountability da parte dei fornitori di rating ESG, ma rafforzerebbe anche la fiducia degli stakeholder nel sistema di sorveglianza.

L’ESMA revoca o sospende l’autorizzazione di un fornitore di rating ESG in uno qualsiasi dei casi seguenti: il fornitore di rating ESG non soddisfa più le condizioni in base alle quali è stato autorizzato.

Alla luce di quanto esposto nell’articolo, emerge una questione fondamentale: chi avrà il compito di verificare l’eventuale cessazione delle condizioni in base alle quali è stata rilasciata l’autorizzazione ad operare sul mercato? La revoca o la sospensione dell’autorizzazione rappresenta una misura drastica e, pertanto, dovrebbe essere chiaramente definito chi, come e quando ha la possibilità di effettuare tali verifiche per assicurare che le decisioni siano prese in maniera trasparente e imparziale. Sarebbe utile integrare il testo specificando l’entità/organo responsabile della verifica delle condizioni di autorizzazione. Questa specifica potrebbe aiutare a garantire che le procedure di controllo siano chiare e trasparenti, prevenendo potenziali conflitti di interesse o decisioni arbitrarie.

Il fornitore di rating ESG situato nell’Unione fornisce all’ESMA, su richiesta di quest’ultima, tutte le informazioni necessarie per consentire all’ESMA di vigilare su base continuativa sul rispetto del presente regolamento da parte del fornitore di rating ESG di un paese terzo.

Come espresso nell’articolo, vi è una presunzione di buona fede nei confronti del fornitore di rating ESG di un paese terzo. Tuttavia, senza ispezioni in loco, verifiche e altri meccanismi di controllo (specialmente considerando che si tratta di provider situati in paesi extra-UE), non vi è alcuna certezza che i requisiti previsti dal regolamento siano mantenuti nel tempo. La mera richiesta di informazioni all’ESMA potrebbe non essere sufficiente a garantire il rispetto delle normative. Una possibile soluzione potrebbe essere l’ampliamento delle misure di controllo previste per i fornitori di rating ESG situati in paesi terzi, includendo esplicitamente la possibilità di effettuare ispezioni in loco e altre verifiche. Questo rafforzerebbe la fiducia nel sistema e garantirebbe che tali fornitori rispettino continuamente le norme stabilite dall’Unione Europea.

Si stabilisce che il Registro dei fornitori di rating ESG renderà noto l’elenco dei providers.

Anche se il Registro rende pubblico l’elenco dei providers di rating ESG, non risulta, in tutto l’articolato, un meccanismo di pubblicazione e trasparente pubblicità dei rating rilasciati alle aziende dalle agenzie iscritte al Registro. Questa carenza di trasparenza, o meglio, l’assenza di un “database” dove sia possibile verificare facilmente quale rating è stato attribuito a quale azienda, rende particolarmente complessa l’analisi e la comparazione, ostacolo che tocca gli interessi non solo dei ricercatori ma anche dei cittadini, che potrebbero essere interessati ad accedere a tale informazione. Integrare il testo prevedendo la creazione di un database accessibile, potrebbe essere utile per consultare e confrontare i rating assegnati alle aziende dai providers iscritti al Registro: un miglioramento sotto il profilo della trasparenza che potrebbe facilitare la ricerca e l’analisi da parte di chiunque e contribuirebbe a rafforzare la fiducia nel sistema dei rating ESG.

I fornitori di rating ESG adottano, attuano ed applicano misure tese a garantire che i loro rating ESG si basino su un’analisi accurata di tutte le informazioni di cui dispongono che sono rilevanti a tal fine, secondo le proprie metodologie di rating. Essi adottano tutte le misure necessarie per garantire che le informazioni da loro impiegate ai fini dell’assegnazione dei rating ESG siano di qualità sufficiente e provengano da fonti affidabili. I fornitori di rating ESG indicano esplicitamente che i loro rating ESG costituiscono il loro parere.

Anche se il paragrafo sottolinea l’importanza dell’accuratezza e dell’affidabilità delle informazioni utilizzate dai fornitori di rating ESG, non specifica i criteri precisi per assicurare che tali dati siano effettivamente veritieri e corretti. Affidarsi alla sola “presunzione di buona fede” dei fornitori potrebbe non essere sufficiente per garantire l’integrità e la qualità dei rating. Sarebbe opportuno stabilire criteri stringenti e verificabili per la valutazione delle informazioni utilizzate dai fornitori di rating ESG. Questi criteri dovrebbero assicurare che i dati siano non solo accurati e affidabili, ma anche verificati in maniera indipendente, e la loro definizione contribuirebbe a rafforzare la fiducia nel sistema di rating ESG e a garantire la sua integrità.

Le società che effettuano consulenze non devono essere le stesse che rilasciano i rating ESG.

Pur condividendo la filosofia alla base di questa disposizione, che intende prevenire conflitti di interesse, pare che la norma possa essere facilmente aggirata. Grandi società di consulenza potrebbero, ad esempio, creare entità apparentemente separate ma sotto il loro controllo (come succursali, affiliate o altri rami aziendali) per eludere questa regola. Si potrebbe pensare di rafforzare il testo imponendo restrizioni più stringenti. Ad esempio, potrebbe essere stabilito che le società di consulenza non possano controllare, né direttamente né indirettamente, società di rating ESG. Inoltre, potrebbe essere imposto che gli azionisti delle società di consulenza non siano gli stessi delle società di rating. Questo tipo di norme garantirebbe una separazione reale tra consulenza e valutazione, riducendo il rischio di conflitti di interesse.

I fornitori di rating ESG provvedono affinché gli analisti di rating, i dipendenti e tutte le altre persone fisiche i cui servizi sono messi a loro disposizione o sono sotto il loro controllo e che partecipano direttamente alla fornitura dei rating ESG, compresi gli analisti direttamente coinvolti nel processo di rating e le persone coinvolte nell’assegnazione di punteggi, dispongano delle conoscenze e dell’esperienza necessarie per svolgere le funzioni e i compiti loro attribuiti.

L’articolo sottolinea l’importanza che gli analisti e tutti coloro che sono coinvolti nel processo di rating abbiano le conoscenze e l’esperienza necessarie. Tuttavia, mancano dettagli chiave: quali sono esattamente i criteri di valutazione delle “conoscenze e dell’esperienza necessarie”? E, altrettanto importante, chi è responsabile della verifica del rispetto di questi criteri? Si dovrebbero specificare ulteriormente i criteri che delineano le competenze. Potrebbero essere introdotte linee guida dettagliate o riferimenti a standard professionali riconosciuti, stabilendo inoltre una procedura indipendente per la verifica del rispetto di tali criteri, assicurando trasparenza e rigore nel processo.

Le persone di cui al paragrafo 1 (del testo del Regolamento, ndr) che ritengono che un’altra persona di cui al paragrafo 1 abbia tenuto una condotta che reputano illegale ne informano immediatamente la funzione di controllo della conformità. Il fornitore di rating ESG provvede affinché la segnalazione non abbia conseguenze negative per chi la effettua.

L’articolo suggerisce l’esistenza di un organismo di vigilanza interno alle singole agenzie rilascianti i rating, ma non fornisce dettagli su come funzionerà, a chi riferirà e come garantirà l’effettiva indipendenza e imparzialità nelle indagini. L’efficacia di un organismo interno potrebbe essere compromessa da potenziali conflitti di interesse o pressioni interne. L’introduzione un organismo di controllo esterno, indipendente dai fornitori di rating ESG, potrebbe essere una opzione da prendere in considerazione. Questo organismo dovrebbe avere il potere di effettuare controlli a campione e di ricevere esposti, segnalazioni e altre comunicazioni da parte delle persone coinvolte nel processo di rating. La presenza di un ente esterno garantirebbe una maggiore trasparenza e imparzialità nel processo di vigilanza, rafforzando la fiducia nel sistema.

Le persone di cui al paragrafo 1 (del testo del Regolamento, ndr) non assumono alcuna posizione dirigenziale di rilievo presso un soggetto valutato al cui rating hanno partecipato per sei mesi dopo la fornitura del rating

Sebbene l’articolo intenda prevenire possibili conflitti di interesse, il periodo di sei mesi potrebbe non essere sufficiente per garantire l’indipendenza e l’obiettività del rating. Per una maggiore sicurezza, si potrebbe estendere il periodo di attesa da sei mesi ad un anno prima che una persona possa assumere un ruolo dirigenziale in un’entità che ha valutato. Questo periodo più lungo contribuirebbe a rafforzare ulteriormente l’integrità del processo di rating e a prevenire potenziali conflitti di interesse.

I fornitori di rating ESG adottano tutte le misure necessarie per garantire che i rating ESG forniti non siano influenzati da alcun conflitto di interessi, esistente o potenziale, o relazione d’affari del fornitore di rating ESG stesso o dei suoi azionisti, dirigenti, analisti di rating, dipendenti o di qualsiasi altra persona fisica i cui servizi sono messi a disposizione o sono sotto il controllo del fornitore di rating ESG, o di qualsiasi persona direttamente o indirettamente collegata ad esso da un legame di controllo.

L’articolo sottolinea l’importanza di evitare conflitti di interesse nel processo di rating, tuttavia: chi avrà la responsabilità di verificare che queste misure siano effettivamente rispettate, e quale sarà la metodologia adottata per tale verifica? Pare necessaria, quindi, una clausola che stabilisca l’istituzione di un organismo di controllo esterno, indipendente, con il mandato di verificare periodicamente l’effettiva assenza di conflitti di interesse nei fornitori di rating ESG. Questa entità dovrebbe avere accesso a tutte le informazioni rilevanti e dovrebbe poter pubblicare le proprie conclusioni in modo periodico e trasparente.

I fornitori di rating ESG riesaminano la loro attività con cadenza almeno annuale al fine di individuare potenziali conflitti di interessi.

L’articolo stabilisce che i fornitori di rating ESG dovrebbero riesaminare periodicamente la loro attività, ma non fornisce dettagli su come vengono comunicati e gestiti i risultati di tale riesame. Si potrebbe pensare di integrare l’articolo specificando che i risultati del riesame annuale dovranno essere riassunti in una relazione dettagliata da dover presentare ad un organismo di controllo esterno e indipendente, che avrà il compito di verificarla e validarla. Inoltre, una versione sintetica della relazione dovrebbe essere resa pubblica per garantire la massima trasparenza di processo.

I fornitori di rating ESG adottano misure adeguate al fine di garantire che le commissioni addebitate ai clienti siano eque, ragionevoli, trasparenti, non discriminatorie e basate sui costi.

Questa disposizione evidenzia l’importanza di praticare commissioni eque, ma la formulazione “basate sui costi” può prestarsi a diverse interpretazioni. Da un lato, si potrebbe intendere che le commissioni non dovrebbero essere inferiori ai costi sostenuti per evitare pratiche di dumping. Dall’altro, se la norma vuole stabilire un tetto massimo alle commissioni in relazione ai costi, ciò potrebbe avere un impatto sul funzionamento libero e concorrenziale del mercato. Sarebbe opportuno chiarire il concetto di “basate sui costi”, dettagliando se si fa riferimento a un limite minimo, un limite massimo, o entrambi. Inoltre, si dovrebbe valutare l’opportunità di includere un meccanismo di revisione periodica delle commissioni, o un criterio che permetta una flessibilità in relazione all’evoluzione del mercato e dei costi sostenuti dai fornitori.

Per adempiere alle funzioni attribuitele ai sensi del presente regolamento, l’ESMA ha facoltà di svolgere tutte le indagini necessarie.

Si riconoscono ampie prerogative all’ESMA per condurre indagini in relazione ai fornitori di rating ESG. Tuttavia, non si fa esplicito riferimento alla possibilità per l’ESMA di effettuare verifiche direttamente presso le aziende che sono oggetto dei rating. Si potrebbe estendere le facoltà d’indagine dell’ESMA per includere questa possibilità. Potrebbe aumentare la trasparenza e l’accuratezza del processo di rating, assicurando che le valutazioni siano basate su informazioni complete e verificate.

Per adempiere alle funzioni attribuitele ai sensi del presente regolamento, l’ESMA ha facoltà di svolgere tutte le necessarie ispezioni presso i locali professionali delle persone giuridiche.

Come nell’articolo precedente, all’ESMA viene affidato il potere di svolgere ispezioni presso i locali professionali delle persone giuridiche, ma non viene menzionata la capacità di effettuare ispezioni presso le aziende che sono state valutate attraverso i rating ESG. Sarebbe utile ampliare le competenze ispettive dell’ESMA per includere la facoltà di svolgere verifiche anche presso le aziende oggetto di rating ESG. Questa espansione garantirebbe un maggiore controllo sulla qualità e sull’accuratezza dei rating, assicurando una maggiore trasparenza e responsabilità nell’intero processo.

Qualora constati che un fornitore di rating ESG o, se del caso, il suo rappresentante legale ha violato, intenzionalmente o per negligenza, il presente regolamento, l’ESMA adotta una decisione che irroga una sanzione pecuniaria. L’importo massimo della sanzione pecuniaria è pari al 10 % del fatturato netto annuo totale del fornitore IT 48 IT di rating ESG, calcolato sulla base dell’ultimo bilancio disponibile approvato dall’organo di amministrazione del fornitore di rating ESG.

Il testo stabilisce che la sanzione pecuniaria possa arrivare fino al 10% del fatturato netto annuo totale del fornitore di rating ESG, ma non è chiaro se questo si riferisca esclusivamente al fatturato derivante dall’attività di rating ESG o se includa anche altre fonti di reddito dell’ente. Per chiarezza, e nell’interesse delle stesse agenzie rilascianti i rating, sarebbe opportuno specificare in modo esplicito se la percentuale del 10% si applica anche al fatturato non derivante dall’attività di rating ESG. In caso contrario, potrebbe essere utile fornire una distinzione chiara tra i vari tipi di fatturato al fine di evitare ambiguità interpretative.

L’ESMA impone ai fornitori di rating ESG il versamento di contributi in conformità dell’atto delegato adottato a norma del paragrafo 2. Detti contributi coprono totalmente i costi sostenuti dall’ESMA per la vigilanza sui fornitori di rating ESG e per il rimborso dei costi eventualmente sostenuti dalle autorità competenti nello svolgere attività a norma del presente regolamento, in particolare a seguito di una delega di compiti conformemente all’articolo 41. 2. L’ammontare di un contributo individuale è proporzionato al fatturato netto annuo del fornitore di rating ESG interessato.

Questo modello di finanziamento, dove l’ente di controllo è finanziato dai soggetti che esso controlla, ha un parallelo con la pratica della FDA (Food and Drug Administration USA). Anche se può assicurare che l’ESMA abbia risorse sufficienti per svolgere le sue attività, potrebbe anche dare adito a potenziali conflitti d’interesse. Al fine di mitigare i potenziali conflitti d’interesse, sarebbe opportuno integrare ed esplicitare nel regolamento criteri etici rigorosi che garantiscano l’autonomia, l’equidistanza e la trasparenza dell’ESMA. Una proposta potrebbe essere la creazione di un meccanismo di “filtro” ed anonimizzazione nella gestione dei flussi di cassa, in modo tale che i vertici dell’organismo di controllo non abbiano diretta conoscenza delle specifiche somme versate dai singoli fornitori di rating.


Due eventi nel mese di novembre

Si discuterà di questi ed altri argomenti relativi al tema dei rating ESG in due eventi nel mese corrente, uno organizzato a Roma, presso la Sala Nassyria del Senato della Repubblica, il giorno 15/11/23 alle h 10:00, e il secondo organizzato presso l’Università IULM di Milano, il giorno 30/11/23 alle h 16:00.

Per entrambi gli eventi, la partecipazione è gratuita, l’accredito preventivo è obbligatorio, scrivendo a ggrandoni@rmi.srl