Presentazione del libro 'Crisis Management': Bologna, 26 settembre

Mercoledì 26 settembre 2012, a Bologna, presso l’Ordine dei Medici in Via G. Zaccherini Alvisi, 4, h. 17.00, ho il piacere di presentare – insieme agli altri co-autori e a relatori di prestigio – il volume ‘La guida del Sole 24 Ore al Crisis Management’.
A seguire, nell’invito, tutti i dettagli, nonchè i nomi dei relatori e del moderatore… l’ingresso è gratuito fino a esaurimento posti. Vi aspetto!


Contaminazione dei saperi: la Teoria dei Sistemi e le Rp

Da anni discipline anche molto distanti fra loro hanno unito le proprie forze per creare modelli di studio comuni. Perchè le Relazioni pubbliche non fanno altrettanto? Un’analisi delle possibili contaminazioni tra la Teoria dei Sistemi e le Rp e l’ideazione di un modello teorico di scenario per la CSR, è quanto propone Luca Poma nella sua riflessione.
L’enciclopedia on-line Wikipedia riporta che la Teoria Generale dei Sistemi “si occupa dei meccanismi di funzionamento di un gruppo di elementi, organici tra loro al punto da costituire un sistema ordinato e vincolato da leggi scientifiche precise”. Secondo il fondatore di questa teoria, Ludwig von Bertalanffy, la condizione necessaria perché un sistema esista senza degenerare nel semplice “insieme” dei suoi componenti è che gli elementi interagiscano tra loro con una qualche logica. Per rendere l’idea con un esempio, è la differenza tra un insieme di ingredienti distinti e una ricetta ben riuscita, che – ancorché sommatoria di ingredienti anch’essa, acquisisce caratteristiche organolettiche peculiari. Ho scritto circa il rapporto tra CSR, RP e reti neurali complesse in un mio saggio del 2009, e con questo nuovo articolo – corredato da una bibliografia scientifica – vorrei riflettere circa le possibili contaminazioni tra la Teoria dei Sistemi e le Relazioni Pubbliche, e più specificatamente la Corporate Social Responsibility (CSR).Presupposto indispensabile per l’esistenza in vita di un “sistema” è che gli elementi che lo compongono interagiscano tra loro, modificando – ad esempio secondo il modello delle reti neurali – le proprie caratteristiche sulla base delle informazioni scambiate l’uno con l’altro: ad ogni input su uno degli elementi del sistema, corrisponde un output da esso verso gli elementi contigui, con il risultato di cambiare pesi ed equilibri. Ciò è proprio ciò che succede su un modello teorico di network di stakeholder.Gli esperti di Teoria dei Sistemi rappresentano un “sistema” come una “scatola nera” con ingressi e uscite. Lo stato del sistema è descritto da un insieme di variabili, dette appunto variabili di stato, che definiscono la “situazione” in cui si trova il sistema ad un certo momento. Gli ingressi agiscono sullo stato interno del sistema e ne modificano le caratteristiche – ovvero i valori – in un dato istante temporale: queste modifiche vengono registrate dalle variabili di stato. I valori delle uscite del sistema in generale, dipendono a loro volta dalle variabili di stato interne al sistema, che a loro volta abbiamo detto variano a seconda dei dati in ingresso. Esistono equazioni – che qualunque matematico esperto potrebbe descriverci agevolmente – per determinare lo “stato interno” di un dato sistema in un determinato istante, sulla base degli input che ha ricevuto, di come li ha elaborati, e di come li ha “restituiti all’esterno”. Queste equazioni permettono quindi di monitorare – e prevedere con un una discreta approssimazione – l’evoluzione nel tempo del sistema stesso. Mi chiedo quindi perché non applicare questa teoria e questi modelli matematici anche alla CSR, laddove una mappa di stakeholder altro non è se non un macrosistema con elementi fortemente interconnessi, tra stakeholder di prossimità, pubblici più o meno influenti ed ambiente esterno, e più in generale alle relazioni pubbliche creando modelli teorici di scenari di RP e ipotizzando scientificamente come i risultati di varie strategie influenzerebbero i pubblici di riferimento dell’azienda.I ricercatori oggi arrivano a ipotizzare l’esistenza di modelli dotati di sistema cognitivo “autonomo”, per il funzionamento dei quali è importante agire sull’apprendimento, sulle informazioni disponibili e sulla loro “memoria”, com’è il caso di alcuni moderni “automi sperimentali” in grado di imparare dei propri stessi errori e migliorare da soli il proprio profilo di efficienza. Una sfida a mio avviso assai stimolante per noi relatori pubblici.La scienza della complessità studia i sistemi complessi e i fenomeni emergenti a essi associati: è una visione interdisciplinare degli studi che si occupano di sistemi adattativi, teoria del caos, intelligenza artificiale e cibernetica, che ha mosso i primissimi passi alla fine del XIX secolo, in seguito alla constatazione che la logica aristotelica e il dualismo cartesiano erano ormai inadeguati a comprendere il mondo delle complesse interazioni del mondo moderno. Uno dei primi a lavorare su questi paradigmi fu Ross Harrison, il quale studiò il concetto di “organizzazione” interna dei sistemi, identificando la natura gerarchica degli elementi all’interno dei sistemi come uno degli elementi più importanti dell’organizzazione degli stessi. In natura, ad esempio, l’esistenza di più livelli di sistema all’interno di ogni sistema più ampio è assai tipica: le cellule si combinano per formare i tessuti, i tessuti per formare gli organi e gli organi per formare gli organismi viventi. Interessate notare, ai fini del nostro approfondimento, che a loro volta gli organismi viventi agiscono organizzandosi in sistemi sociali.Questo tipo di studi ha anche dato vita alla teorizzazione dei sistemi dinamici complessi, filone applicato innanzitutto agli esseri viventi. Citando nuovamente un esempio divulgativo tratto da Wikipedia, un chiaro esempio biologico di sistema complesso è una colonia di formiche: la regina non dà ordini alle formiche, ma ogni singola formica reagisce a stimoli, odori provenienti dalle larve, dalle altre formiche, da intrusi, da cibo e immondizia, e si lascia dietro una traccia chimica che a sua volta servirà da stimolo alle altre. Ogni formica è quindi un’unità autonoma che reagisce in relazione all’ambiente e alle regole genetiche della sua specie: nonostante la mancanza di un vero e proprio ordine centralizzato, le colonie di formiche esibiscono un comportamento complesso e hanno dimostrato la capacità di affrontare problemi geometrici, come ad esempio localizzare il punto più lontano da tutte le entrate della colonia per disporvi lì i corpi morti.Un esempio più vicino a noi è quello delle transazioni finanziarie internazionali: non esiste un’entità che controlla il funzionamento dell’intero mercato, gli investitori conoscono solo un limitato numero di imprese contenute nel loro portafoglio, ma attraverso le interazioni dei singoli investitori emerge la complessità del mercato della borsa nel suo complesso. La stessa Wikipedia per certi versi è regolata da queste leggi, in quanto sistema complesso aperto e decentralizzato: ognuno edita solo una parte dell’enciclopedia, ma tutti hanno la sensazione di partecipare a qualcosa di più grande di loro. Altri campi di applicazione pratica sono della scienza della complessità sono ad esempio le reti informatiche, i sistemi per la previsione del traffico e le reti di comunicazione militare.Il fondatore della Teoria dei Sistemi, il citato Ludwig von Bertalanffy, diceva nell’introduzione al trattato in cui codificava questa pista di ricerca: “Pensare in termini di sistemi gioca un ruolo dominante in un ampio intervallo di settori che va dalle imprese industriali e dagli armamenti sino ai temi più misteriosi della scienza pura…”. Penso sia arrivata l’ora di un’ulteriore contaminazione di saperi tra queste scienze matematiche e le scienze sociali che ci vedono protagonisti come comunicatori e relatori pubblici. Una qualunque mappa degli stakeholder è infatti ascrivibile alla categoria dei “sistemi complessi”, le cui continue sollecitazioni tra elementi parte della mappa rendono difficilmente prevedibile l’andamento nel medio-termine. La struttura complessiva di una vera ed ampia mappa aziendale degli stakeholder dovrebbe necessariamente essere di tipo reticolare, su modello delle mappe concettuali di Joseph Novak, ma senza presentare un preciso “punto di partenza”.Questo ci porta dritti a una riflessione da me in più occasioni sollecitata su queste pagine: riflettere sull’impatto della nostra azione di relatori pubblici non solo sull’azienda cliente, ma anche sull’identità dei suoi stakeholder, sugli stakeholder dei suoi stakeholder, eccetera. E se è vero che tanto maggiore è la quantità e la varietà delle relazioni fra gli elementi di un sistema tanto maggiore è la sua complessità, il contributo che le scienze matematiche possono apportare alla capacità di previsione degli scenar
i possibili su una mappa degli stakeholder da parte dei relatori pubblici è certamente tutta da esplorare.Un altro campo di “contaminazione” esplorato dalla Teoria dei Sistemi è la biopsicologia. In un mio saggio di inizi 2011 ho esplorato le connessioni esistenti tra la CSR e la biopsicologia, partendo dall’assunto che l’immersione in ambienti costantemente proiettati verso la “costruzione di futuro” – condizione tipica di chi lavora a nuovi paradigmi di sviluppo delle imprese e dell’ambiente con il quale esse si rapportano – stimola positivamente l’organismo umano alla produzione di ormoni del benessere, con ricadute positive sulla qualità della vita, come ci conferma una valente psichiatra e notissima ricercatrice internazionale, la Prof. Emilia Costa. Sempre la Costa ricorda come “oggi si renda necessario – anzi indispensabile – modificare il nostro modo di pensare, dando finalmente maggior spazio al pensiero analogico, al pensiero complesso, al modello della causalità circolare e alle conseguenti modalità conoscitive e di azione che servono per produrre innovazione e cambiamento in ogni settore della società, dalle aziende alle istituzioni all’intera collettività”.Proprio quel modello di casualità circolare che è alla base delle leggi che regolano il funzionamento dei sistemi complessi: un po’ come per il corpo umano, il comportamento di un sistema di questo tipo non può essere compreso a partire dal comportamento dei singoli elementi che lo compongono, in quanto solo l’interazione tra i singoli elementi determina il comportamento globale del sistema. Questa proprietà è chiamata “comportamento emergente”: a partire dalle interazioni tra i singoli componenti del sistema, emerge un comportamento non previsto dallo studio delle singole parti. Un sistema complesso adattativo è descritto da De Toni, Comello e Holland come “un instabile aggregato di agenti e connessioni, auto-organizzati per garantirsi l’adattamento, un sistema che emerge nel tempo in forma coerente, e si adatta e organizza mediante la costante ridefinizione del rapporto tra il sistema stesso e il suo ambiente”. E’ il concetto dei cosiddetti “paesaggi elastici” – fitness landscape – in continua deformazione per l’azione congiunta dei sistemi stessi, di altri sistemi simili, e di elementi esogeni, e la mappa degli stakeholder di un’azienda è in questo senso probabilmente da intendersi proprio come un “sistema complesso adattivo”.Una delle ragioni per cui si verifica un comportamento emergente è che il numero di interazioni tra le componenti di un sistema aumenta combinatoriamente con il numero delle componenti, consentendo il potenziale emergere di nuovi e più impercettibili tipi di comportamento: l’inserimento di preoccupazioni di carattere etico nella vita di un’azienda, tali da condizionare anche elementi non propriamente di prossimità, risponde proprio a questa logica. D’altro canto, non è di per sé sufficiente un gran numero di interazioni per determinare un comportamento emergente, perché molte interazioni potrebbero essere irrilevanti, oppure annullarsi a vicenda, così come pratiche di greenwashing hanno ben poco effetto a medio-lungo termine nel variare il comportamento degli stakeholder su una mappa.La Teoria dei Sistemi rappresenta in definitiva il tentativo di inquadrare le relazioni di causa ed effetto tra tutti gli elementi di un dato sistema, e fornire degli strumenti di analisi matematica per decifrarle. Alcuni programmi di calcolo e simulazione attualmente disponibili costituiscono un ausilio prezioso all’utilizzo delle tecniche proprie di questo paradigma teorico. Un approccio orientato al sistema è infatti divenuto comune a tutte le scienze e le discipline che trattino di interazioni, come la fisica, la biologia, l’informatica, e – non ultima – l’economia. Non ho reperito tuttavia referenze bibliografiche atte a documentare l’esistenza di riflessioni sull’applicazione di un approccio sistemico alla Responsabilità Sociale d’Impresa e alle Relazioni pubbliche, che pure sono due scienze sociali che fanno delle “interazioni” il proprio cavallo di battaglia.Le scienze cognitive hanno permesso da anni a neuroscienziati, informatici, filosofi della mente, linguisti, psicologi e antropologi di unire le forze per costruire modelli di studio comuni, invadendo territori tradizionalmente appartenenti all’indagine filosofica. Perché le relazioni pubbliche debbano continuare ad auto-escludersi da questi frizzanti ambiti di ricerca, resta per me veramente un mistero.

Bibliografia

  • Anderson P. W., “More Is Different”, Science, New Series, Vol. 177, No. 4047 (1972)
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  • Costa E., “Il cervello e la mente: dal neurone al comportamento” – CICEdizioni Internazionali, Roma (2004)
  • Costa E. , Non mi stressare l’azienda: da produttori di beni e servizi a incubatori di benessere per la società”, relazione al convegno “RES”, Unione Industriali di Torino, 26/10/2011
  • Cravera A., “Competere nella complessità – Il Management tra ordine e caos”, ETAS (2008)
  • De Toni A., Comello L., “Viaggio nella complessità”, Marsilio (2007)
  • De Toni A, Comello L., “Prede o ragni: epistemologia e teoria della complessità”, UTET (2005)
  • Florita M. O., “L’intreccio: neuroscienze, clinica e teoria dei sistemi dinamici complessi”, FrancoAngeli, Milano (2011)
  • Fromm J., “The emergence of complexity”, Kassel University Press (2004)
  • Gandolfi A., “Formicai, imperi, cervelli: introduzione alla scienza della complessità”, Bollati Boringhieri (1999)
  • Gandolfi A., “Vincere la sfida della complessità”, Franco Angeli (2008)
  • Holland H. J., “Emergence from chaos to order”, Oxford University Press (1998)
  • Korotayev A. Malkov, Andreevna Khaltourina D., “Introduction to Social Macrodynamics: Compact Macromodels of the World System Growth”, Moscow (2006)
  • Magrassi P., “Difendersi dalla complessità”, Franco Angeli (2009)
  • Morin E., “Introduzione al pensiero complesso”, Sperling & Kupfer, Milano (1993)
  • Morowitz J. H., “The Emergence of Everything: How the World Became Complex”, Oxford University Press (2002)
  • Pietronero L., “Complessità e altre storie”, Di Renzo, Roma, (2007)
  • Poma L., “Human Social Responsibility: una nuova prospettiva per laCSR. I rapporti della Corporate Social Responsibility con le neuroscienze e la biopsicologia”, Ferpi News, 2011
  • Poma L., “Nuovi strumenti per la CSR: dalla tradizionale mappa degli stakeholders alla rete neurale complessa”, Ferpi News (2009)
  • Réda B., “La teoria della complessità”, Bollati Boringhieri (2007)
  • Sander W. L., “Pensare differentemente. Per una concettualizzazione dei processi di base dei sistemi viventi. La specificità del riconoscimento”, rivista Ricerca psicanalitica, Anno XVI, n 3 (2005)
  • Schelling C. T., “Micromotives and Macrobehavior”, W. W. Norton & Company (1978)
  • Tamagnone C., “Dal nulla al divenire della pluralità”, Clinamen (2009)
  • Tinti T., Acquarone F, Micca C., Cresta E., “Teoria e pratica della psicologia della complessità”, rivista Psicologi a confronto (2010)

 


Adriano Olivetti: un secolo troppo presto

Con l’amico Federico Fioretto, ho partecipato oggi al seminario della Fondazione Bottari Lattes intitolato “La fabbrica al tempo di Adriano Olivetti”, momento di amarcord ma anche di riflessione profonda su quella che appare nel settore della grande industria come la più evidente occasione mancata del nostro paese.La fabbrica – per Adriano Olivetti – era al centro di un’idea di relazione con il territorio di straordinario valore: industria come “laboratorio” di idee innovative, con lavoratori intesi non solo come produttori di manufatti ma come uomini titolari di diritti, non esclusivamente quelli giustamente reclamati dai sindacati, ma quelli riconosciuti con atto monocratico – ma nel contempo profondamente democratico – da un imprenditore come mai più se ne sono visti in Italia.
Adriano Olivetti parlava di fabbrica come “produttrice di cultura e di sapienza”, intesa come sapere derivato – anche – dall’esperienza. I tecnici e ingegneri dell’azienda crearono già nel 1945 la prima calcolatrice scrivente al mondo, poi la prima macchina da scrivere elettronica al mondo, la ET 101, il primo Personal Computer – il Programma 101 – presentato alla Fiera di New York nel 1965, e successivamente uno dei primi veri computer portatili, l’M10, con alcuni programmi integrati e la capacità di collegarsi a computer remoti, soluzione estremamente innovativa per l’epoca.
Ma la Olivetti era – soprattutto – il primo e ancor’oggi ineguagliato laboratorio di Responsabilità Sociale d’Impresa, modello nel nostro paese e nel mondo intero. Scuole di formazione interne; borse di studio per i dipendenti desiderosi di continuare gli studi serali fino al diploma o alla laurea in qualunque materia; premi di produzione; asili nido aziendali per facilitare la conciliazione lavoro/famiglia; cura del territorio, dal quale traeva le risorse per il proprio successo d’impresa, riconoscendo il valore umano che era alla base delle sue intuizioni innovative e – di conseguenza – di una marginalità negli utili che oggi appare poco meno che incredibile, a conferma – ante litteram – che la CSR non è una pratica di charity o un mero strumento per le relazioni esterne, bensì un vero e proprio modello di business elevabile a dimensione strategica.
L’investimento di Olivetti – ricorda Fioretto, che è anche appassionato ricercatore di questa storia imprenditoriale unica – era anche in un’urbanistica d’avanguardia, dove la città diventava tessuto sociale nel quale i lavoratori e le loro famiglie potevano vivere una vita degna, gratificante, stimolante e di piena partecipazione al processo creativo e produttivo.
Olivetti – nella propria visione multistakeholder di azienda d’avanguardia socialmente responsabile, coinvolse nella vita quotidiana dell’azienda filosofi, psicologi – non dimentichiamo che in Olivetti è nata la moderna psicologia del lavoro – sociologi e giornalisti, uno tra tutti – troppo spesso dimenticato – Tiziano Terzani. Per Olivetti, lo sviluppo culturale della comunità era uno dei doveri di “restituzione” dell’azienda verso i suoi pubblici: resta ancora ineguagliata l’esperienza delle biblioteche e cineteche interne all’interno della fabbrica, dalle quali i lavoratori attingevano spesso e abbondantemente, ma aperte anche alla cittadinanza.
Ma vanno ricordati anche l’attenzione al recupero e all’inserimento in ruoli utili di chi veniva menomato da un incidente o da una malattia, la prima esperienza italiana di “scuola pubblica” con metodi pedagogici avanzatissimi, e la rete di trasporti aziendali che copriva “a tappeto” le valli del Canavese, costituendo un esempio virtuoso – decisamente in anticipo sui tempi – di attenzione all’aspetto ambientale della mobilità sostenibile.
Questi sono solo alcuni dei fattori che possono spiegare la persistenza fino ai giorni nostri del mito di Olivetti, più che mai attuale con riguardo alla profonda crisi che l’Italia e l’intero mondo occidentale attraversano in questo periodo, crisi che vede in buona parte tra le proprie cause endogene proprio una carenza della sensibilità e dei valori che erano la bandiera di Adriano Olivetti.
L’esperienza della fabbrica di Ivrea – multinazionale dell’elettronica arrivata a fatturati da capogiro, con decine di migliaia di dipendenti, leader in Europa nella produzione di computer, rispettata ovunque nel mondo per il proprio modello imprenditoriale e per l’elevatissima capacità d’innovazione tecnologica – naufragò, complice la morte prematura del suo fondatore, a causa di un mix tra necessità strategiche degli Stati Uniti, che non desideravano affatto lo sviluppo di un gruppo d’alta tecnologia in un paese “satellite” com’era all’epoca l’Italia, e necessità pragmatiche dei poteri forti di allora, servi per nulla sciocchi degli USA: Mediobanca e Cuccia, e con loro Valletta e FIAT, la quale aveva nelle relazioni sindacali, con i lavoratori e con il territorio modelli esattamente opposti a quelli di Adriano Olivetti. Da questi “poteri forti” giunse il pollice verso che affossò colpevolmente un’esperienza industriale e umana di valore inestimabile, per privilegiare altri comparti industriali, e poco ci va a immaginare quali. All’assemblea della Fiat del 30 aprile del 1964, Valletta suono le campane a morte per l’Olivetti, dichiarando che “la società di Ivrea è strutturalmente solida, ma sul suo futuro pende una minaccia, un neo da estirpare: l’essersi inserita nel settore elettronico “.
L’ultimo requiem fu quello suonato da De Benedetti, che chiamò a dirigere l’Olivetti il Rag. Colaninno, il quale – tramite quel che restava dell’azienda – successivamente acquisì e sovra-indebitò il gioiello di Stato “Telecom” con una scalata definita dal Financial Times “una rapina in pieno giorno”(*), vicende che ben ci racconta Giuseppe Oddo ne “L’affare Telecom”, volume pubblicato da Sperling & Kupfer. Comunque, di ciò che restava dell’Olivetti i due fecero poi “spezzatino”, a vantaggio delle tasche proprie e dei loro soci.
Dell’Olivetti però – a dispetto della miopia di chi l’ha soffocata e uccisa – resta ancora qualcosa: oltre a tracce di archeologia industriale d’avanguardia recentemente inserite nella lista d’attesa per divenire “patrimonio dell’umanità” dell’Unesco, Ivrea è tutt’ora – quasi godendo di una specie di “onda lunga” della carica d’innovazione della fabbrica, che a distanza di anni ancora pregna il territorio – un distretto di forte innovazione tecnologica, con una netta vocazione alla sperimentazione industriale grazie a un tessuto attivissimo di piccole imprese e centri studi.
Come giustamente ricordava Piero Fassino, che ha aperto il convegno, ancor’oggi – sempre più raramente – nei necrologi sul quotidiano cittadino, sotto il nome e cognome del defunto, l’ultimo desiderio impone la scritta “Anziano Olivetti”. Un’affermazione identitaria, l’ultima, da lasciare nel ricordo dei propri cari, dopo aver passato due o tre decenni nella fabbrica, fieri della grande avventura vissuta affianco di quello che tutti i suoi uomini chiamavano affettuosamente “l’Ingegner Adriano”.
(*)  http://www.rainews24.rai.it/it/news_print.php?newsid=8780


Sostenibilita, Csr. Atteso entro la fine del 2013 il primo framework per la rendicontazione integrata

E’ atteso entro la fine del 2013 il primo framework a livello mondiale per la rendicontazione integrata. E’ quanto comunica l’International integrated reporting council (Iirc) che da poco ha pubblicato una bozza dello schema che riassume le finalita’, i principi e come le organizzazioni possono utilizzarlo. In particolare, il quadro di riferimento si concentrera’ su quattro aree: la definizione di rendicontazione integrata, il suo target di riferimento, il concetto di valore e le tempistiche per la pubblicazione del framework. L’obiettivo dell’Iirc e’ quello di sviluppare una struttura che le organizzazioni possono utilizzare per rendicontare insieme “informazioni rilevanti su strategia, governance, performance e prospettive in un modo da riflettere il contesto commerciale, sociale e ambientale in cui l’organizzazione opera”, secondo la definizione dell’ Iirc. L’ International integrated reporting council, inoltre, ha rilasciato una sintesi dei risultati del discussion paper, lanciato nel settembre 2011, che ha raccolto un totale di 214 risposte dalle organizzazioni e dai singoli individui in oltre 30 paesi. Dalle risposte l’Iirc ha constatato tra gli intervistati una certa confusione sulla definizione di reporting integrato e sul concetto di creazione di valore. Secondo Paul Druckman, amministratore delegato dell’Iirc,”negli ultimi anni sono stati fatti sforzi enormi, come ad esempio, incorporare le comunicazioni sul rischio nella rendicontazione finanziaria. Inoltre, lo sviluppo del reporting di sostenibilita’ fornisce una nuova dimensione da cui considerare la creazione di valore”. L’obiettivo del framework, spiega Druckman, “e’ di consentire agli investitori e alle altre parti interessate di capire meglio i modi in cui le aziende creano valore sostenibile”.


I Csr manager e gli Hr manager non sempre hanno una visione comune su come attuare gli obiettivi di sostenibilità dell'azienda

Mentre i primi considerano centrale il ruolo dei sistemi di incentivazione, da allineare alla strategia di sostenibilità, e di responsabilità verso i dipendenti, i responsabili delle risorse umane ritengono che l’aspetto su cui focalizzarsi debba soprattutto essere lo sviluppo delle competenze e le condizioni fisiche di lavoro. E’ quanto emerso da un’indagine condotta su un campione di 89 manager italiani (48 dell’area Csr e 41 Hr Manager), condotta dal Mip Politecnico di Milano. La ricerca è stata presentata in occasione del seminario ‘La gestione delle risorse umane per la sostenibilità dell’organizzazione’, promosso da Fondazione Sodalitas e Mip Politecnico di Milano e dedicato a come, e perché, integrare in azienda le dimensioni della gestione Hr e della sostenibilità. Un punto fortemente condiviso dalle due figure manageriali è il fatto cheorientare i comportamenti delle persone verso gli obiettivi di sostenibilità dell’impresa incoraggia le persone a fare più di quanto espressamente richiesto dall’impresa, cioè a mettere in campo quello ‘sforzo discrezionale’ che può fare la differenza anche in termini di business e di competitività. La seconda indagine, realizzata intervistando 35 direttori delle risorse umane di grandi imprese italiane, ha messo in luce che l’interesse della maggior parte degli intervistati risulta focalizzato su stakeholder diversi dai dipendenti: top management, azionisti e investitori, organi di controllo, manager di linea. Gli Hr manager intervistati da un lato condividono l’importanza che la funzione risorse umane sviluppi un approccio maggiormente multistakeholder, al tempo stesso sottolineando che ciò è possibile a condizione che questo approccio sia condiviso e praticato dall’impresa nel suo complesso. Tutte le aziende e non solo, oggi, sono chiamate ad orientare le proprie scelte verso la sostenibilità. Per Marco Guerci, ricercatore presso l’Università degli Studi di Milano, “affinchè questo accada è necessario che, insieme al lavoro dei manager deputati al tema della sostenibilità, anche i direttori delle risorse umane forniscano il loro contributo nell’indirizzare i comportamenti e gli orientamenti valoriali di tutti i membri dell’organizzazione”. Questo ha due grandi implicazioni. In primo luogo, spiega Guerci, “dato che in pochi casi la sostenibilità rientra nei percorsi formativi di chi si occupa di gestione delle risorse umane, è necessario che questi manager siano formati alla sostenibilità e ai suoi principali approcci e strumenti”. In secondo luogo, conclude, “dato che il tema è molto ‘giovane’, è necessario organizzare processi di ricerca che forniscano indicazioni alle imprese in merito alle scelte piu’ efficaci in tal senso”. In conclusione di evento, Fondazione Sodalitas e Mip Politecnico di Milano hanno sottolineato in modo condiviso l’importanza di condurre ricerche che, coinvolgendo un numero più ampio di imprese, esplorino in modo ancora più approfondito le opportunità derivanti dall’integrazione fra la gestione Hr e la Sostenibilità e con quali processi implementare questo approccio.


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